N. 205 ORDINANZA (Atto di promovimento) 23 novembre 1999

Ordinanza  emessa  il  23  novembre  1999  dal  tribunale di Bari nel
procedimento  civile  vertente  tra  Coronelli  Vito ed altra e Banco
Ambrosiano Veneto S.p.a.
Credito  (Istituti  di)  -  Interessi  bancari  -  Clausole  relative
all'anatocismo  contenute  nei contratti stipulati anteriormente alla
delibera  CICR  di  cui  all'art.  25  d.lgs.  n. 342/1999 - Prevista
validita'  ed  efficacia  fino alla data di entrata in vigore di tale
delibera - Eccesso di delega, per inosservanza del limite temporale e
dei  principi e criteri direttivi fissati dal legislatore delegante -
Irragionevolezza  -  Ingiustificata  disparita'  di  trattamento  fra
correntisti e istituti di credito.
- D.Lgs. 4 agosto 1999, n. 342, art. 25, comma 3.
- Costituzione, artt. 3 e 76.
(GU n.20 del 10-5-2000 )
                            IL TRIBUNALE

    Letti gli atti e sciogliendo la riserva che precede;
    Premesso che: con atto di citazione notificato il 27 ottobre 1997
  Coronelli  Vito  e  Losuriello  Francesca  proponevano  opposizione
  avverso  d.i.  n. 1588/1997  con  cui  il  pretore di Bari li aveva
  condannati  al  pagamento,  in  solido  tra loro, nei confronti del
  Banco  Ambrosiano  Veneto  S.p.a., della somma di L. 40.597.320, di
  cui  L. 845.976  per scoperto di c/c n. 7491/23 e L. 39.751.344 per
  esposizione  complessiva  mutuo  Ambrofamiglia,  oltre interessi al
  tasso  del  14,375% a far data dal 13 marzo 1997, spese, diritti ed
  onorari  della  procedura  monitoria;  nell'atto  introduttivo  del
  giudizio  eccepivano,  tra  l'altro, l'indeterminatezza del credito
  vantato,  attesa  l'illegittima  capitalizzazione degli interessi a
  debito effettuata dall'istituto bancario opposto.
    Chiedevano   pertanto   revocarsi  e  comunque  porre  nel  nulla
  l'impugnato  d.i.,  con  ogni conseguenza di legge. Con comparsa di
  costituzione  e  risposta  del  13  gennaio  1998  si costituiva in
  giudizio  il  Banco  Ambrosiano Veneto S.p.a., chiedendo il rigetto
  dell'opposizione,  in  quanto  infondata  in  fatto  e diritto, con
  ulteriore vittoria delle spese di lite;
    Rilevato che in data 4 ottobre 1999 e' stato pubblicato il d.lgs.
  4  agosto 1999, n. 342, recante modifiche al decreto legislativo 1o
  settembre 1993, n. 385, il cui art. 25 da un lato prevede (comma 2)
  che  il  CICR  stabilisca  modalita' e criteri per la produzione di
  interessi sugli interessi maturati nelle operazioni poste in essere
  nell'esercizio dell'attivita' bancaria, prevedendo in ogni caso che
  nelle  operazioni  in  conto  corrente sia assicurata nei confronti
  della   clientela   la  stessa  periodicita'  nel  conteggio  degli
  interessi  sia  debitori  sia  creditori,  e  sotto  altro  profilo
  stabilisce  (comma  3)  che le clausole relative alla produzione di
  interessi   sugli   interessi  maturati,  contenute  nei  contratti
  stipulati  anteriormente  alla  data  di  entrata  in  vigore della
  delibera  di  cui  al  comma 2, sono valide ed efficaci fino a tale
  data  e,  dopo  di  essa, debbono essere adeguate al disposto della
  menzionata delibera, che stabilira' altresi' le modalita' e i tempi
  dell'adeguamento, prevedendo altresi' che in difetto di adeguamento
  entro   tale   termine   dette  clausole  diverranno  inefficaci  e
  l'inefficacia potra' essere fatta valere solo dal cliente;
    Ritenuta  d'ufficio  la rilevanza della questione di legittimita'
  costituzionale,  in  riferimento agli artt. 3-76 Cost., della norma
  di  cui  all'art. 25,  comma  3, d.lgs. n. 342 cit., questa essendo
  chiaramente   destinata   a  trovare  applicazione  ai  fini  della
