N. 274 ORDINANZA (Atto di promovimento) 1 dicembre 1999
Ordinanza emessa il 1o dicembre 1999 dal giudice istruttore presso il tribunale di Vallo della Lucania nel procedimento civile vertente tra Amorelli Francesco & C. S.a.s. ed altri e Banco di Napoli S.p.a. Credito (Istituti di) - Interessi bancari - Clausole relative all'anatocismo contenute nei contratti stipulati anteriormente alla delibera CICR di cui all'art. 25 d.lgs. n. 342/1999 - Prevista validita' ed efficacia fino alla data di entrata in vigore di tale delibera - Irragionevolezza - Ingiustificata disparita' di trattamento fra istituti di credito e loro clienti, nonche' tra crediti "bancari" e crediti di altro tipo - Violazione del diritto di azione e di difesa - Contrasto con la tutela del credito e del risparmio a fini sociali - Eccesso di potere legislativo - Violazione dei principi in materia di formazione delle leggi (avendo il legislatore delegato demandato al CICR l'individuazione del termine finale di validita' ed efficacia delle clausole sulla capitalizzazione trimestrale degli interessi passivi). - D.Lgs. 4 agosto 1999, n. 342, art. 25, comma 3. - Costituzione, artt. 3, primo comma, 24, primo e secondo comma, 41, terzo comma, 47, primo comma, 70 e 76.(GU n.22 del 24-5-2000 )
IL GIUDICE ISTRUTTORE Ha pronunziato la seguente ordinanza nella causa civile n. 101/1999 r.g. pendente tra Amorelli Francesco & C. S.a.s., Amorelli Vincenzo, Ruocco Angelina e Trotta Teresa, tutti difesi dall'avv. Ettore Borea di Sapri e domiciliati nella cancelleria del Tribunale come per legge; e il Banco di Napoli S.p.a., sede di Salerno, difeso dall'avv. Ottavio De Hippolitys e presso con lui elettivamente domiciliato in Vallo della Lucania alla Via L. Rinaldi n. 8; In cui, letti gli atti, a scioglimento della riserva, osserva quanto segue. Gli attori hanno proposto opposizione al decreto ingiuntivo n. 14 del 4 febbraio 1999 della Pretura di Vallo della Lucania, emesso a favore dell'opposto istituto di credito, per L. 27.945.745, somma corrispondente all'esposizione debitoria alla data del 1o gennaio 1999 sul conto corrente, con apertura di credito, n. 27/4519 relativo alla Amorelli Francesco & C. S.a.s. e in relazione al quale gli altri opponenti hanno prestato fidejussione. Tra i motivi dell'opposizione vi e' anche quello della illegittimita' della avvenuta capitalizzazione trimestrale degli interessi passivi. L'opposto istituto non ha negato tale circostanza, ma, assumendo che la non contestazione dell'estratto conto bancario periodicamente inviato al cliente, priverebbe questi della possibilita' di contestare il credito e che tale riconoscimento avrebbe effetti anche nei confronti del fidejussore, ha chiesto la concessione della provvisoria esecuzione del decreto ingiuntivo ai sensi dell'art. 648 c.p.c. In primo luogo va rilevato che la relativa richiesta appare ammissibile, secondo le norme del codice di rito, sebbene formulata all'udienza di comparizione delle parti (art. 180 c.p.c.) perche': 1) l'art. 180 c.p.c. non esaurisce le possibili attivita' ed i possibili provvedimenti che possono essere eventualmente adottati dal su istanza delle parti; 2) l'art. 648 c.p.c. non indica un limite temporale entro il quale la parte opposta deve proporre l'istanza di concessione della provvisoria esecuzione; 3) si tratta di una pronuncia da adottare "allo stato degli atti", dovendo il giudice verificare che l'opposizione non sia fondata su prova scritta o di pronta soluzione, senza alcuna necessita' di attivita' istruttoria che potrebbe giustificare l'adozione del provvedimento solo all'esito della udienza di trattazione; 4) in caso contrario occorrerebbe ammettere che tale provvedimento sia adottabile solo dopo l'udienza di trattazione, in contrasto con la ratio del provvedimento in oggetto che tende ad anticipare e non a posticipare gli effetti della decisione sul merito; 5) le ordinanze in materia di esecuzione provvisoria del decreto ingiuntivo, invece, si collocano nell'ambito di un sub procedimento incidentale svincolato dai tempi e dalle fasi del processo ordinario; 6) quanto al convenuto (le cui difese, secondo la sentenza della Corte costituzionale n. 65 dell'8 marzo 1996, ai fini dei provvedimenti che negano o accordano la provvisoria esecuzione, "si presentano ontologicamente complete ed