N. 115 SENTENZA 13 - 21 aprile 2000

Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale.
Parco nazionale d'Abruzzo - Divieto di tagli boschivi non autorizzati
nell'ambito del Parco - Controversie relative alla determinazione del
compenso   al  proprietario  del  bosco  -  Devoluzione  ad  apposita
commissione  arbitrale  - Eccezione della parte costituita - Ritenuta
riconducibilita' della fattispecie all'arbitraggio (ex art. 1349 cod.
civ.) - Esclusione.
Arbitrato - Parco nazionale d'Abruzzo - Divieto di tagli boschivi non
autorizzati  nell'ambito  del  Parco  -  Controversie  relative  alla
determinazione  del  compenso al proprietario del bosco - Devoluzione
ad   apposita   commissione   arbitrale  -  Ritenuta  obbligatorieta'
dell'arbitrato  -  Conseguente  contrasto  con il diritto alla tutela
giurisdizionale - Possibilita' di una lettura secundum constitutionem
della  norma censurata - Facoltativita' dell'arbitrato non escludente
l'accesso alla giurisdizione ordinaria - Non fondatezza, nei sensi di
cui in motivazione, della questione.
- Legge 12 luglio 1923, n. 1511, art. 6.
- Costituzione, artt. 24, primo comma, e 102, primo comma.
(GU n.18 del 26-4-2000 )
                       LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
  Presidente: Cesare MIRABELLI;
  Giudici:  Francesco  GUIZZI,  Fernando  SANTOSUOSSO,  Massimo VARI,
Cesare RUPERTO, Riccardo CHIEPPA, Gustavo ZAGREBELSKY, Valerio ONIDA,
Carlo  MEZZANOTTE, Fernanda CONTRI, Guido NEPPI MODONA, Piero Alberto
CAPOTOSTI, Annibale MARINI, Franco BILE, Giovanni Maria FLICK;
ha pronunciato la seguente


                              Sentenza

    Nel  giudizio  di  legittimita'  costituzionale dell'art. 6 della
legge   12   luglio   1923,   n. 1511   (Conversione  in  legge,  con
modificazioni, del regio decreto 11 gennaio 1923, n. 257, riguardante
la   costituzione   del  Parco  nazionale  d'Abruzzo),  promosso  con
ordinanza  emessa  il  25  marzo  1998  dal  Tribunale di Sulmona nel
procedimento  civile  vertente  tra  il comune di Alfedena e il Parco
nazionale d'Abruzzo, iscritta al n. 363 del registro ordinanze 1998 e
pubblicata  nella  Gazzetta  Ufficiale  della Repubblica n. 22, prima
serie speciale, dell'anno 1998.
    Visto  l'atto  di costituzione dell'Ente autonomo Parco nazionale
d'Abruzzo;
    Udito nell'udienza pubblica del 21 marzo 2000 il giudice relatore
Fernando Santosuosso;
    Udito  l'avvocato  Gregorio  Iannotta  per  l'Ente autonomo Parco
nazionale d'Abruzzo.