  risoluzione  della  controversia  sottoposta  all'esame  di  questo
  giudice, stante:
        a)  l'atto del 17 luglio 1995 con cui Losuriello Francesca si
  costituiva   fidejussore   di   Coronelli   Vito  alla  concorrenza
  dell'importo   di   L.   60.000.000,   "per   l'adempimento   delle
  obbligazioni verso codesto Banco, dipendenti da operazioni bancarie
  di  qualsiasi  natura,  gia'  consentite o che venissero in seguito
  consentite al predetto nominativo";
        b)  la  clausola  di  cui  all'art. 3  del contratto di mutuo
  intercorso  in  data  10  luglio 1995 tra Coronelli Vito e il Banco
  Ambrosiano Veneto S.p.a., che prevede l'autorizzazione irrevocabile
  al detto Banco "ad addebitare sul nostro c/c di cui all'art. 1 (c/c
  n. 7491/23)  sia  l'importo  delle  singole  rate  alle  rispettive
  scadenze,  ... sia l'importo residuo in caso di revoca da parte del
  Banco,  ...  compresi  gli  eventuali  interessi  anche  moratori e
  quant'altro  dovuto  al  Banco  a  qualsiasi  titolo  derivante dal
  presente finanziamento";
        c)  la  clausola  di  cui  all'art. 7  del  contratto  di c/c
  corrispondenza  n. 7491/23 intercorso tra Coronelli Vito e il Banco
  Ambrosiano  Veneto  S.p.a.,  che  prevede, tra l'altro, che " ... i
  conti  che risultino debitori, anche saltuariamente, vengono invece
  chiusi  contabilmente,  in  via normale, trimestralmente, ... fermo
  restando  che  a fine d'anno, a norma del precedente comma, saranno
  accreditati  gli interessi dovuti dall'azienda di credito e operate
  le ritenute fiscali di legge";
        d)  la  richiesta di parte opposta, formulata all'udienza del
  26 ottobre 1999, di determinazione dello scoperto di c/c n. 7491/23
  "alla luce delle disposizioni del d.lgs. 4 agosto 1999, n. 342";
    Ritenutane altresi' la non manifesta infondatezza, per i seguenti
                             M o t i v i
    L'art. 1,  comma  5,  legge 24 aprile 1998, n. 128 ha previsto la
  delega  al  Governo  ad emanare, entro il termine di cui al comma 1
  (un  anno dall'entrata in vigore di tale legge, non applicandosi al
  riguardo  la  proroga di sei mesi di cui all'art. 1, comma 1, legge
  cit.,  detta  proroga  venendo  in  rilievo  unicamente  al fine di
  consentire  al Governo l'emanazione dei decreti legislativi volti a
  dare   attuazione   alle  direttive  comprese  nell'elenco  di  cui
  all'allegato A, e non anche ai fini dell'emanazione di disposizioni
  integrative  e  correttive  del  d.lgs. 1o settembre 1993, n. 385),
  "disposizioni  integrative  e correttive del decreto legislativo 1o
  settembre 1993, n. 385 e successive modificazioni, nel rispetto dei
  principi  e  criteri  direttivi  e con l'osservanza della procedura
  indicati nell'art. 25, legge 19 febbraio 1992, n. 142". Considerato
  allora che detta legge e' stata pubblicata nella Gazzetta Ufficiale
  del  7  maggio  1998,  entrando  cosi'  in vigore a far data dal 22
  maggio  1998  (art. 73  Cost.),  il  Governo,  nel  rispetto  della
  previsione temporale di cui all'art. 1, comma 5, legge n. 128 cit.,
  avrebbe  pertanto  dovuto  emanare  le  disposizioni  integrative e
  correttive  del d.lgs. n. 385/1993 al piu' tardi entro il 22 maggio
  1999,  ultimo termine utile per l'esercizio del potere delegato. In
  particolare,  il  termine  previsto dalla legge di delegazione deve
  ritenersi  perentorio,  non essendo ammissibile che l'esercizio del
  detto  potere  delegato  sia  prolungabile,  secondo l'insegnamento
  della Corte costituzionale "ad arbitrio dell'organo cui e' affidato
  l'esercizio   stesso"   (Corte  costituzionale  19  dicembre  1963,
  n. 163).
