N. 331 ORDINANZA (Atto di promovimento) 5 febbraio 2000
Ordinanza emessa il 5 febbraio 2000 dal giudice per l'udienza preliminare presso il Tribunale di Palermo nel procedimento penale a carico di Citro Pietro ed altri Processo penale - Dibattimento - Acquisizione delle prove - Esame di imputato in procedimento connesso - Dichiarazioni rese nel corso delle indagini preliminari su fatti implicanti responsabilita' di altri - Esercizio della facolta' di non rispondere - Applicabilita' della disciplina di cui all'art. 500, comma 2-bis e 4, cod. proc. pen., indipendentemente dal verificarsi di uno dei casi previsti dall'art. 111, comma terzo, Cost. - Contrasto con il principio del contraddittorio. - Cod. proc. pen., art. 513, comma 2. - Costituzione, art. 111, secondo e terzo comma.(GU n.25 del 14-6-2000 )
IL TRIBUNALE Pronunciato sull'eccezione di leggittimita' costituzionale dell'art. 513 comma primo, del codice di procedura penale per violazione degli articoli 3, 24, e 111 della Costituzione, proposta dalla difesa nel procedimento suindicato nei confronti di Citro Pietro piu' altri. O s s e r v a Nel corso dell'udienza preliminare il pubblico ministero ha chiesto di procedere, con le forme dell'incidente probatorio, ad esame degli imputati Zerilli, Mirabile, Giuffrida, Calzaruso, Mazzola e Noto su fatti concernenti la responsabilita' di altri soggetti imputati nel medesimo procedimento (articoli 392 lettera c) e 393 del codice di procedura penale). Ammesso il predetto mezzo istruttorio, l'imputata Zerilli si avvaleva della facolta' di non rispondere e, di conseguenza, non essendovi accordo tra le parti per procedere alla lettura dei verbali delle dichiarazioni rese dall'imputata nel corsi delle indagini preliminari, il pubblico ministero chiedeva di procedere alla contestazione delle stesse, a norma dell'art. 513, comma secondo del codice di procedura penale, come modificato dalla sentenza della Corte costituzionale n. 361 del 2 novembre 1998. In relazione a tale richiesta del pubblico ministero, la difesa sollevava la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 513 primo comma del codice di procedura penale, assumendo che detta disposizione sarebbe in contrasto con i principi scaturenti dagli articoli 3, 24 e 111 della Costituzione, alla luce dei principi introdotti di recente dalla legge costituzionale 23 novembre 1999, n. 2, direttamente applicabili all'odierno procedimento in virtu' dell'art. 1 comma 1 del decreto-legge 2/2000. L'anzidetta norma processuale, infatti, sarebbe in contrasto con la costituzionalizzazione del principio del contraddittorio nella formazione della prova, atteso che nella sua attuale formulazione consente, attraverso il meccanismo delle contestazioni, l'inserimento nel fascicolo per il dibattimento di dichiarazioni rese da un soggetto che volontariamente ha deciso di sottrarsi all'esame nel contraddittorio tra le parti. Tanto premesso, corre l'obbligo di rilevare che la questione, nei termini in cui e' stata proposta, pare irrilevante e manifestamente infondata. Ed infatti, la norma della cui costituzionalita' si dubita e' il primo comma dell'art. 513 del codice di procedura penale, ove si prevede che il giudice, in caso di contumacia o assenza dell'imputato o di rifiuto di sottoporsi all'esame, possa disporre, a richiesta di parte, la lettura dei verbali di dichiarazioni rese nel corso delle indagini preliminari. La medesima norma prevede che tali dichiarazioni non possano comunque essere utilizzate nei confronti di altri, a meno che non vi sia il loro consenso. Orbene, a seguito della dichiarazione di illegittimita' costituzionale dell'art. 210 del codice di procedura penale, nella parte in cui non ne e' prevista l'applicazione anche all'esame dell'imputato nel medesimo procedimento su fatti concernenti la responsabilita' di altri, gia' oggetto delle sue precedenti dichiarazioni rese all'autorita' giudiziaria