N. 184 SENTENZA 7 - 9 giugno 2000

Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale.
Interpretazione  delle  norme oggetto della questione - Esclusione di
un'interpretazione  adeguatrice  -  Plausibilita'  della  motivazione
addotta dal rimettente.
Previdenza  e  assistenza  -  Indennita'  di  mobilita' - Adeguamento
periodico, in misura pari all'aumento della indennita' di contingenza
dei  lavoratori  dipendenti  -  Mancata  estensione all'indennita' di
mobilita'  del  criterio di rivalutazione previsto per l'integrazione
salariale  straordinaria (aumentata in ragione dell'ottanta per cento
della  variazione annuale dell'indice ISTAT dei prezzi al consumo per
le   famiglie   di   operai  ed  impiegati)  Conseguente,  lamentata,
disparita'  di trattamento, priva di giustificazione tra l'indennita'
suddetta  e  il  trattamento straordinario di integrazione salariale,
con  incidenza  sulla  garanzia  dei  lavoratori  ad  ottenere  mezzi
adeguati  alle esigenze di vita - Diversita' strutturale e funzionale
dei due istituti - Non fondatezza delle questioni.
- Legge 23 luglio 1991, n. 223, art. 7, comma 3; d.l. 16 maggio 1994,
  n. 299  (convertito, con modificazioni, dall'art. 1, comma 1, della
  legge  19  luglio  1994, n. 451), artt. 1, comma 5, 2 e 3, comma 2;
  legge 27 dicembre 1997, n. 449, art. 54, comma 12.
- Costituzione, artt. 2, 3 e 38, secondo comma.
(GU n.25 del 14-6-2000 )
                       LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
  Presidente: Cesare MIRABELLI;
  Giudici:  Francesco  GUIZZI,  Fernando  SANTOSUOSSO,  Massimo VARI,
Cesare  RUPERTO,  Riccardo  CHIEPPA, Valerio ONIDA, Carlo MEZZANOTTE,
Fernanda   CONTRI,  Guido  NEPPI  MODONA,  Piero  Alberto  CAPOTOSTI,
Annibale MARINI, Franco BILE, Giovanni Maria FLICK;
ha pronunciato la seguente


                              Sentenza

nei  giudizi di legittimita' costituzione dell'art. 7, comma 3, della
legge 23 luglio 1991, n. 223 (Norme in materia di cassa integrazione,
mobilita',  trattamenti  di  disoccupazione,  attuazione di direttive
della  comunita'  europea, avviamento al lavoro ed altre disposizioni
in  materia  di  mercato  del lavoro), degli artt. 1, comma 5, 2 e 3,
comma  2,  del  decreto-legge  16  maggio  1994, n. 299 (Disposizioni
urgenti  in  materia  di occupazione e di fiscalizzazione degli oneri
sociali),  convertito in legge, con modificazioni, dall'art. 1, comma
1,  della  legge  19  luglio  1994, n. 451, e dell'art. 54, comma 12,
della  legge  27 dicembre 1997, n. 449 (Misure per la stabilizzazione
della  finanza  pubblica),  promossi  con ordinanze emesse l'11 marzo
1998 (n. 5 ordinanze) dal tribunale di Torino e il 12 maggio 1998 dal
pretore  di  Trieste  rispettivamente  iscritte ai nn. 368, 369, 370,
371,  372  e  527  del  registro  ordinanze  1998  e pubblicate nella
Gazzetta   Ufficiale  della  Repubblica  nn. 22  e  29,  prima  serie
speciale, dell'anno 1998;
    Visti  gli  atti  di  costituzione  di Griotto Giorgio, De Caroli
Giovanna  e  dell'INPS  nonche' gli atti di intervento del Presidente
del Consiglio dei Ministri;
    Udito nell'udienza pubblica del 9 maggio 2000 il giudice relatore
Fernando Santosuosso;
    Uditi  gli avvocati Sergio Vacirca per Griotto Giorgio, Salvatore
Cabibbo  per  De  Caroli  Giovanna,  Giuseppe  Fabiani  per  l'INPS e
l'Avvocato   dello  Stato  Giuseppe  Fiengo  per  il  Presidente  del
Consiglio dei Ministri.

