N. 24 RICORSO PER CONFLITTO DI ATTRIBUZIONE 22 maggio 2000
Ricorso per conflitto di attribuzione depositato in cancelleria il 22 maggio 2000 (della regione Puglia) Acque pubbliche - Decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri 9 marzo 2000, recante "Definizione dei criteri di privatizzazione e delle modalita' di dismissione dell'Acquedotto pugliese S.p.a." - Previsione dell'alienazione del predetto Acquedotto, mediante trattativa privata, all'ENEL S.p.a. - Mancata riserva alla Regione Puglia di quota di partecipazione azionaria alla S.p.a. Acquedotto pugliese - Lamentata esclusione della Regione Puglia da qualsiasi forma di partecipazione o consultazione alla trattativa per la dismissione dell'Acquedotto stesso - Violazione dei principi di leale collaborazione, di imparzialita' e buon andamento della p.a. e di coordinamento ed indirizzo a fini sociali dell'attivita' economica pubblica e privata - Lesione della sfera di competenza regionale in materia di acquedotti. - D.P.C.M. 9 marzo 2000. - Costituzione, artt. 3, 5, 41, 97, 117 e 118.(GU n.32 del 2-8-2000 )
Ricorso per conflitto di attribuzioni della regione Puglia, in persona del presidente pro-tempore prof. Salvatore Distaso, giusta delibera della giunta regionale n. 457 dell'11 aprile 2000, difesa e rappresentata dal prof. avv. Vincenzo Caputi Jambrenghi per mandato a margine e con lui elettivamente domiciliata in Roma al piazzale della Marina, n. 1, presso l'avv. Marco Di Paola; Contro il Presidente del Consiglio dei Ministri per l'annullamento in sede di risoluzione di conflitto di attribuzioni, del decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri 9 marzo 2000, pubblicato in G.U. n. 62 del 15 marzo 2000, recante "Definizione dei criteri di privatizzazione e delle modalita' di dismissione dell'Acquedotto pugliese S.p.a."; Premessa 1. - L'Ente autonomo per l'acquedotto publiese e' stato istituito con legge n. 245 del 1902 sotto forma di consorzio tra enti territoriali, trasformato dal regio decreto 19 ottobre 1919, n. 2060 in ente pubblico strumentale diretto a realizzare finalita' ed interessi assunti dallo Stato ed infine annoverato tra gli enti pubblici non economici c.d. parastatali ex lege n. 70/1975. 2. - E' noto che nella materia acquedottistica sussiste ex artt. 117 e 118 una competenza regionale per l'esercizio della funzione legislativa e di quella amministrativa. In applicazione delle ridette norme costituzionali in questione la regione ricorrente, all'art. 4 del suo statuto, si e' riservata l'attuazione delle "iniziative necessarie all'approvvigionamento idrico del territorio"; inoltre, la legge regionale 19 dicembre 1983, n. 24 ha previsto che "La regione assicura le risorse idriche idonee per gli usi plurimi nell'ambito delle politiche di corretto e razionale uso dell'acqua". 3. - Ovviamente la qualificazione giuridica dell'E.A.A.P. non influisce in alcun modo sull'attribuzione della competenza per materia riservata alla regione Puglia dalla norma fondamentale: tanto e' vero che proprio l'art. 35 della legge n. 70/1975, nell'annoverare l'acquedotto pugliese tra gli enti pubblici del "parastato", lascia "fermi ... i poteri di costituzione, soppressione e fusione degli enti pubblici (...del parastato) operanti nelle materie attribuite alla competenza delle regioni secondo l'art. 117 della Costituzione". Il richiamo alla materia elencata e non alla personalita' giuridica dell'ente (statale o regionale) evidenzia l'inefficacia della contrapposizione della natura non regionale dell'ente alla tesi regionalista della prevalenza della funzione sulla soggettivita', tesi fondata proprio sulla materia acquedottistica. 4. - Sicche' all'interno del primo testo normativo che - a seguito dell'entrata in vigore della Costituzione repubblicana - si sia occupato di ridefinire la natura giuridica dell'E.A.A.P., la legge n. 70/1975, vi e' una previsione all'art. 35, che ribadisce espressamente il principio della soggezione alla legislazione regionale di tutti quegli enti, pur se parastatali, che svolgono la loro attivita' nelle materie elencate all'art. 117 Cost. 5. - Anche la legge n. 36 del 5 gennaio 1994 riserva alle regioni la determinazione degli ambiti territoriali ottimali per la gestione dei servizi idrici integrati. La centralita' della conseguente posizione attribuita nella materia ad una