N. 281 ORDINANZA (Atto di promovimento) 28 ottobre 1999

Ordinanza  emessa  il  28 ottobre 1999 dalla Corte d'appello, sezione
per  i  minorenni  di  Genova sul reclamo proposto da Ruani Sergio ed
altra
Famiglia  -  Procedimenti  di  volontaria  giurisdizione in materia -
Procedimento  limitativo della potesta' genitoriale (ex art. 333 cod.
civ.)   -   Svolgimento   -   Nomina   di  un  curatore  speciale  in
rappresentanza  del  minore  -  Mancata previsione - Contrasto con la
preminente  tutela dell'interesse del minore - Violazione dei diritti
fondamentali e del diritto di difesa di quest'ultimo.
- Cod. civ., artt. 336 e 333; cod. proc. civ., artt. 738 e 739.
- Costituzione,  artt.  2,  3, secondo comma, 24, secondo comma, 30 e
  31.
(GU n.23 del 31-5-2000 )
                         LA CORTE D'APPELLO
    Nel  procedimento  di reclamo avverso il provvedimento emesso dal
  tribunale per i minori di Genova che affidava la minore I. M. A. al
  comune  di  Davagna,  revocando  il  precedente affido al comune di
  Genova,  affinche' ne curasse il rientro presso il nucleo familiare
  del nonno materno, reclamo proposto da:
        Ruani  Sergio  e  Gualco Loredana, residenti in Genova ed ivi
  elettivamente  domiciliati  in  via  Corsica  2/3 presso l'avvocato
  Enrico  Bet  che  li  rappresenta  e  difende  per mandato in atti,
  reclamati;  e  con  l'intervento  del  procuratore  generale presso
  questa Corte.
    La Corte cosi' osserva:
        con  ricorso  per reclamo, depositato in data 27 agosto 1979,
  Ruani Sergio e Gualco Loredana, gia' collocatari della minore I. M.
  A. , impugnavano il provvedimento emesso dal tribunale per i minori
  di Genova 16-18 agosto 1999, che aveva disposto l'affidamento della
  predetta minore al comune di Davagna, perche' ne curasse il rientro
  presso il nucleo familiare del nonno materno.
    Lamentavano  i  reclamanti  che il primo giudice non aveva tenuto
  conto delle risultanze della consulenza tecnica espletata, la' dove
  si   dubitava   fortemente   dell'idoneita'  educativa  del  gruppo
  familiare  del  nonno, sottolineando, tra l'altro, la situazione di
  grave  e protratta violenza fisica e psicologica (e forse sessuale)
  attuata  da  un  componente  della  famiglia  su due fratelli della
  minore, che aveva giustificato il loro allontanamento.
    Costituitosi  il  contraddittorio  nell'ambito della procedura in
  camera  di  consiglio  ex art. 739 ss. c.p.c., B. R. (nonno materno
  della  minore)  e C. S. (moglie dello stesso) eccepivano la carenza
  di   legittimazione   dei   reclamanti   e,  sostenevano  la  piena
  adeguatezza  del  proprio nucleo familiare, chiedevano, nel merito,
  respingersi il reclamo avversario.
    All'odierna  udienza,  chiedeva  di  intervenire in adesione alle
  conclusioni  dei  reclamanti,  l'A.N.F.A.A.  Associazione Nazionale
  Famiglie  Adottive e Affidatarie, sostenendo che essi avevano agito
  nell'esclusivo   interesse   della   bambina,  che  appariva  molto
  preoccupante  il  ritorno  di  questa presso il nonno, che sembrava
  auspicabile  la  nomina di un curatore speciale della minore, quale
  "soggetto indifeso", anche dal punto di vista processuale.
    Precisava  infine  l'A.N.F.A.A.,  di  voler  essere  presente nel
  procedimento  perche'  la  minore  fosse,  nei  modi  meglio  dati,
  adeguatamente tutelata.
