N. 330 ORDINANZA (Atto di promovimento) 23 marzo 2000
Ordinanza emessa il 23 marzo 2000 dalla Commissione tributaria provinciale di Como sul ricorso proposto da Cecconi Ezio contro D.R.E. Lombardia, sez. di Como. Imposta regionale sulle attivita' produttive (I.R.A.P.) - Presupposto dell'imposta, soggetti passivi e determinazione dell'imponibile - Illegittima equiparazione del lavoro autonomo all'esercizio di impresa - Discriminazione fra redditi di lavoro autonomo - Violazione del principio di eguaglianza tributaria - Incidenza della soppressa contribuzione al S.S.N. sui soli titolari di redditi di lavoro autonomo e di impresa. - D.Lgs. 15 dicembre 1997, n. 446, artt. 3, comma 1, lett. c), 4 e 8. - Costituzione, artt. 3 e 53. Imposta regionale sulle attivita' produttive (I.R.A.P.) - Istituzione e disciplina - Riferimento ad un imponibile non reale, ma fittizio - Violazione del principio di capacita' contributiva. - D.Lgs. 15 dicembre 1997, n. 446 (intero testo). - Costituzione, art. 53. Imposta regionale sulle attivita' produttive (I.R.A.P.) - Assoggettamento dei lavoratori autonomi - Conseguente denunciato aumento della pressione fiscale sui professionisti (stante l'indeducibilita' dell'I.R.A.P. dalle imposte sul reddito) - Eccesso di delega. - D.Lgs. 15 dicembre 1997, n. 446, art. 3, comma 1, lett. c). - Costituzione, art. 76 (in relazione all'art. 3, comma 143, legge 23 dicembre 1996, n. 662).(GU n.25 del 14-6-2000 )
LA COMMISSIONE TRIBUTARIA PROVINCIALE Ha emesso la seguente ordinanza in merito al ricorso presentato da Cecconi Ezio, residente a Carate Urio (Como), in via Regina n. 77, codice fiscale CCCZEI54Sl0C933O, abilitato a comparire in proprio nel procedimento senza assistenza del difensore delegato, avverso il silenzio rifiuto della direzione regionale delle entrate Lombardia, sezione staccata di Como al rimborso dell'acconto di I.R.A.P. per l'anno 1998, richiesto con istanza del 23 dicembre 1998. F a t t o Il ricorrente ha versato in data 19 giugno 1998 la somma di L. 3.258.000 quale primo acconto dell'I.R.A.P. dovuta per il 1998 e in data 30 novembre 1998 la somma di L. 3.258.000 quale secondo acconto della stessa imposta per lo stesso anno. Con istanza del 23 dicembre 1998 il ricorrente ha chiesto il rimborso delle somme versate, oltre agli interessi di legge, ritenendo che l'imposta non sia dovuta in quanto il d.lgs. n. 446/1997 sarebbe in contrasto con i principi di cui agli articoli 3, 53, 76, 35 e 23 della Costituzione. Essendo trascorso inutilmente il termine di novanta giorni previsto dall'art. 21, comma 2, del d.lgs. n. 546/1992, il ricorrente ha presentato ricorso a questo giudice contro il silenzio rifiuto dell'amministrazione finanziaria, variamente argomentando in merito alla asserita illegittimita' costituzionale del decreto istitutivo dell'I.R.A.P. rispetto alle citate norme della Costituzione. La parte ricorrente conclude chiedendo alla commissione adita di pronunciarsi sulla non manifesta infondatezza delle questioni di illegittimita' costituzionale sollevate nel ricorso, di voler disporre la trasmissione degli atti alla Corte cotituzionale per le relative pronunzie e di dichiarare dovuto il rimborso delle somme versate a titolo di acconto dell'I.R.A.P. per l'anno 1998, con vittoria delle spese di giudizio. La direzione regionale delle entrate per la Lombardia - sezione staccata di Como - costituitasi in giudizio, ha chiesto il rigetto del ricorso, con vittoria di spese, trattandosi di imposta prevista da una legge dello Stato e pertanto legittimamente dovuta. L'eventuale incostituzionalita' della normativa sull'I.R.A.P. deve essere sollevata davanti alla Corte costituzionale. Non si e' svolta la pubblica udienza e il collegio, riunito in camera di consiglio, si e' riservato di deliberare. D i r i t t o Osserva in primo luogo questo collegio, in risposta alla direzione regionale delle entrate - sezione staccata di Como - che e' vero che le questioni di incostituzionalita' della normativa dell'I.R.A.P. devono essere sollevate davanti alla Corte costituzionale, ma