regione come quella ricorrente da una norma di legge che si definisce come direttamente attuativa dei precetti costituzionali nella specifica materia delle acque e degli acquedotti, e' stata totalmente ignorata dal legislatore delegato e dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri. 6. - In particolare e' accaduto che: a) con il decreto legislativo 11 maggio 1999, n. 141, il Presidente della Repubblica ha sancito la trasformazione dell'E.A.A.P. in societa' per azioni, attribuendo le stesse "al Ministero del tesoro, del bilancio e della programmazione economica, che esercita i diritti dell'azionista d'intesa con il Ministro dei lavori pubblici, sulla base delle direttive del Presidente del Consiglio dei Ministri", cioe' omettendo di conferire alla regione Puglia alcuna attribuzione specifica in sede di costituzione, amministrazione e gestione della societa'. Si fa unicamente salva, infatti, la previsione relativa al "primo esercizio dell'organo di amministrazione" che e' "tenuto a presentare al Ministero del tesoro, del bilancio e della programmazione economica un piano per la ristrutturazione e il risanamento della societa', da approvare sentite le regioni Puglia e Basilicata"; b) con decreto n. 119979 del 10 giugno 1999 il Ministro del tesoro ha convocato la prima assemblea della S.p.a. Acquedotto pugliese con approvazione dello statuto e con successiva nomina di un amministratore unico - l'originario commissario straordinario di nomina ministeriale, avv. Lorenzo Pallesi - titolare di tutti i poteri di amministrazione e gestione dell'ente costituito in S.p.a.; c) entrambi i decreti suddetti sono stati impugnati innanzi a codesta ecc.ma Corte costituzionale dalla concludente (il decreto legislativo per illegittimita' diretta, l'atto di approvazione dello statuto per conflitto di attribuzione, giudizi entrambi tuttora pendenti) inopinatamente pretermessa dallo Stato nella fase di privatizzazione dell'E.A.A.P. (fatta eccezione per il parere richiesto alla regione Puglia in merito al "piano di ristrutturazione e risanamento" che deve essere predisposto dall'organo amministrativo durante "il primo esercizio della societa'") pur se titolare del potere legislativo in materia di acquedotti, gestore ex lege di tutte le opere idrauliche e promotore del servizio idrico integrato, ecc.; d) in quei giudizi si e' costituita l'Avvocatura dello Stato per la Presidenza del Consiglio dei Ministri propugnando la tesi della separazione tra proprieta' dell'ente, appartenente al Ministero del tesoro in quanto ricompreso nel c.d. "parastato" ex lege n. 70/1975, e gestione dell'attivita' acquedottistica che - si riconosce ex adverso - non potrebbe che essere esercitata sotto la guida delle regioni Puglia e Basilicata (poiche' l'acquedotto pugliese serve anche il territorio di quest'ultima regione); e) tuttavia l'Acquedotto S.p.a. ha subito un nuovo "intervento" dello Stato che, con il decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri 9 marzo 2000 oggetto del presente gravame, accantonata repentinamente la prospettiva del risanamento e della ristrutturazione dell'ente pur espressamente contemplata all'art. 1, comma 5, del decreto legislativo n. 141/1991, ha individuato le "modalita' di dismissione dell'Acquedotto pugliese S.p.a." nel senso che ha gia' determinato la sua cessione per affidamento diretto all'ENEL S.p.a., "alienazione... sospensivamente condizionata alla determinazione definitiva del capitale ai sensi dell'art. 3, comma 4, del decreto legislativo 11 maggio 1999, n. 141". Senonche' il decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri 2000 merita di essere annullato per i seguenti Motivi Violazione della Costituzione repubblicana: artt. 117 e 118, 5 e 97 e del principio di leale collaborazione tra Stato e regione (anche con riferimento alla violazione di un accordo di programma); inoltre dell'art. 41. Violazione dell'art. 3 Cost. A) Si e' gia' accennato che tutti gli enti acquedottistici dislocati sul territorio nazionale, siano essi "regionali o interregionali istituiti con legge regionale o statale" debbono essere "trasformati in societa' per azioni" ai sensi dell'art. 1, comma 83, della legge 28 dicembre 1995, n. 549. Senonche', l'art. 89, comma 1, lettera a), della legge 31 marzo 1998, n. 112 ha trasferito alle regioni tutte le funzioni relative "alla