N. 16 RICORSO PER CONFLITTO DI ATTRIBUZIONE 26 aprile 2000
Ricorso per conflitto di attribuzione depositato in cancelleria il 26 aprile 2000 (della regione Veneto) Consiglio regionale - Immunita' dei consiglieri - Procedimento penale a carico del consigliere della Regione Veneto Ettore Beggiato, per calunnia nei confronti del Prefetto di Belluno - Appello del pubblico ministero in data 6 aprile 1991 avverso la sentenza del 26 marzo 1991, di assoluzione del predetto Ettore Beggiato, emessa dal giudice per le indagini preliminari presso il Tribunale di Belluno - Conflitto di attribuzione sollevato dalla Regione Veneto per asserita violazione della sfera di autonomia del Consiglio regionale, attesa la non perseguibilita' dei consiglieri regionali per le opinioni espresse e i voti dati nell'esercizio delle loro funzioni - Ritenuta sussistenza del nesso funzionale, richiesto dalla giurisprudenza della Corte costituzionale pur nei limiti dei suoi piu' recenti sviluppi (sent. nn. 10, 11 e 56/2000). - Atto di appello del P.M. presso il Tribunale di Belluno del 6 aprile 1991. - Costituzione, art. 122, quarto comma e, suo tramite, artt. 121 e 123.(GU n.20 del 10-5-2000 )
Ricorso della regione Veneto, in persona del presidente pro-tempore della Giunta regionale, autorizzato mediante deliberazione della Giunta stessa n. 792 in data 10 marzo 2000, rappresentata e difesa, per mandato a margine del presente atto, dagli avv.ti prof. Mario Bertolissi del foro di Padova e Luigi Manzi del foro di Roma, elettivamente domiciliata presso lo studio dell'avv. Luigi Manzi, in Roma, via F. Confalonieri n. 5; Contro la Presidenza del Consiglio dei Ministri, in persona del Presidente in carica, per regolamento di competenza in relazione: all'atto di appello 6 aprile 1991, proposto dal pubblico ministero presso il tribunale di Belluno avverso la sentenza 26 marzo 1991, pronunciata dal giudice per le indagini preliminari presso il tribunale di Belluno, di assoluzione del consigliere regionale Ettore Beggiato. F a t t o 1. - La vicenda di cui qui si tratta, della quale la regione e' venuta solo ora a conoscenza, riguarda fatti risalenti, tutt'ora rimessi al sindacato del giudice penale. Infatti, con esposto-denuncia del 29 novembre 1990 il consigliere regionale Ettore Beggiato ebbe a segnalare alla procura della Repubblica presso il tribunale di Belluno il susseguirsi di occupazioni abusive di edifici da parte di cittadini extracomunitari, alcuni dei quali privi di permesso di soggiorno, ed ebbe a chiedere, altresi', l'accertamento di responsabilita' a carico del prefetto, per non aver emesso decreto di espulsione, ove simile comportamento omissivo avesse costituito reato (doc. 1). Archiviata la notitia criminis, la procura della Repubblica apri' un procedimento penale a carico del consigliere Beggiato per calunnia nei confronti del prefetto di Belluno, procedimento definito, con l'assoluzione del primo, dal giudice per le indagini preliminari con sentenza 26 marzo 1991 (doc. 2). Con atto d'appello 6 aprile 1991, la procura della Repubblica presso il tribunale di Belluno interpose gravame (doc. 3), nei confronti del quale e' diretto l'odierno conflitto di attribuzioni. 2. - Naturale - dato un simile contesto - che la regione abbia ritenuto "l'iniziativa dell'Autorita' giudiziaria" incidente "in via diretta sull'autonomia di un consigliere regionale ed in via mediata sulla stessa autonomia costituzionalmente garantita della regione, violando gli artt. 121, 122 e 123 della Costituzione e, piu' in generale. il principio secondo il quale l'esercizio delle funzioni di consigliere regionale non puo' essere sindacato da organi giurisdizionali" ricorrendone - come ricorrono - i presupposti di cui all'art. 122, quarto comma, della Costituzione (doc. 4). D i r i t t o 1. - Non v'e' dubbio che, ove si considerino testi e contesti della vicenda di cui trattasi, la fattispecie poc'anzi descritta configura la piu' classica delle violazioni dell'art. 122, quarto comma Cost., secondo cui "i consiglieri regionali non possono essere chiamati a rispondere delle opinioni espresse e dei voti dati nell'esercizio delle loro funzioni": in analogia con cio' che dispone - peraltro in una piu' ampia prospettiva - l'art. 68, primo comma Cost., per i parlamentari nazionali. Infatti, nel