N. 260 ORDINANZA (Atto di promovimento) 7 gennaio 2000
Ordinanza emessa il 7 gennaio 2000 dal tribunale di Genova nel procedimento civile vertente tra Calderone Carmelo e Camera di commercio, industria, artigianato e agricoltura di Genova ed altra Reato in genere - Pene accessorie - Cancellazione dal registro degli esercenti attivita' commerciali delle persone condannate per determinati reati - Previsione che la sospensione condizionale della pena non valga ad escludere il diniego di concessione, di licenza o di autorizzazione necessarie per lo svolgimento dell'attivita' commerciale - Ingiustificato deteriore trattamento rispetto ad analoghe norme concernenti sanzioni automatiche dichiarate costituzionalmente illegittime con sentenze della Corte costituzionale - Incidenza sul principio di tutela del lavoro - Riferimento alle sentenze della Corte costituzionale nn. 297/1993 e 226/1997. - Cod. pen., art. 166 (modificato dall'art. 4 della legge 7 febbraio 1990, n. 19), in combinato disposto con l'art. 2, n. 5, della legge 25 agosto 1991, n. 287. - Costituzione, artt. 3 e 35.(GU n.22 del 24-5-2000 )
IL TRIBUNALE Ha pronunciato la seguente ordinanza nella causa promossa da: Calderone Carmelo, assistito dagli avv.ti Antonella Profumo e Piero Franzosa, nei confronti di Camera di commercio, industria, artigianato e agricoltura di Genova, assistita dall'avv. Ernesto Lavatelli, e di regione Liguria, assistita dagli avv.ti Carlo A. Pedemonte e Barbara Baroli. Svolgimento del processo Con atto di citazione notificato in data 6 marzo 1998 Calderone Carmelo conveniva in giudizio la regione Liguria e la Camera di commercio, industria artigianato e agricoltura di Genova riferendo di essere stato condannato alla pena di un anno e nove mesi di reclusione e L. 500.000 di multa per i reati di cui agli artt. 18 e 110 c.p. e 3, n. 3, legge n. 75/1958, di aver fruito del beneficio della sospensione condizionale della pena, di aver peraltro subito, quale conseguenza della condanna penale, il provvedimento comunale dichiarativo di decadenza divalidita' dell'autorizzazione commerciale relativa al locale bar da lui gestito da circa vent'anni e la cancellazione dal REC da parte della C.C.I.A.A. di Genova. Riferiva il Calderone che mentre il provvedimento del comune era stato sospeso dal Tribunale amministrativo regionale, il suo ricorso gerarchico avverso la cancellazione era stato respinto dal Presidente della Giunta regionale e, in forza dell'art. 8, legge n. 426/1971, affermava il proprio diritto alla tutela giurisdizionale ordinaria avverso lo stesso provvedimento. L'attore sosteneva quindi che la norma in base alla quale era stata disposta la cancellazione (art. 2, comma 4, lett. e), legge n. 287/1991) era incostituzionale per violazione degli articoli 3 e 4 Cost., a sostegno di tale tesi il Calderone citava alcune sentenze della Corte costituzionale che avevano gia' dichiarato l'incostituzionalita' di varie norme che prevedevano la cancellazione automatica da registri e albi nel caso di condanna per determinati reati. Osservava inoltre che avendo egli ottenuto la sospensione condizionale della pena doveva trovare applicazione nei suoi confronti l'art. 166 c.p.p. come riformato dall'art. 4, legge n. 19/1990 secondo cui la condanna a pena condizionalmente sospesa non poteva determinare impedimento all'esercizio della sua abituale attivita' lavorativa. Sia la regione Liguria che la Camera di commercio di Genova si costituivano in giudizio resistendo alla domanda. Precisate le conclusioni trascritte all'epigrafe la causa giunge ora a decisione. Motivi della decisione Il Calderone agisce in giudizio per ottenere il riconoscimento del suo preteso diritto alla ricostituzione della propria posizione soggettiva derivante dall'iscrizione nel registro degli esercenti il commercio di cui all'art. 2, n. 1 della legge n. 287/1991 "Aggiornamento della normativa sull'insediamento e sull'attivita' dei pubblici esercizi"; tale posizione soggettiva sarebbe stata illegittimamente lesa dall'autorita' amministrativa con il provvedimento di cancellazione