N. 183 SENTENZA 7 - 9 giugno 2000

Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale.
Reati  e  pene  -  Sanzioni  sostitutive delle pene detentive brevi -
Condizioni  soggettive  per  la sostituzione - Divieto di concessione
del  beneficio  nei confronti di condannati a pena detentiva irrogata
per  un  fatto  commesso  nell'ultimo decennio, che abbiano riportato
piu'   di  due  volte  condanna  per  reati  della  stessa  indole  -
Interpretazione   della  norma  secondo  la  Corte  di  cassazione  -
Riferibilita' del "decennio" all'intervallo temporale tra il fatto da
giudicare  e  la  sentenza  di  condanna  alla  pena  da sostituire -
Denunciata  disparita' di trattamento tra situazioni uguali a seconda
della  celerita'  del  processo,  con  lesione  del  principio  della
finalita'  rieducativa  della  pena  Questione tendente a determinare
effetti  in  malam  partem  in materia penale o, alternativamente, ad
incidere su scelte discrezionali del legislatore - Inammissibilita'.
- Legge 24 novembre 1981, n. 689, art. 59, secondo comma.
- Costituzione, artt. 3 e 27, terzo comma.
(GU n.25 del 14-6-2000 )
                       LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
  Presidente: Cesare MIRABELLI;
  Giudici:   Fernando  SANTOSUOSSO,  Massimo  VARI,  Cesare  RUPERTO,
Riccardo   CHIEPPA,   Gustavo   ZAGREBELSKY,   Valerio  ONIDA,  Carlo
MEZZANOTTE,  Fernanda  CONTRI,  Guido  NEPPI  MODONA,  Piero  Alberto
CAPOTOSTI, Annibale MARINI, Franco BILE, Giovanni Maria FLICK;
ha pronunciato la seguente


                              Sentenza

nel  giudizio  di  legittimita'  costituzionale dell'art. 59, secondo
comma,  della  legge  24  novembre 1981, n. 689 (Modifiche al sistema
penale), promosso con ordinanza emessa il 30 gennaio 1999 dal pretore
di  Messina  nel  procedimento  penale a carico di P. R., iscritta al
n. 357  del  registro  ordinanze  1999  e  pubblicata  nella Gazzetta
Ufficiale  della  Repubblica  n. 25,  prima serie speciale, dell'anno
1999;
    Visto  l'atto  di  intervento  del  Presidente  del Consiglio dei
Ministri;
    udito  nella  camera  di  consiglio del 12 aprile 2000 il giudice
relatore Guido Neppi Modona;

