N. 261 ORDINANZA (Atto di promovimento) 17 marzo 2000

Ordinanza  emessa  il  17  marzo  2000  dal  tribunale di Bologna nel
procedimento  di  esecuzione promosso da Vismara Umberto contro Nuovo
Poliambulatorio Felsineo S.r.l.
Esecuzione  forzata  -  Sospensione  dell'esecutivita'  del titolo da
parte   del   giudice   del   merito   (nella   specie:   sospensione
dell'esecuzione  provvisoria  del  decreto  ingiuntivo  da  parte del
giudice  dell'opposizione)  -  Effetti  nel  processo  esecutivo gia'
iniziato   -   Potere   del  giudice  dell'esecuzione  di  dichiarare
l'estinzione  della  procedura, o comunque la perdita di efficacia ex
tunc del pignoramento - Mancata previsione - Irragionevole disparita'
di trattamento fra posizioni debitorie parimenti meritevoli di tutela
- Violazione del diritto di difesa.
- Cod. proc. civ., artt. 649, 630 e 623.
- Costituzione, artt. 3 e 24.
(GU n.22 del 24-5-2000 )
                            IL TRIBUNALE

    Nella  procedura  n. 1984/1999  r.g. promossa da Vismara Umberto,
  elettivamente  domiciliato  presso  e nello studio dell'avv. Davide
  Moretto,  del foro di Bologna, in Bologna, via Rizzoli n. 4, che lo
  rappresenta  e  difende unitamente agli avv.ti Caterina Pini e Luca
  Verderi  del  foro di Parma, come da procura a margine dell'istanza
  di vendita depositata il 28 luglio 1999;
    Contro   Nuovo  Poliambulatorio  Felsineo  S.r.l.,  elettivamente
  domiciliato presso e nello studio dell'avv. Luigi Andrea Cosattini,
  del  foro  di  Bologna,  in Bologna, via degli Artieri n. 2, che lo
  rappresenta  e  difende  come  da procura a margine dell'istanza di
  sospensione ex art. 623 c.p.c. depositata il 3 novembre 1999;
    Ha pronunciato la seguente ordinanza a scioglimento della riserva
  formulata  in  esito  all'udienza  del 16 dicembre 1999 e dato atto
  della  scadenza  dei  termini  assegnati  alle  parti dal g.e. il 5
  gennaio 2000, nonche' delle memorie pervenute successivamente dalle
  stesse;
                    Osserva in fatto e in diritto
    1. - In data 5 luglio 1999 e su istanza di Vismara Umberto veniva
  notificato   al  Nuovo  Poliambulatorio  Felsineo  S.r.l.  atto  di
  precetto  per  la  somma  di complessive L. 9.840.841 unitamente al
  titolo    esecutivo,    costituito    dal    decreto    ingiuntivo,
  provvisoriamente  esecutivo,  del  21  maggio 1999, con il quale il
  pretore  di  Parma  aveva  ingiunto  al  Nuovo  Poliambulatorio  il
  pagamento  in  favore  di  Vismara  della  somma di L. 8.012.000, a
  titolo di corrispettivo dovuto per l'esecuzione di alcuni lavori di
  ristrutturazione  e  con  esonero  dal  termine di cui all'art. 482
  c.p.c.;  sulla  base  di  tale atto, nella stessa data del 5 luglio
  1999,  veniva  eseguito altresi' il pignoramento mobiliare dei beni
  del  debitore  per  un  importo  stimato in quella sede ex art. 518
  c.p.c. di complessive L. 11.950.000 (cfr. verbale di pignoramento).
    2. - Con atto depositato il 3 novembre 1999 il debitore esecutato
  proponeva  istanza  di  sospensione  dell'esecuzione ai sensi degli
  artt.  623  e  s.  c.p.c.,  assumendo al riguardo che, a seguita di
  tempestiva opposizione proposta avverso il decreto provvisoriamente
  esecutivo  del 21 maggio 1999, il tribunale di Parma, con ordinanza
  del  27  agosto  1999,  aveva  nel frattempo sospeso la provvisoria
  esecutorieta' del decreto ingiuntivo opposto ai sensi dell'art. 649
  c.p.c.;   chiedeva,   pertanto,   che  il  giudice  dell'esecuzione
  disponesse la sospensione della procedura esecutiva.