dal predetto registro adottato dal Presidente della Camera di commercio del 20 agosto 1997. L'illegittimita' dell'atto amministrativo in questione deriverebbe da un duplice ordine di motivi: da un lato essa sarebbe conseguenza della incostituzionalita' della norma in base alla quale l'atto stesso e' stato emanato (e a tale proposito l'attore prospetta questione di legittimita' costituzionale in via incidentale dell'art. 2, comma 4, lett. e) legge n. 287/1991), dall'altro lato il provvedimento in questione si porrebbe in contrasto con l'art. 166 c.p. come riformato dalla legge n. 19/1990. Considerato che secondo la giurisprudenza della Cassazione i provvedimenti in materia di iscrizione e cancellazione in albi o elenchi formati a vari fini sono atti amministrativi diretti al riscontro, senza alcun margine di discrezionalita', dei requisiti di legge, deve senz'altro riconoscersi la natura di diritto soggettivo della posizione dell'interessato e affermarsi la giurisdizione dell'A.G.O. nella relativa controversia; cio', in riferimento proprio alle questioni relative all'iscrizione o cancellazione dai registri degli esercenti il commercio e' del resto confermato dall'art. 8 della legge n. 426 /1971 che espressamente prevede l'azione davanti al tribunale della sede della Camera di commercio competente avverso il provvedimento del Presidente della Giunta regionale che rigetta il ricorso amministrativo (per tutte si veda Cass. s.u. n. 13756/1991). Le stesse considerazioni valgono per affermare l'infondatezza dell'eccezione di nullita' della domanda per indeterminatezza dell'oggetto sollevata dalla Camera di commercio convenuta: la natura vincolata dei provvedimenti amministrativi in materia di iscrizione e cancellazione dagli albi o elenchi determina che l'eventuale riconoscimento da parte dell'A.G.O. della sussistenza dei requisiti di legge per il permanere dell'iscrizione (o se si vuole l'accertamento dell'insussistenza dei presupposti per la cancellazione) determinerebbe di per se' l'obbligo della stessa amministrazione di ripristinare la situazione preesistente alla cancellazione. Nel merito si osserva che la censura di incostituzionalita' dell'art. 2 della legge 25 agosto 1991, n. 287 e', per ragioni in parte diverse da quelle prospettate dall'attore, non manifestamente infondata. Per motivare tale assunto occorre prendere le mosse da due sentenze del giudice delle leggi che in tempi relativamente recenti si sono occupate di questioni analoghe (sentenza n. 297/1993 e sentenza n. 226/1997). In base a tali pronunce deve innanzitutto affermarsi che il principio di "giusta proporzione" tra sanzione e fatto sanzionato in base al quale la stessa Corte costituzionale aveva in precedenza (sentenze nn. 16 e 22 del 1991, n. 40 del 1990 e n. 971 del 1988) dichiarato illegittime alcune ipotesi di automatismo della sanzione disciplinare afferenti un rapporto di lavoro pubblico o privato o una attivita' professionale non opera qualora la condanna penale rilevi non quale presupposto della sanzione stessa, ma "al fine del riscontro dei requisiti soggettivi per l'accesso a posti di lavoro (...) ovvero per il rilascio e quindi (...) per il permanere di provvedimenti concessori o autorizzativi" (sent. n. 297/1993)". Nella fattispecie oggetto del presente giudizio ci troviamo proprio in una di tale ipotesi e a conferma di tale assunto basta considerare che la norma di legge in considerazione prevede la cancellazione dal registro degli esercenti il commercio in caso di condanna per i reati elencati alla lettera c) della stessa norma non quale applicazione di un potere disciplinare, peraltro neppure identificabile nella fattispecie, ma come conseguenza del venire meno di uno dei requisiti soggettivi richiesti per l'iscrizione (analogamente nel caso degli agenti di commercio preso in considerazione da Corte cost. n. 226/1997). La questione di costituzionalita' nei termini prospettati dal Calderone va dunque dichiarata infondata in quanto in tal senso si e' gia' pronunciata la Corte costituzionale in casi analoghi. Va pero' considerato