N. 24 RICORSO PER CONFLITTO DI ATTRIBUZIONE 22 maggio 2000

Ricorso per conflitto di attribuzione depositato in cancelleria il 22
maggio 2000 (della regione Puglia)

Acque pubbliche - Decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri 9
marzo  2000,  recante  "Definizione  dei criteri di privatizzazione e
delle  modalita'  di  dismissione  dell'Acquedotto pugliese S.p.a." -
Previsione   dell'alienazione   del   predetto  Acquedotto,  mediante
trattativa  privata,  all'ENEL  S.p.a. - Mancata riserva alla Regione
Puglia  di  quota  di partecipazione azionaria alla S.p.a. Acquedotto
pugliese  -  Lamentata  esclusione  della Regione Puglia da qualsiasi
forma  di  partecipazione  o  consultazione  alla  trattativa  per la
dismissione dell'Acquedotto stesso - Violazione dei principi di leale
collaborazione,  di  imparzialita'  e  buon andamento della p.a. e di
coordinamento  ed  indirizzo  a fini sociali dell'attivita' economica
pubblica  e  privata - Lesione della sfera di competenza regionale in
materia di acquedotti.
- D.P.C.M. 9 marzo 2000.
- Costituzione, artt. 3, 5, 41, 97, 117 e 118.
(GU n.32 del 2-8-2000 )
    Ricorso  per  conflitto  di attribuzioni della regione Puglia, in
  persona  del presidente pro-tempore prof. Salvatore Distaso, giusta
  delibera  della giunta regionale n. 457 dell'11 aprile 2000, difesa
  e  rappresentata  dal  prof.  avv.  Vincenzo  Caputi Jambrenghi per
  mandato  a  margine  e con lui elettivamente domiciliata in Roma al
  piazzale della Marina, n. 1, presso l'avv. Marco Di Paola;
    Contro   il   Presidente   del   Consiglio   dei   Ministri   per
  l'annullamento in sede di risoluzione di conflitto di attribuzioni,
  del decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri 9 marzo 2000,
  pubblicato  in  G.U.  n. 62 del 15 marzo 2000, recante "Definizione
  dei  criteri  di  privatizzazione  e delle modalita' di dismissione
  dell'Acquedotto pugliese S.p.a.";

                              Premessa
    1. - L'Ente autonomo per l'acquedotto publiese e' stato istituito
  con  legge  n. 245  del  1902  sotto  forma  di  consorzio tra enti
  territoriali,  trasformato  dal  regio  decreto  19  ottobre  1919,
  n. 2060 in ente pubblico strumentale diretto a realizzare finalita'
  ed  interessi assunti dallo Stato ed infine annoverato tra gli enti
  pubblici non economici c.d. parastatali ex lege n. 70/1975.
    2.  - E' noto che nella materia acquedottistica sussiste ex artt.
  117  e  118 una competenza regionale per l'esercizio della funzione
  legislativa  e  di  quella  amministrativa.  In  applicazione delle
  ridette  norme  costituzionali  in questione la regione ricorrente,
  all'art. 4  del  suo  statuto,  si  e' riservata l'attuazione delle
  "iniziative    necessarie    all'approvvigionamento    idrico   del
  territorio"; inoltre, la legge regionale 19 dicembre 1983, n. 24 ha
  previsto che "La regione assicura le risorse idriche idonee per gli
  usi plurimi nell'ambito delle politiche di corretto e razionale uso
  dell'acqua".
    3.  -  Ovviamente  la  qualificazione giuridica dell'E.A.A.P. non
  influisce  in  alcun  modo  sull'attribuzione  della competenza per
  materia  riservata  alla  regione  Puglia dalla norma fondamentale:
  tanto  e'  vero  che  proprio  l'art. 35  della  legge  n. 70/1975,
  nell'annoverare  l'acquedotto  pugliese  tra  gli enti pubblici del
  "parastato",   lascia   "fermi   ...   i  poteri  di  costituzione,
  soppressione  e  fusione  degli  enti  pubblici  (...del parastato)
  operanti  nelle  materie  attribuite  alla competenza delle regioni
  secondo l'art. 117 della Costituzione".
    Il  richiamo  alla  materia  elencata  e  non  alla  personalita'
  giuridica  dell'ente  (statale o regionale) evidenzia l'inefficacia
  della  contrapposizione  della  natura non regionale dell'ente alla
  tesi   regionalista   della   prevalenza   della   funzione   sulla
  soggettivita', tesi fondata proprio sulla materia acquedottistica.
    4.  -  Sicche'  all'interno  del  primo  testo  normativo che - a
  seguito dell'entrata in vigore della Costituzione repubblicana - si
  sia  occupato  di  ridefinire la natura giuridica dell'E.A.A.P., la
  legge  n. 70/1975,  vi e' una previsione all'art. 35, che ribadisce
  espressamente  il  principio  della  soggezione  alla  legislazione
  regionale di tutti quegli enti, pur se parastatali, che svolgono la
  loro attivita' nelle materie elencate all'art. 117 Cost.