                          Ritenuto in fatto

    1. - Con cinque ordinanze di identico contenuto, emesse nel corso
di  altrettante  controversie  di  lavoro  in  grado  di  appello, il
tribunale   di   Torino   ha   sollevato  questione  di  legittimita'
costituzionale,  in  riferimento agli artt. 2, 3 e 38, secondo comma,
della Costituzione, dell'art. 7, comma 3, della legge 23 luglio 1991,
n. 223   (Norme   in   materia   di  cassa  integrazione,  mobilita',
trattamenti   di   disoccupazione,   attuazione  di  direttive  della
comunita'  europea,  avviamento  al  lavoro  ed altre disposizioni in
materia  di mercato del lavoro), degli artt. 1, comma 5, 2 e 3, comma
2,  del decreto-legge 16 maggio 1994, n. 299 (Disposizioni urgenti in
materia  di  occupazione  e  di fiscalizzazione degli oneri sociali),
convertito  in  legge, con modificazioni, dall'art. 1, comma 1, della
legge  19  luglio 1994, n. 451, e dell'art. 54, comma 12, della legge
27 dicembre 1997, n. 449 (Misure per la stabilizzazione della finanza
pubblica).
    Premette il tribunale che il giudizio tende al riconoscimento del
diritto  della  parte  privata  a  vedersi  adeguata  l'indennita' di
mobilita',  a  decorrere dal 1995, in ragione dell'80 per cento della
variazione  annuale  dell'indice  ISTAT  dei prezzi al consumo per le
famiglie  di  operai  ed  impiegati,  e  cio'  in  base  al  disposto
dell'articolo  unico  della  legge  13  agosto  1980,  n. 427, il cui
secondo   comma   e'  stato  modificato  dall'art. 1,  comma  5,  del
decreto-legge n. 299 del 1994.
    L'art. 7,  comma  3,  della  legge n. 223 del 1991 stabilisce che
l'indennita'  di  mobilita', calcolata in percentuale del trattamento
straordinario di integrazione salariale, venga incrementata ogni anno
"in  misura  pari  all'aumento  dell'indennita'  di  contingenza  dei
lavoratori dipendenti". Senonche', venuto meno detto meccanismo e non
essendo  stati convertiti i decreti-legge 20 marzo 1992, n. 237, e 20
maggio  1992, n. 293 - che prevedevano un adeguamento dell'indennita'
di  mobilita'  con  lo  stesso  sistema  fissato  per  l'integrazione
salariale straordinaria - le norme attualmente vigenti non consentono
di ritenere esistente un criterio di rivalutazione dell'indennita' di
mobilita'.  Ed  infatti  la  legge  13 agosto 1980, n. 427, nel testo
modificato  dall'art. 1,  comma 5, del decreto-legge n. 299 del 1994,
impone si' che a decorrere dal 1 gennaio di ciascun anno, ad iniziare
dal  1995,  il  trattamento  straordinario  di integrazione salariale
venga aumentato in ragione dell'80 per cento della variazione annuale
dell'indice  ISTAT dei prezzi al consumo per le famiglie di operai ed
impiegati, ma con una norma che non puo' valere per il trattamento di
mobilita'.
    L'impossibilita'  di  estendere,  in  via  di interpretazione, il
campo   di   applicazione   della   norma   in  ultimo  citata  anche
all'indennita'  di mobilita' verrebbe a creare un'evidente disparita'
di   trattamento,   del   tutto   ingiustificata   in  considerazione
dell'originaria  matrice  comune  tra  l'indennita'  suddetta  ed  il
trattamento  straordinario  di  integrazione  salariale. Entrambi gli
istituti,   d'altra   parte,  costituiscono  attuazione  del  dettato
dell'art. 38   della  Costituzione  ricollegato  con  l'art. 2  della
medesima  Carta;  e  la  previsione  normativa  di  un  meccanismo di
adeguamento  dell'indennita'  di  mobilita'  risponde  alle  esigenze
evidenziate  anche  da  questa  Corte nella sentenza n. 497 del 1988,
esigenze  che  oggi  non  sono  piu' tutelate a causa dell'assenza di
siffatto meccanismo.