    3.  -  Con  decreto  inaudita  altera  parte del 16 novembre 1999
  questo   giudice   sospendeva  la  procedura  esecutiva  disponendo
  altresi'  la convocazione delle parti per l'eventuale provvedimento
  di  estinzione,  da  adottare  - in tesi - dopo l'instaurazione del
  pieno contraddittorio; all'udienza del 16 dicembre 1999 il debitore
  esecutato  insisteva  per la sospensione della procedura esecutiva,
  ma  chiedendo  che  ne  venisse,  comunque  ed altresi', dichiarata
  l'estinzione;  deduceva in particolare, sotto il primo profilo, che
  doveva  ritenersi  ammissibile l'istanza di sospensione proposta al
  giudice  dell'esecuzione,  non vertendosi, nella specie, in ipotesi
  di  sospensione  ad opera del giudice davanti al quale e' impugnato
  il  titolo  esecutivo,  contemplata dalla prima parte dell'art. 623
  c.p.c.,  norma  applicabile  solo  nell'ipotesi  di impugnazione di
  sentenza  avente  efficacia esecutiva; lo stesso esecutato deduceva
  inoltre  e tuttavia che, essendo l'esistenza (attuale) di un titolo
  munito di efficacia esecutiva presupposto necessario per una valida
  prosecuzione  del  processo  espropriativo,  in caso di sospensione
  della  provvisoria  esecuzione  del  titolo doveva ritenersi venuta
  altresi' meno una condizione indefettibile dello stesso processo.
    4.  -  Replicava  per  contro  il  creditore  che,  essendo stata
  l'esecuzione   gia'   sospesa  con  il  provvedimento  del  giudice
  dell'opposizione  ai  sensi  dell'art. 649 c.p.c., nessun potere di
  sospensione  ulteriore  poteva  ritenersi  sussistente  in  capo al
  giudice  dell'esecuzione  con la conseguenza che l'istanza proposta
  doveva  ritenersi  inammissibile  o,  comunque,  improponibile, per
  carenza  di  interesse; chiedeva, pertanto, il rigetto dell'istanza
  di  sospensione  con condanna del debitore alle spese del giudizio;
  quanto   alla   questione   relativa  all'estinzione  del  processo
  esecutivo,   deduceva   il   creditore   che,   per  giurisprudenza
  consolidata  della  suprema  Corte,  la sospensione dell'esecuzione
  provvisoria   del   decreto   ingiuntivo,   disposta   dal  giudice
  dell'opposizione,  non  avrebbe potuto determinare l'estinzione del
  processo  esecutivo  intrapreso  in  forza  del predetto titolo ne'
  avrebbe potuto incidere sulla validita' degli atti (esecutivi) gia'
  compiuti,   non   integrando   alcun   provvedimento   di  "revoca"
  dell'efficacia esecutiva del titolo medesimo.
    5.  -  Ritiene  questo  g.e.  che,  in  effetti,  il  consolidato
  orientamento  formatosi presso i giudici di legittimita' (da ultimo
  Cass.  12  gennaio  1999,  n. 261, Ced Cass. civ., 522227, Cass. 16
  ottobre  1992,  n. 11342,  in  Giust.  civ. Mass. 1992, "esecuzione
  forzata",  10,  Cass. 3 maggio 1991, n. 4866, in Giur. it. 1992, I,
  1,  744),  non  contraddetto  che  da  sporadiche pronunce di segno
  contrario  della  giurisprudenza di merito (Pret. Latina 9 febbraio
  1994, in Giust civ. 1995, I, 1099), possa qualificarsi alla stregua
  di  diritto  vivente sostanzialmente preclusivo della possibilita',
  per   il  giudice  dell'esecuzione,  di  annoverare  tra  gli  atti
  interdittivi  della  prosecuzione  del  processo  un  provvedimento
  diverso  da  una  piu' semplice e ricognitiva pronuncia attestativa
  della  venuta  meno,  con  effetti ex nunc, della esecutorieta' del
  titolo.