    Dopo  ampia  discussione  presenti i procuratori delle parti e il
  P.G. ritualmente intervenuto, la Corte riservava la decisione.
    Ritiene  questa  Corte  di  sollevare  questione  di legittimita'
  costituzionale sulla base dei seguenti
                             M o t i v i
    E'  da  alcuni  anni  ampiamente consolidata, nelle analisi della
  dottrina   e  della  giurisprudenza  piu'  attente,  una  rinnovata
  considerazione  della posizione del minore, quale soggetto titolare
  di  diritti  soggettivi  perfetti, autonomi ed azionabili, membro a
  tutti   gli   effetti   della  comunita'  sociale,  colto  nel  suo
  progressivo inserimento in essa.
    E   tale   considerazione   viene  genericamente  ricollegata  ad
  un'approfondita  lettura  dei  principi costituzionali, secondo una
  coerente linea di tendenza che dagli artt. 2 e 3 conduce agli artt.
  29, 30, 31 della Cost. tutela dei diritti fondamentali, anche nelle
  formazioni  sociali  in  cui  si  svolge la personalita', e impegno
  pubblico a rimuovere ogni ostacolo allo sviluppo della personalita'
  stessa,  sono  previsioni  che  costituiscono la chiave di volta di
  tutto  l'edificio costituzionale e si indirizzano sicuramente anche
  al  minore,  come  ad  ogni  cittadino. Su tali basi vanno pertanto
  interpretate  le  norme  che  piu'  specificamente  attengono  alla
  problematica  familiare  e  minorile: l'art. 30, impone ai genitori
  l'obbligo    di    mantenere,    educare,    istruire    la   prole
  indipendentemente  dallo  status  filiationis, assicura ogni tutela
  giuridico  sociale  ai  figli  nati  fuori del matrimonio, cura che
  siano   comunque   adempiuti   i  compiti  educativi,  in  caso  di
  incapacita'  dei genitori; l'art. 31, protegge maternita', infanzia
  e gioventu', prefigurando un incisivo programma di aiuto e sostegno
  alla famiglia, nella prospettiva, ancor piu' ampia, della creazione
  di un moderno ed adeguato sistema di sicurezza sociale.
    Viene  infine  talora sottolineato che, se termini come "minore",
  "minore  eta'" (o anche "capacita'", "incapacita'"), non acquistano
  una  posizione  centrale  nel  contesto  costituzionale,  cio'  non
  significa  certamente  scarsa considerazione verso il fanciullo, ma
  al contrario indica una chiara inversione di tendenza: di fronte ad
  un  ordinamento precostituzionale ricco (fin troppo) di riferimenti
  alla  "particolarita'"  e "specificita'" della condizione minorile,
  emerge  una  scelta a favore del fanciullo, non piu' oggetto di una
  assoluta  ed  incondizionata  volonta' degli adulti, ma sicuramente
  "persona"  alla  pari  di  ogni altro individuo. E si parla, in tal
  senso,  della  Carta costituzionale come del nucleo fondamentale di
  un vero e proprio statuto dei diritti del minore.
    Tali orientamenti costituiscono presupposto per una ricostruzione
  sistematica  del  c.d.  diritto  minorile, di tutto il complesso di
  norme  cioe'  che  attengono  direttamente  o  indirettamente  alla
  posizione del fanciullo, nella prospettiva di una tutela preminente
  del  suo  interesse  al fine di una compiuta realizzazione dei suoi
  diritti.
    Del  resto  interpretazioni  siffatte  trovano ampie ed esplicite
  conferme  del  dato  normativo:  soprattutto  dopo  la  riforma del
  diritto  familiare  del  1975,  numerose  sono  le  previsioni  che
  richiamano alla "preminente tutela dell'interesse del minore".