    5. - Anche la legge n. 36 del 5 gennaio 1994 riserva alle regioni
  la   determinazione  degli  ambiti  territoriali  ottimali  per  la
  gestione   dei  servizi  idrici  integrati.  La  centralita'  della
  conseguente  posizione attribuita nella materia ad una regione come
  quella  ricorrente  da  una  norma  di  legge che si definisce come
  direttamente  attuativa dei precetti costituzionali nella specifica
  materia  delle  acque  e  degli  acquedotti,  e'  stata  totalmente
  ignorata  dal legislatore delegato e dalla Presidenza del Consiglio
  dei Ministri.
    6. - In particolare e' accaduto che:
        a) con  il  decreto  legislativo  11  maggio 1999, n. 141, il
  Presidente   della   Repubblica   ha   sancito   la  trasformazione
  dell'E.A.A.P.  in  societa'  per  azioni, attribuendo le stesse "al
  Ministero   del   tesoro,   del  bilancio  e  della  programmazione
  economica,  che  esercita  i diritti dell'azionista d'intesa con il
  Ministro  dei  lavori  pubblici,  sulla  base  delle  direttive del
  Presidente   del   Consiglio  dei  Ministri",  cioe'  omettendo  di
  conferire alla regione Puglia alcuna attribuzione specifica in sede
  di  costituzione,  amministrazione e gestione della societa'. Si fa
  unicamente   salva,  infatti,  la  previsione  relativa  al  "primo
  esercizio   dell'organo   di  amministrazione"  che  e'  "tenuto  a
  presentare   al   Ministero   del  tesoro,  del  bilancio  e  della
  programmazione  economica  un  piano  per  la ristrutturazione e il
  risanamento  della societa', da approvare sentite le regioni Puglia
  e Basilicata";
        b) con  decreto  n. 119979 del 10 giugno 1999 il Ministro del
  tesoro  ha  convocato  la  prima  assemblea della S.p.a. Acquedotto
  pugliese  con approvazione dello statuto e con successiva nomina di
  un amministratore unico - l'originario commissario straordinario di
  nomina  ministeriale,  avv.  Lorenzo  Pallesi - titolare di tutti i
  poteri  di  amministrazione  e  gestione  dell'ente  costituito  in
  S.p.a.;
        c) entrambi i decreti suddetti sono stati impugnati innanzi a
  codesta  ecc.ma  Corte costituzionale dalla concludente (il decreto
  legislativo  per  illegittimita'  diretta,  l'atto  di approvazione
  dello  statuto  per  conflitto  di  attribuzione,  giudizi entrambi
  tuttora pendenti) inopinatamente pretermessa dallo Stato nella fase
  di  privatizzazione  dell'E.A.A.P.  (fatta  eccezione per il parere
  richiesto   alla   regione   Puglia   in   merito   al   "piano  di
  ristrutturazione   e   risanamento"  che  deve  essere  predisposto
  dall'organo   amministrativo  durante  "il  primo  esercizio  della
  societa'")  pur  se  titolare  del potere legislativo in materia di
  acquedotti,  gestore  ex  lege  di  tutte  le  opere  idrauliche  e
  promotore del servizio idrico integrato, ecc.;
        d) in  quei giudizi si e' costituita l'Avvocatura dello Stato
  per  la  Presidenza  del Consiglio dei Ministri propugnando la tesi
  della   separazione   tra  proprieta'  dell'ente,  appartenente  al
  Ministero  del  tesoro in quanto ricompreso nel c.d. "parastato" ex
  lege n. 70/1975, e gestione dell'attivita' acquedottistica che - si
  riconosce  ex adverso - non potrebbe che essere esercitata sotto la
  guida  delle  regioni  Puglia  e  Basilicata  (poiche' l'acquedotto
  pugliese serve anche il territorio di quest'ultima regione);
        e) tuttavia   l'Acquedotto   S.p.a.   ha   subito   un  nuovo
  "intervento"  dello  Stato  che,  con il decreto del Presidente del
  Consiglio  dei  Ministri 9 marzo 2000 oggetto del presente gravame,
  accantonata  repentinamente  la prospettiva del risanamento e della
  ristrutturazione    dell'ente    pur    espressamente   contemplata
  all'art. 1,  comma  5,  del  decreto  legislativo  n. 141/1991,  ha
  individuato  le  "modalita' di dismissione dell'Acquedotto pugliese
  S.p.a."  nel  senso  che  ha  gia'  determinato la sua cessione per
  affidamento     diretto     all'ENEL     S.p.a.,    "alienazione...
  sospensivamente  condizionata  alla  determinazione  definitiva del
  capitale  ai sensi dell'art. 3, comma 4, del decreto legislativo 11
  maggio 1999, n. 141".
    Senonche'  il  decreto  del Presidente del Consiglio dei Ministri
  2000 merita di essere annullato per i seguenti

                               Motivi
    Violazione  della Costituzione repubblicana: artt. 117 e 118, 5 e
  97  e  del  principio  di  leale collaborazione tra Stato e regione
  (anche con riferimento alla violazione di un accordo di programma);
  inoltre dell'art. 41. Violazione dell'art. 3 Cost.
    A) Si  e'  gia'  accennato  che  tutti  gli  enti acquedottistici
  dislocati   sul  territorio  nazionale,  siano  essi  "regionali  o
  interregionali  istituiti  con  legge  regionale o statale" debbono
  essere  "trasformati  in societa' per azioni" ai sensi dell'art. 1,
  comma 83, della legge 28 dicembre 1995, n. 549.