    All'impugnazione  dei menzionati artt. 7, comma 3, della legge 23
luglio 1991, n. 223, 1, comma 5, 2 e 3, comma 2, del decreto-legge 16
maggio  1994,  n. 299,  il  tribunale di Torino aggiunge anche quella
dell'art. 54, comma 12, della legge 27 dicembre 1997, n. 449, poiche'
il  rinvio  ivi  contenuto  all'indice  ISTAT e' stato fissato solo a
decorrere  dal  1  gennaio 1998, senza nulla disporre per il passato,
periodo che interessa i ricorrenti nei giudizi a quibus.
    Il Tribunale conclude chiedendo la declaratoria di illegittimita'
costituzionale  delle  norme  impugnate,  nella  parte  in  cui  esse
stabiliscono  che  l'incremento  annuale,  fissato secondo gli indici
ISTAT   a   decorrere  dal  1o  gennaio 1995,  si  applichi  soltanto
all'integrazione  salariale  straordinaria e non anche all'indennita'
di mobilita'.
    2. - In  tutti  i  giudizi  si e' costituito l'Istituto nazionale
della  previdenza  sociale,  con  memorie identiche, chiedendo che la
proposta questione venga dichiarata non fondata.
    L'INPS  condivide  innanzitutto l'interpretazione restrittiva del
tribunale  di  Torino, secondo cui il meccanismo di rivalutazione del
trattamento  di  integrazione salariale straordinaria, che fino al 31
dicembre  1994  era  uguale  a  quello  previsto  per l'indennita' di
mobilita',  dal  1o  gennaio  1995  non  e'  piu' applicabile anche a
quest'ultima,  non  essendo  possibile  in materia un'interpretazione
analogica o estensiva.
    Cio' nonostante, l'ente previdenziale rileva che la diversita' di
trattamento  non  viola  il  principio  di uguaglianza, perche' i due
emolumenti  hanno  obiettivi fra loro diversi, tali da non consentire
un   confronto.   La   Cassa   integrazione,  infatti,  fornisce  una
provvidenza  economica  al  lavoratore  che,  benche' temporaneamente
sospeso  dal lavoro, e' ancora legato da un rapporto contrattuale con
l'impresa,  mentre l'indennita' di mobilita' e' una sorta di sostegno
reddituale  per  il  lavoratore  che  ha  definitivamente  perduto il
proprio  posto, in vista del reperimento di una nuova occupazione. Ne
deriva  che  l'adeguamento  annuale  degli  importi dell'integrazione
salariale  allo  scopo  di  fronteggiare  l'inflazione  si giustifica
nell'un  caso, in cui il rapporto di lavoro e' ancora in corso, e non
nell'altro,    in   cui   la   provvidenza   rimane   ragionevolmente
cristallizzata nella misura della liquidazione iniziale.
    Parimenti  e'  esclusa,  secondo  l'INPS,  ogni  violazione degli
artt. 2  e  38  della Costituzione. Poiche', infatti, l'indennita' di
mobilita' rientra tra le prestazioni erogate contro la disoccupazione
involontaria,  il  fatto  che  la  legge non preveda un meccanismo di
indicizzazione non determina, di per se', alcuna lesione dell'art. 38
Cost.,  tanto  piu'  che la stessa garantisce comunque un trattamento
migliore  rispetto  alle  ordinarie prestazioni di disoccupazione. Ed
essendo  detta  indennita'  concessa in proporzione al trattamento di
integrazione  salariale  straordinario,  gli  aumenti che la legge ha
concesso  a  quest'ultimo  si  riflettono  indirettamente anche sulla
prima.
    3. - In   tutti  i  giudizi  e'  intervenuto  il  Presidente  del
Consiglio   dei  Ministri,  rappresentato  e  difeso  dall'Avvocatura
generale  dello  Stato,  con  identiche  memorie,  chiedendo  che  la
proposta questione venga dichiarata non fondata.