e' anche vero che compete a questo collegio, in prima istanza, pronunciarsi sulla rilevanza delle questioni di incostituzionalita' sollevate, rispetto alla materia del contendere in questo procedimento, sulla eventuale manifesta o non manifesta infondatezza delle questioni sollevate e, se del caso, ordinare la trasmissione degli atti alla Corte per il relativo giudizio. Detto questo, ritenuta la sicura rilevanza delle questioni sollevate, si puo' passare alla disamina per paragrafi delle singole questioni, appunto per rilevarne la manifesta o non manifesta infondatezza sotto i diversi profili di legittimita' costituzionale. ce=3; A) Questione di illegittimita' costituzionale del decreto istitutivo dell'I.R.A.P. (D.Lgs. 15 dicembre 1997, n. 446, art. 3, comma 1, lett. c), articoli 4 e 8) rispetto agli articoli 3 e 53 della Costituzione. L'art. 3 della Costituzione stabilisce la pari dignita' sociale di tutti i cittadini e la loro uguaglianza davanti alla legge. E' stata sollevata la questione di illegittimita' costituzionale del decreto istitutivo dell'I.R.A.P. rispetto a questa norma costituzionale, in combinato disposto con l'art. 53 della Costituzione, che impone l'obbligo di contribuzione in ragione della capacita' contributiva. E' stata sollevata anche l'eccezione di incostituzionalita' con riferimento specifico ed esclusivo all'art. 53, che sara' esaminata in un successivo paragrafo. Qui ci si deve limitare ad esaminare questa prima eccezione di incostituzionalita', basata sull'assunto che la determinazione dell'imponibile assuma elementi indicatori di capacita' contributiva per una o piu' categorie di cittadini e che gli stessi elementi non si possano considerare indicatori di capacita' contributiva per altra o altre categorie di cittadini. L'ulteriore questione della compatibilita' dell'imponibile ad I.R.A.P. con il concetto di capacita' contributiva genericamente inteso e' argomento della accennata eccezione successiva. La questione non e' manifestamente infondata. La disamina della questione deve partire dal presupposto stesso dell'imposta, che e' definito dall'art. 2 del d.lgs. 15 dicembre 1997, n. 446, come "l'esercizio abituale di una attivita' autonomamente organizzata diretta alla produzione e allo scambio di beni ovvero alla prestazione di servizi". L'art. 3 dello stesso decreto, nel definire soggetti passivi dell'imposta coloro che esercitano una o piu' delle attivita' di cui all'art. 2, elenca sei categorie di soggetti, riconducibili in sintesi a tre gruppi: 1) gli imprenditori, siano essi persone fisiche o societa' di persone o di capitali; 2) le persone fisiche e le societa' semplici esercenti arti e professioni; 3) gli enti pubblici e privati. La base imponibile e' definita dall'art. 4 del decreto, come valore della produzione netta derivante dall'attivita' esercitata. La struttura della base imponibile non e' sostanzialmente diversa per i primi due gruppi dei tre sopra elencati e risponde allo schema seguente: ammontare del fatturato, al netto dei costi inerenti, esclusi alcuni, tra i quali gli interessi passivi e le spese per il personale dipendente. Nell'art. 8, appositamente dedicato ai soggetti che esercitano le arti e professioni, il caposaldo della base imponibile e' costituito dall' ammontare dei compensi percepiti. La questione di illegittimita' costituzionale e' stata sollevata in quanto la strutturazione dell'I.R.A.P. attuerebbe una discriminazione a danno degli esercenti il lavoro autonomo derivante dall'esercizio di arti e professioni, in violazione degli articoli 3 e 53 della Costituzione. Le argomentazioni addotte sono le seguenti: 1) La normativa dell'I.R.A.P. ha introdotto una illegittima equiparazione dell'esercizio di arti e professioni all'esercizio di impresa, mentre tali attivita' sono distinte nella loro essenza e nella disciplina di ogni tributo. L'argomento e' pregevole ai fini della sollevata questione di illegittimita' costituzionale ed e' sostenuto da un precedente importante nella giurisprudenza della stessa Corte costituzionale che