    1.  -  E'  divenuto  in  altri  termini  jus receptum l'indirizzo
  secondo  cui  allorche',  come  nel  caso  oggetto  di giudizio, il
  provvedimento   assistito   da   forza  esecutiva  sia  privato  di
  quest'ultima  da  parte  del  giudice deputato alla cognizione, nel
  merito,  della  pretesa  sostanziale, l'effetto conseguente proprio
  del  procedimento  esecutivo  nel  frattempo instaurato sia il mero
  arresto  - con efficacia dunque ex nunc - della misura interdittiva
  (rectius:   sospensiva)   della   esecutorieta'  del  titolo;  cio'
  significa  che,  al  di  la' del mezzo processuale introducibile da
  parte    del    debitore    esecutato,    il    soggetto    passivo
  dell'espropriazione  puo'  limitarsi  a  rappresentare  ex art. 486
  c.p.c. al g.e. tale causa di arresto dell'esecuzione che, formatasi
  ab  externo ma incidendo direttamente sul titolo, non consentirebbe
  pero'   al   giudice  dell'espropriazione  stesso  alcuna  potesta'
  valutativa ulteriore: egli infatti deve prendere atto che il titolo
  esecutivo  e'  venuto  modificandosi  proprio nella sua idoneita' a
  sorreggere       la       proseguibilita'      dell'espropriazione;
  indipendentemente,  come  detto, dall'atto processuale introduttivo
  dell'eccezione   (non  essendo  necessaria  alcuna  opposizione  ex
  art. 615  o  617 c.p.c., ma nemmeno - come nella vicenda in esame -
  essendovi preclusione a considerare idoneo allo scopo anche un atto
  di  formale  opposizione)  il g.e. e' condizionato nella sua stessa
  potesta'  esecutiva,  con  effetti  che,  raccordati  ad un caso di
  diretta  esemplificazione dell'art. 623 c.p.c., si differenziano da
  ogni  altra  vicenda  in  cui  sia  lo  stesso  g.e.  a  sospendere
  l'esecuzione.
    2.  - Oltre dunque i casi di sospensione necessaria ex lege (come
  l'instaurazione incidentale del processo divisorio ex artt. 599-601
  c.p.c.   e   la  fissazione  del  giudizio  contestativo  circa  la
  dichiarazione  del terzo ex art. 548 c.p.c.) e le ipotesi in cui il
  medesimo   potere   interinale   sia  adottato  dallo  stesso  g.e.
  sollecitato dalle opposizioni all'esecuzione, agli atti esecutivi o
  di  terzo,  la  procedura  esecutiva  ancora potrebbe dirsi sospesa
  quando  il  titolo  che  la  sorreggeva  sin da suo sorgere venisse
  privato  della  esecutorieta'  dal  giudice  "davanti  al  quale e'
  impugnato"  ex  art. 623  prima  parte  c.p.c.; l'esercizio di tale
  potere  ad opera del giudice istruttore dell'opposizione al decreto
  ingiuntivo  ne realizzerebbe un esempio: cosi' nell'art. 649 c.p.c.
  l'ordinanza  non  impugnabile costituisce un effetto ablativo sulla
  esecuzione  provvisoria  del  decreto,  gia'  concessa  ex art. 642
  c.p.c.,  ma - nell'ambito dell'orientamento ritenuto costante della
  giurisprudenza  -  non  cosi'  radicale da far perimere il processo
  esecutivo nel frattempo iniziato; parimenti, in un diverso caso, il
  giudice   di   secondo   grado  puo'  disporre  con  ordinanza  non
  impugnabile   emessa  ex  art. 373  c.p.c.  "che  l'esecuzione  sia
  sospesa",  avuto  riguardo  alla  sentenza  nel frattempo impugnata
  avanti  alla  Corte di cassazione e gia' azionata in executivis dal
  creditore  ovvero  ancora con ordinanza non impugnabile ex art. 351
  c.p.c.  sull'istanza  di  sospensione della sentenza di primo grado
  svolta ex art. 283 c.p.c.
