N. 356 ORDINANZA (Atto di promovimento) 23 settembre 1999

Ordinanza emessa il 23 settembre 1999 dal consiglio nazionale forense
sul  ricorso  proposto  da Vitagliano Stendardo Olga contro consiglio
dell'ordine degli avvocati di Pescara
Avvocato e procuratore - Iscrizione all'Albo - Divieto per i pubblici
dipendenti     -     Previsione,     con     norma    interpretativa,
dell'inapplicabilita'  agli impiegati pubblici con rapporto di lavoro
a  tempo  parziale  -  Abrogazione  delle  disposizioni  che  vietano
l'iscrizione  all'Albo  per  i  pubblici  dipendenti  con rapporto di
lavoro a tempo parziale - Irragionevolezza - Incidenza sul diritto di
difesa  e  sui  principi di indipendenza ed autonomia dei difensori -
Violazione  dei  doveri,  per i pubblici dipendenti, di fedelta' alla
Repubblica  e  di  servizio  esclusivo  alla  Nazione  -  Lesione dei
principi di imparzialita' e buon andamento della p.a. - Incidenza sul
diritto al lavoro.
- Legge 23 dicembre 1996, n. 662, art. 1, commi 56 e 56-bis.
- Costituzione, artt. 3, 4, 24, 97 e 98.
(GU n.26 del 21-6-2000 )
                   IL CONSIGLIO NAZIONALE FORENSE
    Ha pronunciato la seguente ordinanza;
    Visto  il  ricorso  n. 164/98  r.g.  proposto dalla dott.ssa Olga
  Vitagliano   Stendardo,  rappresentata  e  difesa  dall'avv. Emilio
  Centurelli  e  dell'avv. Dante  Angiolelli, avverso la decisione in
  data  2 aprile  1998,  con  la quale il consiglio dell'ordine degli
  avvocati di Pescara rigettava la sua domanda di iscrizione all'albo
  degli avvocati;
    Visto il ricorso con i relativi allegati;
    Visti gli atti di causa;
    Sentito  il relatore alla pubblica udienza del 23 settembre 1999,
  consigliere  Carla  Guidi e udito il sostituto procuratore generale
  presso la Corte di cassazione, dott. Domenico Iannelli;
    Ritenuto e considerato in fatto e in diritto quanto segue;

                              F a t t o

    La  dott.ssa  Olga  Vitagliano  Stendardo  rappresentata e difesa
  dall'avv. Emidio  Centurelli  e dall'avv. Dante Angiolelli del foro
  di  Pescara,  con  ricorso  depositato  presso  la  segreteria  del
  consiglio  dell'ordine  di  Pescara  il  24 aprile 1998, impugna il
  provvedimento  di rigetto dell'istanza di iscrizione all'albo degli
  avvocati  emesso  dal  C.O.A.  di Pescara nella seduta del 2 aprile
  1998 e notificato all'esponente il 7 aprile successivo.
    La  dott.ssa Olga  Vitagliano  Stendardo,  assumendo di essere in
  possesso  dei requisiti per l'iscrizione all'albo, e di non versare
  in  alcuno  dei  casi  di  incompatibilita'  stabiliti dalla legge,
  avendo  trasformato  il  proprio  rapporto di lavoro dipendente con
  l'amministrazione  finanziaria dello Stato, in rapporto di lavoro a
  tempo  parziale  con prestazione lavorativa al 50% del tempo pieno,
  invocando  l'applicazione  dei  commi 56  e  56-bis,  art. 1  legge
  23 dicembre   1996,  n. 662,  chiede  l'iscrizione  all'albo  degli
  avvocati.
    E'  prodotto  agli  atti  il contratto part-time con il Ministero
  delle  finanze  - direzione regionale delle entrate per l'Abruzzo e
  l'Aquila - stipulato in data 5 gennaio 1998.
    Con   circostanziata   e   approfondita   delibera  il  consiglio
  dell'ordine  degli  avvocati di Pescara in data 2 aprile 1998, dopo
  aver  convocato  e  sentito  la  parte  a  chiarimenti, respinge la
  domanda di iscrizione.