caso in questione e' stata violata "la piu' ampia liberta' di valutazione e di decisione" (per dirla con Martines, Diritto costituzionale, Milano, 1994, p. 294) riservata ad un tempo al membro del Parlamento e del Consiglio regionale: ne' il consigliere di cui trattasi ha "commesso un fatto materiale" (op. cit., p. 294), senz'altro perseguibile in sede penale. E' evidente, altresi', come, attraverso la lesione delle prerogative stabilite dall'art. 122, quarto comma, siano state violate ulteriori disposizioni della Costituzione: quelle degli artt. 121 e 123, poiche' l'alterazione delle attribuzioni accordate dalla legge fondamentale al consigliere regionale che esprime opinioni e da' i voti si riverbera sull'intera organizzazione dell'ente e sull'esercizio delle relative funzioni, entrambi costituzionalmente protetti. 2. - Per rendersi conto della fondatezza dell'assunto, basta considerare, infatti, il contenzioso costituzionale cui ha finora dato luogo l'applicazione dell'art. 122, quarto comma, della Costituzione. Stando ad esso, ci si avvede che, pregiudiziale ad ogni pronuncia, e' stato il confronto di "tale norma con le piu' ampie guarentigie concesse ai membri del Parlamento dall'art. 68 della Carta". Dette guarentigie, "eccezionali deroghe all'attuazione della funzione giurisdizionale, considerate necessarie a salvaguardia dell'esercizio delle funzioni sovrane spettanti al Parlamento, risultano legittime in quanto sancite dalla Costituzione. Le attribuzioni dei consigli regionali si inquadrano, invece, nell'applicazione di autonomie costituzionalmente garantite, ma non si esprimono a livello di sovranita'" (Corte cost., sent. 25 marzo 1975, n. 81, in Giur. Cost., 1975, p. 786). Questa prima significativa precisazione e' stata successivamente ripresa ed ancor meglio ribadita dal giudice dei conflitti di attribuzione, la' dove ha affermato che "invero la guarentigia" delle opinioni espresse e dei voti dati "dai consiglieri regionali, nel sistema costituzionale, trae fondamento e trova il suo ambito in un determinato modello di funzioni dei consigli regionali, ritenuto meritevole e bisognoso della tutela privilegiata apprestata dall'art. 122, comma 4, della Costituzione. L'esonero da responsabilita' dei componenti dell'organo (sulla scia di consolidate giustificazioni dell'immunita' parlamentare) e' vista funzionale alla tutela delle piu' elevate funzioni di rappresentanza politica, in primis la funzione legislativa, volendosi garantire da qualsiasi interferenza di altri poteri il libero processo di formazione della volonta' politica". E codesta Corte ha aggiunto - significativamente - che "la giustificazione razionale della guarentigia poggia, pertanto, sulla corrispondenza fra il livello costituzionale della guarentigia stessa, ed il livello costituzionale del tipo di funzioni, il cui esercizio si e' eccezionalmente ritenuto opportuno sottrarre al controllo giudiziario. Quello che la Costituzione ha inteso proteggere, con disposizioni derogatorie rispetto al comune regime di responsabilita', e' un modello funzionale che essa stessa ha delineato ed appunto percio' ha potuto valutare meritevole dell'eccezionale protezione" (Corte cost., sent. 20 marzo 1985, n. 69, in Giur. cost., 1985, pp. 493-494). Dunque - ha precisato la Corte - "la carenza di potere giurisdizionale si traduce ... in un'alterazione dell'ordine costituzionale delle competenze, posto che la pretesa di esercitare poteri siffatti comporta l'invasione della sfera di autonomia costituzionalmente riservata alla regione ... alla quale esclusivamente spetta l'esercizio delle funzioni che i magistrati hanno inteso condizionare" (Corte cost., sent. 20 marzo 1985, n. 70, in Giur. cost. 1985, n. 516). 