                          Ritenuto in fatto


    1. - Il  pretore  di  Messina  ha  sollevato, in riferimento agli
artt. 3   e   27  Cost.,  questione  di  legittimita'  costituzionale
dell'art. 59,  secondo  comma,  della  legge 24 novembre 1981, n. 689
(Modifiche  al  sistema  penale),  "interpretato nel senso che per la
concessione  del beneficio della sostituzione della pena detentiva e'
necessario  che siano trascorsi dieci anni fra il fatto e la sentenza
con cui viene inflitta la pena da sostituire".
    Il  giudice  a  quo  premette  che  aveva pronunciato sentenza di
applicazione  della pena per il delitto di ricettazione e che la pena
detentiva inflitta era stata sostituita, sull'accordo delle parti, in
pena pecuniaria ai sensi degli artt. 53 e seguenti della legge n. 689
del  1981. Il procuratore generale aveva presentato ricorso adducendo
che  l'imputato  aveva riportato numerose condanne per furto e che il
capoverso  dell'art. 59  della  predetta legge espressamente vieta la
sostituzione  della  pena  detentiva  nei  confronti di chi sia stato
condannato  per  piu'  di due volte per reati della stessa indole. La
Corte  di  cassazione aveva, quindi, annullato la sentenza, rilevando
che  il  ricorso del pubblico ministero "risulta fondato al confronto
con  il  certificato  penale,  sicche'  illegittima  e'  la  disposta
sostituzione  della  pena"  ed  aveva restituito gli atti al Pretore.
L'imputato   veniva   pertanto   citato   per  il  nuovo  giudizio  e
preliminarmente      eccepiva     l'illegittimita'     costituzionale
dell'art. 59,   secondo   comma,   della   legge   n. 689  del  1981,
interpretato  nel  senso  fatto  proprio dalla Cassazione nel caso di
specie.
    Ad avviso del rimettente il nuovo giudizio risulta effettivamente
"condizionato  dalla  applicazione che della norma censurata e' stata
fatta dalla Corte di cassazione", giacche' "soltanto ove la questione
si    rivelasse    fondata,   l'imputato   potrebbe   riproporre   un
patteggiamento nei medesimi termini di quello gia' annullato".
    Nel  merito,  il  pretore  rileva  che  la disposizione di cui al
secondo  comma  dell'art. 59 della legge n. 689 del 1981 consente due
letture:  secondo una prima interpretazione, "piu' aderente al tenore
testuale"  della  norma,  l'esclusione  dal  beneficio  opererebbe in
presenza  delle  seguenti condizioni: "a) che la distanza fra la data
della  sentenza  di  condanna  ed  il tempus commissi delicti non sia
superiore  ai  dieci  anni;  b) che il condannato abbia riportato, in
qualsiasi  momento  anche remoto, almeno tre condanne per reati della
stessa  indole". Secondo l'altra "possibile interpretazione", invece,
il beneficio sarebbe precluso nei confronti di "colui che - nei dieci
anni  precedenti  alla  sentenza  con  la  quale  si infligge la pena
detentiva  da  convertire  - abbia riportato piu' di due condanne per
reati della stessa indole".
    A  parere  del  giudice  a quo la prima delle due interpretazioni
sarebbe,  nonostante  la  succinta  motivazione, quella seguita dalla
Corte  di cassazione nel caso di specie; essa, tuttavia, risulterebbe
non conforme a Costituzione per piu' profili.
    Innanzitutto  sarebbe  violato  il  principio  di eguaglianza, in
quanto  la  "meritevolezza del beneficio" verrebbe fatta dipendere da
vicende  estranee all'imputato e da questo non controllabili, come la
durata   del   processo:   in  sostanza,  deduce  il  rimettente,  le
"lungaggini  processuali  [...]  gioverebbero al prevenuto, facendolo
divenire  nel frattempo "meritevole" di un beneficio che una sentenza
tempestiva gli avrebbe dovuto negare".
    Risulterebbe,  inoltre, violato l'art. 27, terzo comma, Cost., in
quanto  una  "sanzione  comminata in forza di una norma che tratta in
modo   diseguale  condotte  sostanzialmente  analoghe"  non  potrebbe
svolgere  una  effettiva funzione rieducativa. Funzione che, a parere
del  giudice  a  quo,  risulterebbe  compromessa  anche perche', alla
stregua  dell'interpretazione  seguita  dalla Corte di cassazione, la
disposizione  impugnata  introdurrebbe  "un criterio di meritevolezza
soggettiva  del  beneficio  (distanza  di  almeno  dieci  anni fra la
commissione  del  fatto e la sentenza di condanna) del tutto inidoneo
ad   apprezzare   l'effettivo  grado  di  pericolosita'  sociale  del
condannato e le sue potenzialita' di recupero e riabilitazione".
    Il   rimettente   conclude   che   i  profili  di  illegittimita'
costituzionale  potrebbero essere superati ove non venisse seguita la
tesi  interpretativa  avallata  dalla Cassazione: l'imputato che "nei
dieci  anni  precedenti  alla  commissione  del  fatto  per cui viene
giudicato non ha riportato altre condanne per reati analoghi dimostra
una  non  accentuata  propensione  a  delinquere"  e sarebbe pertanto
"meritevole di una esecuzione della pena senza carcerazione".

    2. - Nel  giudizio e' intervenuto il Presidente del Consiglio dei
Ministri,  rappresentato  e  difeso  dall'Avvocatura  generale  dello
Stato.    A   parere   dell'Avvocatura   l'interpretazione   ritenuta
illegittima  non puo' considerarsi "diritto vivente", avendo la Corte
di   cassazione  ritenuto  in  diverse  pronunce  che  la  condizione
soggettiva ostativa consiste nell'aver riportato piu' di due sentenze
di condanna per reati della stessa indole nel decennio antecedente la
data  di  commissione  del  fatto  oggetto del giudizio. La questione
sarebbe,  dunque,  inammissibile,  in quanto con essa si prospetta un
mero  dubbio  interpretativo,  richiedendosi alla Corte la scelta fra
due interpretazioni, una delle quali costituzionalmente legittima.