e' la sentenza n. 42 del 26 marzo 1980, con la quale e' stata dichiarata l'incostituzionalita' dell'imposizione ad I.L.O.R. dei redditi di lavoro autonomo. Tale pronuncia di incostituzionalita' si fondava proprio sull'essenza del lavoro autonomo, radicalmente e intrinsecamente differenziato dall'attivita' d'impresa, in quanto basato sull'attivita' lavorativa personale, ancorche' autonoma, del professionista e dell'artista e non sulla combinazione di una attivita' imprenditoriale con gli altri fattori produttivi tipici dell'impresa. L'assoggettamento ad I.R.A.P. dell'attivita' di lavoro autonomo, come conseguenza dell'equiparazione di tale attivita' all'attivita' d'impresa nell'"esercizio abituale di una attivita' autonomamente organizzata diretta alla produzione e allo scambio di beni ovvero alla prestazione di servizi", secondo la definizione dell'art. 2 del d.lgs. 15 dicembre 1997, n. 446, ripristina l'equiparazione illegittima sotto il profilo costituzionale, a suo tempo censurata dalla Corte con la citata sentenza n. 42/1980. 2) Un ulteriore elemento illegittimamente discriminante e' reperibile all'interno dell'area delle attivita' di lavoro, laddove non e' colpito dall'I.R.A.P. non soltanto il lavoro dipendente, beninteso in capo ai percettori dei redditi relativi, ma neppure il lavoro autonomo occasionale o continuativo, esercitato al di fuori dell'ambito legislativo, fiscale e regolamentare dell'attivita' professionale e artistica, la quale risulta dunque doppiamente penalizzata, in violazione dell'art. 3 della Costituzione. 3) La normativa dell'I.R.A.P. con riguardo ai redditi di lavoro autonomo, ha illegittimamente assunto l'esercizio abituale di una attivita' autonomamente organizzata diretta alla produzione e allo scambio di beni ovvero alla prestazione di servizi, quale indice di capacita' contributiva. Pur con la gia' formulata riserva di discutere piu' avanti il concetto con riferimento all'art. 53 Cost., per il momento si deve rilevare che, nell'esercizio delle arti e professioni, la struttura organizzativa non costituisce, nella normalita' dei casi, un elemento rilevante e qualificante rispetto all'attivita' personale sulla quale e' incentrata l'attivita' artistica e professionale. Il "valore netto della produzione" che la norma assume come testa di ponte nella determinazione dell'imponibile ad I.R.A.P., non costituisce un indice idoneo ad esprimere la capacita' contributiva collegata all'esercizio dell'attivita' professionale. Il concetto stesso di "valore della produzione", o addirittura di "produzione" non puo' essere adottato con lo stesso significato nell'attivita' d'impresa e nell'attivita' di lavoro autonomo, essendo profondamente diverse le radici ontologiche e causali del valore prodotto. Risulta pertanto violato il principio di eguaglianza tributaria piu' volte affermato dalla stessa Corte, secondo il quale ad uguali situazioni di fatto, economiche e giuridiche, devono corrispondere regimi impositivi uguali. 4) Un altro argomento rafforza la tesi dell'illegittimita' costituzionale dell'I.R.A.P. all'art. 3 della Costituzione. Uno dei tributi soppressi e sostituiti dall'I.R.A.P. e' il contributo al servizio sanitario nazionale. La sostituzione di tale contributo, che in precedenza gravava su tutti i contribuenti, con il tributo di nuova istituzione, che colpisce soltanto alcune categorie di cittadini, fa si' che il costo di un servizio di cui tutti usufruiscono sia invece sopportato solo dalle categorie incise dalla nuova imposta. A tal proposito si ricorda che la Corte costituzionale (sent. 3 dicembre 1987, n. 431) aveva invitato il Governo a parametrare il costo del servizio sanitario nazionale a un sistema sostanzialmente assicurativo, auspicando "un rapporto adeguativo, certo e concreto fra prestazioni e contribuzioni". B) Questione di illegittimita' costituzionale del decreto istitutivo dell'I.R.A.P. (D.Lgs. 15 dicembre 1997, n. 446, intero decreto) rispetto all'art. 53 della Costituzione. Una specifica e preannunciata analisi merita la sollevata questione