    Senonche',  l'art. 89,  comma 1, lettera a), della legge 31 marzo
  1998,  n. 112 ha trasferito alle regioni tutte le funzioni relative
  "alla   progettazione,   realizzazione   e   gestione  delle  opere
  idrauliche  di qualsiasi natura", ha ribadito il potere legislativo
  delle  regioni in subiecta materia (art. 2, comma 2: "Nelle materie
  oggetto  di  conferimento,  le regioni e gli enti locali esercitano
  funzioni  legislative  o  normative ai sensi e nei limiti stabiliti
  dall'art. 2 della legge n. 59/1997"), chiarendo che "in nessun caso
  le   norme   del   presente   decreto  legislativo  possono  essere
  interpretate  nel  senso  dell'attribuzione  allo  Stato,  alle sue
  amministrazioni  o ad enti pubblici nazionali, di funzioni, compiti
  e  compiti trasferiti, delegati o comunque attribuiti alle regioni,
  agli  enti  locali  e  alle autonomie funzionali dalle disposizioni
  vigenti  alla  data  di  entrata  in  vigore  del  presente decreto
  legislativo".
    Ancor  prima,  la legge 5 gennaio 1994, n. 36 aveva affidato alle
  regioni il compito di individuare "le forme e modi di cooperazione"
  affinche'   comuni  e  province  provvedessero  alla  gestione  del
  servizio    idrico   integrato   tramite   convenzioni   (ex   lege
  n. 142/1990).  Inoltre,  nei confronti degli enti di gestione degli
  impianti  acquedottistici  gia'  esistenti  alla data di entrata in
  vigore della medesima legge 1994, n. 36, si prevede la prosecuzione
  della  gestione  sino  all'approvazione  delle  norme  regionali di
  organizzazione del servizio idrico e, in caso di scioglimento degli
  stessi  (art.  10,  comma  2, legge n. 36/1994), la loro confluenza
  "nel  soggetto  gestore  del  servizio idrico integrato, secondo le
  modalita' e le forme stabilite nella convenzione".
    B) Sicche'  nella  fase  di  trasformazione  in S.p.a. degli enti
  acquedottistici  non  puo' essere in alcun modo trascurato il ruolo
  esercitato  dalle  regioni,  nella veste di titolari ex articoli 5,
  117 e 118 della Costituzione repubblicana del potere legislativo in
  materia   di   acquedotti  enti  pubblici  territoriali  dotati  di
  autonomia  costituzionalmente  garantita  che  si  configurano come
  gestori  ex  lege  di  tutte  le opere idrauliche (art. 89, 1 comma
  lettera   a),   decreto  legislativo  n. 112/1998),  promotori  del
  servizio  idrico  integrato (legge n. 36/1994) e, piu' in generale,
  affidatari  di  "tutte  le  funzioni e i compiti relativi alla cura
  degli  interessi  e alla promozione dello sviluppo delle rispettive
  comunita'" (art. 1, comma 2, legge n. 59/1997).
    C) Conferma  siffatta  attribuzione  la legge n. 36 del 1994 che,
  nell'assegnare     con    norma    recante    principio    generale
  dell'ordinamento  e  costituente riforma economico-sociale - dunque
  una  norma  non  modificabile  per  implicito  da  leggi  o decreti
  successivi  -  il  ruolo  della  regione  in  riferimento  al  tema
  acquedottistico  nazionale,  ha  ribadito da un lato la centralita'
  delle  regioni  stesse,  dall'altro  il  riparto in appositi ambiti
  ottimali  del  territorio servito dagli acquedotti da individuare a
  cura delle regioni competenti.
    C.1 La regione Puglia sottolinea come essa tragga dalla normativa
  qui  richiamata  una particolare e pregnante legittimazione essendo
  la  principale  portatrice degli interessi della popolazione che la
  costituisce, servita dal piu' grande acquedotto d'Europa. Il quadro
  nel  quale  si  colloca  costituzionalmente  protetta  la posizione
  giuridica  della  ricorrente  e',  come  si  e'  appena illustrato,
  disegnato dalle norme di cui agli articoli 5 e 117 e 118 Cost.
    In   altri  termini  la  concludente  -  nella  sua  qualita'  di
  interlocutore  necessario dello Stato nella fase di privatizzazione
  dell'Acquedotto  pugliese  -  da  un  lato  avrebbe  dovuto  essere
  destinataria  di una quota delle azioni della S.p.a. si' da poterne
  tutelare  lo  sviluppo  e verificarne la correttezza nella gestione
  dal  suo interno anche ai fini previsti, con riferimento ai servizi
  pubblici  essenziali, dagli artt. 2 e 3 della legge 30 luglio 1994,
  n. 474  (in  sostanza, possibilita' per Stato o enti di riferimento
  di conservare una anche modesta partecipazione azionaria al fine di
  garantirsi un diritto di intervento sulle scelte fondamentali della
  nuova  S.p.a.  erogatrice  di  un  pregnante  servizio  di pubblico
  interesse). La riserva di una quota di capitale in favore dell'ente
  territoriale  e' del resto solitamente attuata dalla Presidenza del
  Consiglio dei Ministri nella privatizzazione dei soggetti esercenti
  i  ridetti  servizi essenziali, come dimostra la fattispecie di cui
  al  decreto  del  Presidente del Consiglio dei Ministri 25 febbraio
  1999  che  ha  disposto l'alienazione attraverso la procedura della
  trattativa  diretta  della  partecipazione azionaria indirettamente
  detenuta   dallo   Stato   nella  Aeroporti  di  Roma  S.p.a.,  con
  pubblicazione di un bando e reale interpello del mercato, con il 3%
  della  partecipazione  societaria riservata in opzione alla regione
  Lazio, alla provincia di Roma ed al comune di Fiumicino e con il 2%
  riservato agli enti e le aziende pubbliche.