3. - A ben vedere, sono i postulati dell'eguaglianza a fondare il sistema delle guarentigie dei consiglieri regionali, postulati di cui codesto ecc.mo Collegio si e' fatto interprete quando ha sottolineato la circostanza che "l'ampliamento della portata dell'immunita' risultante dall'ampliamento, rispetto al modello costituzionale, delle funzioni riservate al consiglio regionale puo' essere operato, ove consentito, soltanto con la legge dello Stato, perche' soltanto il legislatore statale puo' assicurare come e' costituzionalmente necessario, una uguale protezione ai consiglieri di tutte le regioni nell'esercizio delle medesime funzioni e perche' soltanto una sua scelta sarebbe conforme al principio di legalita' che regge compiutamente il sistema penale" (Corte cost., sent. n. 69/1985, cit., p. 495). In buona sostanza, la disposizione dell'art. 122, quarto comma, della Costituzione va interpretata tenendo conto del fatto: a) che essa non e' pienamente assimilabile a quella contenuta nell'art. 68, primo comma, della Costituzione, dal momento che le immunita' dei membri del Parlamento ineriscono alla sovranita' dello Stato, di cui il Parlamento stesso e' organo; b) che essa esprime, relativamente ai componenti dell'organo legislativo della Regione, aspetti dell'autonomia di quest'ultima ...; c) ... la quale non soltanto tollera, ma addirittura implica, affinche' sia assicurata "una uguale protezione ai consiglieri di tutte le Regioni" (Corte costituzionale, sent. n. 69/1985, cit., p. 495), che ogni allargamento delle immunita' sia deliberato con atto normativo dello Stato. 4. - Quanto alle fonti abilitate a disciplinare legittimamente le immunita' spettanti ai consiglieri regionali ai sensi dell'art. 122, quarto comma, della Costituzione, codesta Corte ha precisato "la ratio decidendi della pronuncia del 1975": infatti, "l'affermazione della insindacabilita' delle opinioni e dei voti dei consiglieri regionali nell'esercizio della funzione di organizzazione interna dell'organo non fa che sviluppare coerentemente il parallelismo con le guarentigie dei membri del Parlamento, di cui all'art. 68, primo comma, della Costituzione, in relazione al nucleo essenziale comune e caratterizzante delle funzioni degli organi "rappresentativi" dello Stato e delle Regioni: accanto alla funzione primaria, quella legislativa, ed alla funzione di indirizzo politico e di controllo, la funzione di autoorganizzazione interna, pacificamente riconosciuta al Consiglio regionale al pari che ai due rami del Parlamento" (Corte costituzionale, sent. n. 69/1985, cit., p. 493). Quanto alle predette funzioni - da determinarsi, come si e' accennato, nel rispetto delle esigenze di uniformita' di regime giuridico imposte dal principio costituzionale di eguaglianza - esse debbono trovare la loro fonte regolatrice nella Costituzione oppure in un atto normativo dello Stato, non dovendosi reputare abilitate a disciplinare fattispecie rilevanti ai fini delle immunita' di cui all'art. 122, quarto comma, della Costituzione, ne' la legge regionale e neppure lo Statuto (Corte costituzionale, sent. n. 69 e n. 70/1985. cit.). Ma - quanto alla fonte statutaria - il carattere rigido dell'esclusione va temperato la' dove si consideri la funzione di autoorganizzazione interna. 5. - Sul piano pratico sono sorti, peraltro, numerosi interrogativi soprattutto per guanto riguarda le fonti in cui si estrinsecano le funzioni di consigliere regionale, ben potendosi articolare, oltre che in atti legislativi, in atti amministrativi. In proposito, e' opportuno dare conto degli orientamenti espressi da codesta ecc.ma Corte costituzionale, che rappresentano un punto di arrivo imprescindibile, del quale ci si limita - normalmente ed autorevolmente - a prendere atto (v., per tutti, Paladin, Diritto regionale, Padova, 1992, p. 322 ss.). Ebbene, se in un primo momento il giudice dei conflitti di attribuzione ha semplicemente affermato come "la forma amministrativa che connota le deliberazioni consiliari... non valga ad escludere l'irresponsabilita' di coloro che le adottarono nell'esercizio di competenze spettanti al Consiglio" (Corte costituzionale sent. n. 81/1975, cit., p. 786) - con cio' chiarendo, comunque, che pure l'attivita' amministrativa, e non solo quella legislativa, puo' essere coperta da immunita' -, in un secondo momento ha precisato che una simile massima "non implicava una affermazione generale di insindacabilita' in riferimento a qualsiasi atto consiliare in forma amministrativa, bensi', piu' specificamente, l'insufficienza della "forma amministrativa" dell'atto ai fini di escludere la guarentigia per atti attinenti allo stato giuridico dei consiglieri, e in definitiva all'autoorganizzazione del Consiglio stesso" (Corte costituzionale, sent. n. 69/1985, cit., p. 493). Di piu', e' proprio in riferimento all'adozione di atti amministrativi