di illegittimita' costituzionale del decreto istitutivo dell'I.R.A.P. rispetto all'art. 53 della Costituzione: "tutti sono tenuti a concorrere alle spese pubbliche in ragione della loro capacita' contributiva (primo comma). Il sistema tributario e' informato a criteri di progressivita' (secondo comma)". La questione appare a questo collegio non manifestamente infondata. Il concetto di capacita' contributiva e' stato studiato dalla dottrina fin dalla emanazione della Costituzione, con esiti eterogenei piu' o meno esaurienti, a seconda dei diversi percorsi esegetici, ma una sola e' stata ed e' la conclusione degli studi dottrinari, ancora oggi valida e consolidata, e cioe' che la capacita' contributiva e' un requisito personale del soggetto, che non puo' essere in alcun modo e forma individuato in situazioni astratte o genericamente presunte dal legislatore tributario. Risulta chiaramente dalla norma costituzionale che l'obbligo della contribuzione e' strettamente correlato alla capacita' contributiva ("tutti sono tenuti... in ragione della loro capacita' contributiva"). Quanto alla titolarita' dell'obbligo di contribuzione, l'apertura dell'art. 53 della Costituzione - "tutti sono tenuti..." - non e' all'evidenza riferita in astratto alla collettivita' nazionale, bensi' alla totalita' dei cittadini singolarmente considerati, sui quali grava l'obbligo della contribuzione in misura differenziata, singolarmente e individualmente determinata dalla capacita' contributiva di ciascuno di essi. Quanto al concetto di "capacita'", lo studio semantico della parola nel contesto in cui e' collocata induce ad alcune conclusioni perfettamente coerenti: 1) La titolarita' giuridica dell'obbligo di contribuzione e' individuale e non collettiva, o astratta, o generica. 2) La capacita' definisce sinteticamente l'attitudine del coacervo reddituale del singolo cittadino a contenere l'ammontare della contribuzione. In altre parole, il cittadino diventa contribuente se ed in quanto dispone di un reddito effettivo, concreto, misurabile ed in ammontare tale da contenere la quota di contribuzione, senza essere da quest'ultima completamente assorbito. Cio' e' tanto vero, che la normativa tributaria esonera esplicitamente dalla contribuzione i redditi che non superano un certo limite. A maggior ragione, non sorge alcun obbligo di contribuzione se non sussiste alcun reddito, non potendosi configurare la capacita' contributiva in un reddito inesistente. 3) Il concetto fondamentale di capacita' contributiva determinata e misurata dal reddito del soggetto e' compatibile con una sua estensione a manifestazioni per cosi' dire "indirette" di capacita' contributiva, quali il possesso di un patrimonio o il puro e semplice consumo di ricchezza. Un patrimonio e' in se' stesso produttivo di reddito, in forma diretta o indiretta, tant'e' vero che tutte le fattispecie di imposizione patrimoniale sono immediatamente riconducibili alla imposizione dei frutti del patrimonio, non essendo configurabile una imposizione sul patrimonio concepita come pura e semplice spoliazione del medesimo. In altre parole, la tassazione patrimoniale non puo' consistere in un depauperamento del patrimonio protratto nel tempo, che porterebbe piu' o meno rapidamente all'azzeramento del patrimonio stesso, bensi' in un prelievo sull'incremento del patrimonio e quindi, in definitiva, sul reddito prodotto dal medesimo. Per quanto riguarda il consumo, esso puo' essere considerato un indicatore di capacita' contributiva del consumatore ed e' pertanto legittima l'imposizione indiretta dei consumi, concepita come prelievo proporzionale al reddito speso nei consumi stessi. Il secondo comma dell'art. 53 della Costituzione e' una norma imperativa, secondo la quale l'obbligo di contribuzione non e' proporzionale al coacervo reddituale, ma aumenta in proporzione con l'aumentare del reddito, in base a criteri matematici stabiliti dalla legge con riferimento al singolo reddito che contiene la contribuzione, e non gia' ad una massa reddituale collettiva o astratta o