    Che  tale  orientamento  sia stato abbandonato dal Presidente del
  Consiglio  nel caso di specie appare del tutto inspiegabile, visto,
  da  un  lato,  il  quadro  complessivo dell'ordinamento soprattutto
  costituzionale  in  materia  acquedottistica  appena  tratteggiato;
  dall'altro  la  situazione  peculiare dell'Acquedotto pugliese che,
  essendo  il  piu'  grande  acquedotto  d'Europa  a  servizio di due
  regioni del meridione d'Italia, certamente e' destinato ad agire in
  regime  monopolistico  per i prossimi decenni, cio' che rende ancor
  piu'  necessaria  l'istituzione  di  un legame diretto con gli enti
  territoriali  di  riferimento  (le regioni Puglia e Basilicata). Si
  censura,  pertanto,  il  decreto  del  Presidente del Consiglio dei
  Minsitri  che ha creato il conflitto di attribuzione con la regione
  istante,  pertanto,  anzitutto  per  disparita' di trattamento, con
  riferimento  all'art. 3  della  Costituzione,  per violazione degli
  artt. 117  e  118 della Costituzione e per violazione del principio
  di  correttezza e imparzialita' dell'azione amministrativa (art. 97
  Cost.).
    C.2   Del   resto,   la  stessa  concludente  avrebbe  certamente
  partecipato   -   costituendo  una  societa'  a  capitale  pubblico
  minoritario  con imprenditori privati - alla trattativa diretta che
  la   Presidenza   del  Consiglio  dei  Ministri  per  l'alienazione
  dell'Acquedotto  se solo la stessa, pur enunciata nelle premesse al
  decreto  del Presidente del Consiglio dei Ministri, si fosse svolta
  in  realta'  ai  sensi  dell'art.  1,  comma  2  e  3,  della legge
  n. 474/1994  e,  quel  che  rileva in questa sede, nel rispetto dei
  precetti contenuti nell'art. 41 della Costituzione.
    La   violazione   di  tale  norma  costituzionale  e',  pertanto,
  lampante, poiche' si e' preclusa alla regione Puglia di partecipare
  - dopo aver assunto le vesti della societa' a capitale misto - alla
  procedura per l'acquisizione dell'Acquedotto pugliese S.p.a.
    C.3  Infine,  la regione e' legittimata al presente ricorso anche
  per    essere    stata    conculcata    nella    sua   attribuzione
  partecipativa-consultiva  prima  che si procedesse alla alienazione
  dell'Acquedotto  S.p.a.,  tale  consultazione essendo espressamente
  prevista  sia  dall'accordo  di programma stipulato con il Ministro
  dei  lavori  pubblici il 5 agosto 1999, sia dal decreto legislativo
  n. 114/1999 (art. 1, comma 5), come ci si accinge ad illustrare.
    D) Nonostante   siffatta   peculiarita'  di  posizione  giuridica
  proprio e soltanto sulla regione Puglia il potere regolamentate del
  Presidente  del  Consiglio dei Ministri si e' esercitato pervenendo
  alla demolizione arbitraria di un tratto dell'ordinamento generale,
  del   quale   la  ricorrente  chiede  a  codesta  ecc.ma  Corte  il
  ripristino.
    Infatti, con il decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri
  gravato, si e' individuato definitivamente - a "trattativa diretta"
  ...ex   "art.   1,  comma  2,  legge  30  luglio  1994,  n. 474"  -
  l'acquirente   dell'Acquedotto  pugliese  S.p.a.  nell'ENEL  S.p.a.
  sull'esile  presupposto  per  il  quale lo stesso ENEL "esercita la
  propria  attivita'  anche nel settore idrico" e avendo "ritenuto di
  procedere  ad  una  razionalizzazione delle partecipazioni detenute
  dallo   Stato   nel  settore  idrico,  assicurandone  una  gestione
  efficiente,   anche  in  considerazione  degli  interessi  generali
  connessi".
    E) Proprio  al  contrario,  controparte ha sostanzialmente ceduto
  l'EAAP  all'ENEL  in palese violazione di precetti costituzionali e
  con contegno manifestamente ingiusto poiche':
    E.1  Ha  omesso  di  coinvolgere  in  qualsiasi  modo  la regione
  concludente,    titolare    costituzionalmente    individuato   per
  l'amministrazione e la gestione del servizio acquedottistico, nella
  cessione de qua (concretando i vizi gia' dedotti ai punti C.1 e C.2
  che precedono);
    E.2  Cio',  oltre  che  per  i  profili  summenzionati,  anche in
  violazione  dell'art.  1, comma 5, del d.lgs. n. 141/1999 che, come
  accennato, prevedeva la redazione di un piano di ristrutturazione e
  di  risanamento dell'EAAP da attuarsi durante il primo esercizio da
  parte  dell'organo  di  amministrazione  e da "approvare sentite le
  regioni Puglia e Basilicata".