                          Ritenuto in fatto

    1. - Nel  corso  del  giudizio  civile  promosso  dal  comune  di
Alfedena  nei confronti del Parco nazionale d'Abruzzo per ottenere il
risarcimento  dei danni conseguenti alla mancata esecuzione di alcuni
concordati  tagli boschivi nellambito del Parco, il Giudice unico del
tribunale   di   Sulmona   ha  sollevato  questione  di  legittimita'
costituzionale  dell'art. 6  della  legge  12  luglio  1923,  n. 1511
(Conversione  in  legge,  con  modificazioni,  del  regio  decreto 11
gennaio 1923, n. 257, riguardante la costituzione del Parco nazionale
d'Abruzzo),  in  riferimento agli artt. 24, primo comma, e 102, primo
comma, della Costituzione.
    Premette  il  giudice  a  quo che il convenuto Parco nazionale ha
sollevato  un'eccezione preliminare di improponibilita' della domanda
risarcitoria  avanzata  dall'attore,  osservando che, per effetto del
combinato  disposto  di cui alla norma impugnata ed agli artt. 9 e 10
del  r.d.  27  settembre 1923, n. 2124, le controversie relative alla
determinazione del compenso dovuto per la mancata esecuzione di tagli
boschivi  sono  devolute  ad  un'apposita commissione arbitrale. Tale
eccezione da' conto della rilevanza della presente questione.
    Osserva  quindi  il  rimettente che, in base al sistema contenuto
nella legge n. 1511 del 1923 e nel relativo regolamento di esecuzione
di  cui  al  citato  r.d.  n. 2124  del  1923,  all'interno del Parco
nazionale  d'Abruzzo  e'  vietata  l'esecuzione di tagli boschivi non
autorizzati;    ove   il   Comitato   esecutivo   del   parco   neghi
l'autorizzazione  al taglio, il medesimo fissa la misura del compenso
da  corrispondere  al  proprietario  del  bosco.  Se quest'ultimo non
accetta   tale   compenso,   dovra'   farne   dichiarazione  scritta,
provvedendo  alla designazione del proprio componente all'interno del
collegio  arbitrale, cui spettera' la risoluzione della controversia.
E  poiche' nel caso specifico il comune di Alfedena, pur impegnandosi
a  non  eseguire  i  tagli  boschivi,  non  ha  accettato il compenso
fissato, vi e' controversia su tale punto, che dovrebbe essere decisa
da un collegio arbitrale.
    Cio'  posto,  il giudice di Sulmona ravvisa nella norma impugnata
un  caso  di arbitrato obbligatorio, in quanto alle parti non e' dato
di   evitare   tale   modo   di  risoluzione  della  questione,  gia'
predeterminato dalla legge. E siffatto arbitrato, secondo la costante
giurisprudenza  di  questa  Corte,  e'  in contrasto con gli invocati
parametri costituzionali.
    2. - Nel  giudizio davanti a questa Corte si e' costituito l'Ente
autonomo  Parco  nazionale  d'Abruzzo, chiedendo che venga dichiarata
l'infondatezza della prospettata questione.
    Rileva  la  parte  privata  che  l'art. 6  impugnato  prevede non
un'ipotesi  di arbitrato obbligatorio, bensi' di arbitraggio ex lege,
conferendo  a  terzi,  alla  stregua di quanto dettato dall'art. 1349
cod.  civ.,  il  potere  di  determinare  equitativamente la somma da
corrispondere  a  titolo di indennizzo. Il compito cui e' chiamata la
commissione  arbitrale,  percio',  non  ha alcun contenuto decisorio.
Tale commissione, infatti, interviene soltanto se il compenso fissato
dall'ente  parco  non viene accettato dalla controparte, determinando
il contenuto di tale compenso in luogo del mancato accordo negoziale;
da tanto consegue l'infondatezza della sollevata questione.