    Si   pensi  alla  disciplina  dell'affidamento  dei  figli  nella
  separazione  e  nel  divorzio,  ma  pure  in relazione alle ipotesi
  previste  dagli  artt.  330 e 333, c.c. (decadenza dalla potesta' e
  provvedimenti   limitativi   di  essa)  il  criterio  esclusivo  di
  riferimento  e' proprio l'interesse del minore e l'incidenza nociva
  del    comportamento   genitoriale   sullo   sviluppo   della   sua
  personalita'.
    Tuttavia  queste  enunciazioni  rischiano  di tramutarsi in vuote
  clausole  di  stile,  prive  di contenuto concreto, ove non trovino
  precisi  riscontri  in  sede processuale. Nel procedimento ex artt.
  333  e  336  c.c.  nel  quale  il  giudice  assume ogni opportuno e
  conveniente  provvedimento  per  la prole (ivi compreso l'eventuale
  allontanamento  dalla  residenza familiare) e che ha quindi effetti
  assai   rilevanti  sull'avvenire  del  fanciullo  e  sull'ulteriore
  sviluppo  della sua personalita', al minore non e' dato di stare in
  giudizio  a  mezzo  di  un curatore speciale per la tutela dei suoi
  interessi  e  neppure  e'  previsto  che egli sia obbligatoriamente
  sentito.
    Nessuno  potrebbe  contestare  che  il  minore  sia  titolare  di
  interessi  specifici,  morali  e  patrimoniali  in  relazione  alle
  pronunce  che lo riguardano, ma questi non sono certo adeguatamente
  protetti  dalla  presenza  dei  genitori  o  parenti  in  giudizio,
  potenziali   destinatari   di  provvedimenti,  come  nella  specie,
  limitativi dalla potesta'.
    Ne'   l'interesse   dei  minori  pare  sufficientemente  protetto
  dall'intervento  obbligatorio  del p.m. E' vero che tale organo, ai
  sensi  dell'art.  72, c.p.c. e 6, legge n. 1 dicembre 1970, n. 898,
  puo'   produrre   documenti,  dedurre  prove,  concludere,  nonche'
  impugnare    la   sentenza   (ma   limitatamente   agli   interessi
  "patrimoniali"  dei  figli  minori; e ci si chiede se la previsione
  sia  tassativa  o  debba  intendersi  anche  con  riferimento  agli
  interessi morali).
    In  ogni caso, com'e' evidente, il p.m. non sta' in giudizio come
  sostituto processuale dei minori (al contrario talvolta, ma solo in
  casi tassativi, agisce in tale veste: si pensi ad es. alla facolta'
  di    esercitare   l'azione   civile   nel   procedimento   penale,
  nell'interesse del danneggiato incapace).
    I  poteri  del  p.m.  non  si  ricollegano quindi ad un interesse
  specifico  e  particolare, egli opera nel processo per l'attuazione
  della  legge,  per  assicurare la legalita' nella risoluzione della
  controversia;  in  tale  veste  si  preoccupa  bensi'  della tutela
  dell'interesse  del minore, ma non sicuramente in modo esclusivo; e
  in  ogni  caso  la  difesa del fanciullo non offrirebbe le medesime
  garanzie   di   quella  esercitata  da  un  rappresentante  privato
  direttamente impegnato in tale ufficio.
    Analogamente  non  potrebbe  costituire  valida  alternativa alla
  nomina  di  un  curatore,  il potere, pur largamente officioso, del
  collegio  (nella specie un organo specializzato composto da giudici
  di carriera e da esperti del settore).
    Il   giudice   dispone   indagini  e  mezzi  di  prova,  richiede
  informazioni  e  purtuttavia,  ancora  una  volta,  tali poteri non
  possono  sostituire  la presenza in giudizio su un piano di parita'
  con   le   altre   parti  di  un  rappresentante  del  minore,  che
  adeguatamente    tuteli    l'interesse    di   questo   in   ordine
  all'affidamento e agli altri conseguenziali provvedimenti.