generica, donde la ben nota regola che a parita' di reddito sussiste parita' quantitativa dell'obbligo di contribuzione, nel rispetto dell'art. 3 della Costituzione. Questa concezione della capacita' contributiva e' stata ripetutamente affermata dalla stessa Corte costituzionale. In particolare, nella sentenza n. 120 del 1972, la Corte ha affermato 1'"esigenza che ogni prelievo tributario abbia causa giustificatoria in indici concretamente rivelatori di ricchezza". In altre sentenze (n. 103 e n. 109 del 1967, n. 99 del 1968 e n. 200 del 1976) la Corte costituzionale, sia pure allo scopo di delimitare i criteri di legittimita' delle presunzioni tributarie, ha affermato che gli indici concretamente rivelatori di ricchezza devono esere "fatti reali", affinche' l'imposizione non abbia una "base fittizia". L'aggettivo "fittizio", secondo qualsiasi dizionario, significa non vero, o artificioso, o immaginario. Dunque, gli indici concretamente rivelatori di ricchezza devono essere fatti reali, ma non basta: tali fatti reali devono indurre alla determinazione di una base imponibile vera, non immaginaria e, soprattutto per quanto riguarda l'I.R.A.P., non artificiosa. Cosi' delineato il concetto di capacita' contributiva, e' agevole constatare che l'I.R.A.P. non risponde ad alcuno dei requisiti sopra descritti ed e' sufficiente analizzare la formazione dell'imponibile, per rendersene conto. L'imponibile ad I.R.A.P. e' strutturato dalla normativa istitutiva partendo da un valore lordo della cosiddetta "produzione", che e' in definitiva l'ammontare del fatturato sommato all'incremento delle rimanenze, per le aziende di produzione, e al semplice ammontare del fatturato per le aziende produttrici di servizi e per i soggetti che esercitano una libera professione. Tale valore lordo e' ricondotto al valore netto imponibile, attraverso il deconto di alcuni costi, non di tutti, che la normativa istitutiva dell'I.R.A.P. assume in relazione diretta con il valore della produzione e che le norme ordinarie della imposizione diretta (I.R.P.E.F. e I.R.P.E.G.) ammettono in detrazione. Non sono ammessi in detrazione, ai fini dell'I.R.A.P., i costi relativi a due fondamentali fattori di produzione, che sono il lavoro e il capitale. In pratica, non sono rilevanti nella determinazione dell'imponibile I.R.A.P. i costi del personale e delle collaborazioni indipendenti, la remunerazione del lavoro dell'imprenditore e gli oneri finanziari. Quanto sopra determina un imponibile ad I.R.A.P. per molti aspetti aberrante, rispetto al concetto di capacita' contributiva. In particolare: a) I costi non imputabili come tali ai fini dell'I.R.A.P. condizionano fortemente la formazione del reddito effettivo del soggetto e, se tali costi superano il valore della produzione, lo tramutano addirittura in una perdita. In tal caso l'esito reddituale negativo (perdita) non esime il soggetto passivo dall'imposizione ad I.R.A.P. Senonche' la perdita e' assenza di reddito e l'assenza di reddito e' assenza di capacita' contributiva. Dunque, l'I.R.A.P. puo' determinare una obbligazione contributiva in assenza di una concreta capacita' contributiva. b) Le regole per la determinazione dell'imponibile ad I.R.A.P. non reggono neppure in presenza di un esito reddituale positivo, rispetto al concetto di capacita' contributiva, in quanto tale imposta colpisce una base imponibile fittizia, che non rappresenta un indice concretamente rivelatore di ricchezza. Risultano infatti brutalmente tassati, in aggiunta al valore della produzione, i costi del personale e del lavoro in generale e gli oneri finanziari, come se fossero elementi di reddito e non di costo per il soggetto passivo dell'I.R.A.P. Sussistono altri importanti motivi di censura del meccanismo impositivo dell'I.R.A.P., nell'ottica della capacita' contributiva. I costi del personale si possono suddividere in due componenti fondamentali: una di esse rappresenta l'elemento reddituale dei percettori e l'altra e' costituita dalla somma di elementi di contribuzione, in piccola parte a carico dei percettori