    Controparte  ha  viceversa sostanzialmente ceduto l'Acquedotto in
  assenza  di  qualsiasi  piano di ristrutturazione e di risanamento:
  sicche'  la  concludente  non  e'  stata interpellata (ne' potrebbe
  esserlo  piu' in futuro a seguito del subentro dell'ENEL S.p.a.) in
  violazione  dell'art. 1, d.lgs. n. 141/1999 con evidente sacrificio
  delle prerogative regionali costituzionalmente garantite in materia
  di   gestione   amministrativa   degli  acquedotti,  quelle  stesse
  prerogative  che  avevano  indotto  il  legislatore ad istituire il
  parere  obbligatorio - pur non vincolante - previsto dalla norma di
  cui  all'art. 1,  d.lgs. n. 141/1999. In altri termini, in coerenza
  con  il  quadro  costituzionale di riferimento relativo ai rapporti
  tra  Stato  e  regioni  (art. 5)  ed  alla  competenza  specifica -
  legislativa e amministrativa - di queste ultime nella materia degli
  acquedotti (art. 117 e 118), il legislatore, nel trasformare l'ente
  autonomo   acquedotto   pugliese   in   S.p.a.,   ha  delineato  un
  procedimento  che  tutela  in  qualche modo gli interessi regionali
  coinvolti con l'istituzione di un parere obbligatorio delle regioni
  sul piano di ristrutturazione e risanamento dell'Acquedotto S.p.a.
    Tale   forma   di   partecipazione   della   regione  concludente
  costituisce  la modalita' concreta mediante la quale si realizza il
  contemperamento  dei  diversi interessi portati dallo Stato e dalle
  regioni,   confronto   che  deve  essere  informato  dal  principio
  costituzionale  della leale cooperazione, essendo lo Stato tenuto a
  "riconoscere  e  promuovere  le  autonomie locali" e, proprio a tal
  fine,  ad  "adeguare  i  principi  e metodi della sua legislazione"
  (art. 5 Cost.).
    L'omissione  della  consultazione  della  concludente,  cioe'  la
  violazione  del  principio  di  leale collaborazione, lede la sfera
  delle attribuzioni costituzionali della Regione ricorrente, onde si
  chiede  che  il  decreto  del Presidente del Consiglio dei Ministri
  gravato sia annullato anche per il dedotto profilo.
    E.3  Inoltre,  ai  sensi  dell'accordo di programma stipulato, ex
  art. 17,  legge  5  gennaio  1994,  n. 36,  tra  regione  Puglia  e
  Basilicata e il Ministero dei lavori pubblici del 5 agosto 1999, lo
  stesso  Ministro  "si impegna ad esprimere l'intesa con il Ministro
  del  tesoro,  del  bilancio  e  della  programmazione economica per
  l'esercizio  dei diritti dell'azionista dell'EAAP (art. 3, comma 2,
  d.lgs. 11 maggio 1999, n. 141), dopo aver sentito le regioni Puglia
  e Basilicata".
    Proprio   al  contrario,  l'azionista  Ministero  del  tesoro  ha
  proposto   la   cessione   dell'Acquedotto  all'ENEL  (cfr.  ultimo
  capoverso della premessa al decreto del Preidente del Consiglio dei
  Ministri  gravato),  ha cioe' esercitato nella misura piu' ampia il
  suo diritto di azionista unico nel senso di proporre addirittura la
  vendita  della  S.p.a., omettendo di consultare le regioni Puglia e
  Basilicata:  donde  la violazione dell'accordo di programma e cioe'
  del  principio  di leale collaborazione tra Stato e regioni (art. 5
  Cost),  del  precetto  Costituzionale  di buon andamento della p.a.
  (art. 97:  se stipulo un accordo sono tenuto poi al suo rispetto) e
  delle  prerogative  regionali  in  materia di acquedotti, del tutto
  obliterate  dal  decreto  del Presidente del Consiglio dei Ministri
  gravato, di cui agli artt. 117 e 118 Cost.
    Sotto  distinto  profilo: controparte con il decreto impugnato ha
  gia'  individuato  la  cessionaria  dell'Acquedotto pugliese S.p.a.
  nell'ENEL,   essendo   detta  vendita  soltantoto  "sospensivamente
  condizionata   alla   determinazione   definitiva   del   capitale"
  dell'Acquedotto  (art. 2,  decreto del Presidente del Consiglio dei
  Ministri 9 marzo 2000).
    Cionondimeno  -  si  assicura  ex  adverso - che tale alienazione
  avverra'  "tenendo  conto degli accordi di programma intercorsi tra
  le regioni interessate e lo Stato" "(art. 1).
    Senonche'  allo  stato attuale la vendita e' gia' sostanzialmente
  avvenuta  (che senso ha consultare le regioni interessate dopo aver
  individuato definitivamente il cessionario e previsto i criteri per
  la  determinazione  del  prezzo?)  e  v'e'  un  nuovo interlocutore
  (l'ENEL)  assolutamente  non  contemplato dall'accordo di programma
  che  ovviamente  pretendera'  di  esercitare  i suoi poteri gestori
  ritenendosi  del  tutto svincolato dall'intervento consultivo della
  regione  Puglia:  tutto  cio' in violazione delle intese realizzate
  con l'accordo di programna, del principio di leale collaborazione e
  del  quadro  normativo  di  rilievo  costituzionale tratteggiato al
  punto che precede.