rilevanti ai fini dell'art. 122, quarto comma, della Costituzione che codesta Corte ha avuto modo di precisarne i caratteri relativamente agli atti che esprimono la giurisdizione, essendo indubbio "che, nel sistema costituzionale, funzione amministrativa e funzione giurisdizionale sono concepite e devono svolgersi in posizione di reciproca separazione" (art. 97, primo e secondo comma, 102, primo comma, 104, primo comma, 113, u.c.). In particolare - ha osservato la Corte nella sentenza n. 150 del 1981 - l'art. 113, u.c., della Costituzione "rinviando alla legge la determinazione degli organi giudiziari abilitati ad annullare gli atti della pubblica amministrazione", "con cio' stesso" "esclude che spetti alle autorita' giudiziarie ordinarie di annullare gli atti amministrativi in mancanza di una previsione di legge; ed a piu' forte ragione comporta che tali autorita' non possano contrapporsi o sovrapporsi alle autorita' amministrative, arrogandosi poteri che per legge vadano esercitati dall'esecutivo, in forme e con procedimenti prefissati. Alla stregua di tali principi deve (parimenti) negarsi che spetti ad organi giudiziari ... dettare le linee dell'indirizzo amministrativo regionale nella materia de qua (inquinamento delle acque ...), in cio' sostituendosi agli organi regionali competenti nella determinazione sia degli strumenti di intervento che dei tempi e modi di attuazione di tale indirizzo ed addirittura prescrivendo gli atti specifici che si ritiene debbano essere adottati" (Corte costituzionale, sent. n. 70/1985, cit., p. 516). 6. - E' possibile, a questo punto, formulare alcune notazioni di sintesi, strumentali ad una migliore rappesentazione e comprensione del caso di specie. Si puo' affermare, pertanto, che l'ambito di operativita' dell'art. 122, quarto comma, della Costituzione (interpretato secondo i criteri enunciati) e' delimitato, quanto al titolo normativo: a) dalla Costituzione; b) dalla legge e dagli atti aventi forza di legge dello Stato (non - verosimilmente - da atti normativi statali sub-primari, quali i regolamenti, quantomeno la' dove si versi in materia penale: Corte costituzionale, sent. n. 69/1985, cit., p. 495); non dalla legge regionale e dallo Statuto. Quanto alle funzioni, tale ambito di operativita' riguarda: a) la funzione legislativa; b) la funzione di indirizzo politico e di controllo; c) la funzione di autoorganizzazione interna. Le funzioni suddette possono estrinsecarsi in atti aventi natura formalmente: a) legislativa; b) amministrativa. 7. - L'ampia ripresa della giurisprudenza di codesto Collegio ha come scopo precipuo, da un lato, di inquadrare nitidamente la fattispecie e, d'altro lato, di evitare l'insorgere di equivoci, sempre possibili quando rimangono in ombra elementi senz'altro qualificanti l'istituto delle guarentigie di cui all'art. 122, quarto comma, della Costituzione. Ora, prescindendo da un'indagine incentrata sulla qualifica soggettiva dell'autorita' precedente (magistrato penale, magistrato investito dei giudizi di responsabilita' amministrativa) ed altresi' dalla minuta analisi della tipologia piu' ricorrente di funzioni svolte dai consiglieri regionali, vale la pena di soffermarsi un istante sulla funzione di indirizzo politico e di controllo, cui codesta Corte ha ricondotto - nell'ottica dell'art. 122, quarto comma, della Costituzione - le attivita' ispettive, quelle che si concretizzano nella partecipazione a commissioni di inchiesta o che si traducono comunque in comportamenti preordinati al controllo politico (da ultimo, Corte costituzionale, sent. n. 209/1994), che hanno sicura base costituzionale (nelle disposizioni che disciplinano la forma di governo nei suoi tratti essenziali), quindi svolta a livello statutario e di regolamento d'assemblea (s'intende, in ogni caso, che il titolo normativo che radica l'immunita' e' quello di rango costituzionale). Pertanto, vanno riferite alle funzioni de quibus, ad esempio: la decisione - squisitamente politica - di prendere in esame oppure no un disegno o progetto di legge regionale; il giudizio circa l'ammissibilita' dei referendum proposti si' sulla scorta di specifiche leggi regionali, ma innanzi tutto in ragione di quanto dispone l'art. 123, primo comma, della Costituzione; le attivita' preordinate alla approvazione