e in gran parte a carico dei soggetti che erogano le retribuzioni. Il meccanismo impositivo dell'I.R.A.P. determina pertanto una duplice, anche se diversa tassazione dell'elemento reddituale dei costi del personale, per di piu' traslata sui soggetti eroganti, e determina anche la tassazione degli elementi di contribuzione incorporati nei costi stessi. In sostanza, con l'I.R.A.P. i costi del personale vengono colpiti per la seconda volta, mediante il semplice mutamento del soggetto passivo. La doppia imposizione colpisce il soggetto erogante, anziche' il soggetto percettore. Nessuno dei due suddetti elementi tassati dall'I.R.A.P. e' compatibile con il concetto di capacita' contributiva di cui all'art. 53 della Costituzione, riferito al soggetto passivo. Infatti, relativamente ai costi del personale e del lavoro in generale, la capacita' contributiva dell'elemento reddituale appartiene ai percettori e non all'erogante, mentre non si configura alcuna capacita' contributiva negli elementi di contribuzione facenti parte del costo del lavoro. Per quanto riguarda gli oneri finanziari, il ragionamento di fondo e' in parte simile al precedente, in quanto tali oneri rappresentano componenti positivi di reddito degli enti bancari e finanziari percepenti e quindi concorrono alla determinazione del reddito di questi ultimi, soggetto ad imposizione diretta. Dei problemi esposti sopra deve essersi reso conto anche l'estensore (F. Gallo) della relazione alla commissione ministeriale costituita per lo studio e l'istituzione dell'I.R.A.P. tant'e' vero che, per giustificare l'imposta sotto l'aspetto della capacita' contributiva, e' stata inventata una "capacita' contributiva impersonale, basata sulla capacita' produttiva che deriva dalla combinazione di uomini, macchine, materiali ecc." e, quindi, "una capacita' contributiva autonoma "reale , separata dalla capacita' contributiva "personale propria dei singoli individui, in qualita' di proprietari, di percettori di redditi o di consumatori". Il concetto e' stato trasfuso nel presupposto dell'imposta, definito dall'art. 2, d.lgs. n. 446/1997 con "l'esercizio abituale di una attivita' autonomamente organizzata diretta alla produzione o allo scambio di beni ovvero alla prestazione di servizi". Risulta dunque sovvertita la concezione della capacita' contributiva, configurata dall'art. 53 della Costituzione, a tal punto che la normativa istitutiva dell'I.R.A.P. assume come presupposto impositivo non gia' il conseguimento di un reddito o di un valore aggiunto, bensi' l'esercizio abituale dell'attivita' di produzione di beni o di prestazione di servizi, a prescindere dal risultato economico di tale attivita'. Tale concezione di capacita' contributiva comporta un ulteriore potenziale effetto perverso, nell'ipotesi in cui, non sussistendo reddito, l'imposta incide sul patrimonio del soggetto passivo, provocandone una secca decurtazione, e lo costringe addirittura ad indebitarsi se quel patrimonio non esiste o non e' sufficiente per assolvere l'obbligazione tributaria, e cio' e' in contrasto con qualsiasi pur fantasiosa concezione di capacita' contributiva. E' il caso dunque di affermare che l'I.R.A.P. colpisce una base imponibile artificiosa e fittizia, costruita su indici che sono rivelatori di ricchezza soltanto nella fantasia degli inventori dell'imposta. Consegue da quanto sopra che l'I.R.A.P. si appalesa un'imposta spogliante e pertanto in contrasto con l'ordinamento tributario italiano, con particolare riferimento all'art. 53 della Costituzione. C) Questione di illegittimita' costituzionale del decreto istitutivo dell'I.R.A.P. (D.Lgs. 15 dicembre 1997, n. 446, art. 3, comma 1, lett. c) rispetto all'art. 76 della Costituzione. L'art. 3, comma 143 della legge 23 dicembre 1996, n. 662 (legge delega) cosi' recita: "Il Governo della Repubblica e' delegato ad emanare....Al fine di ridurre il costo del lavoro autonomo...Nel rispetto dei principi Costituzionali...uno o piu' decreti legislativi....". E' stata sollevata la questione di incostituzionalita' dell'I.R.A.P. per