    Cio' in quanto l'esercizio della potesta' legislativa del Governo
  costituisce un vulnus al principio di separazione dei poteri cui il
  nostro  ordinamento si ispira, determinando lo spostamento di detta
  potesta' dall'organo cui essa risulta costituzionalmente attribuita
  (il  Parlamento),  ad  altro organo, il Governo, titolare invece di
  funzioni  affatto  differenti. Ne discende pertanto che, al fine di
  evitare    sconfinamenti    del   potere   esecutivo   in   settori
  istituzionalmente riservati alla sfera del legislativo, l'esercizio
  della  potesta'  legislativa  delegata,  di  per  se'  opportuno in
  rapporto   all'esigenza   di   dettare   norme   in  un  settore  -
  regolamentazione  del  mercato del credito - caratterizzato da alto
  tasso  di  tecnicita',  non  puo'  che  avvenire  entro  il termine
  legislativamente  stabilito, determinando allora il decorso di esso
  l'esaurimento   della   potestas   deliberandi  del  Governo  e  la
  conseguente  illegittimita'  costituzionale  delle  norme che, cio'
  nonostante,  egli  andasse  comunque  ad  emanare.  Tanto premesso,
  rileva  questo  giudice  che,  essendo  l'art. 25,  comma 3, d.lgs.
  n. 342  cit.  inserito  in  un corpus normativo recante invece come
  data  di  pubblicazione quella del 4 ottobre 1999, con superamento,
  quindi, dell'ultimo termine utile (22 maggio 1999) per le modifiche
  ed  integrazioni  di  cui  sopra,  esso  partecipa  della possibile
  violazione  indiretta,  ad  opera  del  testo legislativo in cui e'
  inserito,  della norma di cui all'art. 76 Cost., nella parte in cui
  prevede  che il potere delegato deve essere appunto esercitato, tra
  l'altro, entro un "tempo limitato".
    Ulteriore  profilo  di  possibile  illegittimita'  costituzionale
  della  previsione  di cui all'art. 25, comma 3, d.lgs. n. 342 cit.,
  per  contrasto  con la norma di cui all'art. 76 Cost., attiene alla
  violazione dei principi e criteri direttivi fissati dal legislatore
  delegante.  Ed  invero, l'art. 25, comma 1, legge 19 febbraio 1992,
  n. 142,    contenente    i   principi   direttivi   da   osservarsi
  nell'esercizio  dell'attivita'  delegata, non prevede alcuna delega
  al  Governo  ai  fini  della  disciplina delle modalita' di computo
  degli interessi su interessi. Piu' in particolare, l'art. 25, legge
  delega n. 142/1992 cit., mentre stabilisce i principi direttivi per
  l'esercizio  dell'attivita'  bancaria, all'uopo dettando criteri in
  tema  di  raccolta  del  risparmio  (lett.  a),  art. 25  cit.), di
  vigilanza  sull'attivita'  svolta (lett. b), di servizi praticabili
  dalle  aziende  di  credito  (lett.  c), di pubblicita' sui servizi
  offerti  (lett.  d),  non  detta tuttavia alcun criterio volto alla
  disciplina del singolo rapporto negoziale.
    Dal  combinato  disposto  della dir. n. 89/646 CEE con l'art. 25,
  legge  n. 142/1992 che ne recepisce la portata emerge allora che il
  legislatore  delegante,  lungi  dal prevedere criteri di disciplina
  del  singolo  rapporto  negoziale  tra  il  cliente e l'istituto di
  credito,  ha  invece inteso unicamente fissare i principi direttivi
  per  la globale disciplina dell'attivita' di raccolta del risparmio
  e  di  intermediazione  nell'esercizio  del  credito,  nel quale si
  sostanzia l'attivita' bancaria latu sensu intesa.