    Il   consiglio   argomenta  il  rigetto  con  diversi  rilievi  e
  considerazioni:  in  primo  luogo evidenzia come l'incompatibilita'
  stabilita   dall'art. 3  della  legge  professionale  sia  posta  a
  garanzia dell'indipendenza dell'avvocato e dell'autonomia delle sue
  determinazioni  in  modo  tale da assicurare alla classe forense il
  prestigio     e     l'efficienza     richiesti    nell'espletamento
  dell'assistenza tecnica della parte nel processo.
    Eliminare  un  tale tipo di incompatibilita' cosi' essenziale per
  l'esercizio   della  professione,  comporterebbe  porre  in  essere
  principi  radicalmente  innovativi  che  non  potrebbero  altro che
  trovar luogo nel contesto della riforma della legge professionale.
    Al  contrario, secondo il C.O.A. la portata della norma di cui ai
  commi  56  e  56-bis  dell'art. 1  della legge n. 662 del 1996 come
  modificata  dalla  legge  n. 140  del  1997, e' totalmente generica
  riferendosi   a   piu'   tipi  di  professioni  e  fondamentalmente
  finalizzata a far venir meno i divieti esistenti tra i dipendente e
  l'ente pubblico.
    Argomenta  ancora  la  delibera del C.O.A. che l'incompatibilita'
  prevista dall'art. 3 per l'iscrizione all'albo resta inalterata nel
  suo  valore,  che  diversamente  argomentando  verrebbero a ledersi
  pesantemente   i   principi   costituzionali   di   uguaglianza   e
  ragionevolezza   e   diritto   di   difesa   (artt. 3  e  24  della
  Costituzione).
    Dare      seguito      all'interpretazione      dell'abbattimento
  dell'incompatibilita'  significherebbe  -  a  detta  del  consiglio
  dell'ordine di Pescara - creare due distinte categorie di avvocati,
  quella  a pieno titolo e quella che (dipendenti pubblici part-time)
  svolge  la professione soltanto in controversie tra privati, il che
  costituirebbe  una anomalia e non troverebbe giustificazione alcuna
  se  non  nella  tutela  degli  interessi  del pubblico da ritenersi
  senz'altro corporativi.
    Svolte  le  considerazioni tutte di cui sopra, il C.O.A. respinge
  l'istanza.
    Il provvedimento e' impugnato dalla dott.ssa Vitagliano Stendardo
  la  quale osserva che il contenuto ed il testo del comma 56-bis non
  lascia  luogo ad equivoci ed a diverse interpretazioni quali quelle
  sostenute dalla motivata delibera del C.O.A. di Pescara.
    Sostiene la ricorrente che il C.O.A. avrebbe posto il problema in
  modo  errato  laddove  si e' chiesto se l'art. 1, comma 56 e 56-bis
  della  legge n. 662/1996 abbia o meno abrogato l'art. 3 della legge
  professionale forense.
    E' chiaro, secondo la ricorrente, che l'art. 1 comma 56-bis ha un
  portata  assorbente  che  travolge ogni divieto all'iscrizione agli
  albi professionali ovunque contenuto e da qualsiasi motivo posto.
    Ritiene    inoltre    la    dott.ssa Vitagliano   Stendardo   che
  dall'abrogazione   dell'art. 3   della   legge  professionale,  non
  derivano   conseguenze   dannose  alla  liberta',  indipendenza  ed
  autonomia  della classe forense in quanto il pubblico impiegato non
  puo' assimilarsi a qualsiasi altro dipendente subordinato.
    I  pubblici impiegati sono infatti obbligati nell'esercizio delle
  loro  funzioni  al  rispetto della legge cui sono subordinati cosi'
  come e non diversamente dagli avvocati.
    Non  condivide la ricorrente l'impostazione del C.O.A. di Pescara
  secondo  il  quale  l'art. 3  legge  professionale  forense avrebbe
  natura  di  norma  speciale  e  quindi non potrebbe essere abrogata
  dalla norma generale di cui al pluricitato art. 1, comma 56-bis.
