N. 343 ORDINANZA (Atto di promovimento) 25 gennaio 2000
Ordinanza emessa dal tribunale di Pisa nel procedimento penale a carico di Frighi Andrea Ordinamento giudiziario - Procedimenti penali devoluti alla cognizione del giudice monocratico - Funzioni del pubblico ministero - Delega da parte del procuratore della Repubblica presso il tribunale ordinario a soggetti diversi dai magistrati di carriera (nella specie ufficiale di polizia giudiziaria) - Criteri - Criterio di non delegare le funzioni del pubblico ministero in procedimenti per reati che non ammettono la citazione diretta - Possibilita', secondo il diritto vivente, che il suddetto criterio possa essere disatteso dal Procuratore della Repubblica per ragioni attinenti alla organizzazione del suo ufficio - Disparita' di trattamento a seconda dell'esercizio o meno della facolta' di delega - Lesione del principio del contraddittorio, in condizioni di parita', tra le parti. - R.D. 30 gennaio 1941, n. 12, art. 72, comma 3. - Costituzione, artt. 3 e 111.(GU n.26 del 21-6-2000 )
IL TRIBUNALE Letti gli atti del procedimento penale contro Frighi Andrea, imputato del delitto di cui agli articoli n. 81 capoverso e 572 c.p., per avere sottoposto a maltrattamenti, dal 4 al 23 agosto 1993, un gruppo di minorenni ospiti della colonia estiva di Calambrone, organizzata dalla Charitas Tridentina; Premesso che il procedimento penale, instauratosi a seguito di decreto di citazione emesso il 14 febbraio 1998 dal p.m.della pretura circondariale di Pisa, ha visto succedersi una serie di rinvii del dibattimento, volta a volta giustificati dal rilievo di nullita' delle citazioni e/o dalla assenza dei testi indicati dalle parti; che in occasione dell'ultimo rinvio, disposto all'udienza del 25 gennaio 2000, questo giudice, constatato la presenza di un p.m. delegato dal procuratore della Repubblica, disponeva che copia del verbale fosse trasmessa alla autorita' delegante perche' potesse designare un magistrato di carriera allo svolgimento della funzione in un procedimento nel quale il titolo di reato contestato non consente la citazione diretta a norma dell'art. 550 c.p.p.; che nel dibattimento odierno le funzioni del pubblico ministero sono state assegnate dal Procuratore della Repubblica ad un maresciallo della Guardia di Finanza, come da delega allegata al verbale; O s s e r v a Nei procedimenti penali devoluti alla cognizione del giudice monocratico, l'art. 72 del regio decreto 30 gennaio 1941 n. 12, come novellato prima dal d.lgs. 19 febbraio 1998 n. 51 (art. 23), poi dalla legge 16 dicembre 1999 n. 479 (art. 58), condiziona la legittimita' della delega delle funzioni di pubblico ministero ad una serie di presupposti che riguardano il tipo e la fase del procedimento, le qualifiche dei soggetti delegati, la forma e il contenuto della delega, che deve essere nominativa, puo' riguardare una determinata udienza o un singolo procedimento ed e' revocabile nei soli casi in cui il codice di procedura penale preveda la sostituzione del pubblico ministero. La norma in esame, al comma terzo, vincola la autorita' delegante a seguire il criterio di non delegare le funzioni in procedimenti per reati che non ammettono la citazione diretta. Secondo una interpretazione corrente, tuttavia, la violazione del criterio non vale a privare il delegato, della legittimazione al compimento degli atti e ad inficiare di nullita' il procedimento nel quale abbia svolto le funzioni. Si sostiene, infatti, che depongano in tale senso la collocazione della norma, la scelta testuale compiuta dal legislatore nel far riferimento ad un semplice criterio, l'esigenza pratica di garantire comunque la definizione dei processi penali, la minore gravita' delle ipotesi di reato assegnate alla cognizione del giudice monocratico, la minore importanza, nel comune sentire, del ruolo del p.m. in dibattimento rispetto alle ben piu' incisive funzioni svolte nella fase delle indagini preliminari, giammai delegabili, la circostanza che lo svolgimento delle funzioni delegate non presupponga, per scelta legislativa, ne' richieda l'impedimento assoluto dei magistrati togati. La conseguenza e' che, in un processo per un reato di rilevante gravita' (quale e' quello contestato al Righi), che presenta particolari profili di difficolta' di acquisizione e valutazione della prova (per la natura dei fatti e per la giovane eta' delle persone offese), e di qualificazione giuridica della condotta (per la peculiare struttura dell'elemento materiale e di quello psicologico), e che appare di prossima prescrizione (solo che vengano riconosciute, in ipotesi di condanna, le circostanze attenuanti generiche), le funzioni del pubblico ministero sono assegnate ad un ufficiale di polizia giudiziaria, e cioe' ad un soggetto cui l'art. 