    La  difesa  erariale  osserva  che, pur essendo indubbio che fino
agli   anni  novanta  tutti  i  cosiddetti  "ammortizzatori  sociali"
godevano di meccanismi di indicizzazione, cio' non e' sufficiente per
escludere  l'intrinseca diversita' dell'uno rispetto all'altro. Tanto
comporta  che il trattamento di integrazione salariale e l'indennita'
di mobilita', sia pure entrambi confluenti nel sistema di garanzie di
cui  all'art. 38  Cost.,  muovono  da  presupposti  diversi,  perche'
l'adeguamento  del  primo  al  mutato potere di acquisto della moneta
trova fondamento nella permanenza del rapporto di lavoro.
    4. - Davanti  a  questa  Corte  si sono costituite solo due parti
private,  Griotto  Giorgio  e De Caroli Giovanna, con diverse memorie
difensive.
    Il  Griotto,  prestando  adesione  all'interpretazione  estensiva
fatta  propria  dal  pretore  di Torino nel giudizio di primo grado e
disattesa  dal  tribunale rimettente, sostiene che le norme impugnate
possono  essere  lette  nel senso che il meccanismo di indicizzazione
previsto  dalla  legge  per  l'integrazione salariale sia applicabile
anche  all'indennita' di mobilita'. La parte, quindi, chiede a questa
Corte  una  sentenza  interpretativa  che salvi le norme impugnate e,
solo in subordine, l'accoglimento della questione.
    La  De  Caroli,  invece  accetta  l'interpretazione  compiuta dal
tribunale  di  Torino  ed  osserva  che,  a  seguito  delle modifiche
introdotte  col  decreto-legge n. 299 del 1994, si e' venuta a creare
un'evidente    sperequazione,    poiche'    nulla    giustifica    la
diversificazione  compiuta  tra  le  due  provvidenze  economiche  in
questione  sotto  il  profilo  dei  sistemi  di  indicizzazione. Tale
sperequazione  non puo' dirsi risolta neppure dall'art. 54, comma 12,
della  legge  n. 449  del  1997,  impugnato  dal tribunale di Torino,
perche'  l'operativita'  di  tale  norma decorre dal 1o gennaio 1998,
sicche' non potrebbe comunque avere alcuna influenza sulle situazioni
pregresse.
    La medesima parte privata, inoltre, rileva che la norma in ultimo
menzionata  non  puo'  essere  ritenuta in grado di "depurare" i vizi
dell'art. 7,  comma  3,  della  legge  n. 223  del 1991, in quanto il
legislatore e' intervenuto (art. 45, comma 1, lettera r), della legge
17  maggio  1999,  n. 144)  con  una  delega  che dovrebbe altrimenti
considerarsi del tutto inutile.
    5. - Il  pretore di Trieste, nel corso di analoga controversia di
natura   previdenziale,  ha  sollevato,  con  motivazione  pressoche'
coincidente,  un'identica  questione  di  legittimita' costituzionale
degli  artt. 7,  comma  3,  della  legge 23 luglio 1991, n. 223, e 1,
comma  5,  del  decreto-legge  16  maggio 1994, n. 299, convertito in
legge, con modificazioni, dall'art. 1, comma 1, della legge 19 luglio
1994,  n. 451,  in  riferimento  agli stessi parametri costituzionali
richiamati dal tribunale di Torino.
    6. - Anche   in  questo  giudizio  si  e'  costituito  l'Istituto
nazionale  della  previdenza  sociale,  con memoria identica a quella
gia' vista, rassegnando le medesime conclusioni.
    7. - Ha  prestato  intervento  il  Presidente  del  Consiglio dei
Ministri,  rappresentato  e  difeso  dall'Avvocatura  generale  dello
Stato,  con  memoria identica a quella degli altri giudizi, chiedendo
che la proposta questione venga dichiarata non fondata.