    3.  -  Nella  vicenda  sottoposta  all'esame  del  g.e.  e' stata
  prospettata,  a  chiarimenti, l'esigenza di individuazione autonoma
  dei confini da ascrivere alla potesta' sospensiva dedotta avanti al
  giudice   dell'espropriazione   stessa,  al  fine  di  valutare  se
  l'arresto,  in  termini  (interinali  e) meramente ricognitivi gia'
  disposto sul mero ricorso e dunque con decreto, necessitasse o meno
  di  una precisazione circa i limiti di efficacia da assicurare alla
  stessa  misura  rispetto  agli  atti  gia'  compiuti;  cio' implica
  l'interrogativo  circa  il  convincimento  se  possa  darsi  ancora
  espropriazione  non  in  costanza  di titolo esecutivo e, pertanto,
  ricorrendo  all'unico atto conseguente a tale piu' radicale avviso,
  cioe'  l'ordinanza  di  estinzione;  una aversa pronuncia meramente
  ricognitiva  dell'evento-sospensione (gia' costituente il contenuto
  del   provvedimento   di   altro   giudice)   ovvero  autonomamente
  riflettente  l'espressione  di un potere sospensivo del g.e. stesso
  (pur  se derivativo e di latitudine identica a quelli pronunciabili
  in esito alle opposizioni), non pare infatti definitivamente voluta
  dalla  societa'  debitrice, nel presupposto che, evidentemente, non
  avrebbe   realizzato   gli  effetti  di  perenzione  e  restitutori
  chiaramente  postulati dall'esecutata(v. memoria 17 febbraio 1999);
  al  di la' delle improprieta' lessicali adottate (ed in parte, allo
  stato attuale della normativa, condizionate dal dualismo schematico
  che  presiede agli istituti che interrompono la sequenza degli atti
  espropriativi  per  effetto  di attivita' provvedimentale interna e
  dunque  del  solo  giudice  che  li  governa), la stessa istanza di
  "sospensione"    autonomamente    svolta   avanti   al   g.e.,   la
  rappresentazione  del  legame tra permanenza della esecutivita' del
  titolo   e   processo   esecutivo,   l'utilizzo   di   un  istituto
  residualmente  sollecitatorio  verso  il  g.e. quanto alla verifica
  della   permanenza   delle  condizioni  di  attualita'  dell'azione
  esecutiva  rendono  attuale  la disamina, comunque anche officiosa,
  dei  mezzi adottabili per la realizzazione dell'evento voluto dalla
  debitrice;  la differenza principale tra tutte le forme considerate
  di  sospensione ed un atto provvedimentale che, invece, travolga il
  processo esecutivo per mancanza di titolo esecutivo e' data proprio
  dall'incidenza meramente ex nunc delle prime ed all'opposto ex tunc
  del  secondo;  l'ordinanza  di  estinzione,  almeno quoad effectum,
  potrebbe dunque essere pronunciata perche' solo tale provvedimento,
  muovendo  dal  presupposto per cui l'esecuzione forzata deve essere
  retta  per tutto il suo corso da un titolo esecutivo, consentirebbe
  al   debitore   di   fruire   degli  effetti  ripristinatori  della
  disponibilita'  dei  beni e ablativi del vincolo ed al creditore di
  avversare  da  subito  tale  caducazione  ex  tunc  provocandone la
  rimeditazione  ex  art. 178 c.p.c. ad opera di giudice diverso e di
  seconda  istanza,  anzi  condizionando  al non reclamo la efficacia
  dell'ordinanza medesima.
    4.  -  Ritiene  questo g.e. che, cosi' impostata la questione, il
  piu'  volte  citato orientamento prevalente non consenta in realta'
  spazi  interpretativi  per  un  allargamento  dei potere sospensivo
  esterno  sino  a  riflettere una suscettibilita' caducativa ex tunc
  del  pignoramento nel frattempo attuato; parimenti si dubita che la
  diversa,  obbligata,  attivita' provvedimentale sia coerente almeno
  con due disposizioni costituzionali: l'art. 3 e l'art. 24 Cost.
    5.  -  Sotto  il  primo profilo, ancora interpretativo, condivide
  questo  g.e.  le  perplessita' ricostruttive dell'esatta latitudine
  delle  norme  che,  a  vario  titolo qualificanti siccome meramente
  sospensivo  il  potere  ablatorio  dell'esecutivita'  del titolo ex
  art. 649  c.p.c.  (ovvero  anche ex artt. 373 o 351 c.p.c..), hanno
  conosciuto  proposte  rimeditative entro un'area di effetti volta a
  ricomprendere,  di volta in volta, anche un piu' radicale potere di
  revoca  della esecutivita' stessa; come noto tali suggestioni (cfr.
