N. 190 ORDINANZA (Atto di promovimento) 1 marzo 2000
Ordinanza emessa il 1o marzo 2000 dal giudice dell'udienza preliminare, presso il tribunale militare di Torino nel procedimento penale a carico di Gennaro Francesco Processo penale - Attribuzioni del tribunale in composizione collegiale - Reato di peculato militare - Attribuzione al tribunale militare in composizione collegiale - Mancata previsione - Disparita' di trattamento rispetto a quanto previsto per il reato di peculato comune. - Cod. proc. pen., art. 33-bis, comma 1, lett. b), sostituito dall'art. 10 della legge 16 dicembre 1999, n. 479. - Costituzione, art. 3.(GU n.18 del 26-4-2000 )
IL TRIBUNALE MILITARE Ha pronunziato la seguente ordinanza sulla questione di legittimita' costituzionale dell'art. 33-bis, comma 1, lett. b) c.p.p., cosi' come sostituito dall'art. 10 della legge 16 dicembre 1999, n. 479, per violazione dell'art. 3 della Costituzione, laddove non prevede che sia attribuita al tribunale militare in composizione collegiale il reato di peculato militare di cui all'art. 215 c.p.m.p.; O s s e r v a A termine dell'udienza preliminare, tenutasi nella contumacia dell'imputato, le parti, in sede di discussione, cosi' come risulta dal verbale di udienza camerale, concludevano come segue: il pubblico ministero chiedeva l'emissione di decreto di citazione a giudizio dell'imputato avanti il tribunale militare di Torino in composizione collegiale, avendo previamente riconosciuta la sussistenza in atti degli elementi materiali e soggettivi del delitto contestato; la difesa invece, si rimetteva nel merito. Questo giudice esaminati gli atti, sentite le parti, non puo' non riconoscere la necessita' di deliberare con decreto il rinvio a giudizio dell'imputato, per il delitto di peculato militare contestato dal pubblico ministero nella richiesta di rinvio a giudizio del 23 dicembre 1999 (f. 65 atti). Non vi sono elementi, nemmeno di insufficienza probatoria, che possono far propendere, in questa fase processuale, per un proscioglimento ex art. 425 c.p.p., sia per quanto attiene alla materialita', sia circa la soggettivita' del delitto di cui all'imputazione. L'imputato, del resto, a fronte delle contestazioni del pubblico ministero si e' difeso avvalendosi della facolta' di non rispondere (interrog. a fogli 63-64 atti). Nell'adottare la decisione di cui all'art. 429 c.p.p. (decreto che dispone il giudizio) questo giudice nutre fondati dubbi circa l'organo giudiziario, se monocratico o collegiale, cui dovrebbe essere attribuita la conoscenza del procedimento penale nella fase dibattimentale. Infatti, stante la sanzione edittale che nel massimo per il delitto contestato e' dieci anni di reclusione (cosi' come per il delitto di cui all'art. 314 c.p. prevedente l'ipotesi di peculato comune) il giudice del dibattimento dovrebbe essere il tribunale militare in composizione monocratica cosi' essendo disposto dal combinato disposto delle norme di cui ai novellati articoli 33-bis e 33-ter c.p.p. ("Sono attribuiti altresi' al tribunale in composizione collegiale, ......., i delitti puniti con la pena della reclusione superiore nel massimo a dieci anni ..."; "Il tribunale giudica in composizione monocratica, altresi', in tutti i casi non previsti dall'art. 33-bis o da altre disposizioni di legge"). E' vero pero' che per la "parallela" o "speculare" ipotesi delittuosa di cui all'art. 314 c.p. (peculato comune) il legislatore con la legge n. 479/1999 (Modifica alle disposizioni sul procedimento davanti al tribunale in composizione monocratica e altre modifiche al codice di procedura penale.......) all'art. 10 nel novellare l'art. 33-bis c.p.p. ha statuito che questo delitto, cosi' come altri previsti dal capo I del titolo II del libro II del codice penale, sia attribuito alla conoscenza del tribunale in composizione collegiale. Una notevole diversita' di trattamento e' stata introdotta per legge a seconda che trattasi di peculato comune anziche', di peculato militare. Si ritiene sia rilevante ed anche non manifestamente infondata la questione di costituzionalita' dell'art. 33-bis, comma 1, lett. b) c.p.p., cosi' come modificato dalla legge n. 479/1999, laddove prevede che sia attribuita al tribunale in composizione collegiale, anziche' monocratica, il delitto di peculato comune (art. 314 c.p.) nonche', altri delitti di cui al capo I del titolo II del libro II del codice penale, e non anche il delitto "parallelo o speculare" di cui all'art. 215 c.p.m.p., contestato in imputazione; e, cio' in riferimento al parametro