esaustive"), va rimarcato che una cosa e' il potere riconosciutogli di formulare difese anche in tempi successivi a quello di redazione dell'atto introduttivo senza incontrare preclusioni al riguardo, altra cosa e' ritenere che fino a qual tempo la controparte non possa far valere i suoi diritti interinali. La questione di costituzionalita' che con la presente ordinanza si intende sollevare e', a sua volta, ammissibile anche con riguardo alle funzioni del giudice istruttore, avendo la Corte costituzionale da tempo e anche recentemente (sentenza n. 204 del 1997) ribadito che questi, quale giudice monocratico, e' abilitato ad individuare le norme delle quali deve fare applicazione per il giudizio e a valutare se il dubbio di legittimita' costituzionale sia concretamente rilevante. Nella specie l'istituto bancario ha esibito gli estratti periodici di conto corrente e, ritenendo che ai sensi dell'art. 1832 c.c. ne' il cliente, ne' il fidejussore possa piu' contestarli, ha richiesto la concessione della provvisoria esecuzione del decreto. Le sezioni unite della Corte di cassazione (18 luglio 1994, n. 6707), hanno affermato che l'efficacia probatoria dell'estratto di saldaconto di cui all'art. 102 legge bancaria e' limitata al procedimento relativo al ricorso per ingiunzione e non si estende al giudizio di opposizione allo stato passivo, ne' ad altro procedimento di cognizione, a differenza dell'estratto periodico di conto corrente che l'articolo 1832 c.c. assoggetta ad una particolare disciplina concernente l'impugnabilita' ed il valore probatorio. In aderenza a tale pronunzia, le sentenze delle sezioni semplici della Corte di cassazione hanno affermato che l'approvazione, sia pur tacita, dell'estratto conto, ai sensi del 1o comma dell'art. 1832 c.c., se da un lato non preclude l'impugnabilita' della validita' e dell'efficacia dei rapporti obbligatori da cui derivano gli accrediti e gli addebiti (e, quindi, i titoli contrattuali che sono alla loro base e che rimangono regolati dalle norme generali sui contratti), dall'altro preclude, invece, qualunque altra contestazione e, in particolare, quelle concernenti la conformita' delle singole, concrete operazioni sottostanti ai predetti rapporti ed in tal senso, la loro legittimita' sostanziale (salva, per effetto del 2o comma del citato art. 1832, l'impugnabilita' per errori, omissioni o duplicazioni di carattere meramente formale: Cassazione, sez. I, 15 giugno 1995, n. 6736 e, in senso conforme, Cassazione 29 novembre 1994, n. 10185; 24 maggio 1991, n. 1991; nonche' Cassazione, sez. I, 11 marzo 1996, n. 1978 quanto all'ipotesi del fidejussore che adduca la violazione della clausola contrattuale che aveva posto a parametro di riferimento degli interessi ultra legali le condizioni praticate sulla piazza dalle altre aziende di credito). A fronte della esibizione degli estratti conto da parte dell'istituto bancario, appare ammissibile l'eccezione formulata dagli opponenti, relativa alla invalidita' del rapporto obbligatorio per quanto attiene alla clausola della capitalizzazione trimestrale degli interessi passivi. Ai fini della concessione della provvisoria esecuzione del decreto ingiuntivo opposto (qualificata dalla dottrina come ipotesi di condanna con riserva), l'orientamento della giurisprudenza di merito e' nel senso che occorre l'esistenza di una prova "adeguata" dei fatti costitutivi del diritto vantato dall'opposto, secondo i canoni del giudizio ordinario di merito; tale "adeguatezza" si ha, o quando la documentazione della fase sommaria ha valore di prova scritta anche nel giudizio di opposizione, o quando viene integrata da idonea ulteriore documentazione, o, infine, quando - pur nell'assenza di prova scritta secondo i canoni del giudizio ordinario - non vi e' stata contestazione dei fatti costitutivi da parte dell'opponente (Trib. Roma, 7 agosto 1991, Soc. Centro Servizi Forniture Lav. - Soc. Eurocomp). La contestazione in radice della validita' della stipulazione della clausola della capitalizzazione degli interessi passivi appare fondata ai sensi della giurisprudenza della Corte di cassazione formatasi in materia (16 marzo 1999, n. 2374 e 30 marzo 1999, n. 3096) e quindi impedirebbe di considerare provato per intero il debito degli opponenti e concedere la provvisoria esecuzione, nemmeno parzialmente (ove lo si ritenga possibile in adesione ad un indirizzo, che sembra divenire prevalente dei giudici di merito: cfr. tribunale Milano, 27 marzo 1991; tribunale Roma 7 agosto 1991 cit.; tribunale Cosenza 23 maggio 1996, Standa - Salumificio Dodaro; Pret. Monza 13 giugno 1996 Cosmov S.n.c. Eurodepur) essendo impossibile distinguere, senza ricorrere ad una consulenza tecnica, individuare la parte di credito depurata dalla capitalizzazione trimestrale degli interessi passivi. Tuttavia a diversa conclusione dovrebbe giungersi in virtu' della applicazione al caso in esame dell'art. 25 del d.lgs. n. 342 del 4 agosto 1999, di recente intervenuto sulla materia, norma della cui legittimita' costituzionale invece si dubita, dal che deriva che la decisione sulla costituzionalita' di questa norma e' senz'altro rilevante nel presente giudizio, anche in questa fase. La norma citata, dettata in materia di modalita' di calcolo degli interessi, aggiungendo un altro comma all'art. 120 del t.u. delle leggi in materia bancaria (d.lgs. n. 385 del 1o settembre 1993), cosi' dispone: "2. Il CICR stabilisce modalita' e criteri per la produzione di interessi sugli interessi maturati nelle operazioni poste in essere nell'esercizio dell'attivita' bancaria, prevedendo in ogni caso che nelle operazioni in conto corrente sia assicurata nei confronti della clientela la stessa periodicita' nel conteggio degli interessi sia debitori sia creditori". Il terzo comma dell'art. 25 prevede poi che "Le clausole relative alla produzione di interessi sugli interessi maturati, contenuti nei contratti stipulati anteriormente alla data di entrata in vigore della delibera di cui al comma 2, sono valide ed efficaci e, dopo di essa, debbono essere adeguate al disposto della menzionata delibera che stabilira' le modalita' e i tempi dell'adeguamento. In difetto di adeguamento, le clausole diventano inefficaci e l'inefficacia puo' essere fatta valere solo dal cliente". Non e' discutibile che con il terzo comma la norma abbia inciso anche sui rapporti pregressi e tuttora sub iudice, sancendo la validita' e l'efficacia delle clausole relative alla produzione di interessi sugli interessi maturati, contenuti nei contratti gia' stipulati e che la giurisprudenza aveva ritenuto nulle. Il giudice delle leggi ha insegnato che: "il divieto di retroattivita' della legge - pur costituendo un fondamentale valore di civilta' giuridica e principio generale dell'ordinamento, cui il legislatore deve in linea di principio attenersi - non e' elevato a dignita' costituzionale, se si eccettua la previsione dell'articolo 25 della Costituzione, relativa alla legge penale. Al legislatore ordinario, pertanto, fuori della materia penale non e' inibito emanare norme con efficacia retroattiva, a condizione pero' che la reatroattivita' trovi adeguata giustificazione sul piano della ragionevolezza e non si ponga in contrasto con altri valori e interessi costituzionalmente protetti. Tra questi la giurisprudenza costituzionale annovera l'affidamento del cittadino nella sicurezza giuridica che, quale essenziale elemento dello Stato di diritto, non puo' essere leso da disposizioni retroattive le quali trasmodino in un regolamento irrazionale di situazioni sostanziali fondate su leggi precedenti" (Corte costituzionale, sentenza n. 416/1999 in motivazione). Con evidente riferimento ai limiti non delle leggi, ma alle leggi, la Corte evidenzia il ruolo primario del limite interno costituito dalla coerenza logica ed ontologica della legge "sospetta" con il sistema costituzionale. La norma, della cui legittimita' costituzionale si dubita, pare non rispettare ne' il limite della ragionevolezza, ne' quello dell'affidamento del cittadino nella sicurezza giuridica, ne' il diritto di difesa e di azione, ne' la tutela del credito e del risparmio a fini sociali, finendo per manifestare anche la ricorrenza di un eccesso di potere legislativo. Sotto il primo profilo va rilevato che la norma "fa salve" (con l'uso della formula sono valide ed efficaci) le clausole relative alla produzione di interessi sugli interessi gia' maturati, contenute nei contratti stipulati anteriormente alla data di entrata in vigore della delibera di cui al comma 2, clausole che il diritto vivente, costituito dalle sentenze di merito e di legittimita' (16 marzo 1999, n. 2374 