N. 144 ORDINANZA 11 - 16 maggio 2000

Ordinanza 11-16 maggio 2000
Giudizio   sull'ammissibilita'   del   ricorso   per   conflitto   di
attribuzione tra poteri dello Stato.
Processo  civile  -  Controversie in materia di lavoro - Disciplina -
Proponibilita'  delle  domande  giudiziali subordinata al decorso del
termine  per espletamento del tentativo obbligatorio di conciliazione
-  Ritenuta trasformazione di una condizione di procedibilita' in una
di proponibilita' - Ricorsi di giudici unici del lavoro del Tribunale
di Brescia, per conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato, nei
confronti  del Consiglio dei ministri, in relazione a tale disciplina
-   Asserita   limitazione  all'esercizio  del  diritto  alla  tutela
giurisdizionale,  con  violazione  delle  attribuzioni dell'autorita'
giudiziaria,   del   principio   di   ragionevolezza,  di  quelli  di
eguaglianza  e  di  buon andamento ed infine dei limiti fissati dalla
legge  delega  alla  funzione  legislativa  delegata  del  Governo  -
Richiesta  di  autorimessione,  previa  sospensione  del  giudizio di
ammissibilita'   del   conflitto,   di   questione   di  legittimita'
costituzionale  della  stessa  normativa - Delibazione preliminare di
ammissibilita' dei ricorsi - Insussistenza, sotto ogni profilo, della
materia di un conflitto - Inammissibilita' del conflitto.
- D.Lgs.  3  febbraio  1993, n. 29, art. 69, comma 3, come modificato
  dall'art.  19,  comma  4,  del d.lgs. 29 ottobre 1998, n. 387; cod.
  proc.  civ.,  art.  412-bis, terzo comma, come modificato dall'art.
  19, comma 9, del d.lgs. 29 ottobre 1998, n. 387.
- Costituzione,  artt.  3,  24,  76,  77, primo comma, 97, e 111 (nel
  nuovo testo, ex legge cost. 23 novembre 1999, n. 2); legge 11 marzo
  1953, n. 87, art. 37. Giudizio per conflitto tra poteri dello stato
  -  Legittimazione  attiva  -  Legittimazione  a ricorrere di organi
  giurisdizionali, avverso una disciplina processuale - Presupposto.
(GU n.22 del 24-5-2000 )
                       LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
  Presidente: Cesare MIRABELLI;
  Giudici:   Fernando  SANTOSUOSSO,  Massimo  VARI,  Cesare  RUPERTO,
Riccardo   CHIEPPA,   Gustavo   ZAGREBELSKY,   Valerio  ONIDA,  Carlo
MEZZANOTTE,   Fernanda  CONTRI,  Piero  Alberto  CAPOTOSTI,  Annibale
MARINI, Franco BILE, Giovanni Maria FLICK;
ha pronunciato la seguente


                              Ordinanza

nei  giudizi  di  ammissibilita' del conflitto tra poteri dello Stato
sorti   a   seguito   delle   modifiche   legislative  relative  alla
proponibilita'  delle domande giudiziali al Tribunale, in funzione di
giudice  del  lavoro, subordinatamente all'espletamento del tentativo
obbligatorio di conciliazione, promossi dal Tribunale di Brescia, con
ricorsi  depositati il 17 e il 24 gennaio 2000 ed iscritti ai nn. 141
e 143 del registro ammissibilita' conflitti.
    Udito  nella  camera  di  consiglio  del 5 aprile 2000 il giudice
relatore Cesare Ruperto.