progettazione, realizzazione e gestione delle opere idrauliche di qualsiasi natura", ha ribadito il potere legislativo delle regioni in subiecta materia (art. 2, comma 2: "Nelle materie oggetto di conferimento, le regioni e gli enti locali esercitano funzioni legislative o normative ai sensi e nei limiti stabiliti dall'art. 2 della legge n. 59/1997"), chiarendo che "in nessun caso le norme del presente decreto legislativo possono essere interpretate nel senso dell'attribuzione allo Stato, alle sue amministrazioni o ad enti pubblici nazionali, di funzioni, compiti e compiti trasferiti, delegati o comunque attribuiti alle regioni, agli enti locali e alle autonomie funzionali dalle disposizioni vigenti alla data di entrata in vigore del presente decreto legislativo". Ancor prima, la legge 5 gennaio 1994, n. 36 aveva affidato alle regioni il compito di individuare "le forme e modi di cooperazione" affinche' comuni e province provvedessero alla gestione del servizio idrico integrato tramite convenzioni (ex lege n. 142/1990). Inoltre, nei confronti degli enti di gestione degli impianti acquedottistici gia' esistenti alla data di entrata in vigore della medesima legge 1994, n. 36, si prevede la prosecuzione della gestione sino all'approvazione delle norme regionali di organizzazione del servizio idrico e, in caso di scioglimento degli stessi (art. 10, comma 2, legge n. 36/1994), la loro confluenza "nel soggetto gestore del servizio idrico integrato, secondo le modalita' e le forme stabilite nella convenzione". B) Sicche' nella fase di trasformazione in S.p.a. degli enti acquedottistici non puo' essere in alcun modo trascurato il ruolo esercitato dalle regioni, nella veste di titolari ex articoli 5, 117 e 118 della Costituzione repubblicana del potere legislativo in materia di acquedotti enti pubblici territoriali dotati di autonomia costituzionalmente garantita che si configurano come gestori ex lege di tutte le opere idrauliche (art. 89, 1 comma lettera a), decreto legislativo n. 112/1998), promotori del servizio idrico integrato (legge n. 36/1994) e, piu' in generale, affidatari di "tutte le funzioni e i compiti relativi alla cura degli interessi e alla promozione dello sviluppo delle rispettive comunita'" (art. 1, comma 2, legge n. 59/1997). C) Conferma siffatta attribuzione la legge n. 36 del 1994 che, nell'assegnare con norma recante principio generale dell'ordinamento e costituente riforma economico-sociale - dunque una norma non modificabile per implicito da leggi o decreti successivi - il ruolo della regione in riferimento al tema acquedottistico nazionale, ha ribadito da un lato la centralita' delle regioni stesse, dall'altro il riparto in appositi ambiti ottimali del territorio servito dagli acquedotti da individuare a cura delle regioni competenti. C.1 La regione Puglia sottolinea come essa tragga dalla normativa qui richiamata una particolare e pregnante legittimazione essendo la principale portatrice degli interessi della popolazione che la costituisce, servita dal piu' grande acquedotto d'Europa. Il quadro nel quale si colloca costituzionalmente protetta la posizione giuridica della ricorrente e', come si e' appena illustrato, disegnato dalle norme di cui agli articoli 5 e 117 e 118 Cost. In altri termini la concludente - nella sua qualita' di interlocutore necessario dello Stato nella fase di privatizzazione dell'Acquedotto pugliese - da un lato avrebbe dovuto essere destinataria di una quota delle azioni della S.p.a. si' da poterne tutelare lo sviluppo e verificarne la correttezza nella gestione dal suo interno anche ai fini previsti, con riferimento ai servizi pubblici essenziali, dagli artt. 2 e 3 della legge 30 luglio 1994, n. 474 (in sostanza, possibilita' per Stato o enti di riferimento di conservare una anche modesta partecipazione azionaria al fine di garantirsi un diritto di intervento sulle scelte fondamentali della nuova S.p.a. erogatrice di un pregnante servizio di pubblico interesse). La riserva di una quota di capitale in favore dell'ente territoriale e' del resto solitamente attuata dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri nella privatizzazione dei soggetti esercenti i ridetti servizi essenziali, come dimostra la fattispecie di cui al decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri 25 febbraio 1999 che ha disposto