eccesso di' delega, in violazione dell'art. 76 della Costituzione, in quanto l'I.R.A.P. stessa avrebbe aggravato e non ridotto il costo del lavoro autonomo, sostenendosi l'evidenza che la struttura del tributo, cosi' come articolata nel d.lgs. di attuazione, viola clamorosamente il contenuto della legge delega, esponendosi cosi' alla predetta censura di incostituzionalita'. L'eccezione non e' manifestamente infondata. Invero il carico tributario derivante dall'I.R.A.P. e' notevolmente aumentato per i professionisti, sostituendo tale imposta, a gettito programmato come invariato, alcune imposte a gettito significativo, come l'I.L.O.R. e l'imposta sul patrimonio netto delle imprese, che non gravavano sui lavoratori autonomi, per cui, per realizzare l'invarianza del gettito e' stato necessario aumentare (e non diminuire) la pressione fiscale sui professionisti. Si aggiunga che alcuni tributi, imposte e tasse sostituiti dall'I.R.A.P. (contributo al S.S.N., tassa sulla partita I.V.A., I.C.I.A.P.) erano deducibili dal reddito imponibile, mentre l'I.R.A.P. e' del tutto indeducibile. Si e' pertanto determinato, per effetto di tale indeducibilita', un ulteriore aggravio fiscale a carico dei soggetti passivi ad I.R.A.P. e quindi anche dei lavoratori autonomi, per i quali invece la legge delega voleva alleggerire i costi con lo strumento fiscale. D) Questione di illegittimita' costituzionale del decreto istitutivo dell'I.R.A.P. (D.Lgs. l5 dicembre 1997, n. 446) rispetto all'art. 35 della Costituzione. L'art. 35 della Costituzione recita testualmente: "La Repubblica tutela il lavoro in tutte le sue forme ed applicazioni". E' stata sollevata l'eccezione di incostituzionalita' dell'I.R.A.P. riguardo alla suddetta norma costituzionale, in dipendenza della non esclusione dalla base imponibile del costo del lavoro dipendente e para-subordinato. Tale forma di "penalizzazione" fiscale del costo del lavoro favorirebbe pesantemente l'opzione di investimenti in fattori produttivi diversi dal lavoro. Questa eccezione e' manifestamente infondata. L'imponibilita' secca ad I.R.A.P. del costo del lavoro e' gia' stata criticata in precedenza, sotto il profilo della legittimita' costituzionale rispetto all'art. 53 della Costituzione. Secondo questa ulteriore eccezione, tale imponibilita' violerebbe il principio di tutela del lavoro stabilito dall'art. 35 della Costituzione, in quanto costituirebbe un elemento fortemente disincentivante per gli investimenti nel fattore lavoro, ovvero, piu' semplicemente, per l'assunzione di personale dipendente. E' facile rendersi conto che quest'ultimo assunto non e' vero, cioe' non e' vero che l'assoggettamento ad I.R.A.P. del costo del lavoro ha prodotto l'effetto di aumentare quel costo, fino al punto da disincentivare le assunzioni di personale dipendente. Invero non si puo' escludere che l'impatto dell'I.R.A.P. con il costo del lavoro abbia sortito un effetto psicologico negativo sui soggetti passivi dell'imposta, ma dal punto di vista matematico, che e' poi quello che conta in questo contesto, l'I.R.A.P. ha sostituito un pesante elemento del costo del lavoro, che era il contributo al servizio sanitario nazionale che gravava sul datore di lavoro in ragione del 9,60 per cento sulla retribuzione lorda, e sul lavoratore dipendente in ragione dell'1 per cento. L'aliquota ordinaria dell'I.R.A.P. e' il 4,25 per cento, che grava sull'intero costo del lavoro. La quota contributiva del costo del lavoro e' attualmente, cioe' dopo l'istituzione dell'I.R.A.P., mediamente del 40 per cento, mentre prima dell'I.R.A.P. era del 50,60 per cento. Cio' significa che, fatta uguale a cento la retribuzione soggetta alla quota contributiva, in precedenza il costo del lavoro diventava 150,60, mentre ora, senza ancora calcolare l'I.R.A.P., ammonta a 140. Se a questo numero applichiamo l'aliquota I.R.A.P. del 4,25 per cento, raggiungiamo un costo complessivo di 145,95, da confrontare con il precedente 150,60. Dal calcolo risulta evidente che l'I.R.A.P. non ha affatto appesantito il costo del