o alla polizia giudiziaria su delega del pubblico ministero (Corte costituzionale sentenza n. 361/1998), le anzidette disposizioni trovano applicazione nel solo caso dell'imputato esaminato sul fatto proprio (art. 208 del codice di procedura penale). Di conseguenza, quando, come nel caso di specie, si procede all'esame dell'imputato su fatti concernenti la responsabilita' di altri, si realizza una equiparazione tra imputato nel medesimo procedimento e imputato in procedimento connesso, per cui la disciplina dei casi di rifiuto del dichiarante di rispondere sul fatto altrui si deve trarre dal secondo comma dell'art. 513 del codice di procedura civile, ove si prevede che in tale evenienza, in mancanza di accordo delle parti alla lettura, si possa procedere alle contestazioni in applicazione dei commi 2-bis e 4 dell'art. 500 (Corte costituzionale sentenza n. 361/1998). Ne deriva che la questione di costituzionalita', formalmente sollevata nei confronti dell'art. 513 comma 1 del codice di procedura penale, si appalesa irrilevante nel giudizio in corso, ove l'anzidetta norma non ha ancora trovato applicazione. In ogni caso, corre l'obbligo di sottolineare la manifesta infondatezza della questione, posto che il primo comma dell'art. 513 del codice di procedura civile, nel prevedere la possibilita' di dare lettura delle dichiarazioni rese in precedenza dall'imputato che non abbia reso l'esame, dispone che le stesse possano essere utilizzate nei confronti di altri soltanto con il loro consenso. Ed e' evidente come un meccanismo di acquisizione di fonti di prova subordinato al consenso delle parti, non possa per definizione contrastare con il principio del contraddittorio. Tuttavia, indipendentemente dalla formulazione dell'istanza difensiva, non si puo' ignorare che la sostanza della questione sollevata riguarda proprio la disciplina posta dall'art. 513 comma secondo del codice di procedura penale, cosi' come integrato dalla sentenza n. 361/1998 della Corte costituzionale, nella parte in cui prevede che nel caso di rifiuto del dichiarante (sia esso imputato nel medesimo procedimento o imputato di reato connesso) di rispondere sul fatto altrui, in mancanza di accordo tra le parti sulla lettura delle sue precedenti dichiarazioni, si possa procedere a contestazione delle stesse mediante l'applicazione dell'art. 500 commi 2-bis e 4 del codice di procedura penale. Infatti, nell'odierno procedimento il pubblico ministero, a fronte del rifiuto di rispondere da parte dell'imputata, ha chiesto di procedere a contestazione delle dichiarazioni da questa precedentemente rese proprio in applicazione del comma secondo dell'art. 513 del codice di procedura penale. Se cio' e' vero, tenuto conto della sostanza delle doglianze difensive, corre l'obbligo di verificare d'ufficio si l'anzidetta disciplina contrasti con i principi del giusto processo di recente introdotti nell'art. 111 della Costituzione ed in particolare con il penultimo periodo del secondo comma ove si prevede che "il processo e' regolato dal principio del contradditorio nella formazione della prova". In primo luogo, pare evidente la rilevanza della questione ai fini della definizione del procedimento in corso. Infatti, posto che la finalita' dell'incidente probatorio e' quella della formazione anticipata di una prova destinata a valere al dibattimento, va rilevato che dall'esito di uno scrutinio di costituzionalita' sull'anzidetta disciplina posta dall'art. 513 comma secondo del codice di procedura penale, dipende la possibilita' di contestare all'imputata che si e' avvalsa della facolta' di non rispondere il contenuto delle sue precedenti dichiarazioni, con l'effetto di determinare l'inserimento delle stesse nel fascicolo per il dibattimento. D'altro canto, le recenti modifiche integrative dell'art.'111 della Costituzione, ed in particolare la costituzionalizzazione del principio del