                       Considerato in diritto

    1. - Il  giudice unico del Tribunale di Sulmona solleva questione
di  legittimita'  costituzionale,  in  riferimento  agli articoli 24,
primo  comma,  e  102,  primo  comma, della Costituzione, dell'art. 6
della legge 12 luglio 1923, n. 1511, ritenendo che tale norma preveda
una  forma  di arbitrato obbligatorio, che non consente alle parti di
affidare  al  giudice ordinario la risoluzione delle controversie ivi
regolate.
    2. - Deve   preliminarmente   ritenersi   infondata   l'eccezione
sollevata  dalla  parte  privata  costituita,  secondo  cui  la norma
impugnata configura un arbitraggio, riconducibile alla fattispecie di
cui  all'art. 1349  del  codice  civile.  Questa disposizione prevede
l'ipotesi  in  cui entrambe le parti contraenti devolvono ad un terzo
la  determinazione  di uno degli elementi del contratto, sicche' tale
determinazione  assume  i  caratteri  di un'attivita' negoziale che i
soggetti  hanno  concordato di non svolgere direttamente. Nel caso in
esame,  invece,  mancano  sia  il  carattere tipico dell'arbitraggio,
ossia   quello   del  completamento  dell'oggetto  contrattuale,  sia
l'accordo  delle parti sul punto. La norma in questione, che va letta
insieme  agli  articoli  9  e 10 del r.d. 27 settembre 1923, n. 2124,
stabilisce,  infatti, che il compenso da erogare in conseguenza della
mancata   esecuzione   dei  programmati  tagli  boschivi  e'  fissato
unilateralmente  dal  Comitato  dell'ente parco, ossia da un soggetto
che  non  e' parte di un contratto. Qualora il proprietario del bosco
non  accetti  la  misura  dell'indennizzo,  si prevede la devoluzione
della  questione  al  collegio  arbitrale,  che e' percio' incaricato
della risoluzione di una vera e propria controversia.
    3. - Va  confermato,  pertanto,  che  la  norma in oggetto regola
un'ipotesi  di  arbitrato,  la  cui legittimita' costituzionale e' da
valutare  alla  luce  della  giurisprudenza  di  questa  Corte (v. le
sentenze n. 325 del 1998, n. 381 del 1997, n. 152 del 1996, n. 54 del
1996,  n. 232  del  1994, n. 206 del 1994, n. 49 del 1994, n. 488 del
1991  e  n. 127  del  1977), secondo cui l'arbitrato trova il proprio
legittimo  fondamento  nella  concorde  volonta' delle parti, sicche'
l'obbligatorieta'   del   medesimo   si   traduce  in  un'il1egittima
compressione del diritto di difesa ed in una violazione del principio
generale   della  tutela  giurisdizionale.  Detta  illegittimita'  si
incentra  non  nella  previsione  legislativa  di un arbitrato per la
risoluzione  di certe controversie, ma nel suo carattere obbligatorio
imposto ex lege e risultante inequivocabilmente dalla norma.
    4. - E'   proprio   dai   principi  ricavabili  dalla  richiamata
giurisprudenza,  tuttavia,  che  si desume come 1a presente questione
non   sia  fondata,  potendo  la  specifica  norma  impugnata  essere
suscettibile  di  una lettura tale da renderla immune dalle lamentate
censure.
    La   violazione   dei   parametri   costituzionali  invocati  dal
rimettente  sussiste,  come si e' detto, soltanto se alle parti resti
affatto  preclusa la possibilita' di adire il giudice ordinario; cosa
che  non  avviene  nel  caso  di specie. La norma in esame - peraltro
risalente  al  1923 ed inserita in un contesto normativo notevolmente
diverso,  anche  come  linguaggio legislativo, da quello attuale - si
limita  a  riconoscere,  in  caso di disaccordo circa il compenso, la
facolta'  per  le  parti  di  adire un collegio di arbitri chiamati a
decidere   in   qualita'   di  amichevoli  compositori.  Da  siffatta
disposizione non e' consentito trarre la conseguenza di un divieto di
accesso  alla  giurisdizione  ordinaria;  accesso  che deve viceversa
sempre  intendersi  permesso  in  mancanza  di  una  chiara deroga al
principio  secondo  cui  la  giurisdizione statale sulle controversie
costituisce la regola fissata nel nostro ordinamento.
    Nel  caso  in  esame la norma e' formulata in maniera tale che la
scelta  della via arbitrale per la soluzione della lite e' rimessa ad
una  libera  opzione delle parti, cui e' data facolta' di attivare la
procedura nominando gli arbitri.
    Deve  ribadirsi,  del  resto, che, in presenza di un dubbio circa
l'esatta   portata   di   una   norma,   l'interpretazione   secundum
Constitutionem va sempre preferita; tale interpretazione consente nel
caso  di  specie di ritenere l'impugnata norma immune dalle lamentate
censure di illegittimita' costituzionale.
                          Per questi motivi

                       LA CORTE COSTITUZIONALE
    Dichiara  non  fondata,  nei  sensi  di  cui  in  motivazione, la
questione  di  legittimita' costituzionale dell'art. 6 della legge 12
luglio  1923,  n. 1511  (Conversione in legge, con modificazioni, del
regio  decreto  11  gennaio 1923, n. 257, riguardante la costituzione
del   Parco  nazionale  d'Abruzzo)  sollevata,  in  riferimento  agli
artt. 24,  primo  comma  e  102, primo comma, della Costituzione, dal
giudice  unico  del  Tribunale  di  Sulmona con l'ordinanza di cui in
epigrafe.
    Cosi'  deciso  in  Roma,  nella  sede della Corte costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 13 aprile 2000.
                      Il Presidente: Mirabelli
                      Il redattore: Santosuosso
                      Il cancelliere: Di Paola
    Depositata in cancelleria il 21 aprile 2000.
              Il direttore della cancelleria: Di Paola
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