                       Considerato in diritto

    1. - L'ordinanza    di    rimessione   pone   la   questione   di
costituzionalita'   dell'art. 59,   secondo  comma,  della  legge  24
novembre 1981, n. 689 (Modifiche al sistema penale), interpretato nel
senso  che  per la concessione del beneficio della sostituzione della
pena  detentiva  e'  necessario che siano trascorsi dieci anni tra il
fatto e la sentenza con cui viene inflitta la pena da sostituire.
    Ai  fini  della  rilevanza  il  giudice  rimettente  precisa  che
l'interpretazione  alla  quale  risulta  avere  aderito  la  Corte di
cassazione  comporta che l'imputato non rientrerebbe nelle condizioni
per  ottenere  il beneficio della sostituzione, in quanto la sentenza
di  condanna  e' stata pronunciata a meno di dieci anni dalla data di
commissione  del fatto e l'imputato stesso ha in precedenza riportato
piu' di due condanne per reati della stessa indole, sia pure in epoca
remota  (la condanna piu' recente e' divenuta irrevocabile nel 1976);
ove,  invece,  venga  seguita  la seconda interpretazione, l'imputato
potrebbe usufruire della sostituzione della pena, posto che nei dieci
anni  precedenti alla commissione del delitto ora oggetto di giudizio
non ha riportato alcuna condanna.
    Ad  avviso  del  giudice  a  quo  l'interpretazione seguita dalla
Cassazione  si porrebbe in contrasto con il principio di eguaglianza,
in quanto la valutazione in ordine alla "meritevolezza del beneficio"
verrebbe  fatta  dipendere  da vicende estranee all'imputato e da lui
non  controllabili  -  quali  appunto le lungaggini del processo - in
assenza   di   qualsiasi  ratio  che  conferisca  plausibilita'  alla
condizione  posta  dalla  norma  censurata,  nonche' con il principio
della finalita' rieducativa della pena, posto che verrebbe introdotto
un  "criterio  di meritevolezza soggettiva", quale il lasso temporale
tra  la  commissione  del  fatto  e la sentenza di condanna alla pena
detentiva   da   sostituire,   "del   tutto  inidoneo  ad  apprezzare
l'effettivo  grado  di  pericolosita' sociale del condannato e le sue
potenzialita'   di   recupero   e   riabilitazione".   I  profili  di
illegittimita' - conclude il giudice a quo - potrebbero invece essere
superati  ove  i  rapporti  tra  l'alinea e la lettera a) del secondo
comma  dell'art. 59  venissero  ricostruiti  nel senso che il termine
decennale  va  riferito ai dieci anni precedenti alla commissione del
fatto  per  cui  all'imputato  e' stata irrogata la pena detentiva da
sostituire  e che entro tale lasso di tempo l'imputato non deve avere
riportato altre condanne per reati della stessa indole.
    2. - La censura prospettata dal rimettente concerne la disciplina
delle  condizioni  soggettive  ostative  alla sostituzione della pena
detentiva, delineata dall'art. 59 della legge n. 689 del 1981.
    Il  primo comma della norma in esame pone innanzitutto il divieto
di  sostituire la pena detentiva nei confronti di coloro che, essendo
gia'  stati  condannati,  con  una  o piu' sentenze, a pena detentiva
complessivamente  superiore  a due anni di reclusione, hanno commesso
il  reato  nei  cinque  anni dalla condanna precedente. Nei trascorsi
giudiziari  dell'imputato  e  nel  lasso  di  tempo tra la precedente
condanna  e  il  reato  per  cui  viene  irrogata  una pena detentiva
sostituibile  va  dunque  ravvisata  la  ratio  su  cui si fondano le
situazioni  soggettive che implicano una valutazione negativa ai fini
della concessione del beneficio.
    Trascorsi  giudiziari  e  fattore  temporale, non necessariamente
coesistenti,  ricorrono  anche nelle altre condizioni ostative di cui
al secondo comma dell'art. 59.
    Sotto il primo aspetto, la pena detentiva non puo' infatti essere
sostituita:  nei  confronti di coloro che siano stati condannati piu'
di due volte per reati della stessa indole (lettera a); nei confronti
del  soggetto,  gia'  condannato  a  pena  sostitutiva  inflitta  con
precedente  condanna, che abbia violato le prescrizioni inerenti alla
