N. 274 ORDINANZA (Atto di promovimento) 1 dicembre 1999

Ordinanza emessa il 1o dicembre 1999 dal giudice istruttore presso il
tribunale di Vallo della Lucania nel procedimento civile vertente tra
Amorelli Francesco & C. S.a.s. ed altri e Banco di Napoli S.p.a.
Credito  (Istituti  di)  -  Interessi  bancari  -  Clausole  relative
all'anatocismo  contenute  nei contratti stipulati anteriormente alla
delibera  CICR  di  cui  all'art.  25  d.lgs.  n. 342/1999 - Prevista
validita'  ed  efficacia  fino alla data di entrata in vigore di tale
delibera   -   Irragionevolezza   -   Ingiustificata   disparita'  di
trattamento  fra  istituti  di  credito  e  loro clienti, nonche' tra
crediti "bancari" e crediti di altro tipo - Violazione del diritto di
azione  e  di  difesa  -  Contrasto  con  la tutela del credito e del
risparmio a fini sociali - Eccesso di potere legislativo - Violazione
dei  principi  in  materia  di  formazione  delle  leggi  (avendo  il
legislatore  delegato  demandato al CICR l'individuazione del termine
finale    di    validita'   ed   efficacia   delle   clausole   sulla
capitalizzazione trimestrale degli interessi passivi).
- D.Lgs. 4 agosto 1999, n. 342, art. 25, comma 3.
- Costituzione,  artt. 3, primo comma, 24, primo e secondo comma, 41,
  terzo comma, 47, primo comma, 70 e 76.
(GU n.22 del 24-5-2000 )
                        IL GIUDICE ISTRUTTORE
    Ha   pronunziato   la   seguente  ordinanza  nella  causa  civile
  n. 101/1999  r.g.  pendente  tra  Amorelli  Francesco  & C. S.a.s.,
  Amorelli  Vincenzo,  Ruocco  Angelina e Trotta Teresa, tutti difesi
  dall'avv. Ettore Borea di Sapri e domiciliati nella cancelleria del
  Tribunale  come  per  legge;  e  il Banco di Napoli S.p.a., sede di
  Salerno,  difeso  dall'avv.  Ottavio De Hippolitys e presso con lui
  elettivamente  domiciliato  in  Vallo  della  Lucania  alla  Via L.
  Rinaldi  n. 8;      In  cui,  letti  gli atti, a scioglimento della
  riserva, osserva quanto segue.
    Gli attori hanno proposto opposizione al decreto ingiuntivo n. 14
  del  4 febbraio 1999 della Pretura di Vallo della Lucania, emesso a
  favore  dell'opposto  istituto di credito, per L. 27.945.745, somma
  corrispondente  all'esposizione  debitoria alla data del 1o gennaio
  1999  sul  conto  corrente,  con  apertura  di  credito, n. 27/4519
  relativo  alla  Amorelli  Francesco  &  C. S.a.s. e in relazione al
  quale gli altri opponenti hanno prestato fidejussione.
    Tra   i   motivi   dell'opposizione  vi  e'  anche  quello  della
  illegittimita'  della  avvenuta  capitalizzazione trimestrale degli
  interessi passivi.
    L'opposto  istituto non ha negato tale circostanza, ma, assumendo
  che    la    non   contestazione   dell'estratto   conto   bancario
  periodicamente   inviato   al   cliente,  priverebbe  questi  della
  possibilita'  di  contestare  il  credito e che tale riconoscimento
  avrebbe  effetti anche nei confronti del fidejussore, ha chiesto la
  concessione  della provvisoria esecuzione del decreto ingiuntivo ai
  sensi dell'art. 648 c.p.c.