    F.  Quanto  alla  censura  di  incostituzionalita' per violazione
  degli  artt. 41  e  97  della  Costituzione si deducono i seguenti,
  ulteriori, profili.
    Si  e'  gia'  accennato  che  nel  caso  di  specie e' mancata la
  "trattrativa  diretta" ex art. 1, comma 2, legge n. 474/1994, cioe'
  qualsiasi  interpello  del  mercato  di  settore  pur  testualmente
  previsto  dalla  norma  suddetta, viceversa essendosi concretato un
  vero  e  proprio affidamento diretto all'ENEL dell'intero pacchetto
  azionario della societa' Acquedotto pugliese.
    La  dispensa  dalla  applicazione  delle  norme  di  contabilita'
  generale  dello Stato prevista per le cessioni come quella in esame
  dall'art.  1,  comma  1,  legge n. 474/1994 e', infatti, certamente
  compensata  dalle  previsioni successive per le quali la trattativa
  diretta  deve  intercorrere  in  ogni  caso  tra  piu' soggetti ("i
  potenziali acquirenti", art. 1, comma 2; "le societa' per le quali,
  al   fine   di   costituire  un  nucleo  stabile  di  azionisti  di
  riferimento,   la   cessione   della   partecipazione  deve  essere
  effettuata  invitando potenziali acquirenti ...": art. 1, comma 3),
  poiche' da essa dovra' scaturire il prezzo di mercato del bene.
    Il  ricorso alla procedura prevista dalla legge - in applicazione
  del   generalissimo   principio   della   liberta'  dell'iniziativa
  economica   pubblica  e  privata  che  deve  essere  indirizzata  e
  coordinata  a  fini  sociali:  art. 41 della Costituzione - avrebbe
  consentito  alla  concludente  - in ogni caso - di partecipare alla
  trattativa  (anche  nelle  forme  della  societa'  mista, come gia'
  rimarcato). Donde la censura di incostituzionalita' del decreto del
  Presidente  del Consiglio dei Ministri per la conclamata violazione
  dell'art. 41 della Costituzione sotto il ridetto profilo.
    F.1 Come  si e' appena rimarcato, la trattativa diretta delineata
  dall'art. 1,  comma  2 e 3 della legge n. 474/1994 ha una ratio ben
  precisa:  quella  di  evitare che le partecipazioni pubbliche siano
  alienate  senza  che sia previamente valutato il reale valore della
  quota da introdurre sul mercato.
    Cosi', ad es., per la cessione delle partecipazioni statali negli
  enti   pubblici  economici  (IRI,  ENI,  ecc.)  era  consentita  la
  trattativa privata con l'unico contraente (art. 15 delibera CIPE 30
  dicembre  1992)  a  condizione  che detta scelta fosse congruamente
  motivata, che l'analisi del valore del bene ceduto fosse effettuata
  da  almeno due consulenti esperti della materia e che - soprattutto
  -  detto  valore  riflettesse  la significativita' per l'acquirente
  della quota ceduta.
    La ratio di tale prescrizione e' proprio nella considerazione che
  vi  sono  potenziali cessionari che, al momento della acquisizione,
  sono  in condizioni di proporre un prezzo superiore al valore reale
  del  bene  poiche' esso, per quel cessionario determinato, presenta
  un  valore  aggiunto  derivante  dalle  condizioni  obbiettive  del
  mercato  (ad es. se l'acquirente possa trovarsi in una posizione di
  sostanziale  monopolio,  ovvero  se  possa  ritenersi un potenziale
  concorrente nell'attivita' oggetto di cessione, ecc.).
    Sotto    distinto    profilo,   sempre   con   riferimento   alla
  privatizzazione  degli enti pubblici economici, l'art. l, comma 11,
  del d.l. 5 dicembre 1991, n. 386 ha previsto che "il collocamento e
  le  cessioni delle partecipazioni devono essere eseguiti in modo da
  assicurare, di regola, l'ampia e durevole diffusione di esse fra il
  pubblico e da prevenire, anche in forma indiretta, concentrazioni o
  posizioni dominanti".
    Inoltre,  nella  specie,  la stessa norma istitutiva della S.p.a.
  Acquedotto  pugliese  ha  vietato l'alienazione delle azioni "prima
  della  determinazione  definitiva  del  capitale  sociale" (art. 3,
  comma 4).
    Sicche'  un modus procedendi conforme ai precetti contenuti negli
  artt. 41 e 97 della Costituzione avrebbe richiesto che:
        anzitutto  che  il  Ministero del tesoro designasse entro tre
  mesi dalla costituzione dell'Acquedotto S.p.a. "uno o piu' soggetti
  di provata esperienza e qualificazione professionale per effettuare
  la   stima   del  patrimonio  sociale"  (art. 3,  comma  3,  d.lgs.
  n. 141/1999);
        entro  tre  mesi  "dal  ricevimento  della relazione giurata"
  l'amministratore   unico   avrebbe  dovuto  determinare  il  valore
  definitivo del capitale sociale (art. 3, comma 4);
        di seguito, avrebbe dovuto anche procedersi alla redazione ed
  alla  attuazione  - previo interpello della concludente - del piano
  di  risanamento e ristrutturazione della societa' ai sensi dell'art
  1,   comma   5,   del   decreto  legislativo  n. 141/1999,  si'  da
  "presentarla"  al mercato secondo quelle che sono le sue obbiettive
  potenzialita' e non gia', come rischia di avvenire, alla stregua di
  un bene assai poco appetibile e di scarso valore;
        a  quel  punto  avrebbe potuto bandirsi la trattativa diretta
  che  ovviamente  presuppone quantomeno un valore, per cosi' dire, a
  base d'asta (quello determinato dall'amministratore unico alla luce
  della relazione del consulente);
        i  partecipanti alla procedura avrebbero ovviamente formulato
  offerte  d'acquisto  al  rialzo,  valorizzando  adeguatamente,  tra
  l'altro,  la  condizione  dell'Acquedotto  pugliese  di monopolista
  nell'erogazione   del  servizio  essenziale  per  la  Puglia  e  la
  Basilicata.