costituzionale dell'art. 3 della Costituzione che esprime i principi di uguaglianza di trattamento a fronte di situazioni omogenee e di ragionevolezza cui deve sottendere, nella sua attivita', anche il legislatore penale. Infatti, presupponendo, come e' ovvio, dato il vigente principio di complementarita' di cui all'art. 261 c.p.m.p, e pur nel silenzio dei legislatore ordinario, la vigenza anche per la giurisdizione di merito penale-militare della recente riforma del cd giudice unico di primo grado, comprensivamente quindi, l'estensione alla giurisdizione militare della legge 16 dicembre 1999, n. 479 (Modifiche alle disposizioni sul procedimento davanti al tribunale in composizione monocratica e altre modifiche al codice di procedura penale......), non si rinviene una ragionevole spiegazione circa il fatto che i delitti di cui al capo I del titolo II del libro II del codice penale, ed in primis quello di peculato (art. 314 c.p.), siano attribuiti alla conoscenza di un collegio, mentre i delitti contro l'amministrazione militare di cui al capo I del titolo IV del libro II del codice penale militare di pace, ed in primis quello di peculato militare (art. 215 c.p.m.p.), siano attribuiti alla conoscibilita' di un giudice monocratico essendo puniti tutti con la pena della reclusione (e non reclusione militare) non superiore nel massimo a dieci anni (ved. art. 33-bis, comma 2 c.p.p.). Merita dire che stante il principio di complementarita' di cui all'art. 261 c.p.m.p. ("Salvo che la legge disponga diversamente, le disposizioni del codice di procedura penale si osservano anche per i procedimenti davanti i tribunali militari, sostituiti al tribunale e al procuratore della Repubblica, rispettivamente il tribunale militare e il procuratore militare della Repubblica"), e' stato possibile introdurre presso gli organi della Giustizia Militare di merito il nuovo codice di procedura penale. Anche allora, circa dieci anni orsono, il legislatore ordinario fu totalmente inerte in tema di adeguamento e raccordo del nuovo rito con la procedura penale militare. Ma, per effetto degli artt. 261 c.p.m.p., 1 c.p.p., 207 decreto legislativo 28 luglio 1989, n. 271 fu possibile, in via interpretativa, richiamare integralmente il nuovo rito comune con tutti gli istituti e disposizioni nella procedura penale militare. E, laddove era problematico un adeguamento automatico interpretativo e, laddove erano rimaste delle diversita' di istituti, vi e' stato soprattutto l'intervento della Corte costituzionale; sulla scia della legge di riforma della giustizia militare (legge n. 180/1981) che ha comportato una rivoluzione copernicana nel settore. Le modifiche intervenute con riguardo al processo penale militare sono state poche ma, tutte significative: in ordine al tema concernente la applicabilita' ai reati militari delle sanzioni sostitutive delle pene detentive brevi (Corte costituzionale n. 284/1995); in tema di misure cautelari non sono stati espressi dubbi sulla applicabilita' integrale delle norme del codice di procedura penale comune piuttosto che delle disposizioni speciali di cui agli artt. 313 ss. c.p.m.p. sia dal giudice di legittimita' (Cass. 22 marzo 1991, Pagliarini) sia dalla stessa Corte costituzionale, che ha ritenuto l'equivalenza in proposito fra reclusione e reclusione militare. E' stata poi dichiarata la incostituzionalita' dei pochi istituti differenti fra rito militare e rito comune: sent. 26 ottobre 1989, n. 429 sull'art. 308 c.p.m.p. (arresto in flagranza); sent. 9 ottobre 1990, n. 469 sull'art. 377 c.p.m.p. (reati per i quali non si procede al giudizio in contumacia); sent. 23 maggio 1990, n. 274 sull'art. 402 c.p.m.p. (in tema di differimento dell'esecuzione della pena); sent. 6 luglio 1994, n. 301 sull'art. 365 c.p.m.p.; sent. 22 febbraio 1996, n. 60 sull'art. 270 c.p.m.p. (in tema di divieto di costituzione della parte civile). Non vi sono piu' norme vigenti che contengano significative deroghe alla procedura penale comune. La Corte costituzionale ha piu' volte ribadito che con il nuovo codice di procedura penale erano andati scemando i fondamenti normativi che deponevano ancora per una asserita disparita' di trattamento fra imputati e persone offese militari e imputati e persone offese non alle armi. Cosi' riaffermandosi "il principio in forza del quale, con l'entrata in vigore della Costituzione repubblicana, viene superata radicalmente la logica istituzionalistica dell'ordinamento militare, ricondotto nell'ambito del generale ordinamento dello Stato, rispettoso e