che proprio in relazione alle ipotesi di rilevanza della condanna penale ai fini del riscontro dei requisiti soggettivi per ottenere l'iscrizione in albi o elenchi vale, in generale, il principio stabilito dall'art. 4, comma 2 della legge 7 febbraio 1990, n. 19, modificativo dell'art. 166 c.p., secondo cui la condanna a pena condizionalmente sospesa non puo' costituire di per se' sola impedimento all'accesso di posti di lavoro ne' puo' determinare il diniego di concessioni, di licenze o di autorizzazioni necessarie per svolgere l'attivita' lavorativa (v. Corte costituzionale n. 297/1993 citata). Nella fattispecie oggetto del presente giudizio risulta che la pena inflitta al Calderone e' stata condizionalmente sospesa, la norma generale sopra citata non ha tuttavia modo di operare in quanto derogata da altra disposizione di legge successiva (art. 2, n. 5, legge 25 agosto 1991, n. 287) che, in relazione allo specifico settore dei pubblici esercizi commerciali, settore in cui lavorava l'attore, prevede che il divieto di iscrizione nei relativi registri opera, in caso di sospensione condizionale della pena, dal giorno del passaggio in giudicato della sentenza. In forza del criterio della successione delle leggi nel tempo il conflitto tra le due norme va risolto in via interpretativa in favore della norma da ultimo citata. Il dubbio che la disparita' di trattamento a danno degli esercenti di pubblici esercizi commerciali (nei confronti dei quali, nell'ipotesi data, non trova applicazione il principio della estensione degli effetti della sospensione condizionale della pena) che consegue a tale interpretazione non sia giustificata e' fondato e non potrebbe dirsi fugato in riferimento al fatto che la norma generale prevede espressamente delle deroghe allo stesso principio (tranne i casi specificamente previsti dalla legge); infatti, a parte l'ulteriore problema interpretativo della riferibilita' dell'inciso riportato anche alle ipotesi ad esso non sintatticamente correlate, tra cui e' compresa quella oggetto del presente giudizio, tale espressa previsione puo' valere solo ad escludere una antinomia formale tra le due norme, ma non costituisce di per se' giustificazione sufficiente, in riferimento al canone della ragionevolezza alla stregua del quale va valutata la conformita' della legge ai principi di eguaglianza di cui al secondo comma dell'art. 3 Cost., delle singole deroghe di volta in volta disposte dal legislatore. La rilevanza della questione, che nei termini prospettati viene sollevata d'ufficio, in riferimento anche all'art. 35 della Costituzione (essendo evidenti i riflessi negativi sul diritto al lavoro conseguenti alla sospettata disparita' di trattamento determinata dalla norma in oggetto) consegue al fatto che dal provvedimento amministrativo da cui la presente causa trae spunto risulta che la cancellazione dell'attore dal R.E.C. e' stata disposta esclusivamente in considerazione della condanna penale, condizionalmente sospesa, da lui riportata si' che il venire meno della norma sospettata di incostituzionalita' determinerebbe l'accoglimento della domanda.
P. Q. M. Visto l'art. 23 della legge 11 marzo 1953, n. 87; Solleva d'ufficio, in riferimento agli articoli 3 e 35 della Costituzione, la questione di legittimita' costituzionale del combinato disposto degli articoli 166 codice penale, come modificato dall'articolo 4 della legge 7 febbraio 1990, n. 19 e 2, n. 5, legge 25 agosto 1991, n. 287, nella parte in cui prevedono che per gli esercenti un pubblico esercizio commerciale la sospensione condizionale della pena non vale ad escludere il diniego di concessione, di licenza o di autorizzazione necessarie per lo svolgimento dell'attivita' lavorativa; Dispone l'immediata trasmissione degli atti alla Corte costituzionale; Ordina che a cura della cancelleria la presente ordinanza sia notificata alle parti in causa, nonche' al Presidente del Consiglio dei Ministri e ai Presidenti delle due Camere del Parlamento; Sospende il giudizio in corso. Genova, addi' 7 gennaio 2000. Il giudice: Vigotti 00C0416