  isolato trib. Alessandria 23 dicembre 1994, in Giust. civ. 1995, I,
  1099)  hanno  preso le mosse, essenzialmente con riguardo al potere
  del  g.i.  della  causa  di opposizione a decreto ingiuntivo, dalla
  diffusa   opinione  di  ricercare  in  via  analogica  tale  potere
  ablatorio piu' forte direttamente dagli artt. 283 e 351 c.p.c. che,
  anteriormente  alla  riforma  di  cui  alla legge 26 novembre 1990,
  n. 353,    effettivamente   contemplavano   una   distinzione   tra
  "sospensione"  e  "revoca"; ascrivere la prima ad un riconoscimento
  di  inopportunita'  della  provvisoria  esecutivita'  e la seconda,
  invece,  ad una delibata ragione di inesistenza delle condizioni di
  legittimita'  per  la  concessione  della  clausola,  era  divenuto
  indirizzo  in  parte condiviso; oggi, tuttavia, il dato testuale di
  riferimento   analogico   e'  venuto  meno  e,  con  esso,  diviene
  operazione ancor meno plausibile quella che, muovendo da un preteso
  carattere  generale del potere di revoca, ancora distingua, in ogni
  caso  di  esercizio  di  un  potere  lato  sensu e testuale di tipo
  sospensivo,  una  doppia  natura  della  sospensione;  e' dunque di
  rappresentazione priva di base normativa diretta la possibilita' di
  configurazione  di  una  sospensione dell'efficacia esecutiva di un
  titolo   con   efficacia   immediata   e  rivolta  al  solo  futuro
  (sospensione  in  senso stretto) e di una piu' radicale sospensione
  dell'efficacia   esecutiva   del   titolo   con  conseguenze  anche
  retroattive (c.d. revoca).
    6.  - Ne' ad identico approdo potrebbe pervenirsi, pur sulla base
  di autorevoli stimoli della dottrina posteriore alla novella di cui
  alla  legge  n. 353/1990,  allorche'  si  volesse  immaginare  tale
  dualismo  di esiti ancora sopravvissuto alla scomparsa testuale dei
  referenti  codicistici  gia' utilizzati in via analogica: a dire il
  vero  la riflessione teorica, condotta proprio attorno alla portata
  dell'art. 649  c.p.c.,  non ha mancato di sottolineare non tanto la
  superfluita'  di  quelle  norme  chiamate alla vocazione dell'eadem
  ratio, quanto l'inclusione originaria del potere di ablazione della
  esecutivita'  del  titolo  esecutivo  gia'  nell'ambito  del potere
  formalmente  solo  sospensivo;  in altri termini e' stato sostenuto
  che  l'esercizio  del  potere  sospensivo sul titolo ricomprende di
  necessita'  anche  il periodo anteriore all'esecuzione, per cui "il
  potere  esercitato  dal  giudice  in tal momento ha quindi forza di
  incidere  solo sull'esecutorieta' del decreto, cioe' sulla clausola
  che  lo rende esecutivo [...] qualunque etichetta si voglia apporre
  al  potere  esercitato, questo si riferira' sempre all'esecutivita'
  (o  esecutorieta')  del decreto, avra' cioe' ad oggetto la qualita'
  del  provvedimento che ne fa un titolo esecutivo"; tale premessa e'
  stata  giustificata  allora  quale  presupposto  per  negare che la
  sospensione ab externo del titolo esecutivo possa avere per oggetto
  l'esecuzione-procedimento,   poiche'   essa   ben  potrebbe  essere
  adottata  quando  nemmeno un'esecuzione sia stata promossa, per cui
  "il provvedimento di sospensione impedisce l'inizio dell'esecuzione
  nello  stesso  identico  modo di un provvedimento che vada sotto il
  nome   di   revoca";   in   realta'  tale  prospettiva,  alla  base
  dell'ordinanza  del  g.e.  qui  reclamata ovvero non voluta, sembra
  contrastare   con  il  dato  letterale  di  cui  alla  prima  parte
  dell'art. 623  c.p.c. che, indipendentemente dalla condivisibilita'
  definitiva di tale lettura, e' oggi correntemente inteso come luogo
  riassuntivo  dell'unica vicenda sospensiva, nelle prime due ipotesi
  -  di  regola  - incidente sul titolo e, per converso, sul processo
  esecutivo   e,  nella  seconda  parte,  piu'  direttamente  e  solo
  sull'espropriazione;  e'  tale  limitato  ambito  che  questo  g.e.
  ritiene   di   applicazione  cogente  e,  tuttavia,  dubitabilmente
  difforme dalla Carta costituzionale.