    E  che  non  possa  in  alcun  modo  ricondursi alla volonta' del
  legislatore delegante la scelta della disciplina delle modalita' di
  computo  degli interessi anatocistici e' fatto ulteriormente palese
  dalla  circostanza  che  trattasi  di  tematica  gia' compiutamente
  disciplinata  dalla  previsione di cui all'art. 1283 c.c. il quale,
  come   e'   noto,   stabilisce   condizioni  ben  precise  ai  fini
  dell'operare   dell'anatocismo.   Senonche',   ad   onta   di  tale
  disposizione  codicistica,  ed  in  assenza,  in  parte qua, di una
  delega  specifica  da  parte  del  Parlamento,  l'art. 25, comma 3,
  d.lgs. n. 342 cit. ha invece disciplinato la tematica in argomento,
  con  cio'  realizzando  un'eventuale ulteriore violazione indiretta
  della norma di cui all'art. 76 Cost., che subordina l'esercizio del
  potere  delegato  al rispetto, tra l'altro, dei "principi e criteri
  direttivi" stabiliti nella legge di delegazione.
    Ulteriore  profilo  di  possibile  illegittimita'  costituzionale
  della  disposizione di cui all'art. 25, comma 3, d.lgs. n. 342 cit.
  attiene  infine  a  valutazioni  concernenti  il  profilo della sua
  "ragionevolezza".  Ed  invero,  premessa la pacifica esclusione del
  sindacato  costituzionale  sul  merito delle leggi, essendo infatti
  rimesso    all'esclusivo   apprezzamento   del   legislatore   ogni
  valutazione  circa  l'opportunita',  la completezza o l'equita' del
  dettato  normativo  (in  tal senso, oltre l'art. 28, legge 11 marzo
  1953, n. 87, Corte costituzionale n. 46/1959 e n. 119/1980), rileva
  tuttavia  questo  giudice  che  la Corte costituzionale ha da tempo
  riconosciuto  la propria competenza a sindacare la "ragionevolezza"
  di  disposizioni  normative che prevedano trattamenti differenziati
  in favore di particolari categorie di soggetti.
    Cio'  in attuazione del precetto di cui all'art. 3 Cost., essendo
  l'eguaglianza   un   "principio   generale   che  condiziona  tutto
  l'ordinamento nella sua obiettiva struttura: esso vieta, cioe', che
  la  legge  ponga  in  essere  una  disciplina  che  direttamente  o
  indirettamente  dia  vita  ad  una  non  giustificata disparita' di
  trattamento  delle  situazioni  giuridiche, indipendentemente dalla
  natura  e dalla qualificazione dei soggetti ai quali queste vengono
  imputate" (Corte costituzionale n. 25/1966).
    Ed  in  attuazione  di  tale  principio, la Corte costituzionale,
  mutando  radicalmente  il  proprio precedente orientamento, teso ad
  attribuire all'assoluta discrezionalita' del legislatore il fondare
  discipline    differenziate,    restandogli   precluso   unicamente
  l'assunzione  dei  criteri  di  discriminazione  di cui all'art. 3,
  primo  comma della Costituzione (in tal senso, Corte costituzionale
  nn. 3-58/1957),  ha  ritenuto  violato  il principio di eguaglianza
  "anche  quando  la  legge,  senza  un ragionevole motivo, faccia un
  trattamento  diverso  ai  cittadini  che  si  trovano in situazione
  eguale"  (Corte costituzione n. 15/1960; conf. Corte costituzionale
  n. 104/1968;  Id.  n. 144/1970;  Id.  n. 200/1972).  In  tal senso,
  valutazioni  in  termini  di necessita' di sussistenza, ad opera di
  norme   prevedenti   situazioni   differenziate  verso  determinate
  categorie    di    soggetti,   di   "ragionevoli   motivi"   (Corte
  costituzionale   n. 61/1964),  di  "presupposti  logici  obiettivi"
  (Corte costituzionale n. 7/1963), del "limite della ragionevolezza"
  (Corte    costituzionale   n. 2/1966),   ovvero   di   assenza   di
  "discriminazioni arbitrarie" (Corte costituzionale n. 61/1964 cit.)
  costituiscono    una   costante   dell'insegnamento   della   Corte
  costituzionale,  tutte riconducibii alla tradizione medievale della
  rationabilitas   e   della   causa  legis,  valori  ai  quali  deve
  necessariamente  informarsi,  in uno Stato di diritto, l'attivita',
  pur ampiamente discrezionale, di produzione normativa.