garante dei diritti sostanziali e processuali di tutti i cittadini militari oppure no, di guisa che il diritto penale militare di pace, non solo non puo' ritenersi avulso dal sistema generale garantistico dello Stato, ma non va piu' esaltato come posto a tutela di beni e valori di tale particolare importanza da superare, nella gerarchia dei valori garantiti, tutti gli altri" (ved. sentenza n. 60 del 22 febbraio 1996). Detto cio', si ribadisce che anche in punto di ratio non vi sono assolutamente ragioni ostative affinche' la riforma del cd giudice unico di primo grado non possa essere adottata per i giudici di merito militari, dato che, fra l'altro, e' comune a tutto il comparto giustizia l'interesse ad una piu' celere definizione dei procedimenti penali, a tutela dello Stato e dello stesso imputato e, l'interesse affinche' quest'ultimo goda di ulteriori garanzie per esercitare i propri diritti di difesa (fra l'altro quella della celerita' e pronta definizione dei processi e' stato sempre il "cavallo di battaglia" di coloro che in dottrina sostenevano e sostengono la necessita' dei tribunali militari). Premesso infatti, che solo i delitti militari, cosi' come quelli comuni, puniti con la pena della reclusione superiore nel massimo a dieci anni sono attribuiti al tribunale in composizione collegiale mentre, il tribunale giudica in composizione monocratica in tutti i casi non previsti dall'art. 33-bis c.p.p. o da altre disposizioni di legge (art. 33-bis, comma 2 e 33-ter c.p.p.), il legislatore ordinario con l'art. 10 della legge 16 dicembre 1999, n. 479 ha, pero', in deroga previsto che, per esempio, "i delitti previsti dal capo I del titolo II del libro II del codice penale, esclusi quelli indicati dagli articoli 329, 331, primo comma, 332, 334 e 335" (il novellato art. 33-bis, comma 1, lett. b) siano attribuiti al tribunale in composizione collegiale. Intendendosi, stando ai lavori preparatori, offrire maggiori garanzie agli imputati dei piu' gravi delitti dei pubblici ufficiali contro la pubblica amministrazione, dovendo provvedere a conoscere gli stessi, pur sanzonati nel massimo con pena non superiore nel massimo a dieci anni di reclusione, un collegio anziche' un organo monocratico. Non si rinviene alcuna ragionevole spiegazione circa il fatto che, per esempio, il delitto di peculato militare (pur sanzionato con la reclusione fino a dieci anni), fattispecie speculare a quella di cui al delitto di cui all'art. 314 c.p., non sia stato inserito dal legislatore ordinario fra i delitti di cui al novellato art. 33-bis, comma 1, lett. b) c.p.p. E questo giudice, dovendo deliberare il rinvio a giudizio avanti al tribunale militare di Torino dall'odierno imputato di peculato militare (art. 215 c.p.m.p.), stando alla disciplina di rito vigente, cosi' come novellata dalla legge n. 479/1999, dovrebbe emettere decreto che dispone il giudizio avanti un giudice monocratico, anziche' avanti un organo collegiale, cosi' creandosi una irragionevole disparita' di trattamento fra imputati a seconda che siano pubblici ufficiali militari o no e, quindi, a seconda che siano imputati di peculato militare anziche' di peculato comune. E, quando le due fattispecie criminose sono da sempre state ritenute (dottrina e giurisprudenza di merito e legittimita') "speculari" o "parallele". Disparita' di trattamento che diventa ancor piu' manifesta qualora si pensi che se l'odierno imputato, comandante di reparto ed incaricato di funzioni di comando, avesse concorso con pubblico ufficiale non militare in peculato comune si vedrebbe, in ipotesi, giudicare da un tribunale in composizione collegiale anziche' monocratica come nel caso di specie. La stessa Corte costituzionale quando ha avuto modo di pronunciarsi sulle fattispecie penali sopra richiamate ha sempre riconosciuto la sostanziale identita' fra le figure delittuose di cui all'art. 314 c.p. con quella di cui all'art. 215 c.p.m.p. (ved. sent. 14 gennaio 1974, n. 4; 9 ottobre 1990, n. 473; 4 dicembre 1991, n. 448). Cosi' si recita, fra l'altro, nella sentenza n. 4/1974: "I due reati hanno in comune l'elemento materiale e l'elemento psicologico. Identico e' il loro contenuto, in entrambi offensivo dello stesso bene che si e' voluto proteggere: denaro e cose mobili appartenenti allo Stato; identica altresi' l'azione tipica delle due azioni criminose concretantesi nell'appropriazione o distrazione di beni da parte di soggetti attivi aventi una specifica qualifica (pubblico ufficiale o incaricato di pubblico servizio, e militare incaricato di