    Lo  stesso  art. 3  della  legge  professionale  -  argomenta  la
  dott.ssa Vitagliano  Stendardo  -  introduce  deroga  al  principio
  generale  allorquando  prevede  la  compatibilita'  con l'esercizio
  della  professione  forense  per  i  professori  universitari  e  i
  professori di scuola media superiore anch'essi pubblici dipendente.
    Ne' rileva, secondo la ricorrente, l'osservazione che altre leggi
  che regolano l'esercizio di altre libere professioni non rinvengano
  una  norma  analoga all'art. 3 della legge professionale in quanto,
  con  cio'  argomentando, si verrebbe a confermare la tesi sostenuta
  dalla  ricorrente  che  il  comma 56-bis  ha  voluto  espressamente
  procedere    all'abrogazione    della   norma   dell'art. 3   legge
  professionale.
    Contesta  in  conclusione  la  dott.ssa Vitagliano  Stendardo  la
  violazione  dei principi costituzionali in relazione agli artt. 3 e
  24  della  Costituzione  rilevando  altresi' che la stessa eccepita
  incostituzionalita' non e' adeguatamente motivata. Chiede di essere
  iscritta.
    Nella memoria difensiva depositata al consiglio nazionale forense
  il  13 novembre  1998 e la successiva 22 settembre 1999, depositata
  in udienza 23 settembre 1999, la dott.ssa Olga Vitagliano Stendardo
  ulteriormente illustra e ribadisce i motivi del ricorso a suo tempo
  presentato,  facendo  rilevare  come  pretendere che l'operativita'
  dell'art. 1   comma 56   e  56-bis  della  legge  n. 662/1996,  sia
  inapplicabile  alla professione forense, significhi creare una vera
  e  propria  discriminazione e diseguaglianza tra gli avvocati e gli
  altri  professionisti  che  veramente verrebbe a violare i principi
  costituzionali di liberta' e di uguaglianza.
    Nella  memoria  si  fa  inoltre  rilevare  come  nel  rapporto di
  pubblico  impiego  part-time  essa  debba  effettuare  solo  18 ore
  settimanali  e come per giunta l'orario di lavoro sia articolato in
  maniera  verticale  e  la  impegni  per soli tre giorni feriali per
  6 ore lavorative il giorno: talche' l'impegno prevalente e' da essa
  svolto  nell'ambito  dell'esercizio  professionale  e  non certo in
  quello di pubblico impiego.
    Fa  richiamo  la  dott.ssa Olga  Vitagliano  Stendardo anche alle
  limitazioni  che  conseguono alla scelta del rapporto part-time, in
  punto  di  carriera,  di  straordinari,  di  decadenza da qualsiasi
  incarico  di  dirigenza  e di direzione e partecipazione ad organi,
  talche'  il  rapporto  e'  priva  di  una vera ed intensa natura di
  dipendenza,  non  potendosi  rappresentare  l'amministrazione,  ne'
  assumere incarichi da parte di questa; non vi sarebbe quindi alcuna
  violazione   dell'art. 97  della  Costituzione  mentre,  rileva  la
  ricorrente,  la  mancata  iscrizione  viola  fondamentali  principi
  dell'affidamento  nell'applicazione  della  legge,  in  riferimento
  all'art. 1 comma 56-bis della legge n. 662.
    Conclude  affermando  che  l'atteggiamento  assunto  dalla classe
  forense  resta  purtroppo  ancorato  ad una visione inattuale della
  professione di avvocato e dell'impiego pubblico.
    Il  presente  ricorso gia' chiamato per l'udienza del 27 novembre
  1998,  veniva dal consiglio nazionale forense sospeso con ordinanza
  in  pari data, in attesa della pronuncia della Corte costituzionale
  cui  la  questione  era stata rimessa con ordinanza pronunciata sul
  ricorso avente analogo oggetto.
    La Corte costituzionale, con ordinanza n. 183 del 20 maggio 1999,
  riteneva  la  questione  manifestamente  inammissibile, per mancata
  integrazione  del contraddittorio nel giudizio dinanzi al consiglio
  nazionale   forense   (C.N.F.),   con   riferimento   ai  consiglio
  dell'ordine degli avvocati (C.O.A.) i cui provvedimenti erano stati
  sottoposti a reclamo.