    In  primo  luogo  va  rilevato  che  la relativa richiesta appare
  ammissibile, secondo le norme del codice di rito, sebbene formulata
  all'udienza di comparizione delle parti (art. 180 c.p.c.) perche':
        1) l'art.  180 c.p.c. non esaurisce le possibili attivita' ed
  i possibili provvedimenti che possono essere eventualmente adottati
  dal su istanza delle parti;

        2) l'art.  648 c.p.c. non indica un limite temporale entro il
  quale la parte opposta deve proporre l'istanza di concessione della
  provvisoria esecuzione;
        3) si  tratta  di una pronuncia da adottare "allo stato degli
  atti",  dovendo  il  giudice  verificare  che l'opposizione non sia
  fondata  su  prova  scritta  o  di  pronta  soluzione, senza alcuna
  necessita'  di  attivita'  istruttoria  che  potrebbe  giustificare
  l'adozione  del  provvedimento  solo  all'esito  della  udienza  di
  trattazione;
        4) in   caso   contrario   occorrerebbe  ammettere  che  tale
  provvedimento sia adottabile solo dopo l'udienza di trattazione, in
  contrasto  con  la  ratio del provvedimento in oggetto che tende ad
  anticipare  e  non  a  posticipare  gli effetti della decisione sul
  merito;
        5) le  ordinanze  in  materia  di  esecuzione provvisoria del
  decreto  ingiuntivo,  invece,  si  collocano  nell'ambito di un sub
  procedimento  incidentale  svincolato  dai  tempi  e dalle fasi del
  processo ordinario;
        6) quanto  al  convenuto  (le cui difese, secondo la sentenza
  della  Corte  costituzionale  n. 65  dell'8 marzo 1996, ai fini dei
  provvedimenti che negano o accordano la provvisoria esecuzione, "si
  presentano  ontologicamente  complete  ed esaustive"), va rimarcato
  che una cosa e' il potere riconosciutogli di formulare difese anche
  in  tempi  successivi  a quello di redazione dell'atto introduttivo
  senza  incontrare  preclusioni  al riguardo, altra cosa e' ritenere
  che  fino  a  qual tempo la controparte non possa far valere i suoi
  diritti interinali.

    La  questione  di costituzionalita' che con la presente ordinanza
  si  intende  sollevare  e',  a  sua  volta,  ammissibile  anche con
  riguardo  alle  funzioni  del  giudice  istruttore, avendo la Corte
  costituzionale  da  tempo e anche recentemente (sentenza n. 204 del
  1997)  ribadito che questi, quale giudice monocratico, e' abilitato
  ad  individuare  le norme delle quali deve fare applicazione per il
  giudizio  e  a valutare se il dubbio di legittimita' costituzionale
  sia concretamente rilevante.
    Nella   specie   l'istituto  bancario  ha  esibito  gli  estratti
  periodici   di   conto   corrente   e,   ritenendo   che  ai  sensi
  dell'art. 1832  c.c.  ne' il cliente, ne' il fidejussore possa piu'
  contestarli,   ha   richiesto   la  concessione  della  provvisoria
  esecuzione del decreto.
    Le  sezioni  unite  della  Corte  di  cassazione (18 luglio 1994,
  n. 6707),  hanno affermato che l'efficacia probatoria dell'estratto
  di  saldaconto  di  cui  all'art. 102 legge bancaria e' limitata al
  procedimento  relativo  al ricorso per ingiunzione e non si estende
  al  giudizio  di  opposizione  allo  stato  passivo,  ne'  ad altro
  procedimento di cognizione, a differenza dell'estratto periodico di
  conto   corrente   che  l'articolo  1832  c.c.  assoggetta  ad  una
  particolare  disciplina  concernente  l'impugnabilita' ed il valore
  probatorio.
    In  aderenza a tale pronunzia, le sentenze delle sezioni semplici
  della  Corte  di cassazione hanno affermato che l'approvazione, sia
  pur  tacita,  dell'estratto  conto, ai sensi del 1o comma dell'art.