                       Considerato in diritto

    1. - Il  tribunale di Torino, con cinque ordinanze, ed il pretore
di  Trieste ritengono che gli artt. 7, comma 3, della legge 23 luglio
1991, n. 223, 1, comma 5, 2 e 3, comma 2, del decreto-legge 16 maggio
1994,  n. 299,  convertito  in legge, con modificazioni, dall'art. 1,
comma  1,  della  legge  19  luglio  1994,  n. 451, nel prevedere che
l'indennita'  di mobilita' venga adeguata annualmente "in misura pari
all'aumento  della  indennita' di contingenza" (mentre il trattamento
di integrazione salariale straordinaria e' aumentato annualmente, dal
1o  gennaio  1995,  "nella  misura  dell'80  per  cento  dell'aumento
derivante  dalla  variazione  annuale dell'indice ISTAT dei prezzi al
consumo"),  siano  in  contrasto  con  gli  artt. 2,  3  e  38  della
Costituzione.  E  cio'  in  quanto le predette norme, a seguito della
soppressione  dell'istituto  dell'indennita'  di  contingenza,  nello
stabilire  che  l'incremento  annuale  secondo  gli  indici  ISTAT, a
decorrere  dal 1o gennaio 1995, si applichi soltanto all'integrazione
salariale  straordinaria  e  non  anche  all'indennita' di mobilita',
riservano   un   trattamento  ingiustificatamente  differenziato  nei
confronti  di due provvidenze economiche sostanzialmente simili nella
genesi   e   nelle  finalita',  costituendo  entrambe  una  forma  di
attuazione del dettato dell'art. 38 della Costituzione.
    Il  solo  tribunale  di Torino, inoltre, impugna anche l'art. 54,
comma 12, della legge 27 dicembre 1997, n. 449, poiche' il rinvio ivi
contenuto  all'indice  ISTAT  e'  stato  fissato  a  decorrere dal 1o
gennaio  1998,  senza  nulla  disporre  per  il  passato, periodo che
interessa i ricorrenti nei giudizi a quibus.
    2. - Trattandosi  di  questioni  identiche,  esse  possono essere
riunite e decise con una sola pronuncia.
    3. - Giova  anzitutto  valutare se sia accoglibile la preliminare
tesi  della  difesa  di  una  delle parti private intervenienti circa
l'interpretazione  adeguatrice  ritenuta  possibile  dal  pretore  di
Torino  ed  esclusa  invece dal tribunale rimettente. Va in proposito
premesso  che  il  secondo  comma  dell'articolo unico della legge 13
agosto  1980,  n. 427,  prevedeva  nel  suo  testo  originario che il
trattamento  straordinario di integrazione salariale fosse aggiornato
annualmente,  a  partire  dal 1o gennaio 1981, "in misura pari all'80
per cento dell'aumento della indennita' di contingenza dei lavoratori
dipendenti  maturato  nell'anno  precedente".  Il  successivo art. 7,
comma   3,   della   legge  23  luglio  1991,  n. 223,  nel  regolare
l'adeguamento  dell'indennita'  di  mobilita',  si  e'  richiamato al
medesimo   criterio,   sicche'  puo'  dirsi  che  i  due  trattamenti
previdenziali  in esame siano stati regolati, almeno in origine, allo
stesso  modo  per  cio'  che concerne i criteri di rivalutazione. Una
prova  indiretta  di  tale  assunto si rinviene nei due decreti-legge
citati  dal  tribunale  di  Torino,  entrambi  decaduti  per  mancata
conversione,  che prevedevano, appunto, che l'indennita' di mobilita'
venisse   aggiornata   con   gli   stessi   criteri   stabiliti   per
l'integrazione  salariale straordinaria (decreto-legge 20 marzo 1992,
n. 237 e 20 maggio 1992, n. 293).
    Il  venir  meno,  a seguito di note vicende economiche nazionali,
del   sistema   dell'indennita'  di  contingenza  come  strumento  di
rivalutazione degli emolumenti (c.d. "scala mobile"), ha portato alla
sostanziale inoperativita' del meccanismo di cui all'art. 7, comma 3,
oggi  in  esame,  con la conseguenza che l'indennita' di mobilita' e'
attualmente  priva  della  possibilita'  di aggiornamento annuale. La
sostanziale  divaricazione  rispetto  al trattamento straordinario di
integrazione  salariale  si e' verificata nel 1994, quando il secondo
comma  del  citato articolo unico della legge 13 agosto 1980, n. 427,
e' stato modificato dall'art. 1, comma 5, del decreto-legge 16 maggio
1994,  n. 299, prevedendosi che (solo) il trattamento di integrazione
salariale   straordinaria   sia   adeguato,   a   decorrere   dal  1o
gennaio 1995,  "nella misura dell'80 per cento dell'aumento derivante
dalla variazione annuale dell'indice ISTAT dei prezzi al consumo".