    7.  -  In  primo  luogo  si  ravvisa  una evidente illogicita' di
  realizzazione  della tutela economica, sotto il profilo dell'art. 3
  Cost.,  con  riguardo a posizioni soggettive debitorie parimenti ed
  identicamente  meritevoli  di apprezzamento: se l'esecutorieta' del
  titolo  viene arrestata in virtu' del provvedimento di sospensione,
  sulla  base  di  tale  pronuncia  giudiziale nessuna espropriazione
  potrebbe  essere iniziata e tuttavia, qualora promossa, l'esecutato
  ne  subirebbe gli effetti sino al momento della diversa definizione
  processuale  a  proprio  vantaggio della situazione di diritto gia'
  delibata  come suscettiva di contrastare l'esecutivita' del titolo;
  nel  caso  de quo la societa' Nuovo Poliambulatorio Felsineo S.r.l.
  potrebbe  ottenere  la  rimozione  definitiva  del vincolo nato per
  effetto  del decreto ingiuntivo provvisoriamente esecutivo solo per
  effetto  della  sentenza con cui altro giudice, accogliendo appunto
  l'opposizione, sostituisse con altra statuizione quella del giudice
  del  monitorio;  per  converso  alla  base  della  stessa pronuncia
  monitoria (del 21 maggio 1999) gia' dal 26 agosto 1999 non era piu'
  possibile  attivare  alcun pignoramento; l'irragionevole disparita'
  di  trattamento  fra  situazioni  tutte  meritevoli  di  tutela  si
  correla,   infatti,   alla  efficacia  meramente  ex  nunc  che  la
  sospensione,  come  ricostruita, mantiene nel nostro sistema; cosi'
  il  debitore  ingiunto  sulla  base  di  decreto  ingiuntivo la cui
  provvisoria  esecutivita'  sia  stata  sospesa  ex  art. 649 c.p.c.
  resterebbe esposto agli effetti di vincolo nel frattempo instaurati
  con  il  pignoramento,  tra  cui il blocco della disponibilita' dei
  beni,   come   accaduto   nella  vicenda  di  causa;  in  essa,  un
  pignoramento  attuato  sui  beni  del  debitore  ha  costituito nel
  medesimo  (rectius:  nel  legale  rappresentante  della  S.r.l.) il
  custode  del  compendio  con  impossibilita'  di restituzione dello
  stesso  al  debitore,  potendo invero il g.e., sulla base della qui
  ritenuta   apparentemente  necessaria  applicazione  dell'art.  623
  c.p.c.,  solo  limitarsi tutt'al piu' ad atti di mera conservazione
  dei  beni  ed urgenti; un diverso debitore non ancora esecutato non
  avrebbe  subito  invece alcun vincolo sul proprio patrimonio e tale
  differenza  di  trattamento,  meramente dipendente dalla casualita'
  temporale  con cui il titolo esecutivo e' stato azionato, determina
  una disparita' di tutela irragionevolmente non rimediabile da parte
  del debitore.
    8.  -  Il secondo profilo inciso concerne invero l'art. 24 Cost.:
  ottenuto, da parte del debitore, il distacco della esecutivita' del
  titolo  dalla  sua  natura  condannatoria  (od ingiunzionale), cio'
  procura   l'immediato  arresto  dell'espropriazione  nel  frattempo
  iniziata  senza  tuttavia che i beni, gia' pignorati, si trovino in
  una  situazione  ragionevolmente  diversa da quella propria di beni
  pignorati  con  titolo  esecutivo  non  sospeso;  e'  vero  che  la
  sospensione  dell'esecutivita'  del titolo non permette l'ulteriore
  compimento  degli  atti espropriativi ma risalta la circostanza per
  cui  i  beni nel frattempo staggiti si situano in una condizione di
  vincolo singolarmente simile a quelli oggetto di espropriazione con
  titolo  esecutivo  inalterato (poiche' non rientrano comunque nella
  disponibilita' piena del debitore) ed a quelli oggetto di sequestro