    (Anzi,   talora,  nella  prassi,  la  confusione  dei  ruoli:  un
  tribunale  che  e'  "giudice" e ad un tempo "difensore" del minore,
  privilegiando  un  rapporto immediato con lui, che esclude o limita
  la  posizione  di  altre  professionalita'  presenti  nel processo,
  difensori, consulenti tecnici, personale dei servizi, ha dato luogo
  a comportamenti fuorvianti, scelte di "supplenza" ecc.
    Del   resto,   com'e'   noto,   la   nomina  di  un  curatore  in
  rappresentanza  del  minore  non  e'  certo  sconosciuta  al nostro
  ordinamento. Si pensi alla situazione di conflitto di interessi tra
  genitori  e  figli  (art.  370,  u.c.  c.c.) ovvero, in ambito piu'
  specificamente  processuale, alle azioni di status e alle procedure
  di opposizione a decreto di adottabilita'.
    E'  evidente  che  i  procedimenti  volti  alla limitazione della
  potesta'  ex art. 333, c.c. presuppongono un conflitto di interessi
  tra  il  minore, che vede leso il suo diritto all'educazione e allo
  sviluppo della personalita', e i genitori ai quali si attribuiscono
  comportamenti  pregiudizievoli verso i figli (ma talora addirittura
  i  provvedimenti "convenienti" hanno finito per regolare situazioni
  di  vero  e  proprio conflitto tra genitori e figli adolescenti sui
  metodi  e contenuti educativi, imposti dai genitori stessi (vedi ad
  es.  tribunale  minorile  di  Bologna,  23 ottobre 1973, 26 ottobre
  1973, in giur. it. 1974, 1, 2, 5126).
    D'altra  parte, se e' vero che in un provvedimento come quello in
  esame  non  vi  sono  questioni di status che giustificherebbero la
  nomina  di  un  curatore  del  minore  in giudizio, va ribadito che
  possono    assumersi   provvedimenti   talmente   rilevanti   cosi'
  profondamente  incidenti  sullo  sviluppo  psico-fisico  del minore
  stesso,   come   l'allontanamento   dalla   famiglia   di  origine,
  l'istituzionalizzazione o il collocamento presso altra famiglia, da
  richiedere,   necessariamente,  la  rappresentanza  del  minore  in
  giudizio.  Ma  oggi  tale  rappresentanza sembra presupposta e piu'
  efficacemente    garantita    da    alcuni   importanti   documenti
  internazionali.
    La  convenzione sui diritti del fanciullo di New York 20 novembre
  1989, ratificata e resa esecutiva con legge 27 maggio 1991, n. 176,
  che  introduce  un vero e proprio statuto dei diritti del fanciullo
  e,  almeno  potenzialmente, dovrebbe avere profonda incidenza sugli
  ordinamenti  degli Stati contraenti (anche se purtroppo, a distanza
  di  alcuni  anni,  leggi  interne, pronunce giurisdizionali, prassi
  amministrative  sembrano  ancora largamente prescindere) ha sentito
  la  necessita'  di  ancorare  le ampie enunciazioni dei diritti del
  fanciullo  in  ogni  settore in cui si trovi ad operare, a concreti
  riscontri  processuali:  si precisa cosi', all'art. 3, che in tutte
  le  decisioni  relative ai fanciulli, di competenza dei tribunali i
  di  autorita'  amministrative,  l'interesse  superiore di essi deve
  costituire  una  considerazione  preminente,  e  a  tale principio,
  ancora  generale  astratto, si collega operativamente la previsione
  dell'art. 12, per cui al fanciullo deve essere data la possibilita'
  di   essere  ascoltato  in  ogni  procedura  che  lo  riguardi  sia
  direttamente sia tramite un rappresentante.