  1832  c.c.,  se  da  un  lato  non  preclude l'impugnabilita' della
  validita' e dell'efficacia dei rapporti obbligatori da cui derivano
  gli  accrediti e gli addebiti (e, quindi, i titoli contrattuali che
  sono  alla  loro base e che rimangono regolati dalle norme generali
  sui   contratti),  dall'altro  preclude,  invece,  qualunque  altra
  contestazione  e, in particolare, quelle concernenti la conformita'
  delle singole, concrete operazioni sottostanti ai predetti rapporti
  ed  in  tal  senso,  la  loro  legittimita' sostanziale (salva, per
  effetto  del  2o  comma  del citato art. 1832, l'impugnabilita' per
  errori,  omissioni  o  duplicazioni di carattere meramente formale:
  Cassazione,  sez.  I, 15 giugno 1995, n. 6736 e, in senso conforme,
  Cassazione  29  novembre 1994,  n. 10185;  24 maggio 1991, n. 1991;
  nonche'   Cassazione,   sez.  I,  11  marzo  1996,  n. 1978  quanto
  all'ipotesi del fidejussore che adduca la violazione della clausola
  contrattuale  che  aveva  posto  a  parametro  di riferimento degli
  interessi  ultra  legali le condizioni praticate sulla piazza dalle
  altre aziende di credito).
    A   fronte   della  esibizione  degli  estratti  conto  da  parte
  dell'istituto  bancario,  appare  ammissibile l'eccezione formulata
  dagli   opponenti,   relativa   alla   invalidita'   del   rapporto
  obbligatorio    per    quanto    attiene    alla   clausola   della
  capitalizzazione trimestrale degli interessi passivi.
    Ai  fini  della  concessione  della  provvisoria  esecuzione  del
  decreto ingiuntivo opposto (qualificata dalla dottrina come ipotesi
  di  condanna  con  riserva), l'orientamento della giurisprudenza di
  merito e' nel senso che occorre l'esistenza di una prova "adeguata"
  dei  fatti  costitutivi del diritto vantato dall'opposto, secondo i
  canoni  del giudizio ordinario di merito; tale "adeguatezza" si ha,
  o  quando  la documentazione della fase sommaria ha valore di prova
  scritta anche nel giudizio di opposizione, o quando viene integrata
  da  idonea  ulteriore  documentazione,  o,  infine,  quando  -  pur
  nell'assenza  di  prova  scritta  secondo  i  canoni  del  giudizio
  ordinario  - non vi e' stata contestazione dei fatti costitutivi da
  parte  dell'opponente  (Trib.  Roma,  7  agosto  1991,  Soc. Centro
  Servizi Forniture Lav. - Soc. Eurocomp).
    La  contestazione  in  radice  della validita' della stipulazione
  della  clausola  della  capitalizzazione  degli  interessi  passivi
  appare  fondata  ai  sensi  della  giurisprudenza  della  Corte  di
  cassazione  formatasi in materia (16 marzo 1999, n. 2374 e 30 marzo
  1999,  n. 3096)  e  quindi  impedirebbe  di considerare provato per
  intero  il  debito  degli  opponenti  e  concedere  la  provvisoria
  esecuzione,  nemmeno  parzialmente  (ove lo si ritenga possibile in
  adesione  ad  un  indirizzo,  che  sembra  divenire  prevalente dei
  giudici  di merito: cfr. tribunale Milano, 27 marzo 1991; tribunale
  Roma 7 agosto 1991 cit.; tribunale Cosenza 23 maggio 1996, Standa -
  Salumificio  Dodaro;  Pret.  Monza  13  giugno  1996  Cosmov S.n.c.
  Eurodepur)  essendo impossibile distinguere, senza ricorrere ad una
  consulenza  tecnica, individuare la parte di credito depurata dalla
  capitalizzazione trimestrale degli interessi passivi.
      Tuttavia  a  diversa  conclusione  dovrebbe giungersi in virtu'
  della  applicazione al caso in esame dell'art. 25 del d.lgs. n. 342
  del  4  agosto  1999,  di  recente intervenuto sulla materia, norma
  della  cui  legittimita'  costituzionale  invece si dubita, dal che
  deriva  che la decisione sulla costituzionalita' di questa norma e'
  senz'altro rilevante nel presente giudizio, anche in questa fase.