contradditorio nella formazione della prova, autorizzano a dubitare fondatamente della legittima costituzionale di una norma come l'art. 513, secondo comma, del codice di procedura penale nella parte in cui prevede, attraverso il meccanismo delle costituzioni, la possibilita' di introdurre nel corredo probatorio utile per la decisione (ovvero nel fascicolo per il dibattimento) delle dichiarazioni formatesi senza possibilita' di confronto con la difesa. Vero e' che e' stata proprio la Corte costituzionale (sentenza n. 361/1998) a ritenere costituzionalmente illegittima l'originaria formulazione del secondo comma dell'art. 513 del codice di procedura penale per violazione del principio di ragionevolezza, in riferimento agli articoli 3 e 24 della Costituzione e ad introdurre, di conseguenza, la facolta' di procedere a contestazione attraverso l'applicazione dell'art. 500 commi 2-bis e 4 del codice di procedura penale nel caso in cui il dichiarante si rifiuti di rispondere. Ed e' anche vero che la Corte costituzionale, nella medesima pronuncia, ha ritenuto l'anzidetta soluzione non contrastante con il diritto di difesa dell'imputato distinatario delle dichiarazioni, rilevando che "il diritto al contraddittorio dell'accusato non puo' intendersi con il potere di veto, ma va correttamente inteso come diritto a contestare tali dichiarazioni in contraddittorio con le altre parti e davanti al giudice, adottando il meccanismo gia' previsto dal legislatore in caso di rifiuto totale o parziale di rispondere del testimone". Tuttavia, l'attenta valutazione dei principi del giusto processo introdotti nell'art. 111 della Costituzione dalla legge costituzionale n. 2/1999 evidenzia che l'intento del legislatore costituzionale e' stato quello di rafforzare espressamente l'efficacia del principio del contradditorio, da intendersi non solo come possibilita' per l'imputato di spiegare le proprie ragioni davanti al giudice e di contestare la conducenza e l'attendibilita' del materiale probatorio, ma anche come concreta possibilita' di partecipare direttamente alla formazione delle prove che potranno essere utilizzate per la decisione. Infatti, non puo' intendersi diversamente la disposizione secondo cui "il processo penale e' regolato dal principio del contraddittorio nella formazione della prova" (art. 111, comma 2, della Costituzione). Dunque, il veicolo esclusivo di formazione della prova non puo' che individuarsi nel dibattimento o, comunque, in quegli strumenti processuali (come l'incidente probatorio) che garantiscono alla difesa la possibilita' di partecipazione attiva. A fronte di tale argomento letterale, si potrebbe razionalmente rilevare che si tratta di un principio generale che, in quanto tale, deve essere necessariamente contemperato con gli altri principi posti dalla stessa Carta costituzionale, fra cui ad esempio quello di ragionevolezza coniugato con la funzione conoscitiva tipica del processo penale che e' strumento non disponibile alle parti, destinato all'accertamento giudiziale dei fatti di reato e delle relative responsabilita'. In tale prospettiva, infatti, lo stesso codice di rito prevede delle deroghe ai principi dell'oralita' e dell'immediatezza dibattimentale, come si evince da tutti quegli istituti che recuperano al fascicolo del dibattimento, e quindi alla utilizzazione probatoria, atti compiuti nella fase delle indagini preliminari e non suscettibili di essere riprodotti in una da una prova dibattimentale: in tal senso depongono le disposizioni sugli atti irripetibili (art. 431, ove si dispone l'allegazione al fascicolo dibattimentale dei verbali degli atti non ripetibili compiuti dal pubblico ministero o dalla polizia giudiziaria", sulla lettura degli atti assunti dal pubblico ministero o dal giudice nel corso dell'udienza preliminare, quando per fatti o circostanze imprevedibili ne e' divenuta impossibile la ripetizione (art. 