    Ritenuto  che  il  giudice  unico  del  lavoro  del  Tribunale di
Brescia, con ordinanza emessa al di fuori di un processo il 7 gennaio
2000,  ha  sollevato conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato
nei  confronti  del Consiglio dei ministri, in relazione all'art. 69,
comma   3,   del   decreto   legislativo   3 febbraio   1993,   n. 29
(Razionalizzazione    dell'organizzazione    delle    amministrazioni
pubbliche  e  revisione  della  disciplina  in  materia  di  pubblico
impiego,  a  norma  dell'art. 2 della legge 23 ottobre 1992, n. 421),
come  modificato  dall'art. 19,  comma  4,  del  decreto  legislativo
29 ottobre   1998,   n. 387  (Ulteriori  disposizioni  integrative  e
correttive   del   decreto  legislativo  3 febbraio  1993,  n. 29,  e
successive  modificazioni,  e  del decreto legislativo 31 marzo 1998,
n. 80), nonche' all'art. 412-bis terzo comma, del codice di procedura
civile,   come   modificato   dall'art. 19,   comma  9,  del  decreto
legislativo  n. 387  del  1998,  i  quali  - la' dove condizionano, a
giudizio  del  ricorrente, la stessa proponibilita' (e non gia', come
prima  di  tali  modifiche,  la  mera  procedibilita')  delle domande
giudiziali   in   materia   di   lavoro   al   decorso   del  termine
(rispettivamente   di  novanta  e  sessanta  giorni)  dalla  data  di
proposizione   del   tentativo   obbligatorio   di   conciliazione  -
lederebbero le sue attribuzioni costituzionali di giudice del lavoro,
creando    un    ostacolo   temporale   all'esercizio   del   diritto
dell'interessato    e    rendendo   quindi   disagevole   la   tutela
giurisdizionale;
        che  ad  avviso  del ricorrente - il quale sottolinea che sul
suo  ruolo sono pendenti molte controversie instaurate dopo l'entrata
in  vigore  delle  disposizioni  contestate  - "qualsiasi limitazione
incongrua  al pieno esercizio del diritto alla tutela giurisdizionale
non  solo  determina  la violazione dell'art. 24 Costituzione, ma e',
altresi',  idonea  a  causare  anche  una  lesione delle attribuzioni
dell'Autorita'    giudiziaria,    perche'   integra   la   violazione
dell'art. 111  Costituzione,  come  oggi  formulato",  essendo  stato
peraltro  impossibile,  anche  in  astratto,  "e  mai sara' possibile
(presumibilmente)  in futuro", sollevare in via incidentale questione
di  legittimita'  costituzionale  delle  richiamate  norme,  "che non
eliminano  la  tutela  giurisdizionale,  ma solo ne rendono possibile
l'esercizio   dopo  il  decorso  del  termine  legale  che  determina
l'espletamento del tentativo obbligatorio di conciliazione";
        che,  in  conseguenza, dette disposizioni di legge sarebbero:
a)  viziate  da difetto di competenza del Consiglio dei ministri, per
violazione  degli  artt. 76  e  77,  primo comma, della Costituzione,
avendo il Governo "esercitato la funzione legislativa oltre i limiti,
criteri  e  principi  -  valutati nel loro complesso, come risultanti
dall'insieme delle relative norme delle leggi n. 421 del 1992 e n. 59
del  1997 - fissati nella delega, non rispettando il criterio che gli
imponeva  di  regolare  il tentativo obbligatorio quale condizione di
procedibilita' e non di proponibilita'"; b) lesive dell'art. 24 della
Costituzione,  in  quanto, "a fronte di una scelta legislativa che ha
regolato  il  processo  del  lavoro  in  modo  tale  da  imporre  (o,
quantomeno,  consentire) la definizione del giudizio entro un termine
fisiologico  di  circa  sessanta  giorni  dalla data del deposito del
ricorso, l'imposizione del decorso del termine legale di espletamento