    Pertanto,  non  essendosi  la Corte costituzionale pronunciata in
  merito,  il  consiglio  nazionale  forense,  nella  sua qualita' di
  giudice speciale ai sensi dell'art. 111 della Costituzione, e della
  VI  disp.  trans.  della  Costituzione,  non  potendo  decidere  la
  questione  senza fare applicazione delle norme di cui ai commi 56 e
  56-bis,  dell'art. 1,  legge  23 dicembre  1996, n. 662, solleva la
  questione  di  legittimita'  costituzionale  delle norme stesse, ex
  art. 23   della   legge  11 marzo  1953,  n. 87,  per  le  seguenti
  argomentazioni;

                            D i r i t t o

    1. - La  Corte costituzionale, con ordinanza n. 183 del 20 maggio
  1999, riteneva la questione sollevata manifestamente inammissibile,
  per  mancata  integrazione del contraddittorio nel giudizio dinanzi
  al  consiglio  nazionale  forense  (C.N..F.),  con  riferimento  ai
  consiglio  dell'ordine  degli avvocati (C.O.A.) i cui provvedimenti
  sono stati sottoposti a reclamo.
    1.1. - La Corte ha infatti ritenuto, coerentemente con i principi
  generali  in forza dei quali i consiglio dell'ordine degli avvocati
  (C.OA.) agiscono in qualita' di autorita' amministrative i cui atti
  possono  essere  impugnati di fronte al giudice competente (appunto
  il C.N.F.), che i C.O.A. stessi siano parte necessaria nel giudizio
  dinanzi al C.N.F.
    1.2.  - La Corte ha inoltre rilevato:
        che  non  sarebbero  stati  osservati  gli adempimenti che la
  legge impone al consiglio nazionale forense (C.N.F.) per consentire
  ai  consigli  dell'ordine di "... prender parte al giudizio, almeno
  mediante  l'esecuzione  degli adempimenti di cui agli artt. 60 e 61
  del  r.d.  22 gennaio 1934, n. 37 (Norme integrative e d'attuazione
  del   r.d.-l.  27 novembre  1933,  n. 1578  sull'ordinamento  della
  professione d'avvocato)";
        "che il mancato compimento dell'attivita' minima necessaria a
  porre  le  parti  in rapporto fra loro (e con il giudice) determina
  un'abnormita'  del  procedimento  rilevabile  ictu oculi" e "che la
  suddetta  abnormita'  comporta  la manifesta inammissibilita' della
  questione ...".
    2. - In    merito    alla    questione    dell'integrazione   del
  contraddittorio  nel  caso  di  specie, si osserva che il consiglio
  nazionale  forense (C.N.F.) ha regolarmente comunicato al consiglio
  dell'ordine  degli  avvocati  di  Pescara, autore del provvedimento
  impugnato, l'avvenuta ricezione degli atti relativi al deposito del
  ricorso,   effettuato   presso  lo  stesso  C.O.A.  (art. 59,  r.d.
  22 gennaio  1934,  n. 37),  con raccomandata r.r. 1o settembre 1998
  (che   si   allega   in   copia),   nonche'   inviato  regolarmente
  comunicazione  dell'avvenuta  fissazione  dell'udienza ai sensi del
  richiamato  art. 61,  con  raccomandata  r.r.  1o ottobre  1998 per
  l'udienza  del 27 novembre 1998 e r.r. 25 giugno 1999 per l'udienza
  23 settembre 1999 (che si allega in copia);
    2.1. -  Sulla  base  delle  considerazioni  espresse  sub  2,  il
  Consiglio  nazionale  forense  ritiene che siano state adempiute le
  prescrizioni   che   la   legge   impone  ai  fini  della  corretta
  instaurazione   del   contraddittorio,   e   che  la  questione  di
  costituzionalita',   sollevata   non  sia  pertanto  manifestamente
  inammissibile.

    Il  seguito  del  testo  dell'ordinanza e' perfettamente uguale a
  quello   dell'ordinanza   pubblicata   in   precedenza  (Reg.  ord.
  n. 348/2000).
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