l'alienazione attraverso la procedura della trattativa diretta della partecipazione azionaria indirettamente detenuta dallo Stato nella Aeroporti di Roma S.p.a., con pubblicazione di un bando e reale interpello del mercato, con il 3% della partecipazione societaria riservata in opzione alla regione Lazio, alla provincia di Roma ed al comune di Fiumicino e con il 2% riservato agli enti e le aziende pubbliche. Che tale orientamento sia stato abbandonato dal Presidente del Consiglio nel caso di specie appare del tutto inspiegabile, visto, da un lato, il quadro complessivo dell'ordinamento soprattutto costituzionale in materia acquedottistica appena tratteggiato; dall'altro la situazione peculiare dell'Acquedotto pugliese che, essendo il piu' grande acquedotto d'Europa a servizio di due regioni del meridione d'Italia, certamente e' destinato ad agire in regime monopolistico per i prossimi decenni, cio' che rende ancor piu' necessaria l'istituzione di un legame diretto con gli enti territoriali di riferimento (le regioni Puglia e Basilicata). Si censura, pertanto, il decreto del Presidente del Consiglio dei Minsitri che ha creato il conflitto di attribuzione con la regione istante, pertanto, anzitutto per disparita' di trattamento, con riferimento all'art. 3 della Costituzione, per violazione degli artt. 117 e 118 della Costituzione e per violazione del principio di correttezza e imparzialita' dell'azione amministrativa (art. 97 Cost.). C.2 Del resto, la stessa concludente avrebbe certamente partecipato - costituendo una societa' a capitale pubblico minoritario con imprenditori privati - alla trattativa diretta che la Presidenza del Consiglio dei Ministri per l'alienazione dell'Acquedotto se solo la stessa, pur enunciata nelle premesse al decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri, si fosse svolta in realta' ai sensi dell'art. 1, comma 2 e 3, della legge n. 474/1994 e, quel che rileva in questa sede, nel rispetto dei precetti contenuti nell'art. 41 della Costituzione. La violazione di tale norma costituzionale e', pertanto, lampante, poiche' si e' preclusa alla regione Puglia di partecipare - dopo aver assunto le vesti della societa' a capitale misto - alla procedura per l'acquisizione dell'Acquedotto pugliese S.p.a. C.3 Infine, la regione e' legittimata al presente ricorso anche per essere stata conculcata nella sua attribuzione partecipativa-consultiva prima che si procedesse alla alienazione dell'Acquedotto S.p.a., tale consultazione essendo espressamente prevista sia dall'accordo di programma stipulato con il Ministro dei lavori pubblici il 5 agosto 1999, sia dal decreto legislativo n. 114/1999 (art. 1, comma 5), come ci si accinge ad illustrare. D) Nonostante siffatta peculiarita' di posizione giuridica proprio e soltanto sulla regione Puglia il potere regolamentate del Presidente del Consiglio dei Ministri si e' esercitato pervenendo alla demolizione arbitraria di un tratto dell'ordinamento generale, del quale la ricorrente chiede a codesta ecc.ma Corte il ripristino. Infatti, con il decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri gravato, si e' individuato definitivamente - a "trattativa diretta" ...ex "art. 1, comma 2, legge 30 luglio 1994, n. 474" - l'acquirente dell'Acquedotto pugliese S.p.a. nell'ENEL S.p.a. sull'esile presupposto per il quale lo stesso ENEL "esercita la propria attivita' anche nel settore idrico" e avendo "ritenuto di procedere ad una razionalizzazione delle partecipazioni detenute dallo Stato nel settore idrico, assicurandone una gestione efficiente, anche in considerazione degli interessi generali connessi". E) Proprio al contrario, controparte ha sostanzialmente ceduto l'EAAP all'ENEL in palese violazione di precetti costituzionali e con contegno manifestamente ingiusto poiche': E.1 Ha omesso di coinvolgere in qualsiasi modo la regione concludente, titolare costituzionalmente individuato per l'amministrazione e la gestione del servizio acquedottistico, nella cessione de qua (concretando i vizi gia' dedotti ai punti C.1 e C.2 che precedono); E.2 Cio', oltre che per i profili summenzionati, anche in violazione dell'art. 1, comma 5, del d.lgs. n. 141/1999 che, come accennato, prevedeva la redazione di un piano di ristrutturazione e di risanamento dell'EAAP da attuarsi durante il primo esercizio da parte dell'organo di amministrazione