dei bilanci e dei piani economici della Regione: sia quando si estrinsecano in atti di legislazione sia quando si svolgono in forma amministrativa, dal momento che concretizzano senz'altro manifestazioni della funzione di indirizzo politico; le indagini conoscitive e le inchieste consiliari, le quali ultime esprimono un "potere connaturato e implicito nelle funzioni spettanti ai Consigli medesimi" (Corte costituzionale, sent. 28 aprile 1966, n. 29, in Giur. cost., 1966, I, p. 300). Sicche', quantomeno in questo caso, la guarentigia deve considerarsi operante pur in difetto di una clausola costituzionale espressa facoltizzante l'istituzione di commissioni di tal genere); gli atti di nomina alle piu' importanti cariche dell'amministrazione regionale e pararegionale, poiche' nelle Regioni di diritto comune l'autonomia politica implica che "la competenza consiliare abbraccia una vasta e mutevole serie di provvedimenti del caso concreto", tra i quali vanno inclusi appunto gli atti di nomina suddetti (Paladin, Diritto regionale, cit., p. 354). Quanto alla funzione di controllo attribuita al Consiglio, l'immunita' si estende ovviamente ad ogni intervento attuato in via legislativa (ad esempio: con legge di approvazione di piani e programmi), e copre senz'altro le questioni poste attraverso interrogazioni, interpellanze, mozioni, risoluzioni, ordini del giorno e via discorrendo, quando questi ineriscono - come nel caso in questione - all'esercizio di competenze spettanti alla Regione. 8. - Quale naturale sviluppo delle puntualizzazioni poc'anzi accennate, riferite specificamente alla condizione di consigliere regionale, si pone la giurisprudenza di codesto Collegio, stando alla quale "sarebbe, peraltro, riduttivo ritenere che la funzione di rappresentanza politica, garantita dalla citata disposizione (dell'art. 122, quarto comma, della Costituzione), si risolva nelli atti tipici. In tal senso depone l'orientamento espresso, recentemente, da questa Corte in tema di immunita' parlamentare, evidenziando il nesso funzionale che, in presenza di attivita' oggetto di indagine penale, rende operante la prerogativa dell'art. 68 della Costituzione (sentenza n. 289 del 1998)". A parere della Corte, "tale orientamento, nonostante la diversa posizione dei componenti delle Camere rispetto ai componenti dei consigli regionali, appare estensibile al caso qui in esame, a fronte dell'analogo tenore, per entrambe le categorie, della disposizione sull'irresponsabilita' per le opinioni espresse ed i voti dati nell'esercizio delle funzioni. Il che porta conclusivamente a ritenere che, nell'ambito dell'art. 122, quarto comma, della Costituzione, rientrino non solo le attivita' nelle quali si estrinseca il diritto di interrogazione o di interpellanza, ma, altresi', gli elementi conoscitivi utilizzati ai fini dell'esercizio di quel diritto e che si pongono in funzionale connessione con il medesimo" (cosi' Corte costituzionale, sent. n. 382/1998, cui adde sent. n. 391/1999). 9. - Fermo restando quanto si e' esposto in sede di definizione delle linee generali dell'istituto dell'insindacabilita' di cui all'art. 122, quarto comma, della Costituzione, e ferme restando, altresi', le considerazioni conclusive che si prospetteranno tra un istante, e' indispensabile chiarire come la fattispecie de qua debba misurarsi con le piu' recenti massime rese dal giudice delle leggi: si allude alle sent. n. 10, n. 11 e n. 56/2000. Per limitarsi a quest'ultima, non sfugge a questa difesa l'assunto secondo cui "occorre ... che la prerogativa trovi una sua delimitazione funzionale: senza di essa la prassi attuativa trasformerebbe l'istituto in una sorta di privilegio personale, conferendo a deputati e senatori (e ai consiglieri regionali) uno statuto personale di favore circa l'ambito e i limiti della liberta' di manifestazione del pensiero. Con evidente distorsione del principio di eguaglianza e di pari opportunita' fra i cittadini nella dialettica politica". Ne consegue che "la semplice comunanza di argomento fra la dichiarazione resa ai mezzi di comunicazione o in dibattiti pubblici e le opinioni espresse in sede parlamentare non basta a estendere alla prima l'insindacabilita' che copre le seconde. Ne' si puo' invocare a tal fine l'esistenza di un "contesto" politico in cui la dichiarazione si inserisca, giacche' siffatto tipo di collegamenti non vale, di per se', a conferire il carattere di attivita' parlamentare a manifestazioni di pensiero oggettivamente estranee ad esse". Cio' che conta e' che "deve esservi, dunque, un preciso nesso funzionale fra la dichiarazione e l'attivita' parlamentare": nesso funzionale che sussiste (a) "quando le dichiarazioni siano sostanzialmente riproduttive dell'opinione sostenuta in sede parlamentare oppure (b) in ragione del "contenuto storico" dell'opinione espressa, accompagnata dalla pubblicita' della medesima (Corte costituzionale, sent. n. 56/2000). 