e 30 marzo 1999, n. 3096), aveva qualificato nulle, ritenendo che esse si rifacessero ad un uso negoziale e non ad un uso normativo, quest'ultimo solo ritenuto dall'art. 1283 c.c. validamente derogante al principio della non producibilita' di interessi sugli interessi se non dal momento della domanda giudiziale o per effetto di convenzione posteriore alla loro scadenza e per un periodo non inferiore a sei mesi. Diversamente da quanto accaduto in relazione alla legge 17 febbraio 1994, n. 154 (in tema di fidejussione), qui il legislatore non si e' limitato a dettare una nuova regola attinente ad un requisito di validita' del contratto, gia' valido secondo la legge del tempo in cui fu stipulato, ma ha "recuperato" nell'ambito della validita' e della efficacia contrattuale una pattuizione che tale non era, operando esattamente in senso opposto al caso indicato. A questo risultato il legislatore e' pervenuto non mediante una norma di interpretazione della legge preesistente (con i noti problemi connessi), ma modificando retroattivamente il contenuto dell'art. 1283 c.c., sia pure senza operare formalmente su questa norma, o, se si preferisce, introducendo una nuova norma di diritto sostanziale. Infatti, per effetto della nuova disposizione di cui all'art. 25 del d.lgs. n. 342 del 1999, il principio derogativo all'art. 1283 c.c. e' nel senso che "nel contratto di conto corrente (fino alla data indicata come termine ultimo di adeguamento dalla delibera del CIRC) sono valide ed efficaci le clausole di anatocismo, anche per periodo trimestrale, contemporanee alla stipulazione del contratto". Questa soluzione pare al giudicante del tutto irragionevole perche': 1) modifica il contenuto della norma di cui all'art. 1283 c.c. a favore della parte contrattualmente piu' forte che opera, attraverso le c.d. norme bancarie uniformi in materia di conto corrente di corrispondenza e servizi connessi, in una situazione di monopolio quanto al contenuto giuridico dei contratti, se e' vero, come emerge dalla comune esperienza, che "l'inserimento delle clausole prevedenti la capitalizzazione degli interessi ogni tre mesi a carico del cliente (ed ogni anno a carico della banca) e' acconsentito da parte dei clienti non in quanto siano ritenute conformi a norme di diritto oggettivo gia' esistenti, ma in quanto comprese nei moduli predisposti dagli istituti di credito), in conformita' con le direttive di categoria (le c.d. norme bancarie uniformi, n.d.r.), insuscettibili di negoziazione (contratto per adesione, n.d.r) la cui sottoscrizione costituisce al tempo steso presupposto indefettibile per accedere ai servizi bancari" (Cass. 16 marzo 1999, n. 2374); tutto cio' significa: a) convalidare "l'evidente disparita' di trattamento che la clausola stessa (art. 6 delle norme bancarie uniformi n.d.r.) introduce tra interessi dovuti alla banca e interessi dovuti al cliente" (Cass. cit.); b) perpetuare, attraverso il salvataggio in parte de qua delle clausola desunta dalle c.d. norme bancarie uniformi delle imprese bancarie italiane, una condizione di monopolio giuridico che non poteva essere propria nemmeno del preesistente mercato bancario controllato, e che men che meno puo' esserlo del mercato concorrenziale del credito e del risparmio conseguente al recepimento della direttiva Cee n. 89/646; 2) e' in contrasto con il principio della "parita' di trattamento" che lo stesso art. 25, comma secondo, stabilisce come regola dei rapporti tra istituti di credito e loro clienti, quanto al calcolo degli interessi nei rapporti di conto corrente, cosi' implicitamente riconoscendo per il passato l'esistenza della disparita' di trattamento (diversamente non ci sarebbe stato bisogno della nuova norma), ma, di fatto, negando ad essa ogni rilevanza, in palese contraddizione con la premessa, senza una plausibile ragione e senza alcun contemperamento degli opposti interessi in gioco; 3) crea una condizione di privilegio del "creditore bancario" rispetto ad ogni altro tipo di creditore che abbia utilizzato il medesimo tipo di clausola; 4) guardando al lato passivo del rapporto, crea una condizione di disparita' di trattamento tra il "debitore bancario" rispetto ad ogni altro tipo di debitore che abbia dovuto sottostare ad una clausola identica e che, a differenza del primo, non ha limite alcuno nel