e da "approvare sentite le regioni Puglia e Basilicata". Controparte ha viceversa sostanzialmente ceduto l'Acquedotto in assenza di qualsiasi piano di ristrutturazione e di risanamento: sicche' la concludente non e' stata interpellata (ne' potrebbe esserlo piu' in futuro a seguito del subentro dell'ENEL S.p.a.) in violazione dell'art. 1, d.lgs. n. 141/1999 con evidente sacrificio delle prerogative regionali costituzionalmente garantite in materia di gestione amministrativa degli acquedotti, quelle stesse prerogative che avevano indotto il legislatore ad istituire il parere obbligatorio - pur non vincolante - previsto dalla norma di cui all'art. 1, d.lgs. n. 141/1999. In altri termini, in coerenza con il quadro costituzionale di riferimento relativo ai rapporti tra Stato e regioni (art. 5) ed alla competenza specifica - legislativa e amministrativa - di queste ultime nella materia degli acquedotti (art. 117 e 118), il legislatore, nel trasformare l'ente autonomo acquedotto pugliese in S.p.a., ha delineato un procedimento che tutela in qualche modo gli interessi regionali coinvolti con l'istituzione di un parere obbligatorio delle regioni sul piano di ristrutturazione e risanamento dell'Acquedotto S.p.a. Tale forma di partecipazione della regione concludente costituisce la modalita' concreta mediante la quale si realizza il contemperamento dei diversi interessi portati dallo Stato e dalle regioni, confronto che deve essere informato dal principio costituzionale della leale cooperazione, essendo lo Stato tenuto a "riconoscere e promuovere le autonomie locali" e, proprio a tal fine, ad "adeguare i principi e metodi della sua legislazione" (art. 5 Cost.). L'omissione della consultazione della concludente, cioe' la violazione del principio di leale collaborazione, lede la sfera delle attribuzioni costituzionali della Regione ricorrente, onde si chiede che il decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri gravato sia annullato anche per il dedotto profilo. E.3 Inoltre, ai sensi dell'accordo di programma stipulato, ex art. 17, legge 5 gennaio 1994, n. 36, tra regione Puglia e Basilicata e il Ministero dei lavori pubblici del 5 agosto 1999, lo stesso Ministro "si impegna ad esprimere l'intesa con il Ministro del tesoro, del bilancio e della programmazione economica per l'esercizio dei diritti dell'azionista dell'EAAP (art. 3, comma 2, d.lgs. 11 maggio 1999, n. 141), dopo aver sentito le regioni Puglia e Basilicata". Proprio al contrario, l'azionista Ministero del tesoro ha proposto la cessione dell'Acquedotto all'ENEL (cfr. ultimo capoverso della premessa al decreto del Preidente del Consiglio dei Ministri gravato), ha cioe' esercitato nella misura piu' ampia il suo diritto di azionista unico nel senso di proporre addirittura la vendita della S.p.a., omettendo di consultare le regioni Puglia e Basilicata: donde la violazione dell'accordo di programma e cioe' del principio di leale collaborazione tra Stato e regioni (art. 5 Cost), del precetto Costituzionale di buon andamento della p.a. (art. 97: se stipulo un accordo sono tenuto poi al suo rispetto) e delle prerogative regionali in materia di acquedotti, del tutto obliterate dal decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri gravato, di cui agli artt. 117 e 118 Cost. Sotto distinto profilo: controparte con il decreto impugnato ha gia' individuato la cessionaria dell'Acquedotto pugliese S.p.a. nell'ENEL, essendo detta vendita soltantoto "sospensivamente condizionata alla determinazione definitiva del capitale" dell'Acquedotto (art. 2, decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri 9 marzo 2000). Cionondimeno - si assicura ex adverso - che tale alienazione avverra' "tenendo conto degli accordi di programma intercorsi tra le regioni interessate e lo Stato" "(art. 1). Senonche' allo stato attuale la vendita e' gia' sostanzialmente avvenuta (che senso ha consultare le regioni interessate dopo aver individuato definitivamente il cessionario e previsto i criteri per la determinazione del prezzo?) e v'e' un nuovo interlocutore (l'ENEL) assolutamente non contemplato dall'accordo di programma che ovviamente pretendera' di esercitare i suoi poteri gestori ritenendosi del tutto svincolato dall'intervento consultivo della regione Puglia: tutto cio' in violazione delle intese realizzate con l'accordo