    Nella   specie,   al   contrario:   la  vendita  all'ENEL  si  e'
  sostanzialmente   perfezionata   addirittura   in   assenza   della
  determinazione   del   valore   del   bene   oggetto  di  cessione.
  L'alienazione    e'    sospensivamente   condizionata   solo   alla
  determinazione  definitiva  del capitale dell'Acquedotto, ma, nella
  sostanza, essa e' gia' avvenuta con l'individuazione definitiva del
  soggetto cessionario tramite lo strumento dell'affidamento diretto.
  Concorrera'   alla   determinazione   del   prezzo  di  cessione  -
  addirittura  -  la  stessa  societa'  acquirente  nominando  un suo
  "valutatore  indipendente"  che,  a  sua  volta,  concorrera' nella
  nomina  congiunta  del  terzo  valutatore  (art. 3  del decreto del
  Presidente del Consiglio dei Ministri 2000).
    Risultano palesemente violate pertanto, sotto dedotti profili, le
  norme  di  cui  all'art. 97  e  41  Cost.,  assente nel decreto del
  Presidente  del  Consiglio  dei  Ministri, gravato qualsiasi tratto
  riferibile  al  principio  di  buon  andamento e/o di imparzialita'
  dell'attivita'  amministrativa o alla liberta' e promozione ai fini
  sociali dell'attivita' economica.
    F.2 Ancora,  sempre  con riferimento alla violazione dell'art. 97
  Cost.,  controparte ha generato un vero e proprio mostro giuridico,
  trattandosi  della  "definizione  dei  criteri di privatizzazione e
  delle  modalita'  di  dismissione" (cfr. l'epigrafe del decreto del
  Presidente  del  Consigio  dei Ministri 9 marzo 2000) di una S.p.a.
  pubblica,  criteri  che  hanno  stabilito la cessione "al buio" (in
  assenza di prezzo) dell'Acquedotto pugliese ad una societa', l'ENEL
  S.p.a.,  quasi  totalmente  detenuta  dallo  stesso  Ministero  del
  tesoro, del bilancio e della programmazione economica.
    Si  e'  dunque  "privatizzata"  una  S.p.a.  cedendola ad un ente
  partecipato in misura maggioritaria dallo Stato in violazione della
  legge  n. 474/1994  che,  ovviamente,  richiede che la cessione sia
  effettuata ad un soggetto a capitale prevalentemente privato.
    Ne'   e'  prevista  dal  nostro  ordinamento  di  settore  alcuna
  possibilita'  di  procedere  ad accorpamenti tra enti ai fini della
  loro successiva privatizzazione congiunta e comunque, l'ENEL S.p.a.
  e'  gia'  stata parzialmente privatizzata - e' notorio - sicche' di
  tale  singolare  accorpamento  -  realizzato,  nella migliore delle
  ipotesi,  a...  "prezzo  di  costo"  -  si  gioveranno,  del  tutto
  ingiustificatamente, anche i soci privati della societa' acquirente
  con  ulteriore  abbandono  del  solco  della legittimita' tracciato
  proprio  dalle  norme  di cui alla legge n. 474/1994 impropriamente
  richiamate  dal  decreto  impugnato  (privatizzare vuol dire cedere
  aziende   pubbliche  in  misura  prevalente  ai  privati  e  previa
  esplorazione del mercato).
    Del  resto  l'accorpamento  tra ENEL e Acquedotto pugliese S.p.a.
  non   puo'   essere  giustificato  dalla  presunta  analogia  delle
  attivita'  svolte  dalle  due  societa' "nel settore idrico", l'una
  occupandosi   della   produzione  dell'energia  elettrica,  l'altra
  dell'erogazione  del  servizio  acquedottistico.  Ne'  potrebbe mai
  ritenersi  attuato  il  fine  di  razionalizzare  le partecipazioni
  statali  mediante  l'accorpamento  ad  altro  soggetto  - qualsiasi
  soggetto - dell'Acquedotto pugliese S.p.a., vista la gia' rimarcata
  sua assoluta condizione peculiare di piu' grande Acquedotto europeo
  a  servizio  di  due  regioni  del  meridione  d'Italia:  il regime
  monopolistico    che   -   giocoforza   -   ha   caratterizzato   e
  caratterizzera'  in ogni epoca l'attivita' dell'Acquedotto pugliese
  S.p.a.  avrebbe dovuto e dovra' essere adeguatamente valorizzato in
  sede  di  sua  privatizzazione,  non  certo  annullato  o  comunque
  fortemente  attenuato  dall'incorporazione  in  un  altro  soggetto
  giuridico  dedito a tutt'altra attivita' e privo della connotazione
  suddetta.