  conservativo,   ancora  non  convertito  in  pignoramento  (perche'
  conservati, de jure, in funzione di una potenziale riespandibilita'
  del  titolo ove riacquisisse l'esecutivita'); ancora, mentre i beni
  oggetto di sequestro subiscono una limitazione di disponibilita' in
  capo  al  loro titolare sulla base di una attivita' provvedimentale
  oramai pienamente improntata al principio del contraddittorio, come
  evincibile  dal  sistema  del  procedimento  cautelare uniforme (ex
  artt. 669-sexies  e  669-terdecies  c.p.c.)  e  dalla manipolazione
  additiva  residuata  ex  art. 669-quaterdecies  per  i procedimenti
  cautelari speciali, non e' cosi' per il pignoramento iniziato sulla
  base   di   titolo   esecutivo  poi  sospeso  ab  externo  rispetto
  all'espropriazione;  puo' cioe' accadere che un titolo esecutivo di
  formazione  monitoria  (dunque  privo di interlocuzione processuale
  originaria, preventiva o necessaria) sia privato della esecutivita'
  per  effetto  di  una  rimeditazione  dei  suoi  presupposti,  fase
  processuale  di necessaria formazione in contraddittorio (cosi' per
  il  decreto ingiuntivo l'art. 649 c.p.c.) e pur tuttavia si avrebbe
  sopravvivenza  dell'espropriazione,  quanto  meno con riguardo alla
  permanenza  del vincolo sui beni nel frattempo staggiti; dunque una
  vicenda processuale piu' accentuatamente dialettica invero maturata
  sino  alla  definizione sospensiva del titolo esecutivo mostrerebbe
  di  non  reagire  se  non  debolmente  sullo  status  dei  beni nel
  frattempo  ed  in  origine staggiti per effetto di un provvedimento
  giudiziale   pronunciato   senza   contraddittorio  ma  attualmente
  delibato  con prognosi cui non e' estraneo un giudizio di possibile
  rimozione    del   titolo   stesso   (sentenza   di   primo   grado
  sull'opposizione   al   d.i.);  lo  stesso  effetto  impropriamente
  cautelare  sarebbe implicato dal permanere dell'espropriazione, pur
  non  suscettibile  di  prosecuzione  con  atti esecutivi diversi da
  quelli   meramente   conservativi,   anche   se  tale  esigenza  di
  mantenimento  dei  beni  a  garanzia  della prospettata pretesa del
  creditore  gia' pignorante non e' piu' sorretta dall'attualita' del
  titolo  esecutivo  (la sua sospensione non potrebbe dare inizio, ex
  se,   ad   un   processo   esecutivo   autonomo)  ovvero  da  altro
  provvedimento tipicamente anticipatorio; la violazione dell'art. 24
  della  Costituzione sembra a questo giudice evidente, in ogni caso,
  ove  l'art. 623  c.p.c.  direttamente ovvero, come nella vicenda di
  causa, l'art. 649 c.p.c. (o il combinato disposto delle due norme),
  non  contemplano  un'efficacia  del potere sospensivo, gia' proprio
  dell'ordinanza   non   impugnabile,   diretta   ad  incidere  anche
  retroattivamente  sull'esecuzione  nel  frattempo  eventualmente (e
  casualmente)  iniziata,  rimuovendone  gli  effetti  ex  tunc; cio'
  sarebbe  attuabile  in  via diretta ovvero mediante una previsione,
  parimenti  ora  non  prevista,  di  una  causa  di  estinzione  del
  processo;  la tutela difensiva cosi' accordata all'esecutato appare
  priva  di strumentazione idonea a modificare la sorte di blocco dei
  beni   causato   dal   pignoramento,   secondo  una  gradazione  di
  incompletezza  palese rispetto al debitore sequestrato che, invece,
  ottenendo la revoca della misura cautelare puo' da subito sottrarre
  i  beni  prima  vincolati  alla  condizione  deteriore sui medesimi
  instaurata.