di programna, del principio di leale collaborazione e del quadro normativo di rilievo costituzionale tratteggiato al punto che precede. F. Quanto alla censura di incostituzionalita' per violazione degli artt. 41 e 97 della Costituzione si deducono i seguenti, ulteriori, profili. Si e' gia' accennato che nel caso di specie e' mancata la "trattrativa diretta" ex art. 1, comma 2, legge n. 474/1994, cioe' qualsiasi interpello del mercato di settore pur testualmente previsto dalla norma suddetta, viceversa essendosi concretato un vero e proprio affidamento diretto all'ENEL dell'intero pacchetto azionario della societa' Acquedotto pugliese. La dispensa dalla applicazione delle norme di contabilita' generale dello Stato prevista per le cessioni come quella in esame dall'art. 1, comma 1, legge n. 474/1994 e', infatti, certamente compensata dalle previsioni successive per le quali la trattativa diretta deve intercorrere in ogni caso tra piu' soggetti ("i potenziali acquirenti", art. 1, comma 2; "le societa' per le quali, al fine di costituire un nucleo stabile di azionisti di riferimento, la cessione della partecipazione deve essere effettuata invitando potenziali acquirenti ...": art. 1, comma 3), poiche' da essa dovra' scaturire il prezzo di mercato del bene. Il ricorso alla procedura prevista dalla legge - in applicazione del generalissimo principio della liberta' dell'iniziativa economica pubblica e privata che deve essere indirizzata e coordinata a fini sociali: art. 41 della Costituzione - avrebbe consentito alla concludente - in ogni caso - di partecipare alla trattativa (anche nelle forme della societa' mista, come gia' rimarcato). Donde la censura di incostituzionalita' del decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri per la conclamata violazione dell'art. 41 della Costituzione sotto il ridetto profilo. F.1 Come si e' appena rimarcato, la trattativa diretta delineata dall'art. 1, comma 2 e 3 della legge n. 474/1994 ha una ratio ben precisa: quella di evitare che le partecipazioni pubbliche siano alienate senza che sia previamente valutato il reale valore della quota da introdurre sul mercato. Cosi', ad es., per la cessione delle partecipazioni statali negli enti pubblici economici (IRI, ENI, ecc.) era consentita la trattativa privata con l'unico contraente (art. 15 delibera CIPE 30 dicembre 1992) a condizione che detta scelta fosse congruamente motivata, che l'analisi del valore del bene ceduto fosse effettuata da almeno due consulenti esperti della materia e che - soprattutto - detto valore riflettesse la significativita' per l'acquirente della quota ceduta. La ratio di tale prescrizione e' proprio nella considerazione che vi sono potenziali cessionari che, al momento della acquisizione, sono in condizioni di proporre un prezzo superiore al valore reale del bene poiche' esso, per quel cessionario determinato, presenta un valore aggiunto derivante dalle condizioni obbiettive del mercato (ad es. se l'acquirente possa trovarsi in una posizione di sostanziale monopolio, ovvero se possa ritenersi un potenziale concorrente nell'attivita' oggetto di cessione, ecc.). Sotto distinto profilo, sempre con riferimento alla privatizzazione degli enti pubblici economici, l'art. l, comma 11, del d.l. 5 dicembre 1991, n. 386 ha previsto che "il collocamento e le cessioni delle partecipazioni devono essere eseguiti in modo da assicurare, di regola, l'ampia e durevole diffusione di esse fra il pubblico e da prevenire, anche in forma indiretta, concentrazioni o posizioni dominanti". Inoltre, nella specie, la stessa norma istitutiva della S.p.a. Acquedotto pugliese ha vietato l'alienazione delle azioni "prima della determinazione definitiva del capitale sociale" (art. 3, comma 4). Sicche' un modus procedendi conforme ai precetti contenuti negli artt. 41 e 97 della Costituzione avrebbe richiesto che: anzitutto che il Ministero del tesoro designasse entro tre mesi dalla costituzione dell'Acquedotto S.p.a. "uno o piu' soggetti di provata esperienza e qualificazione professionale per effettuare la stima del patrimonio sociale" (art. 3, comma 3, d.lgs. n. 141/1999); entro tre mesi "dal ricevimento della relazione giurata" l'amministratore unico avrebbe dovuto determinare il valore definitivo del capitale sociale (art. 3, comma 4); di seguito, avrebbe dovuto anche procedersi alla