    F.3 Infine,  esso  rappresenta  un  caso  di  scuola  del  totale
  abbandono  del  servizio  pubblico  essenziale  nelle  mani  di  un
  soggetto  parzialmente  privato  -  con  la prospettiva di divenire
  privato  del  tutto - sino ad oggi certamente estraneo alla materia
  acquedottistica  (come  gia'  rimarcato,  la  competenza in materia
  "idrica" dell'ENEL riguarda, ovviamente, l'utilizzazione dell'acqua
  al  fine della produzione di energia elettrica non gia' l'adduzione
  ai   fini   dell'approvvigionamento   idrico   e  dell'irrigazione,
  attivita' che invece svolge - unitamente a quella della gestione di
  reti  fognarie  e depuratori - l'Acquedotto pugliese S.p.a.). Cio',
  perdippiu',  in violazione della disciplina vigente per la cessione
  delle  societa'  erogatrici  di  servizi essenziali, che prevede la
  previa   costituzione   degli   "organismi   indipendenti   per  la
  regolarizzazione  delle  tariffe  e il controllo della qualita' dei
  servizi"  (art. 1-bis, legge n. 30 luglio 1994, n. 474) e, inoltre,
  una  serie  di  cautele riferite all'ordinamento societario interno
  (art. 2)  che,  vista  appunto  l'essenzialita' del servizio svolto
  dall'ente societario in via di privatizzazione, deve riservare alla
  mano  pubblica,  "(Stato o ente), ...speciali poteri anche nel caso
  che  per effetto della cessione di azioni perda la sua posizione di
  maggioranza  o  comunque  di  controllo  in sede di assemblea degli
  azionisti.  Di  cio'  si  occupa l'art. 2 del d.l. (come modificato
  dalla  legge  di  conversione)  il  quale  dispone  che,  prima  di
  procedere  ad  atti  che  determinino  la perdita del controllo, lo
  statuto  venga  modificato con l'inserimento di clausole rivolte ad
  attribuire    all'azionista   pubblico,   indipendentemente   dalla
  consistenza  della  sua  partecipazione  statutaria,  il  potere di
  designare  un certo numero di sindaci, di esprimere gradimento alla
  formazione   di   gruppi   e  sindacati  di  controllo,  nonche'  a
  determinate modifiche nella composizione del capitale azionario, di
  esprimere  il  veto  ad  alcune delibere e cosi' via" (Consiglio di
  Stato, sez. I, 20 settembre 1995, n. 330).
    Controparte,   da  un  lato,  non  ha  istituito  gli  "organismi
  indipendenti"  prescritti  dalla norma summenzionata; dall'altro ha
  espressamente   rinunziato   ad   esercitare   i   poteri  speciali
  ("considerato  che non si intendono introdurre i poteri speciali di
  cui  all'art. 2  del  citato  decreto  legge  n. 332 del 1994 nello
  statuto  dell'EAAP":  cfr.  11o  cpv. della premessa al decreto del
  Presidente  del  Consiglio  dei  Ministri 9 marzo 2000) pur se tale
  esercizio  e'  previsto  dalla  legge  non  gia'  in  guisa di mera
  facolta'.
    L'abbandono  dell'Acquedotto  pugliese  nelle  mani  di  un  ente
  "privatizzando"  e'  dunque  avvenuto in assenza della riserva alla
  mano  pubblica,  alla  stessa  regione  concludente  se fosse stato
  consentito  di  assumere quote del capitale sociale dell'Acquedotto
  pugliese  S.p.a.,  dei  necessari  poteri di "indirizzo" prescritti
  dalla legge.
    Si deduce, pertanto, la violazione degli artt. 5, 117 e 118 della
  Costituzione sotto il profilo del mancato conferimento alla regione
  Puglia  dei  poteri  speciali  di  cui sopra; dell'art. 97 sotto il
  profilo     dell'evidente    cattivo    andamento    dell'attivita'
  amministrativa;  dell'art. 41  per  aver espressamente rinunziato a
  "determinare   i   programmi   e   i  controlli  opportuni  perche'
  l'attivita'  economica pubblica e privata possa essere coordinata e
  indirizzata a fini sociali".
                              P. Q. M.
    Si  chiede che l'on.le Corte adita, risolvendo favorevolmente per
  l'istante  il  conflitto  di  attribuzione proposto con il presente
  atto,  dichiari  che  non  spetta  allo  Stato  cedere l'Acquedotto
  pugliese   S.p.a.   all'ENEL   S.p.a.   violando   le   prerogative
  costituzionali  della regione Puglia in materia acquedottistica, in
  particolare  i  precetti  costituzionali di cui agli artt. 41, 117,
  118,  violando  il  principio  di leale cooperazione (art. 5 Cost).
  Conseguentemente,  annulli  il decreto del Presidente del Consiglio
  dei  Ministri  9 marzo  2000,  pubblicato  nella Gazzetta Ufficiale
  n. 62  del  15 marzo  2000,  recante  "Definizione  dei  criteri di
  privatizzazione  e  delle  modalita' di dismissione dell'Acquedotto
  pugliese S.p.a.". Vinte le spese e i compensi di lite.
        Roma, addi' 13 aprile 2000
                    Prof. avv. Caputi Jambrenghi
00C0494