semidetenzione  o  alla  liberta'  controllata  e  che pertanto abbia
subito   la   conversione   della  residua  pena  in  pena  detentiva
(lettera b)  prima parte); nei confronti di coloro ai quali sia stata
revocata  la  concessione  del  regime  di  semiliberta'  (lettera b)
seconda  parte);  nei confronti di coloro che hanno commesso il reato
mentre  si  trovavano  sottoposti  alla  misura  di  sicurezza  della
liberta'  vigilata  o  alla  misura di prevenzione della sorveglianza
speciale (lettera c).
    In  secondo  luogo,  come  risulta  dall'alinea del secondo comma
dell'art. 59,  che  costituisce il presupposto comune di operativita'
delle  condizioni  ora  indicate,  le condizioni stesse hanno effetto
ostativo  alla  sostituzione  della pena detentiva solo quando questa
sia  stata  "comminata  [rectius:  irrogata]  per  un  fatto commesso
nell'ultimo decennio". Tale clausola, interpretata letteralmente, non
risulta  collegata  ad  una  condizione  soggettiva  dell'imputato o,
comunque,  a  comportamenti  a lui addebitabili, ma al dato oggettivo
dell'intervallo  temporale tra il momento in cui e' stato commesso il
reato   e   quello  in  cui  e'  stata  irrogata  la  pena  detentiva
sostituibile,  con  la  conseguenza che le condizioni ostative di cui
alle  lettere  a),  b)  e  c)  operano solo se tale lasso di tempo e'
inferiore a dieci anni.
    Il  rimettente chiede appunto una dichiarazione di illegittimita'
costituzionale  della  norma  in esame, nella parte in cui collega le
condizioni   ostative   di   cui   al   secondo   comma  alla  durata
dell'intervallo   temporale   tra   la   commissione   del   fatto  e
l'irrogazione  della pena detentiva; ma prospetta anche una soluzione
additiva-manipolativa, nel senso che il termine decennale di cui alla
fattispecie  risultante  dall'alinea  e  dalla lettera a) del secondo
comma   dell'art. 59   andrebbe   riferito   all'intervallo   tra  la
commissione  del fatto per cui all'imputato e' stata irrogata la pena
detentiva  sostituibile  e  le  precedenti  condanne  per reati della
stessa indole.
    3. - L'anomalia  dell'inciso  contenuto  nell'alinea  del secondo
comma  dell'art. 59  della  legge n. 689 del 1981 e' stata registrata
sia  in  dottrina  che  in  giurisprudenza.  Gli  autori  che si sono
impegnati  nel  tentativo  di  attribuire  alla  norma  censurata  un
significato   conforme  alla  disciplina  generale  delle  condizioni
ostative  sono  stati  costretti  a prendere atto che si tratta di un
"problema esegetico pressoche' insolubile".
    Al   riguardo,  anche  i  lavori  parlamentari  sull'art. 59  non
forniscono  indicazioni  risolutive:  da  alcuni  interventi  pare di
desumere che la formulazione dell'alinea del secondo comma, frutto di
uno  specifico  emendamento  del  relatore, venne intesa, malgrado le
precisazioni   dello  stesso  relatore,  nel  senso  che  il  termine
decennale andasse riferito all'intervallo temporale tra le precedenti
condanne  per reati analoghi e il reato per cui era stata irrogata la
pena  detentiva  sostituibile (v. resoconto stenografico della seduta
del 7 maggio 1981 della Commissione giustizia del Senato).
    Dal  canto  suo  la  giurisprudenza di legittimita' non si e' mai
misurata con una ricognizione esaustiva del significato da attribuire
al presupposto contenuto nell'alinea del secondo comma dell'art. 59 e
con  la  ricostruzione dei rapporti con la condizione ostativa di cui
alla  lettera  a),  ma ha seguito sia l'interpretazione suggerita dal
tenore  letterale  dell'inciso  oggetto della censura di legittimita'
costituzionale,  sia,  in  alcune  piu' recenti decisioni, quella che
collega   il   termine  decennale  all'intervallo  temporale  tra  le
precedenti  condanne  e  il  fatto  per cui e' stata irrogata la pena
detentiva,  nel senso che le condanne ostative per reati della stessa
indole sono quelle intervenute nel decennio anteriore, senza peraltro
soffermarsi sulle ragioni delle rispettive scelte.