    La norma citata, dettata in materia di modalita' di calcolo degli
  interessi,  aggiungendo  un altro comma all'art. 120 del t.u. delle
  leggi  in  materia  bancaria (d.lgs. n. 385 del 1o settembre 1993),
  cosi' dispone:
        "2. Il  CICR stabilisce modalita' e criteri per la produzione
  di  interessi  sugli  interessi  maturati nelle operazioni poste in
  essere  nell'esercizio  dell'attivita' bancaria, prevedendo in ogni
  caso  che  nelle  operazioni  in  conto corrente sia assicurata nei
  confronti  della  clientela  la  stessa  periodicita' nel conteggio
  degli interessi sia debitori sia creditori".
    Il terzo comma dell'art. 25 prevede poi che "Le clausole relative
  alla  produzione  di  interessi sugli interessi maturati, contenuti
  nei  contratti  stipulati  anteriormente  alla  data  di entrata in
  vigore della delibera di cui al comma 2, sono valide ed efficaci e,
  dopo  di essa, debbono essere adeguate al disposto della menzionata
  delibera che stabilira' le modalita' e i tempi dell'adeguamento. In
  difetto   di   adeguamento,  le  clausole  diventano  inefficaci  e
  l'inefficacia puo' essere fatta valere solo dal cliente".
    Non  e'  discutibile che con il terzo comma la norma abbia inciso
  anche  sui  rapporti  pregressi  e  tuttora sub iudice, sancendo la
  validita'  e l'efficacia delle clausole relative alla produzione di
  interessi  sugli  interessi  maturati, contenuti nei contratti gia'
  stipulati e che la giurisprudenza aveva ritenuto nulle.
    Il   giudice  delle  leggi  ha  insegnato  che:  "il  divieto  di
  retroattivita' della legge - pur costituendo un fondamentale valore
  di civilta' giuridica e principio generale dell'ordinamento, cui il
  legislatore deve in linea di principio attenersi - non e' elevato a
  dignita' costituzionale, se si eccettua la previsione dell'articolo
  25  della  Costituzione, relativa alla legge penale. Al legislatore
  ordinario,  pertanto,  fuori  della  materia  penale non e' inibito
  emanare  norme con efficacia retroattiva, a condizione pero' che la
  reatroattivita'  trovi  adeguata  giustificazione  sul  piano della
  ragionevolezza  e  non  si  ponga  in  contrasto con altri valori e
  interessi costituzionalmente protetti.
    Tra    questi    la    giurisprudenza   costituzionale   annovera
  l'affidamento  del  cittadino  nella sicurezza giuridica che, quale
  essenziale elemento dello Stato di diritto, non puo' essere leso da
  disposizioni  retroattive  le  quali  trasmodino  in un regolamento
  irrazionale  di situazioni sostanziali fondate su leggi precedenti"
  (Corte costituzionale, sentenza n. 416/1999 in motivazione).
    Con  evidente  riferimento  ai  limiti  non  delle leggi, ma alle
  leggi,  la  Corte  evidenzia  il  ruolo primario del limite interno
  costituito   dalla   coerenza  logica  ed  ontologica  della  legge
  "sospetta" con il sistema costituzionale.
      La norma, della cui legittimita' costituzionale si dubita, pare
  non  rispettare  ne'  il  limite  della  ragionevolezza, ne' quello
  dell'affidamento  del  cittadino  nella sicurezza giuridica, ne' il
  diritto  di  difesa  e  di  azione, ne' la tutela del credito e del
  risparmio   a  fini  sociali,  finendo  per  manifestare  anche  la
  ricorrenza di un eccesso di potere legislativo.