    Ancor  piu'  innanzi,  nella  garanzia  specifica  e concreta dei
  diritti del minore, si spinge la convenzione europea sull'esercizio
  dei  diritti  dei  minori,  Strasburgo 25 gennaio 1996: all'art. 1,
  essa prevede la necessita' di garantire "i diritti processuali" dei
  fanciulli  e  agevolarne  l'esercizio,  assumendo  che  essi  siano
  direttamente o tramite altre persone od organizzazioni informati ed
  autorizzati   a  partecipare  ai  procedimenti  giudiziari  che  li
  riguardano;  agli  artt. 4 e 9 aggiunge che il minore ha diritto di
  chiedere personalmente o tramite altre persone ed organizzazioni (e
  l'autorita'  giudiziaria  ha  diritto di provvedere anche d'ufficio
  per)    la   nomina   di   un   rappresentante   nei   procedimenti
  giurisdizionali  che lo riguardano, quando la legge nazionale priva
  i  detentori  della  facolta'  di  rappresentarlo,  a  causa  di un
  conflitto  di  interessi; ma la possibilita' di nomina viene intesa
  al  di  la' dell'ipotesi ora accennata. Infatti l'art. 5 prevede in
  ogni  caso  la  possibilita'  di  un  riconoscimento  al  minore di
  "diritti   processuali  supplementari"  che  lo  riguardano,  e  in
  particolare   il   diritto  di  chiedere  la  nomina  di  un  terzo
  rappresentante, e nei casi che lo richiedano, un avvocato.
    Sono  previsioni assai concrete ed operative, tanto che da talora
  si e' ritenuto che gia' oggi l'autorita' giudiziaria italiana possa
  nominare   un   rappresentante   del  minore  nei  giudizi  che  lo
  riguardano.
    Ritiene invece la Corte, stante l'incertezza dell'esistenza di un
  tale  potere  in  capo  all'autorita'  giudiziaria sulla base della
  vigente   legislazione,  di  sollevare  questione  di  legittimita'
  costituzionale degli artt. 336, 333, c.c. , 738, 739, c.p.c.
    E'   consapevole   che   questo   collegio   che  gia'  la  Corte
  costituzionale,   in   una  pronuncia  ormai  abbastanza  risalente
  dichiaro'  non  fondata la questione di legittimita' sollevata, con
  riferimento   alla  procedura  di  divorzio  e  separazione  per  i
  provvedimenti   di   affidamento   della   prole  (ma,  al  di  la'
  dell'indubbia differenza delle fattispecie, potrebbe venire oggi in
  considerazione  un'accresciuta  sensibilita' della problematica del
  minore e dei suoi diritti, direttamente garantiti, proprio in campo
  processuale,  dei rilevantissimi documenti internazionali cui si e'
  sopra accennato).
    Appare  dunque  non  manifestamente  infondata  la  questione  di
  legittimita'  costituzionale  degli artt. 333 c.c. (si tratta nella
  specie,  di un procedimento di limitazione o regolamentazione della
  potesta'),  336,  c.c.  (disposizione che regola tale procedimento)
  nonche' artt. 738, 739 c.p.c. (norme che disciplinano, in generale,
  le  procedure  di  volontaria  giurisdizione,  cui  pure appartiene
  quella  in  esame;  in  particolare l'art. 733, c.p.c. si riferisce
  alla  fase  del  reclamo)  la' dove non e' prevista la nomina di un
  curatore  in  rappresentanza  del  minore.  Cio'  in relazione agli
  artt. 24,  comma 2, (diritto alla difesa del soggetto), 2; 3, comma
  2;   30;  31  della  Costituzione,  (Tali  disposizioni  potrebbero
  ritenersi    indirettamente   violate,   in   quanto   la   mancata
  considerazione  del  minore,  come  parte del giudizio, inciderebbe
  negativamente  sulla  tutela  dei suoi diritti ed in particolare di
  quello  ad  uno  sviluppo  compiuto ed armonico della personalita',
  sicuramente,  seppur  implicitamente,  garantito dalle disposizioni
  stesse, come sopra indicato).