redazione ed alla attuazione - previo interpello della concludente - del piano di risanamento e ristrutturazione della societa' ai sensi dell'art 1, comma 5, del decreto legislativo n. 141/1999, si' da "presentarla" al mercato secondo quelle che sono le sue obbiettive potenzialita' e non gia', come rischia di avvenire, alla stregua di un bene assai poco appetibile e di scarso valore; a quel punto avrebbe potuto bandirsi la trattativa diretta che ovviamente presuppone quantomeno un valore, per cosi' dire, a base d'asta (quello determinato dall'amministratore unico alla luce della relazione del consulente); i partecipanti alla procedura avrebbero ovviamente formulato offerte d'acquisto al rialzo, valorizzando adeguatamente, tra l'altro, la condizione dell'Acquedotto pugliese di monopolista nell'erogazione del servizio essenziale per la Puglia e la Basilicata. Nella specie, al contrario: la vendita all'ENEL si e' sostanzialmente perfezionata addirittura in assenza della determinazione del valore del bene oggetto di cessione. L'alienazione e' sospensivamente condizionata solo alla determinazione definitiva del capitale dell'Acquedotto, ma, nella sostanza, essa e' gia' avvenuta con l'individuazione definitiva del soggetto cessionario tramite lo strumento dell'affidamento diretto. Concorrera' alla determinazione del prezzo di cessione - addirittura - la stessa societa' acquirente nominando un suo "valutatore indipendente" che, a sua volta, concorrera' nella nomina congiunta del terzo valutatore (art. 3 del decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri 2000). Risultano palesemente violate pertanto, sotto dedotti profili, le norme di cui all'art. 97 e 41 Cost., assente nel decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri, gravato qualsiasi tratto riferibile al principio di buon andamento e/o di imparzialita' dell'attivita' amministrativa o alla liberta' e promozione ai fini sociali dell'attivita' economica. F.2 Ancora, sempre con riferimento alla violazione dell'art. 97 Cost., controparte ha generato un vero e proprio mostro giuridico, trattandosi della "definizione dei criteri di privatizzazione e delle modalita' di dismissione" (cfr. l'epigrafe del decreto del Presidente del Consigio dei Ministri 9 marzo 2000) di una S.p.a. pubblica, criteri che hanno stabilito la cessione "al buio" (in assenza di prezzo) dell'Acquedotto pugliese ad una societa', l'ENEL S.p.a., quasi totalmente detenuta dallo stesso Ministero del tesoro, del bilancio e della programmazione economica. Si e' dunque "privatizzata" una S.p.a. cedendola ad un ente partecipato in misura maggioritaria dallo Stato in violazione della legge n. 474/1994 che, ovviamente, richiede che la cessione sia effettuata ad un soggetto a capitale prevalentemente privato. Ne' e' prevista dal nostro ordinamento di settore alcuna possibilita' di procedere ad accorpamenti tra enti ai fini della loro successiva privatizzazione congiunta e comunque, l'ENEL S.p.a. e' gia' stata parzialmente privatizzata - e' notorio - sicche' di tale singolare accorpamento - realizzato, nella migliore delle ipotesi, a... "prezzo di costo" - si gioveranno, del tutto ingiustificatamente, anche i soci privati della societa' acquirente con ulteriore abbandono del solco della legittimita' tracciato proprio dalle norme di cui alla legge n. 474/1994 impropriamente richiamate dal decreto impugnato (privatizzare vuol dire cedere aziende pubbliche in misura prevalente ai privati e previa esplorazione del mercato). Del resto l'accorpamento tra ENEL e Acquedotto pugliese S.p.a. non puo' essere giustificato dalla presunta analogia delle attivita' svolte dalle due societa' "nel settore idrico", l'una occupandosi della produzione dell'energia elettrica, l'altra dell'erogazione del servizio acquedottistico. Ne' potrebbe mai ritenersi attuato il fine di razionalizzare le partecipazioni statali mediante l'accorpamento ad altro soggetto - qualsiasi soggetto - dell'Acquedotto pugliese S.p.a., vista la gia' rimarcata sua assoluta condizione peculiare di piu' grande Acquedotto europeo a servizio di due regioni del meridione d'Italia: il regime monopolistico che - giocoforza - ha caratterizzato e caratterizzera' in ogni epoca l'attivita' dell'Acquedotto pugliese S.p.a. avrebbe dovuto e dovra' essere adeguatamente valorizzato in sede di sua privatizzazione, non