    9.  -  Un  diverso,  piu' costituzionalmente corretto, assetto di
  compatibilita'  fra  la  rimozione  ab  origine  degli  effetti del
  pignoramento   e  la  legittimita'  degli  atti  espropriativi  nel
  frattempo  invece  adottati  sembra  invece, allo stato, sostituito
  dagli   stretti   confini   degli   istituti   risarcitori,  dunque
  indirettamente  e  dilatoriamente  funzionale  a  rimuovere ex post
  eventuali  pregiudizi  connessi  ad  un  cattivo  uso  della  forza
  esecutiva  del  titolo  piuttosto  che a ripristinare da subito una
  condizione  giuridica  di status dei beni omogenea all'assenza, nel
  frattempo  sopravvenuta, di esecutivita' del titolo per effetto del
  cui  azionamento  i  beni  stessi erano stati sottoposti a vincolo;
  tale previsione, solo indiretta ed eventuale, evidenzia non solo un
  vuoto   di   tutela   ma,   ai  fini  del  presente  provvedimento,
  un'ingiustificata  conseguenza di una disciplina normativa che, non
  prevedendo  l'efficacia  retroattiva  della caducazione esterna del
  titolo esecutivo, parifica, in violazione degli artt. 3 e 24 Cost.,
  la "sospensione" dell'efficacia esecutiva del titolo esecutivo alla
  "sospensione del processo esecutivo", la prima decisa al di fuori e
  prescindendo dall'espropriazione (che puo' essere iniziata o meno),
  la seconda dall'interno dell'esecuzione, cioe' dal giudice di essa;
  in  altri  termini sembra a questo g.e. che, permanendo gli effetti
  di   vincolo  sui  beni  pignorati  e  nonostante  la  venuta  meno
  posteriore al pignoramento della efficacia esecutiva del titolo, il
  debitore possa solo dolersi, agendo in responsabilita' aggravata ex
  art. 96  c.p.c.,  della  eventuale  mancanza  di "normale prudenza"
  nell'iniziativa  esecutiva  del  creditore procedente; tale rimedio
  appare  pero'  del  tutto inconferente, perche' eventuale e nemmeno
  automaticamente  coincidente con la definitiva ablazione del titolo
  gia'  esecutivo,  rispetto  ad un'esigenza assai piu' prossima alla
  rimozione   dell'espropriazione  che,  invero,  l'art.  623  c.p.c.
  prevede nei termini omissivi oggetto di censura.
    10.  -  La  questione  appare,  come premesso, altresi' rilevante
  ritenendo il g.e. che il difetto di una tipologia dell'ordinanza di
  estinzione  aperta  alla  ricognizione di specie non normativamente
  nominate  imponga  l'applicazione  del  solo art. 623 c.p.c. e, con
  esso,  il  riconoscimento  che,  allo  stato,  questo  giudice  non
  potrebbe,  anche  in  via  definitiva,  che  adottare  un'ordinanza
  meramente  ricognitiva  della  avvenuta  sospensione  esterna della
  esecutivita'  del  titolo, con efficacia pero' ex nunc sul processo
  nel  frattempo  iniziato;  tale  conseguenza provvedimentale, per i
  motivi  gia' esposti, e' ritenuta altresi' non manifestamente priva
  di dubbi circa la sua correttezza costituzionale, per contrasto con
  gli artt. 3 e 24 della Costituzione.
                              P. Q. M.
    Visti  gli  artt. 649, 630, 623 c.p.c., 1, legge costituzionale 9
  febbraio 1948, 23 legge 11 marzo 1953, n. 87;
    Dichiara, d'ufficio, rilevante e non manifestamente infondata nel
  presente  giudizio  la questione di legittimita' costituzionale, di
  cui  in  motivazione, relativa agli artt. 649, 630, 623 c.p.c., per
  contrasto con gli artt. 3 e 24 Cost., nella parte in cui tali norme
  non  prevedono  in caso di sospensione dell'esecutivita' del titolo
  disposta  dal  giudice  del merito altresi' una causa di estinzione
  del  processo esecutivo nel frattempo iniziato ovvero, comunque, la
  (sopravvenuta)   perdita  di  efficacia  sin  dal  suo  inizio  dei
  pignoramento   connesso  al  processo  di  esecuzione  forzata  nel
  frattempo  promosso  da  un  creditore,  da dichiararsi dal giudice
  dell'esecuzione appositamente adito;
    Sospende il presente giudizio;
    Dispone  che la presente ordinanza, a cura della cancelleria, sia
  con  urgenza  notificata  alle  parti  in causa e al Presidente del
  Consiglio  dei  Ministri,  sia  comunicata  ai Presidenti delle due
  Camere  del  Parlamento  e  trasmessa, insieme a tutti gli atti del
  procedimento  (previa  formazione dell'indice ex art. 36 disp. att.
  c.p.c.)   e   con   la   prova   delle   predette  notificazioni  e
  comunicazioni, alla Corte costituzionale.
    Cosi'  deciso  in  Bologna,  nella  camera  di consiglio della IV
  sezione civile del tribunale il 17 marzo 2000.
        Bologna, addi' 17 marzo 2000.
             Il giudice dell'esecuzione mobiliare: Ferro
00C0417