512,), sull'acquisizione di dichiarazioni rese da testi, o dall'imputato "alle quali il difensore aveva il diritto di assistere" se utilizzate per le contestazioni nell'esame (articoli 500, quarto comma, e 503, quinto comma). E del resto, tra tali deroghe si puo' annoverare le stesso regime dell'art. 513 comma secondo del codice di procedura penale, proprio nella formulazione resa dalla stessa Corte costituzionale. Tuttavia, non si puo' fare a meno di rilevare che tali considerazioni - e con esse gli argomenti posti a gonfamento della sentenza n. 361/1998 - debbono essere ulteriormente vagliate alla luce del fatto che il legislatore costituzionale, nell'evidente intento di limitare la possibilita' di derogare alla piena applicazione del principio del contraddittorio, al terzo comma del nuovo art. 111 della Costituzione ha delineato espressamente i casi in cui la formazione della prova non avviene in contraddittorio. Infatti, e' stato previsto, in linea generale, che cio' sia possibile soltanto quando vi sia il consenso dell'imputato, o quando la necessita' di derogare al contraddittorio sia dovuta all'accertata impossibilita' di natura oggettiva o all'effetto di una provata condotta illecita, demandandosi al legislatore ordinario la disciplina e l'individuazione concreta di tali casi. Orbene, mancando ancora una disciplina analitica di tali casi e ritenuto che dal decreto-legge n. 2/2000 deriva l'immediata applicabilita' all'odierno procedimento dei principi dalla legge costituzionale n. 2/1999, pare fondato dubitare della legittimita' costituzionale di un regime di acquisizione probatoria che, per il solo fatto che l'imputato abbia liberatamente ritenuto di non rispondere all'esame, consenta di far transitare nel fascicolo per il dibattimento - e dunque di dotare di efficacia probatoria - delle dichiarazioni rese senza la partecipazione della difesa, indipendentemente dal verificarsi di uno dei casi espressamente previsti dal comma terzo dell'art. 111 della Costituzione. Va dunque sollevata questione di leggittimita' costituzionale dell'art. 513 comma secondo del codice di procedura penale, per contrasto con l'art. 111, commi 2 e 3 della Costituzione, nella parte in cui l'anzidetta norma processuale prevede che, qualora il dichiarante rifiuti o comunque ometta in tutto o in parte di rispondere su fatti concernenti la responsabilita' di altri gia' oggetto delle sue precedenti dichiarazioni, in mancanza dell'accordo delle parti alla lettura, si applica l'art. 500 commi 2-bis e 2 del codice di procedura penale, indipendentemente dal verificarsi di uno dei casi previsti dall'art. 111 terzo comma della Costituzione.
P. Q. M. Visto l'art. 23 legge 11 marzo 1953 n. 87; Rigetta l'eccezione di illegittimita' costituzionale dell'art. 513, primo comma, codice di procedura penale come sopra proposta dalla difesa. Solleva questione di leggittimita' costituzionale dell'art. 513 comma secondo del codice di procedura penale, per contrasto con l'art. 111, secondo e terzo comma della Costituzione, nella parte in cui l'anzidetta norma processuale prevede che, qualora il dichiarante rifiuti o comunque ometta in tutto o in parte di rispondere su fatti concernenti la responsabilita' di altri gia' oggetto delle sue precedenti dichiarazioni, in mancanza dell'accordo delle parti alla lettura, si applica l'art. 500 commi 2-bis e 4 del codice di procedura penale, indipendentemente dal verificarsi di uno dei casi previsti dall'art. 111 comma terzo della Costituzione. Dispone l'immediata trasmissione degli atti alla Corte costituzionale ed ordina la sospensione dell'incidente probatorio e dell'udienza preliminare in corso. Ordina che, a cura della cancelleria, la presente ordinanza sia notificata al presidente del Consiglio dei Ministri e comunicata ai presidenti delle due Camere del Parlamento. Palermo, addi' 5 febbraio 2000. Il giudice per l'udienza preliminare: Licata 00C0519