lavoro, fino al punto da costituire un disincentivo alle assunzioni. Per questo la specifica questione di illegittimita' costituzionale dell'I.R.A.P. rispetto all'art. 35 della Costituzione e' matematicamente e quindi manifestamente infondata. E) Questione di illegittimita' costituzionale del decreto istitutivo dell'I.R.A.P. (D.Lgs. 15 dicembre 1997, n. 446, art. 45, comma 3) rispetto all'art. 23 della Costituzione. Il decreto legislativo n. 446/1997 istitutivo dell'I.R.A.P., con il terzo comma dell'art. 45, stabilisce la cosiddetta "clausola di salvaguardia", secondo la quale appositi decreti del Ministero delle finanze dovevano stabilire l'entita' dell'acconto d'imposta. E' stata sollevata la questione di illegittimita' costituzionale di tale norma rispetto all'art. 23 della Costituzione, sostenendosi che il legislatore delegato, demandando a decreti ministeriali la misura dell'acconto di imposta dovuto, avrebbe violato l'art. 23 della Costituzione secondo il quale, in base al principio di legalita', "nessuna prestazione personale e patrimoniale puo' essere imposta se non in base alla legge". La violazione del principio di legalita' consisterebbe nel fatto che la misura dell'acconto d'imposta e' determinata con provvedimenti - i decreti ministeriali - non aventi forza di legge. La questione e' manifestamente infondata. Sembra a questo collegio che quest'ultima eccezione di illegittimita' costituzionale sia gravemente carente di rilevanza sostanziale, basandosi essa esclusivamente sulla critica formale della "forza di legge" di un provvedimento che in effetti legge non e', come il decreto ministeriale. E' opportuno rammentare, a questo proposito, che la dottrina giuridica piu' aggiornata, e la stessa giurisprudenza, hanno superato la discriminazione meramente scolastica della forza di legge di un decreto del potere esecutivo, considerato in se' stesso e non con riferimento alla causa originaria del provvedimento. E' evidente che il decreto ministeriale viola il principio di legalita' di cui all'art. 23 della Costituzione soltanto se impone prestazioni personali e patrimoniali che abbiano l'origine e la causa nel decreto ministeriale stesso. Soltanto in questa ipotesi il decreto ministeriale si attribuirebbe una originaria forza di legge, che per la sua stessa natura giuridica non gli compete. Ben diverso e' il caso del decreto ministeriale avente una funzione tecnica di computo o di esplicitazione pratica della norma di legge, funzione da quest'ultima esplicitamente demandata al decreto ministeriale. Il concetto di acconto d'imposta, anche relativamente all'I.R.A.P., non e' stato "inventato" con decreto ministeriale, ma e' insito nell'art. 45 del d.lgs. n. 446/1997. Ne consegue che il decreto ministeriale non impone da se' stesso prestazioni personali o patrimoniali, ma si limita ad esplicitare tecnicamente una prestazione prevista da un diverso provvedimento avente forza di legge. Non risulta dunque violato, a parere di questo collegio, il principio di legalita' di cui all'art. 45 della Costituzione. In conclusione, ritenendo questo collegio che alcune questioni di illegittimita' costituzionale sollevate dalla parte ricorrente non siano manifestamente infondate e che siano attinenti alla materia del contendere di questo procedimento, il presente procedimento deve essere sospeso e il fascicolo processuale deve essere trasmesso alla Corte costituzionele.
P. Q. M. Il collegio, sciogliendo la riserva espressa in camera di consiglio il 27 ottobre 1999, ritenendo non manifestamente infondate alcune questioni di legittimita' costituzionale sollevate nel ricorso in esame e dettagliatamente esposte nella parte motiva, sospende questo procedimento e ordina l'immediata trasmissione degli atti alla Corte costituzionale. Ordina altresi' che, a cura della segreteria, l'ordinanza sia notificata alle parti in causa, al Presidente del Consiglio dei Ministri e comunicata alle due Camere del Parlamento. Cosi' deciso in Como, il 23 marzo 2000. Il presidente: Masi Il relatore-estensore: Ambrosetti 00C0518