del  tentativo  di conciliazione, fissato in sessanta/novanta giorni,
ai  fini  della proponibilita' della domanda giudiziale, si pone come
abnormemente  defatigatorio  e  lo  sarebbe,  comunque,  anche  se il
termine  fosse di un solo giorno, perche' evidentemente incompatibile
con   le   regole   processuali  dirette  a  determinare  una  rapida
definizione  delle  cause  dinanzi  al giudice del lavoro"; c) lesive
dell'art. 111  della  Costituzione, come modificato dall'art. 1 della
legge  costituzionale  23 novembre 1999, n. 2, "essendo palese che la
decisione  di rendere piu' difficile il ricorso al giudice del lavoro
[...]  e'  causa  idonea  a  determinare una irragionevole durata del
processo",  ancor  piu'  grave  nel  caso  di proposizione di domande
riconvenzionali;  d)  lesive dell'art. 3 della Costituzione, sotto il
profilo della ragionevolezza, in quanto, mentre "non risultano idonee
a  rendere  piu' efficace il tentativo di conciliazione obbligatorio,
quale  strumento  deflazionistico  del contenzioso giudiziario [...],
sicuramente  creano  un ostacolo temporale all'esercizio del diritto,
rendendo  disagevole  la tutela giurisdizionale, in danno della parte
piu'  debole  e,  comunque,  di  quella  piu' interessata alla rapida
definizione della controversia dinanzi al giudice del lavoro";
        che,   inoltre,  il  ricorrente  denuncia  il  solo  comma  3
dell'art. 69  del  decreto  legislativo n. 29 del 1993, per ulteriore
violazione:  a)  del  principio  di  uguaglianza, per l'irragionevole
diversita'  del  termine  di  attesa  onde  poter  agire in giudizio,
previsto nei confronti dei dipendenti delle pubbliche amministrazioni
(novanta  giorni),  rispetto  a  quello previsto per i lavoratori del
settore    privato   (sessanta   giorni);   b)   dell'art. 97   della
Costituzione,   per  la  conseguente  incomprensibile  situazione  di
vantaggio  della  pubblica  amministrazione, comunque garantita nella
sua incapacita' di operare in termini di rapidita' ed efficienza;
        che, in via pregiudiziale, il ricorrente solleva questione di
legittimita'  costituzionale:  a)  dell'art. 69, comma 3, del decreto
legislativo  3 febbraio 1993, n. 29, come modificato dall'art. 19 del
decreto     legislativo     29 ottobre    1998,    n. 387,    nonche'
dell'art. 412-bis  terzo  comma, del codice di procedura civile, come
modificato  dallo  stesso  art. 19 del decreto legislativo n. 387 del
1998,  per  violazione degli artt. 3, 24, 76, 77, primo comma, e 111,
primo e secondo comma, della Costituzione; b) del solo art. 69, comma
3,   del   decreto   legislativo  n. 29  del  1993,  come  modificato
dall'art. 19  del decreto legislativo n. 387 del 1998, per violazione
degli artt. 3 e 97 della Costituzione;
        che,  pertanto,  chiede  a  questa  Corte  di  sospendere  il
giudizio  di ammissibilita' del ricorso per conflitto di attribuzioni
e   di   rimettere  davanti  a  se'  la  questione  pregiudizialmente
sollevata;
        che,  con  ordinanza del 13 gennaio 2000, anch'essa emessa al
di fuori di un processo, altri Giudici unici del lavoro del Tribunale
di  Brescia  hanno  proposto  -  in  via  adesiva al precedente e con
motivazioni sostanzialmente identiche - conflitto di attribuzioni tra
poteri  dello  Stato,  nei  confronti  del Consiglio dei ministri, in
relazione   alle   stesse  norme,  spiegando  le  stesse  conclusioni
pregiudiziali  e  di  merito,  poi  ribadite  unitamente  da  tutti i
ricorrenti   in   un'ulteriore  ordinanza  "integrativa",  emessa  il
10 febbraio 2000.