    Venendo  invece  al  caso  in  esame, anche a voler ritenere, nel
  silenzio  della  relazione  governativa,  la quale inspiegabilmente
  nonche',  sotto certi aspetti, ingiustificatamente, tace sul punto,
  che  l'art. 25,  d.lgs.  n. 342  cit.  miri  a  sanare  una  prassi
  (previsione,   contenuta   nei   contratti  di  conto  corrente  di
  corrispondenza,  relativa  alla  capitalizzazione trimestrale degli
  interessi   a   debito   del   correntista,   a  fronte  invece  di
  capitalizzazione  annuale  degli  interessi  a  credito) dichiarata
  nulla  da Corte di cassazione 16 marzo 1999, n. 2374, rileva questo
  giudice che il legislatore delegato ha tuttavia omesso di apportare
  le   modifiche  idonee  a  rimuovere  la  situazione  di  accertata
  nullita'.
    O  meglio,  detto  legislatore  ha previsto una soluzione (stessa
  periodicita'  nel  conteggio  degli  interessi  sia  creditori  che
  debitori) che tiene bensi' conto delle censure di nullita' di Corte
  di  cassazione n. 2374 cit., ma che e' valida tuttavia soltanto per
  l'avvenire,  e  cioe'  a  far data dall'emananda delibera del CICR,
  legittimando  invece  fino  a tale data gli istituti creditizi (tra
  cui,  ovviamente,  l'istituto  opposto) a perseverare in una prassi
  giudizialmente   riconosciuta   come   illecita.  In  cio'  risiede
  un'eventuale ulteriore profilo di incostituzionalita' dell'art. 25,
  comma 3, d.lgs n. 342 cit., per contrasto con l'art. 3 Cost., sotto
  il  profilo  della  "irragionevolezza"  del  dettato  normativo. Ed
  invero,  non  e'  dato  a  questo giudice di comprendere la ragione
  della  diseguaglianza  tra  la  posizione del correntista, che vede
  computarsi gli interessi a credito in ragione di anno, e l'istituto
  creditizio,   che  puo'  invece  irragionevolmente  giovarsi  della
  clausola  di capitalizzazione trimestrale degli interessi a debito,
  diseguaglianza  tanto piu' ingiustificata in quanto riferita ad una
  prassi  espressamente  censurata  dal  S.C. (Corte di cassazione 16
  marzo 1999, n. 2374 cit.).
    Alla  luce  di  tali  rilievi  va pertanto sospeso il giudizio in
  corso   iscritto   al  n. 3481  del  r.g.  1997  della  ex  pretura
  circondariale  di  Bari, con immediata trasmissione degli atti alla
  Corte  costituzionale,  affinche'  questa  valuti  la  questione di
  legittimita'  costituzionale  della  previsione di cui all'art. 25,
  comma  3, d.lgs. 4 agosto 1999 n. 342, in riferimento agli artt. 3,
  76 della Costituzione.
                              P. Q. M.
    Visti  gli  artt. 3 e 76 della Costituzione, 25, comma 3 d.lgs. 4
  agosto 1999, n. 342, 23 legge 11 marzo 1953, n. 87;
    Sospende il suddetto giudizio;
    Dispone trasmissione degli atti alla Corte costituzionale, per il
  competente  controllo  di legittimita' costituzionale dell'art. 25,
  comma  3, d.lgs. 4 agosto 1999, n. 342, in riferimento agli artt. 3
  e 76 della Costituzione;
    Manda alla cancelleria di provvedere:
        a)  alla  trasmissione  della  presente  ordinanza alla Corte
  costituzionale;
        b) alla sua notifica alle parti in causa ed al Presidente del
  Consiglio dei Ministri;
        c)  alla  sua  comunicazione  ai  Presidenti della Camera dei
  deputati e del Senato della Repubblica.
    Bari, addi' 23 novembre 1999.
                      Il giudice: Agostinacchio
00C0391