certo annullato o comunque fortemente attenuato dall'incorporazione in un altro soggetto giuridico dedito a tutt'altra attivita' e privo della connotazione suddetta. F.3 Infine, esso rappresenta un caso di scuola del totale abbandono del servizio pubblico essenziale nelle mani di un soggetto parzialmente privato - con la prospettiva di divenire privato del tutto - sino ad oggi certamente estraneo alla materia acquedottistica (come gia' rimarcato, la competenza in materia "idrica" dell'ENEL riguarda, ovviamente, l'utilizzazione dell'acqua al fine della produzione di energia elettrica non gia' l'adduzione ai fini dell'approvvigionamento idrico e dell'irrigazione, attivita' che invece svolge - unitamente a quella della gestione di reti fognarie e depuratori - l'Acquedotto pugliese S.p.a.). Cio', perdippiu', in violazione della disciplina vigente per la cessione delle societa' erogatrici di servizi essenziali, che prevede la previa costituzione degli "organismi indipendenti per la regolarizzazione delle tariffe e il controllo della qualita' dei servizi" (art. 1-bis, legge n. 30 luglio 1994, n. 474) e, inoltre, una serie di cautele riferite all'ordinamento societario interno (art. 2) che, vista appunto l'essenzialita' del servizio svolto dall'ente societario in via di privatizzazione, deve riservare alla mano pubblica, "(Stato o ente), ...speciali poteri anche nel caso che per effetto della cessione di azioni perda la sua posizione di maggioranza o comunque di controllo in sede di assemblea degli azionisti. Di cio' si occupa l'art. 2 del d.l. (come modificato dalla legge di conversione) il quale dispone che, prima di procedere ad atti che determinino la perdita del controllo, lo statuto venga modificato con l'inserimento di clausole rivolte ad attribuire all'azionista pubblico, indipendentemente dalla consistenza della sua partecipazione statutaria, il potere di designare un certo numero di sindaci, di esprimere gradimento alla formazione di gruppi e sindacati di controllo, nonche' a determinate modifiche nella composizione del capitale azionario, di esprimere il veto ad alcune delibere e cosi' via" (Consiglio di Stato, sez. I, 20 settembre 1995, n. 330). Controparte, da un lato, non ha istituito gli "organismi indipendenti" prescritti dalla norma summenzionata; dall'altro ha espressamente rinunziato ad esercitare i poteri speciali ("considerato che non si intendono introdurre i poteri speciali di cui all'art. 2 del citato decreto legge n. 332 del 1994 nello statuto dell'EAAP": cfr. 11o cpv. della premessa al decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri 9 marzo 2000) pur se tale esercizio e' previsto dalla legge non gia' in guisa di mera facolta'. L'abbandono dell'Acquedotto pugliese nelle mani di un ente "privatizzando" e' dunque avvenuto in assenza della riserva alla mano pubblica, alla stessa regione concludente se fosse stato consentito di assumere quote del capitale sociale dell'Acquedotto pugliese S.p.a., dei necessari poteri di "indirizzo" prescritti dalla legge. Si deduce, pertanto, la violazione degli artt. 5, 117 e 118 della Costituzione sotto il profilo del mancato conferimento alla regione Puglia dei poteri speciali di cui sopra; dell'art. 97 sotto il profilo dell'evidente cattivo andamento dell'attivita' amministrativa; dell'art. 41 per aver espressamente rinunziato a "determinare i programmi e i controlli opportuni perche' l'attivita' economica pubblica e privata possa essere coordinata e indirizzata a fini sociali".
P. Q. M. Si chiede che l'on.le Corte adita, risolvendo favorevolmente per l'istante il conflitto di attribuzione proposto con il presente atto, dichiari che non spetta allo Stato cedere l'Acquedotto pugliese S.p.a. all'ENEL S.p.a. violando le prerogative costituzionali della regione Puglia in materia acquedottistica, in particolare i precetti costituzionali di cui agli artt. 41, 117, 118, violando il principio di leale cooperazione (art. 5 Cost). Conseguentemente, annulli il decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri 9 marzo 2000, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 62 del 15 marzo 2000, recante "Definizione dei criteri di privatizzazione e delle modalita' di dismissione dell'Acquedotto pugliese S.p.a.". Vinte le spese e i compensi di lite. Roma, addi' 13 aprile 2000 Prof. avv. Caputi Jambrenghi 00C0494