N. 279 ORDINANZA (Atto di promovimento) 4 aprile 2000
Ordinanza emessa il 4 aprile 2000 dal giudice per le indagini preliminari presso il tribunale di Roma nel procedimento penale a carico di Bartolucci Armando Processo penale - Giudizio abbreviato - Modifiche normative - Richiesta da parte dell'imputato di rito abbreviato - Obbligo per il giudice di procedere in conformita' - Irragionevolezza qualora sia necessario esperire una complessa attivita' istruttoria - Contrasto con la configurazione deflattiva dell'istituto - Disparita' di trattamento rispetto a quanto previsto nel caso di richiesta subordinata ad integrazione probatoria (art. 438, comma 5, cod. proc. pen.) - Lesione del principio della finalita' rieducativa della pena per la dipendenza diretta della riduzione della pena dalla volonta' dell'imputato. - Cod. proc. pen., art. 438. - Costituzione, artt. 3 e 27, terzo comma.(GU n.23 del 31-5-2000 )
IL GIUDICE PER LE INDAGINI PRELIMINARI Nell'udienza preliminare odierna l'imputato Bartolucci Armando ha chiesto la celebrazione del giudizio col rito abbreviato ai sensi dell'art. 438, primo comma c.p.p. Il procedimento riguarda i reati di lesioni aggravate (artt. 582, 583, 585 c.p.) e di detenzione e porto illegale di arma comune da sparo (artt. 10, 12 e 14 della legge n. 497 del 1974). Esso non e' decidibile allo stato degli atti. Si tratta, infatti, di un oscuro episodio criminoso, nel quale l'agente ha attinto la vittima con tre colpi di pistola sparati di notte a brevissima distanza. Il Bartolucci ha negato l'addebito. Non sono note ne' le ragioni del fatto, ne' circostanze univoche utili ai fini della sicura identificazione dell'imputato quale autore dell'azione. Vi e', dunque, necessita' di esperire una complessa attivita' istruttoria, non dissimile da quella che sarebbe compiuta nel dibattimento. Il primo comma dell'art. 438 c.p.p. nel testo novellato sembra mostrare diversi profili d'illegittimita' costituzionale. Il giudizio abbreviato si configurava nella sua veste originaria, quale risultava anche a seguito degli interventi della Corte costituzionale, come giudizio allo stato degli atti imperniato sulla richiesta dell'imputato, sul consenso del p.m. e sulla verifica critica del giudice inerente sia alla decidibilita' del caso sia alla motivazione dell'eventuale dissenso dell'accusa. La riforma dell'art. 438 c.p.p. introdotta dalla legge n. 479 del 1999 configura un istituto completamente nuovo che si scompone in due distinte configurazioni, caratterizzate da profonde diversita'. Nella sua forma "pura", come nel caso in esame, il giudizio e' automaticamente introdotto a seguito della richiesta dell'imputato. L'accoglimento della richiesta stessa non e' piu' ancorato ad alcun presupposto: il p.m. non e' chiamato ad esprimere il consenso; il giudice non compie alcuna verifica sulla economicita' della richiesta, sulla decidibilita' allo stato degli atti. Nel caso in cui non vi siano le condizioni per decidere, il giudice stesso acquisisce le prove ritenute necessarie, assumendo un ruolo direttivo, completamente svincolato dalle richieste o solo dalle valutazioni delle parti. Pur in tale nuova configurazione, il rito abbreviato non perde del tutto il suo intrinseco connotato di procedimento fondato su ragioni di economia processuale. Infatti, e' ancora prevista la riduzione di pena nella misura di un terzo. Essa, naturalmente, non puo' essere pensata come una sorta di "autoriduzione" rimessa all'iniziativa dell'imputato, ma deve di necessita' esser vista come una diminuente premiale, attinente alla finalita' general preventiva di rapida e semplificata definizione dei giudizi. Se, tuttavia, si raffronta tale astratta e logicamente necessitata configurazione deflattiva dell'istituto con la sua concreta disciplina legislativa ci si avvede che la semplificazione e speditezza del processo rispetto all'alternativa dibattimentale sono meramente eventuali. Infatti, non potendo il giudice rifiutare in nessun caso il giudizio, e' ben possibile che, come nel caso in esame, l'abbreviato possa aver luogo anche in situazioni nelle quali le acquisizioni probatorie siano carenti ed impongano di esperire un istruzione non dissimile nella sostanza, come si e' detto, da quella che sarebbe compiuta nel dibattimento. Tale soluzione normativa appare non coerente ne' ragionevole se rapportata al teorico modello deflattivo cui s'ispira; ed inoltre conduce al trattamento uniforme di situazioni profondamente diverse. Essa, pertanto, sembra porsi in contrasto con l'art. 3 Cost. II contrasto con la richiamata norma costituzionale emerge anche sotto un altro profilo afferente al raffronto tra l'abbreviato "puro" e quello "condizionato" introdotto dal comma 5 dell'art. 438. Tale norma consente che l'imputato possa subordinare la richiesta sul rito al compimento di alcuni atti istruttori. In tale evenienza il giudice e' chiamato a valutare se sussistano le condizioni di compatibilita' con le finalita' di economia processuale proprie del rito. La formula legale non chiarisce quali siano i parametri cui rapportare la