    Sotto  il  primo profilo va rilevato che la norma "fa salve" (con
  l'uso  della  formula sono valide ed efficaci) le clausole relative
  alla   produzione  di  interessi  sugli  interessi  gia'  maturati,
  contenute  nei  contratti  stipulati  anteriormente  alla  data  di
  entrata in vigore della delibera di cui al comma 2, clausole che il
  diritto   vivente,   costituito  dalle  sentenze  di  merito  e  di
  legittimita'  (16  marzo  1999,  n. 2374 e 30 marzo 1999, n. 3096),
  aveva  qualificato  nulle,  ritenendo che esse si rifacessero ad un
  uso negoziale e non ad un uso normativo, quest'ultimo solo ritenuto
  dall'art. 1283  c.c.  validamente  derogante al principio della non
  producibilita'  di  interessi  sugli  interessi  se non dal momento
  della  domanda  giudiziale  o per effetto di convenzione posteriore
  alla loro scadenza e per un periodo non inferiore a sei mesi.
    Diversamente  da  quanto  accaduto  in  relazione  alla  legge 17
  febbraio 1994, n. 154 (in tema di fidejussione), qui il legislatore
  non  si  e'  limitato  a  dettare  una nuova regola attinente ad un
  requisito  di validita' del contratto, gia' valido secondo la legge
  del tempo in cui fu stipulato, ma ha "recuperato" nell'ambito della
  validita'  e  della efficacia contrattuale una pattuizione che tale
  non era, operando esattamente in senso opposto al caso indicato.
    A  questo  risultato il legislatore e' pervenuto non mediante una
  norma  di  interpretazione  della  legge  preesistente  (con i noti
  problemi  connessi),  ma  modificando retroattivamente il contenuto
  dell'art.  1283  c.c., sia pure senza operare formalmente su questa
  norma, o, se si preferisce, introducendo una nuova norma di diritto
  sostanziale.
    Infatti,  per effetto della nuova disposizione di cui all'art. 25
  del  d.lgs.  n. 342 del 1999, il principio derogativo all'art. 1283
  c.c.  e'  nel senso che "nel contratto di conto corrente (fino alla
  data indicata come termine ultimo di adeguamento dalla delibera del
  CIRC)  sono valide ed efficaci le clausole di anatocismo, anche per
  periodo    trimestrale,   contemporanee   alla   stipulazione   del
  contratto".
    Questa  soluzione  pare  al  giudicante  del  tutto irragionevole
  perche':
        1) modifica  il  contenuto  della  norma di cui all'art. 1283
  c.c.  a  favore  della parte contrattualmente piu' forte che opera,
  attraverso  le  c.d.  norme  bancarie  uniformi in materia di conto
  corrente di corrispondenza e servizi connessi, in una situazione di
  monopolio  quanto al contenuto giuridico dei contratti, se e' vero,
  come  emerge  dalla  comune  esperienza,  che  "l'inserimento delle
  clausole  prevedenti  la  capitalizzazione degli interessi ogni tre
  mesi  a  carico  del cliente (ed ogni anno a carico della banca) e'
  acconsentito  da  parte  dei  clienti  non in quanto siano ritenute
  conformi  a norme di diritto oggettivo gia' esistenti, ma in quanto
  comprese  nei  moduli  predisposti  dagli  istituti di credito), in
  conformita'  con  le direttive di categoria (le c.d. norme bancarie
  uniformi,  n.d.r.),  insuscettibili  di negoziazione (contratto per
  adesione,  n.d.r)  la cui sottoscrizione costituisce al tempo steso
  presupposto  indefettibile  per accedere ai servizi bancari" (Cass.
  16 marzo 1999, n. 2374); tutto cio' significa:
          a) convalidare "l'evidente disparita' di trattamento che la
  clausola  stessa  (art. 6  delle  norme  bancarie  uniformi n.d.r.)