    Considerato  che  i  ricorsi sono stati proposti da magistrati di
uno   stesso   ufficio  giudiziario,  in  riferimento  alle  medesime
disposizioni  di legge e sulla base di considerazioni sostanzialmente
identiche,   per   cui   i  relativi  procedimenti  vanno  riuniti  e
congiuntamente decisi;
        che,  nella presente fase del giudizio, a norma dell'art. 37,
terzo  e quarto comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, questa Corte
e'   chiamata   a   deliberare   in   camera  di  consiglio  e  senza
contraddittorio sull'ammissibilita' dei ricorsi, accertando se esiste
-  nel  concorso dei requisiti soggettivi e oggettivi prescritti - la
materia   di   un  conflitto  la  cui  risoluzione  spetti  alla  sua
competenza;
        che  altro conflitto del tutto analogo quanto a motivazioni e
petitum  proposto dall'allora pretore del lavoro presso la Pretura di
Brescia,  e'  stato dichiarato inammissibile con ordinanza n. 398 del
1999 (che gli odierni ricorrenti fanno mostra di ignorare);
        che,  in  detta  occasione,  la  Corte  ha  affermato  che  i
censurati art. 69, comma 3, del decreto legislativo n. 29 del 1993 ed
art. 412-bis  terzo comma, cod. proc. civ. "sono palesemente inidonei
per   il   loro  contenuto  a  ledere  la  sfera  delle  attribuzioni
costituzionali  del  giudice,  recando  una  disciplina  che riguarda
unicamente   le   modalita'   di  esercizio  dell'azione  e,  dunque,
interessando   solo   il  diritto  di  difesa  delle  parti  (la  cui
prospettata  violazione  viene  a  torto assunta come necessariamente
menomativa di tali attribuzioni)";
        che,  all'evidenza, la validita' dell'affermazione non rimane
scalfita   dal   riferimento  fatto  nei  due  ricorsi  ad  ulteriori
parametri,   come   gli  artt. 97  e  111,  nel  nuovo  testo,  della
Costituzione, non evocati in quel giudizio;
        che va ancora una volta osservato come - invece di sollevare,
nelle cause instaurate davanti a loro, dopo l'entrata in vigore delle
norme  impugnate,  l'incidente  di  costituzionalita'  (di cui certo,
contrariamente  a  quanto  essi  affermano,  non  puo'  escludersi la
promuovibilita'  in  concreto)  - i Giudici del Tribunale di Brescia,
attraverso  la impropria utilizzazione del conflitto di attribuzione,
tendano   ad   ottenere   per   via  indiretta  una  declaratoria  di
illegittimita'  costituzionale  delle norme stesse, svincolandola dal
necessario contesto processuale;
        che,   inoltre,   la   legittimazione   di   ciascun   organo
giurisdizionale  ad  esser  parte  di  un  conflitto  che  si  assume
originato  da una determinata disciplina processuale, presuppone - in
ragione  del  carattere diffuso che connota il potere di cui l'organo
medesimo  e'  espressione  -  che  esso sia attualmente investito del
processo,  in  relazione  al  quale  soltanto  i  singoli  giudici si
configurano  come  "organi competenti a dichiarare definitivamente la
volonta'  del  potere cui appartengano", a' sensi dell'art. 37, primo
comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87;
        che,   pertanto,   entrambi  i  ricorsi  sono  inammissibili,
mancando sotto ogni profilo "la materia di un conflitto".
                          Per questi motivi

                       LA CORTE COSTITUZIONALE
    Riuniti  i giudizi, dichiara inammissibili, ai sensi dell'art. 37
della  legge  11 marzo  1953,  n. 87, i conflitti di attribuzione tra
poteri  dello  Stato, proposti da giudici del lavoro del tribunale di
Brescia  nei  confronti  del  Consiglio  dei  ministri  con i ricorsi
indicati in epigrafe.
    Cosi'  deciso  in  Roma,  nella  sede della Corte costituzionale,
Palazzo della Consulta, l'11 maggio 2000.
                      Il Presidente: Mirabelli
                        Il redattore: Ruperto
                      Il cancelliere: Di Paola
    Depositata in cancelleria il 16 maggio 2000.
              Il direttore della cancelleria: Di Paola
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