valutazione di economicita', tuttavia - considerata l'intrinseca ragione d'essere dell'isituto - e' possibile ritenere ragionevolmente che il sindacato del giudice riguardi l'entita' dell'indagine istruttoria richiesta. E' quindi compatibile col rito abbreviato un giudizio che non imponga un'istruttoria particolarmente complessa e comunque non dissimile da quella dibattimentale. Insomma, in tale configurazione condizionata l'istituto, pur avendo perso i caratteri di patteggiamento sul rito fondato sulla decidibilita' allo stato degli atti, conserva la sua natura di strumento deflattivo di semplificata definizione dei giudizi. Tale economicita' non e' meramente astratta, ma e' rapportata al concreto tenore degli atti probatori da compiere ed e' affidata alla valutazione del giudice. Tale assetto appare antitetico, a quello dell'abbreviato "puro", nel quale l'istanza di semplificazione e speditezza e' solo astratta e sottratta a qualunque strumento di verifica. L'antitesi di cui si parla e' priva di razionale giustificazione e conduce al trattamento differenziato di situazioni identiche. Infatti, nel caso in cui vi sia l'obiettiva esigenza di un'istruttoria complessa il rito sara' ammesso nell'abbreviato puro e respinto - invece - in quello condizionato. Sembra dunque appalesarsi anche sotto tale riguardo contrasto della normativa di cui al primo comma dell'art. 438 c.p.p. con l'art. 3 della Costituzione. Si tratta di un'incoerenza interna delle diverse articolazioni del giudizio abbreviato che presenta caratteristiche assai simili a quella che ha condotto alla dichiarazione d'incostituzionalita' dell'art. 247 del d.lgs. 28 luglio 1989, n. 271 (sentenza n. 66 del 1990) e dell'art. 452 c.p.p. (sentenza n. 183 del 1990). Naturalmente i plurimi, segnalati profili di contrasto con l'art. 3 della Costituzione assumono una ancor maggiore evidenza se si considera che l'opzione verso un rito o l'altro non ha solo significato processuale ma anche una forte valenza sostanziale, atteso che implica la riduzione della pena nella misura di un terzo. Proprio la valenza sostanziale, sotto il profilo sanzionatorio, del giudizio abbreviato pone in luce un ulteriore profilo di illegittimita' costituzionale dell'art. 438.1 novellato, per contrasto con l'art. 27.3 Cost. Infatti, nel nuovo assetto normativo la diminuzione di pena nella misura di un terzo discende in modo diretto ed automatico dalla volonta' dell'imputato, ed e' avulsa sia dalla negoziazione con l'accusa - sia soprattutto - dalla verifica del giudice circa la deflattivita' della richiesta, con riguardo alla complessita delle indagini da compiere. Tale meccanismo si pone in contrasto con il principio di proporzione della pena e con le finalita' rieducative espresse dall'art. 27.3 Cost. La Corte costituzionale, proprio nell'esaminare la normativa sul patteggiamento, ha affermato l'importante principio che la funzione rieducativa della sanzione penale e' operante gia' nella fase di commisurazione; e che la diminuzione dovuta alla scelta del rito, quando avulsa da una razionale ed obiettiva giustificazione, viola il principio di proporzione della pena e quindi ne vulnera la funzione rieducativa. (sentenza n. 313 del 1990). Una situazione siffatta sembra delinearsi in modo conclamato nel rito abbreviato vigente. Infatti, la diminuzione di pena discende dalla sola volonta' dell'imputato ed ha luogo anche in situazioni nelle quali, a causa della complessita' dell'istruttoria da compiere, non si concreta quella semplificazione ed accelerazione del giudizio che costituisce la ragion d'essere intrinseca dell'abbreviato e la giustificazione d'ordine generalpreventivo della diminuzione di pena che ne consegue. Insomma, ad avviso di questo giudice, la diminuzione di pena di cui si parla, perde il collegamento con dati di fatto obiettivi ed oblitera quei connotati di ragionevolezza e razionalita' della sanzione penale che costituiscono il fondamento della sua funzione rieducativa. Del resto gia' in passato la Corte costituzionale ha avuto modo di affermare che "il consenso del pubblico ministero ed il controllo del giudice costituiscono condizioni connaturate alla logica del nuovo tipo di giudizio" e che "l'adozione di questo nel caso concreto non potrebbe certo essere determinata dalla sola volonta' dell'imputato espressa in funzione dell'apprezzamento dei propri interessi di difesa" (sentenza n. 284 del 1990). Le questioni di costituzionalita' esposte hanno evidente rilevanza ai fini della decisione.
P. Q. M. Dichiara rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimita' costituzionale del primo comma dell'art. 438 c.p.p. in riferimento agli artt. 3 e 27.3 della Costituzione, nei termini di cui in premessa; Dispone la sospensione del giudizio e l'invio degli atti alla Corte costituzionale; Dispone altresi' la notificazione del presente atto al Presidente del Consiglio dei Ministri e la comunicazione ai Presidenti del Senato della Repubblica e della Camera dei deputati; Alla cancelleria per l'esecuzione. Roma, addi' 4 aprile 2000. Il giudice: Blaiotta 00C0438