  introduce  tra  interessi  dovuti  alla banca e interessi dovuti al
  cliente" (Cass. cit.);
          b) perpetuare,  attraverso  il  salvataggio in parte de qua
  delle  clausola  desunta  dalle  c.d. norme bancarie uniformi delle
  imprese  bancarie  italiane,  una condizione di monopolio giuridico
  che  non  poteva  essere  propria  nemmeno del preesistente mercato
  bancario  controllato,  e che men che meno puo' esserlo del mercato
  concorrenziale   del   credito   e  del  risparmio  conseguente  al
  recepimento della direttiva Cee n. 89/646;
        2) e'  in  contrasto  con  il  principio  della  "parita'  di
  trattamento"  che lo stesso art. 25, comma secondo, stabilisce come
  regola  dei rapporti tra istituti di credito e loro clienti, quanto
  al  calcolo  degli  interessi nei rapporti di conto corrente, cosi'
  implicitamente   riconoscendo  per  il  passato  l'esistenza  della
  disparita'  di  trattamento  (diversamente  non  ci  sarebbe  stato
  bisogno  della  nuova  norma),  ma,  di fatto, negando ad essa ogni
  rilevanza,  in  palese  contraddizione  con  la premessa, senza una
  plausibile  ragione  e  senza  alcun  contemperamento degli opposti
  interessi in gioco;
        3) crea una condizione di privilegio del "creditore bancario"
  rispetto  ad  ogni  altro tipo di creditore che abbia utilizzato il
  medesimo tipo di clausola;
        4) guardando   al   lato   passivo  del  rapporto,  crea  una
  condizione  di disparita' di trattamento tra il "debitore bancario"
  rispetto ad ogni altro tipo di debitore che abbia dovuto sottostare
  ad  una  clausola  identica  e  che, a differenza del primo, non ha
  limite alcuno nel chiederne la dichiarazione di nullita';
        5) opera  in  senso  opposto  alla  salvaguardia  della parte
  contrattualmente  piu'  debole in contraddizione con tale finalita'
  gia'  attuata,  in  un  tempo recente, dal legislatore nello stesso
  settore   con  la  legge  17  febbraio 1994,  n. 154  (in  tema  di
  fidejussione).

    Vi  e'  poi  lesione del principio dell'affidamento del cittadino
  nella  sicurezza giuridica se e' vero che le clausole dei contratti
  gia' stipulati, rese valide ed efficaci per il passato, non vengono
  sostituite  ex  nunc  dalla  nuova  regolamentazione, ma sottoposte
  all'obbligo  di  adeguamento  al disposto della delibera del CIRC a
  cui  e'  rimessa  la  determinazione  dei  tempi  e delle modalita'
  dell'adeguamento, quindi con il rinvio ad un tempo che e' del tutto
  incerto  e indefinito, trasferendo tali caratteri anche alla durata
  del rapporto giuridico che ne e' regolato ed alle aspettative della
  parte gia' di per se' piu' debole.
    Con  riguardo  al  diritto  di  difesa e di azione (art. 24 della
  Costituzione),  va  rilevato che se e' vero che una norma giuridica
  non  puo'  essere  compresa  separandola  dal  problema al quale ha
  inteso  rispondere  (Corte  costituzionale,  sentenza n. 207/1994),
  bisogna  convenire  che la disciplina adottata per le clausole gia'
  stipulate  non  e'  affatto satisfattiva delle pretese fatte valere
  sin  qui in giudizio dai correntisti, anzi, si oppone integralmente
  a  quelle  pretese  ed  alle  decisioni  giurisprudenziali  ad esse
  favorevoli,  con  la  conseguenza  che  il  diritto  di difesa e di
  azione, sebbene formalmente rispettato (perche' non si e' prevista,
  come  pure  si  e' fatto in materia previdenziale, l'estinzione dei
  giudizi  pendenti  in  parte  de  qua),  e'  stato  sostanzialmente
  svuotato di contenuto, in contrasto con il diritto vivente.
    La   regolamentazione  data  alle  clausole  dei  contratti  gia'
  conclusi  (o conclusi fino alla data di adozione della delibera del
  CIRC)  deroga anche al combinato disposto degli artt. 47 e 41 della
  Costituzione,  rinunziando alla funzione di controllo del credito e
  a quella di indirizzo e coordinamento a fini sociali dell'attivita'
  economica.