72 dell'ordinamento giudiziario preclude la possibilita' di svolgere le funzioni predette nella udienza di convalida dell'arresto in un caso di furto semplice, senza che sia consentito alle altre parti di prospettare, e al giudice di adottare, rimedio diverso da un rinvio ulteriore, che comunque non garantisce la presenza in dibattimento di un magistrato di carriera, quale pubblico ministero nella nuova udienza, e non esclude il conferimento di nuova delega da parte del procuratore della Repubblica. Se questo e', e non puo' dubitarsi che sia, lo stato del diritto vivente riguardo alla interpretazione dell'art. 72 r.d. 30 gennaio 1941 n. 12, appare non manifestamente infondata la questione di costituzionalita' della norma suddetta con riferimento all'art. 111 della Costituzione, nel testo modificato dall'art. 1 della legge costituzionale 23 novembre 1999 n. 2, secondo cui ogni processo deve svolgersi nel contraddittorio tra le parti, in condizioni di parita', davanti ad un giudice terzo e imparziale. I casi in cui e' ammessa la citazione diretta nei procedimenti attribuiti alla cognizione del giudice monocratico riguardano, per i ridotti limiti di pena, stabiliti in via generale, e per la tipologia dei reati specificamente elencati nel comma secondo dell'art. 550 c.p.p., fattispecie che il legislatore ha valutato, secondo una scelta discrezionale, ma del tutto ragionevole, come di minore complessita' e di piu' agevole accertamento; in coerenza con tale valutazione, l'art. 72 dell'ordinamento giudiziario attribuisce al procuratore della Repubblica la facolta' di delegare le funzioni di p.m. di udienza a soggetti diversi dai magistrati di carriera. Le ipotesi di reato, per le quali non e' ammessa la citazione diretta, corrispondono a contrario a tipologie di qualificata gravita' e di complesso accertamento, che richiedono, conformemente al criterio dettato dall'art. 72, comma terzo dell'ordinamento giudiziario, una verifica dibattimentale alla quale partecipi, nella veste di rappresentante della pubblica accusa, un soggetto altrettanto qualificato per professionalita' e indipendenza. Una volta ammesso, secondo il diritto vivente, che il criterio in esame possa essere disatteso dal procuratore della Repubblica, per ragioni attinenti alla organizzazione del suo ufficio, viene posto in discussione il principio costituzionale della parita' delle parti nel contradditorio, parita' che non e' garantita quando il p.m. di udienza versi, per la complessita' del tema processuale e per la mancanza di adeguata preparazione professionale, in condizione minoritaria rispetto alle altre parti. La questione va sollevata anche con riferimento all'art. 3 primo comma Cost., apparendo evidente la disparita' di trattamento che dalla iniziativa del procuratore della Repubblica puo' derivare, in procedimenti per reati che non ammettono la citazione diretta, a seconda che sia o meno esercitata la facolta' di delega. Non bisogna dimenticare, infatti, che la persona offesa dal reato ha interesse a che nel dibattimento il ruolo della pubblica accusa sia esercitato in condizioni di sostanziale parita' con la difesa dell'imputato; la valutazione meramente discrezionale del procuratore della Repubblica condizionerebbe in modo arbitrario la tutela di tale interesse a seconda dei casi. Ne', in contrario, puo' obiettarsi che l'esercizio del potere di delega non e' connotato da discrezionalita' assoluta e che la violazione del criterio previsto dall'art. 72 terzo comma puo' esporre il procuratore della Repubblica ad eventuali forme di responsabilita', poiche' la disciplina derivante dalla interpretazione corrente della norma sospetta di incostituzionalita' appare comunque irragionevole in un sistema processuale in cui la tutela degli interessi in conflitto e' demandata alle parti, deve trovare immediata e piena attuazione, in condizioni di parita', nel dibattimento, e non puo' essere affidata a eventuali controlli esterni al processo, o all'intervento surrogatorio del giudice, tenuto all'osservanza del dovere di imparzialita' e terzieta'. La rilevanza della questione di legittimita' costituzionale non richiede particolare motivazione, risultando dimostrata ex actis
P. Q. M. Visto l'art. 23 terzo comma legge 11 marzo 1953 n. 87, solleva, di ufficio, questione di legittimita' costituzionale dell'art. 72 terzo comma r.d. 30 gennaio 1941 n. 12, per contrasto con gli articoli n. 111 e n. 3 della Costituzione Sospende il giudizio in corso ed ordina la immediata trasmissione degli atti alla Corte costituzionale; Dispone che, a cura della cancelleria, questa ordinanza sia notificata al Presidente del Consiglio dei Ministri e comunicata ai Presidenti delle due Camere del Parlamento. Pisa, addi' 1o marzo 2000. Il giudice: De Palma 00C0547