    4. - Se  si  accogliesse la questione di legittimita' mediante la
caducazione  dell'inciso  contenuto  nell'alinea  del  secondo  comma
dell'art. 59,  si  determinerebbero  effetti in malam partem rispetto
all'attuale disciplina.
    Infatti,  l'eliminazione  del  presupposto  secondo  cui  la pena
detentiva  sostituibile  deve  essere  irrogata per un fatto commesso
nell'ultimo  decennio  amplierebbe  la  sfera  di  applicazione delle
condizioni  ostative  contemplate  nelle  lettere  a),  b)  e  c): la
sostituzione della pena detentiva risulterebbe in ogni caso preclusa,
anche   nelle  ipotesi,  sia  pure  del  tutto  eccezionali,  in  cui
l'intervallo  temporale  tra la commissione del fatto e l'irrogazione
della  pena  detentiva  sia  superiore  a dieci anni e non sia ancora
maturata  la prescrizione del reato. Interventi volti a modificare in
peggio  la  posizione del destinatario della legge penale sostanziale
sono  pero' preclusi a questa Corte, rientrando nella sfera esclusiva
della  discrezionalita'  del  legislatore:  sotto  questo profilo, la
questione va pertanto dichiarata inammissibile.

    5. - Seguendo,    poi,    la    soluzione   additiva-manipolativa
prospettata  dal  rimettente  in ordine ai rapporti tra l'alinea e la
lettera  a)  del  secondo comma dell'art. 59, si deve rilevare che da
essa  potrebbero  derivare  nuove  incertezze  interpretative  sia in
relazione alla condizione ostativa prevista dalla seconda parte della
lettera  c),  che,  a  differenza  di  tutte le altre condizioni, non
risulta  collegata  ad  alcuna condanna precedente, sia nei confronti
delle  altre  condizioni ostative previste nelle lettere b) e c): ove
alla  clausola  di  cui  all'alinea  del  secondo  comma dell'art. 59
venisse  attribuito  un  significato  diverso da quello letterale, ne
deriverebbe  comunque  la necessita' di un intervento del legislatore
per  ricostruire  il sistema delle condizioni ostative, eventualmente
sulla base di diversi parametri di meritevolezza, con riferimento sia
all'entita'   delle  precedenti  condanne,  sia  al  lasso  di  tempo
intercorrente   tra   esse   e  l'irrogazione  della  pena  detentiva
sostituibile.
    Anche  sotto  questo  profilo la questione va pertanto dichiarata
inammissibile,  in  quanto rientrano esclusivamente nella sfera della
discrezionalita' del legislatore le opportune scelte volte a superare
le contraddizioni derivanti dalla formulazione della norma sottoposta
a censura di costituzionalita'.
                          Per questi motivi

                       LA CORTE COSTITUZIONALE
    Dichiara   l'inammissibilita'  della  questione  di  legittimita'
costituzionale  dell'art. 59,  secondo comma, della legge 24 novembre
1981, n. 689 (Modifiche al sistema penale), sollevata, in riferimento
agli  artt. 3  e  27, terzo comma, della Costituzione, dal pretore di
Messina, con l'ordinanza in epigrafe.

    Cosi'  deciso  in  Roma,  nella  sede della Corte costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 7 giugno 2000.
                      Il Presidente: Mirabelli
                     Il redattore: Neppi Modona
                      Il cancelliere: Fruscella
    Depositata in cancelleria il 9 giugno 2000.
              Il direttore della cancelleria: Fruscella
00C0591