    Nell'ambito dell'inscindibile binomio risparmio-credito, la norma
  denunziata  sembra  incoraggiare  solo  il  secondo a discapito del
  primo:  sembra  che  si  consenta  la raccolta del risparmio (anche
  sotto  forma  di versamenti nel conto corrente) per trasformarlo in
  uno  strumento  di  utilizzazione (il credito) in cui si prevalgono
  gli  interessi  economici del sistema bancario, nella sua accezione
  di  insieme  di  imprese  produttive  di  reddito, piuttosto che la
  funzione  di  sviluppo  socio-economico  che  anche il credito deve
  assolvere ex art. 41 Cost.
    Il  tutto  senza  che  venga  operato alcun bilanciamento tra gli
  opposti   interessi   in   gioco  e,  anzi,  a  danno  della  parte
  contrattualmente  piu' debole, cosi' attuando una finalita' che non
  e'  conforme  all'art.  41  della  Costituzione  (nel  senso che e'
  conforme  a  tale norma la tutela della parte contrattualmente piu'
  debole:  Corte  costituzionale,  sen.  n. 54  del  1962 e n. 65 del
  1966).
    La  valutazione complessiva di tutti i suindicati elementi induce
  anche  a  ritenere  che  vi  sia,  come  ulteriore,  autonomo vizio
  funzionale, sebbene sempre sanzionato dal principio di uguaglianza,
  costituito  da  un  uso  distorto della potesta' legislativa sino a
  raggiungere  "una  soglia  di  evidenza  tale  da  atteggiarsi alla
  stregua  di  una  figura  per  cosi' dire sintomatica di eccesso di
  potere  e,  dunque  di  sviamento  rispetto  alle  attribuzioni che
  l'ordinamento    assegna    alla   funzione   legislativa"   (Corte
  costituzionale, sentenza n. 313 del 1995).
    Insegna   il   giudice   delle   leggi   (sent.   cit.)   che  la
  discrezionalita'  non e' correttamente esercitata quando uno o piu'
  dei valori che la norma investe appaiono cosi' sviliti da risultare
  in concreto compromessi ad esclusivo vantaggio di altri.
    Nella  specie  non  si puo' nemmeno eseguire tale confronto se e'
  vero che a fronte degli indicati valori (parita' di trattamento tra
  soggetti  in  eguali situazioni di fatto o di diritto; difesa della
  parte contrattualmente piu' debole; affidamento del cittadino nella
  sicurezza  giuridica,  diritto  di  difesa  e di azione, tutela del
  credito   e  del  risparmio  a  fini  sociali)  non  si  riesce  ad
  identificare  "l'altro  valore" di rango costituzionale in funzione
  del quale la norma e' stata emanata.
    Infine,  non  sembra che il meccanismo al quale il legislatore ha
  fatto  ricorso  sia  rispettoso  dei principi dettati in materia di
  formazione   delle  leggi  (artt.  70,  76  e  77  Cost.)  i  quali
  attribuiscono  la  funzione  legislativa  solo  al  Parlamento o al
  Governo   su   delega   del   primo   e   certo   non  ai  comitati
  interministeriali.
    Infatti  alla deliberazione del Comitato interministeriale per il
  credito ed il risparmio (CICR) e' stata demandata:
        1) la  determinazione  delle  modalita'  di adeguamento delle
  clausole;
        2) l'individuazione   del   termine  finale  del  periodo  di
  "validita' ed efficacia" delle clausole stesse.
    E'  noto  che l'emanazione del testo unico delle leggi in materia
  bancaria  e  creditizia  (d.lgs.  1o  settembre  1993,  n. 385)  e'
  avvenuta  in virtu' di legge delega del Parlamento al Governo (art.
  25  legge 19 febbraio 1992, n. 142) per cui opera il limite formale
  di ordine soggettivo in virtu' del quale l'unico organo legittimato
  ad  emanare  gli  atti  delegati  e'  il  Governo  (Presidente  del
  Consiglio  e  Ministri) e non sono consentite deleghe legislative a
  favore  di singoli Ministri ovvero di organi governativi collegiali
  distinti   dal   Consiglio   dei   Ministri,   quali   i   comitati
  interministeriali.