    Quanto  alla  rilevanza  della  questione,  il  collegio potrebbe
  limitarsi  a  sottolineare  che  nella presente causa, esso si deve
  pronunciare  sulla  collocazione  della  minore, senza avere chiara
  consapevolezza   dell'interesse   di   questa,   non  adeguatamente
  rappresentata  in  giudizio.  Ma  il  collegio  preferisce  fornire
  qualche  maggiore  dettaglio  in  una  fattispecie, per molti versi
  assai  significativa, cosi' da evidenziare il grave pregiudizio che
  potrebbe  subire  la bambina. Nella specie, infatti, il collegio si
  troverebbe   nella   necessita'   di   dichiarare   la  carenza  di
  legittimazione  processuale  di  collocatari  della minore, che non
  hanno alcun potere di rappresentanza dei suoi interessi. Ma neppure
  potrebbe   avere  un  siffatto  potere,  allo  stato  della  nostra
  legislazione,  con  riferimento al singolo minore, un'associazione,
  l'A.N.F.A.A.,  che pur svolge da molti anni un'attivita' proficua e
  benemerita   nel   settore   (e   si   dovrebbe   dunque  escludere
  l'ammissibilita'   del  suo  intervento).  La  conseguenza  sarebbe
  l'automatica  conferma  del  provvedimento  impugnato,  che,  pure,
  potrebbe  essere  stato  assunto,  in contrasto con l'interesse del
  minore,  ove  fosse  accertata  l'inidoneita'  del nucleo familiare
  originario (non si e' esaminato ovviamente in questa sede il merito
  della controversia).
    La  presenza  di  un  rappresentante  del minore, con facolta' di
  impugnare,  potrebbe portare all'esame di questa Corte di merito la
  complessa e delicata vicenda.
    Si   ritiene  che  dall'eventuale  accoglimento  della  questione
  discenderebbe  la  necessita',  anche nel presente procedimento, di
  nomina  di un rappresentante del minore, nei confronti del quale si
  dovrebbe disporre l'integrazione del contraddittorio (ovvero, dalla
  pronuncia  positiva  della  Corte  costituzionale,  potrebbe  forse
  conseguire la riapertura del termine per impugnare, facolta' che il
  rappresentante potrebbe esercitare).
    In  ogni  caso  la  nomina  di  un  curatore  speciale,  che  fin
  dall'inizio   del  procedimento  rappresenti  il  minore,  presenti
  istanze, produca, deduca, solleciti l'attivita' del giudice e dello
  stesso  p.m.,  sicuramente  orienterebbe  in misura ben maggiore la
  pronuncia,  nella prospettiva di una piu' sicura ed adeguata tutela
  dell'interesse del f+anciullo. Si ritiene pertanto di sospendere il
  giudizio e rimettere gli atti alla Corte costituzionale.
                              P. Q. M.
    Visto   l'art.  23  legge  n. 11  marzo  1953,  n. 87,  sollevala
  questione  di  legittimita'  costituzionale,  per  violazione degli
  artt.  24, secondo comma; 2, 3, secondo comma; 30 e 31 Cost., degli
  artt.  336  e  333  c.c.  738 e 739 c.p.c., nella parte in cui, nel
  procedimento  limitativo  della potesta' genitoriale, non prevedono
  la nomina di un curatore in rappresentanza del minore;
    Ordina  sospendersi il presente procedimento e trasmetti gli atti
  alla Corte costituzionale;
    Ordina  notificarsi la presente ordinanza alle parti in causa, al
  Presidente  del  Consiglio dei Ministri e comunicarsi ai Presidenti
  del Senato e della Camera dei deputati.
        Genova, addi' 28 ottobre 1999.
                       Il presidente: Rovelli
Il consigliere estensore: Dogliotti
00C0440