funzioni amministrative o di comando)". La stessa Corte costituzionale nemmeno ravvisava ragioni inerenti all'amministrazione militare che potessero indurre a dare alle due fattispecie una valutazione diversa: tant'e' che sulla base di tale identita' sia si estendeva al peculato militare una particolare amnistia di cui al d.P.R. n. 283/1970 sia, si espungeva dal testo normativo dell'art. 215 c.p.m.p. la dizione" ovvero lo distrae a profitto proprio o di altri" cosi' riportando a omogeneita' le due discipline visto che anche allora, con la legge di riforma dei reati dei pubblici ufficiali contro la pubblica amministrazione (legge n. 86/1990), si era creata una disparita' di trattamento fra imputati, non avendo il legislatore ordinario provveduto ad abolire quale crimen la condotta qualificata quale distrazione; e pur avendo pero', questi asserito, nei lavori preparatori alla suddetta legge, prima di essersene poi dimenticato che si sarebbe creata una disparita' di trattamento, che non si sarebbe sottratta ad un censura di incostituzionalita', se non si fosse adeguato anche il codice penale militare di pace alla riforma in corso. Solo l'intervento della Consulta ha impedito il protrarsi nel tempo di situazioni cagionanti irrazionali disparita' di trattamento fra imputati in stati di fatto riconducibili a identita' di elementi. E, nonostante il costante invito della Corte costituzionale al legislatore affinche' per il futuro si abbiano ad evitare cosi' gravi ed ingiustificate disparita' di trattamento, oggi questo giudice deve ulteriormente constatare il cronico e grave disinteresse normativo per l'ordinamento penale militare. E, con riferimento alla questione di costituzionalita' oggi illustrata, si denota un contrasto col principio costituzionale di cui all'art. 3 della Carta, che sottintende i valori di parita' di trattamento fra situazioni identiche e omogenee e, di ragionevolezza; valori cui deve sottostare il legislatore. Infatti, se il peculato comune e quello militare nella forma dell'appropriazione (che e' la sola rimasta, dopo la eliminazione - nell'un caso per legge e nell'altro per intervento del giudice delle leggi - del peculato per distrazione), sono figure delittuose identiche e, punite con identica sanzione edittale nel massimo (... fino a dieci anni) e, sempre con la reclusione, allora la mancata previsione, a favore del militare, della conoscibilita' del reato da parte del tribunale in composizione collegiale, anziche' monocratica, a seguito del decreto che dispone il giudizio del giudice dell'udienza preliminare, comporta una irrazionalita' nel sistema ed una ingiustificata disparita' di trattamento fra il pubblico ufficiale (o l'incaricato di pubblico servizio) da un lato, e il militare incaricato di funzioni amministrative o di comando dall'altro. Piu' precisamente, appare irrazionale che il legislatore, nel novellare l'art. 33-bis del c.p.p., con l'art. 10 della legge n. 479/1999, abbia omesso di inserire al comma 1, lett. b) anche, quantomeno, il delitto di peculato militare di cui all'art. 215 c.p.m.p. Nel caso in esame, all'omogeneizzazione della disciplina non ostano le ragioni che, in occasione della sentenza n. 473 del 1990, hanno precluso l'accoglimento della questione allora sollevata, concernente la mancante introduzione, anche nell'art. 215 c.p.m.p., dell'ipotesi attenuata del peculato d'uso contenuta nel novellato art. 314 c.p. infatti, la Corte costituzionale nel caso in esame non dovrebbe caducare alcuna norma con creazione di un vuoto di disciplina e conseguente creazione di una situazione piu' sfavorevole per l'imputato.
P. Q. M. Visto l'art. 23 legge 11 marzo 1953, n. 87, ritenute le questioni esaminate rilevanti e non manifestamente infondate; Solleva la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 33-bis, comma 1, lett. b) c.p.p., cosi' come sostituito dall'art. 10 della legge 16 dicembre 1999, n. 479, per violazione dell'art. 3 della Costituzione, laddove non prevede che sia attribuita al tribunale militare in composizione collegiale il reato di peculato militare di cui all'art. 215 c.p.m.p.; Dispone l'immediata trasmissione degli atti alla Corte costituzionale; Sospende il processo fino all'esito del giudizio di legittimita' costituzionale; Ordina che la presente ordinanza sia notificata, a cura della cancelleria, alle parti, al Presidente del Consiglio dei Ministri, e comunicata ai Presidenti dei due rami del Parlamento. Cosi' deciso in Torino, 1o marzo 2000. Il giudice per l'udienza preliminare: Roberti 00C0342