10. - Cosi' predeterminati i confini al cui interno possono collocarsi le "opinioni espresse" e i "voti dati", si deve osservare come, nel caso di specie, senz'altro sussiste il "nesso funzionale" richiesto. Da un lato, infatti, ancorche' manchino un'interrogazione, un'interpellanza, una mozione, una risoluzione, un ordine del giorno o altro ancora che radichino formalmente ex ante ad una espressione tipica della funzione di indirizzo politico la manifestazione del pensiero di cui trattasi, nondimeno e' impensabile - perche' intrinsecamente irrazionale - ritenere che la pura e semplice formulazione di un simile atto, tipico appunto, sia idonea a concretizzare l'immunita' di cui all'art. 122, quarto comma, della Costituzione: in ogni caso, si dovra' esaminare il contenuto della manifestazione del pensiero del consigliere regionale allo scopo di determinare la sussistenza del nesso funzionale richiesto. D'altra parte, come si e' visto, codesta ecc.ma Corte ha escluso che la garanzia "si risolva negli atti tipici" (sent. n. 382/1998. cit.). D'altro lato, una volta che sia escluso altresi' che l'immunita' sia destinata ad operare puramente e semplicemente nella sede consiliare ed in occasione dei lavori dell'organo assembleare, va da se' che l'art. 122, quarto comma, della Costituzione deve trovare applicazione quando le manifestazioni del pensiero siano oggettivamente correlabili alla posizione istituzionale del consigliere stesso: il quale - alla Regione appare indubitabile - deve poter esprimere, in ragione del suo status e dei compiti che gli sono assegnati dall'ordinamento, le valutazioni di ordine politico sia particolare sia generale incidenti sulla concreta struttura e sul funzionamento dell'ente di cui fa parte. Ora, alla Regione non sembra possibile revocare in dubbio la seguente circostanza: che l'esposto-denuncia riguarda eventi di rilievo regionale, interessanti appunto la Regione come ente a fini generali (tale e' la sua odierna sicura qualificazione) ed, altresi', quale ente titolare di competenze specifiche inerenti l'esercizio di funzioni relative agli immigrati. Sotto un ulteriore, ma non meno significativo profilo, e' certo che il mancato rispetto della normativa nazionale invocata dal consigliere Beggiato rifluisce in modo negativo sull'ordine generale delle competenze della Regione, dal momento che l'immigrato contra ius incide, con la sua azione e la sua stessa posizione, sugli interventi disposti o da disporre nei vari settori materiali rimessi alla potesta' legislativa, amministrativa e finanziaria della Regione medesima (si pensi, a titolo puramente esemplificativo, al turismo, all'artigianato, all'agricoltura). Da cio', con evidenza, la violazione, attuata dall'appello indicato in epigrafe, dell'art. 122, quarto comma, e, suo tramite, degli artt. 121 e 123 della Costituzione, di disciplina dell'organizzazione e delle funzioni dei supremi organi regionali.
P. Q. M. Si chiede che la Corte costituzionale: 1) dichiari che non spetta allo Stato (e, per esso, al pubblico ministero presso il tribunale di Belluno) proporre atto di appello finalizzato all'accertamento di responsabilita' penali riconducibili all'area di operativita' dell'art. 122, quarto comma, della Costituzione e, suo tramite, degli artt. 121 e 123 della Costituzione; 2) annulli l'atto d'appello 6 aprile 1991 proposto dal pubblico ministero presso il tribunale di Belluno avverso la sentenza 26 marzo 1991 emessa dal giudice per le indagini preliminari presso il tribunale di Belluno di assoluzione del consigliere regionale Ettore Beggiato. Padova-Roma, addi' 12 aprile 2000. Avv. prof. Mario Bertolissi - avv. Luigi Manzi 00C0401