    Per  il  principio  della tassativita' delle competenze tracciate
  dalla  Costituzione,  si deve anche escludere che l'esercizio della
  potesta'  legislativa  delegata al Governo possa essere subdelegata
  dal Governo ad altri organi dell'esecutivo.
    Invece,  nel  caso  in esame, e' stata sub delegata al CICR - cui
  compete  l'alta  vigilanza  in  materia  di credito e la tutela del
  risparmio  ex  art.  2  t.u.  cit.  - non solo la determinazione di
  criteri  uniformi per l'indicazione dei tassi di interesse e per il
  calcolo  degli  stessi e di altri elementi, ma pur sempre incidenti
  solo  sul  contenuto  economico  del rapporto, (art. 116, 3o comma,
  t.u.), bensi' la stessa decisione in ordine al tempo della adozione
  della   delibera   e  al  periodo  entro  il  quale  deve  avvenire
  l'adeguamento,  che  attengono  invece  ai  profili  giuridici  del
  rapporto.
    In   altri  termini,  la  durata  temporale  delle  validita'  ed
  efficacia  delle  clausole sulla capitalizzazione trimestrale degli
  interessi   passivi   non  e'  stata  determinata  dal  legislatore
  delegato, ma sara' determinata dal CIRC per effetto di subdelega.
    Qui  non  si tratta di delegare una normativa regolamentare, come
  previsto  dal  comma 2 quanto alla introduzione del principio della
  parita' dei diritti in ordine alla liquidazione degli interessi nel
  contratto  di  conto corrente bancario, ma di rimettere al suddetto
  organo  la  individuazione del termine finale di operativita' della
  norma, al di fuori di qualsiasi predeterminazione, anche di massima
  (entro  e non oltre il ...) del legislatore stesso, con l'ulteriore
  effetto  di  consentire  la  stipulazione  di  contratti  di  conto
  corrente   bancario  con  clausola  coeva  di  anatocismo,  persino
  trimestrale,  anche  dopo l'entrata in vigore del d.lgs. n. 342 del
  1999 e fino alla adozione della deliberazione del CIRC.
    Non  si  tratta di una attivita' di indirizzo e coordinamento che
  tocca  direttamente  la  sola attivita' amministrativa, dispiegando
  effetti solo indiretti e mediati sull'attivita' legislativa (in tal
  senso  Corte  costituzionale  sent.  n. 474  del  1988, quanto agli
  effetti  sulla  legislazione regionale delle direttive del Comitato
  interministeriale previsto dall'art. 5 del d.P.R. n. 915 del 1982),
  ma  della  integrazione della legge stessa con l'uso della potesta'
  legislativa  e  non  della  discrezionalita'  tecnica, quest'ultima
  esercitabile  sulla scorta di una direttiva gia' presente, in tutti
  i  suoi elementi descrittivi, nella legge, che, invece, qui difetta
  di ogni indicazione di tempo e di metodo.
                              P. Q. M.
    Visto l'art. 23 della legge 11 marzo 1953, n. 87;
    Solleva  di  ufficio  la questione di legittimita' costituzionale
  dell'art.  25,  comma  3,  del  d.lgs. n. 342 del 4 agosto 1999 per
  contrasto,  nei  sensi  di  cui in motivazione, con gli articoli 3,
  primo comma; 24, primo e secondo comma; 47, primo comma e 41, terzo
  comma; 70 e 76 della Costituzione;
    Ordina  alla  Cancelleria  di  trasmettere  gli  atti  alla Corte
  costituzionale  e  di  provvedere alla notificazione della presente
  ordinanza alle parti, al Presidente del Consiglio dei Ministri e ai
  Presidenti delle due Camere del Parlamento;
     Sospende il presente giudizio.
        Vallo della Lucania, addi' 1o dicembre 1999.
                   Il giudice istruttore: De Luca
00C0430