chiederne la dichiarazione di nullita'; 5) opera in senso opposto alla salvaguardia della parte contrattualmente piu' debole in contraddizione con tale finalita' gia' attuata, in un tempo recente, dal legislatore nello stesso settore con la legge 17 febbraio 1994, n. 154 (in tema di fidejussione). Vi e' poi lesione del principio dell'affidamento del cittadino nella sicurezza giuridica se e' vero che le clausole dei contratti gia' stipulati, rese valide ed efficaci per il passato, non vengono sostituite ex nunc dalla nuova regolamentazione, ma sottoposte all'obbligo di adeguamento al disposto della delibera del CIRC a cui e' rimessa la determinazione dei tempi e delle modalita' dell'adeguamento, quindi con il rinvio ad un tempo che e' del tutto incerto e indefinito, trasferendo tali caratteri anche alla durata del rapporto giuridico che ne e' regolato ed alle aspettative della parte gia' di per se' piu' debole. Con riguardo al diritto di difesa e di azione (art. 24 della Costituzione), va rilevato che se e' vero che una norma giuridica non puo' essere compresa separandola dal problema al quale ha inteso rispondere (Corte costituzionale, sentenza n. 207/1994), bisogna convenire che la disciplina adottata per le clausole gia' stipulate non e' affatto satisfattiva delle pretese fatte valere sin qui in giudizio dai correntisti, anzi, si oppone integralmente a quelle pretese ed alle decisioni giurisprudenziali ad esse favorevoli, con la conseguenza che il diritto di difesa e di azione, sebbene formalmente rispettato (perche' non si e' prevista, come pure si e' fatto in materia previdenziale, l'estinzione dei giudizi pendenti in parte de qua), e' stato sostanzialmente svuotato di contenuto, in contrasto con il diritto vivente. La regolamentazione data alle clausole dei contratti gia' conclusi (o conclusi fino alla data di adozione della delibera del CIRC) deroga anche al combinato disposto degli artt. 47 e 41 della Costituzione, rinunziando alla funzione di controllo del credito e a quella di indirizzo e coordinamento a fini sociali dell'attivita' economica. Nell'ambito dell'inscindibile binomio risparmio-credito, la norma denunziata sembra incoraggiare solo il secondo a discapito del primo: sembra che si consenta la raccolta del risparmio (anche sotto forma di versamenti nel conto corrente) per trasformarlo in uno strumento di utilizzazione (il credito) in cui si prevalgono gli interessi economici del sistema bancario, nella sua accezione di insieme di imprese produttive di reddito, piuttosto che la funzione di sviluppo socio-economico che anche il credito deve assolvere ex art. 41 Cost. Il tutto senza che venga operato alcun bilanciamento tra gli opposti interessi in gioco e, anzi, a danno della parte contrattualmente piu' debole, cosi' attuando una finalita' che non e' conforme all'art. 41 della Costituzione (nel senso che e' conforme a tale norma la tutela della parte contrattualmente piu' debole: Corte costituzionale, sen. n. 54 del 1962 e n. 65 del 1966). La valutazione complessiva di tutti i suindicati elementi induce anche a ritenere che vi sia, come ulteriore, autonomo vizio funzionale, sebbene sempre sanzionato dal principio di uguaglianza, costituito da un uso distorto della potesta' legislativa sino a raggiungere "una soglia di evidenza tale da atteggiarsi alla stregua di una figura per cosi' dire sintomatica di eccesso di potere e, dunque di sviamento rispetto alle attribuzioni che l'ordinamento assegna alla funzione legislativa" (Corte costituzionale, sentenza n. 313 del 1995). Insegna il giudice delle leggi (sent. cit.) che la discrezionalita' non e' correttamente esercitata quando uno o piu' dei valori che la norma investe appaiono cosi' sviliti da risultare in concreto compromessi ad esclusivo vantaggio di altri. Nella specie non si puo' nemmeno eseguire tale confronto se e' vero che a fronte degli indicati valori (parita' di trattamento tra soggetti in eguali situazioni di fatto o di diritto; difesa della parte contrattualmente piu' debole; affidamento del cittadino nella sicurezza giuridica, diritto di difesa e di azione, tutela del credito e del risparmio a fini sociali) non si riesce ad identificare "l'altro valore" di rango costituzionale in funzione del quale la norma e' stata emanata. Infine, non sembra che il meccanismo al quale il legislatore ha fatto ricorso sia rispettoso dei principi dettati in materia di formazione delle leggi (artt. 70, 76 e 77 Cost.) i quali attribuiscono la funzione legislativa solo al Parlamento o al Governo su delega del primo e certo non ai comitati interministeriali. Infatti alla deliberazione del Comitato interministeriale per il credito ed il risparmio (CICR) e' stata demandata: 1) la determinazione delle modalita' di adeguamento delle clausole; 2) l'individuazione del termine finale del periodo di "validita' ed efficacia" delle clausole stesse. E' noto che l'emanazione del testo unico delle leggi in materia bancaria e creditizia (d.lgs. 1o settembre 1993, n. 385) e' avvenuta in virtu' di legge delega del Parlamento al Governo (art. 25 legge 19 febbraio 1992, n. 142) per cui opera il limite formale di ordine soggettivo in virtu' del quale l'unico organo legittimato ad emanare gli atti delegati e' il Governo (Presidente del Consiglio e Ministri) e non sono consentite deleghe legislative a favore di singoli Ministri ovvero di organi governativi collegiali distinti dal Consiglio dei Ministri, quali i comitati interministeriali. Per il principio della tassativita' delle competenze tracciate dalla Costituzione, si deve anche escludere che l'esercizio della potesta' legislativa delegata al Governo possa essere subdelegata dal Governo ad altri organi dell'esecutivo. Invece, nel caso in esame, e' stata sub delegata al CICR - cui compete l'alta vigilanza in materia di credito e la tutela del risparmio ex art. 2 t.u. cit. - non solo la determinazione di criteri uniformi per l'indicazione dei tassi di interesse e per il calcolo degli stessi e di altri elementi, ma pur sempre incidenti solo sul contenuto economico del rapporto, (art. 116, 3o comma, t.u.), bensi' la stessa decisione in ordine al tempo della adozione della delibera e al periodo entro il quale deve avvenire l'adeguamento, che attengono invece ai profili giuridici del rapporto. In altri termini, la durata temporale delle validita' ed efficacia delle clausole sulla capitalizzazione trimestrale degli interessi passivi non e' stata determinata dal legislatore delegato, ma sara' determinata dal CIRC per effetto di subdelega. Qui non si tratta di delegare una normativa regolamentare, come previsto dal comma 2 quanto alla introduzione del principio della parita' dei diritti in ordine alla liquidazione degli interessi nel contratto di conto corrente bancario, ma di rimettere al suddetto organo la individuazione del termine finale di operativita' della norma, al di fuori di qualsiasi predeterminazione, anche di massima (entro e non oltre il ...) del legislatore stesso, con l'ulteriore effetto di consentire la stipulazione di contratti di conto corrente bancario con clausola coeva di anatocismo, persino trimestrale, anche dopo l'entrata in vigore del d.lgs. n. 342 del 1999 e fino alla adozione della deliberazione del CIRC. Non si tratta di una attivita' di indirizzo e coordinamento che tocca direttamente la sola attivita' amministrativa, dispiegando effetti solo indiretti e mediati sull'attivita' legislativa (in tal senso Corte costituzionale sent. n. 474 del 1988, quanto agli effetti sulla legislazione regionale delle direttive del Comitato interministeriale previsto dall'art. 5 del d.P.R. n. 915 del 1982), ma della integrazione della legge stessa con l'uso della potesta' legislativa e non della discrezionalita' tecnica, quest'ultima esercitabile sulla scorta di una direttiva gia' presente, in tutti i suoi elementi descrittivi, nella legge, che, invece, qui difetta di ogni indicazione di tempo e di metodo.
P. Q. M. Visto l'art. 23 della legge 11 marzo 1953, n. 87; Solleva di ufficio la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 25, comma 3, del d.lgs. n. 342 del 4 agosto 1999 per contrasto, nei sensi di cui in motivazione, con gli articoli 3, primo comma; 24, primo e secondo comma; 47, primo comma e 41, terzo comma; 70 e 76 della Costituzione; Ordina alla Cancelleria di trasmettere gli atti alla Corte costituzionale e di provvedere alla notificazione della presente ordinanza alle parti, al Presidente del Consiglio dei Ministri e ai Presidenti delle due Camere del Parlamento; Sospende il presente giudizio. Vallo della Lucania, addi' 1o dicembre 1999. Il giudice istruttore: De Luca 00C0430