    Il  tribunale  di  Torino,  nel  sollevare la presente questione,
precisa  di  non poter accedere alla diversa interpretazione, seguita
dal  giudice  di  primo  grado  secondo cui la disposizione in ultimo
citata  dovrebbe essere applicabile anche all'indennita' di mobilita'
dal momento che la chiara portata limitativa della norma non consente
alcuna  interpretazione  estensiva  o analogica. Ritiene in proposito
questa Corte che tale orientamento del tribunale non sia implausibile
e  trovi  un'implicita  conferma  nell'art. 45,  comma 1, lettera r),
della  legge  17  maggio  1999,  n. 144, che specificamente delega il
Governo   ad  introdurre  norme  per  adeguare  nei  successivi  anni
l'indennita'  di  mobilita' con il medesimo criterio gia' vigente per
il  trattamento straordinario di integrazione salariale; diversamente
argomentando, tale delega sarebbe incomprensibile ed inutiliter data.
    4. - Cio' premesso, la Corte rileva che la sollevata questione di
incostituzionalita'   e'  infondata,  non  ravvisandosi  lesione  dei
parametri costituzionali cui si fa riferimento.
    Non   e'   invocabile,   infatti,   l'art. 3  Cost.,  poiche'  il
trattamento  di  integrazione salariale straordinaria non costituisce
un  idoneo tertium comparationis stante la diversita' strutturale dei
due istituti. Anche se per entrambi i casi si parla di ammortizzatori
sociali  (v.  sentenza  n. 337  del  1992),  va  sottolineato  che la
posizione   del   lavoratore   collocato  in  cassa  integrazione  e'
giuridicamente   diversa   da  quella  del  lavoratore  collocato  in
mobilita':  l'uno  mantiene  ancora  il  proprio  rapporto di lavoro,
benche'  con  peculiari effetti, mentre l'altro e' gia', in sostanza,
un  disoccupato.  Mentre  la  cassa  integrazione,  in  altre parole,
presuppone  la  prospettiva di una ripresa dell'attivita' lavorativa,
l'iscrizione  nelle  liste  di  mobilita',  cui  seguono  gli effetti
indicati  nella  sentenza n. 413 del 1995 di questa Corte, implica lo
scioglimento  di  quel  rapporto  (il che giustifica, fra l'altro, il
diritto   di   precedenza   nell'eventuale   ricollocamento  previsto
dall'art. 8,  comma  1,  della  legge n. 223 del 1991). La scelta del
legislatore   appare   non   irrazionale   anche   alla   luce  della
considerazione  che  e'  proprio la permanenza del rapporto di lavoro
(esistente  solo  per il lavoratore in cassa integrazione) a spiegare
il   riconoscimento   di  un  periodico  adeguamento  dell'emolumento
previdenziale.
    5. - Non  e'  configurabile  una  incostituzionalita'  nemmeno in
relazione all'art. 38 della Costituzione.
    Detto  parametro,  com'e'  noto,  impone  che al lavoratore siano
garantiti  "mezzi  adeguati"  alle  esigenze  di  vita in presenza di
determinate  situazioni che richiedono tutela. Da questa affermazione
di   principio,  peraltro,  non  puo'  discendere,  come  conseguenza
costituzionalmente  necessitata,  quella dell'adeguamento costante di
un  emolumento  finalizzato a dare un aiuto (maggiore dell'indennita'
di  disoccupazione) al lavoratore in un momento di difficolta'; tanto
piu'  che  l'erogazione  dell'indennita'  di mobilita' e' compiuta in
vista  di  una  nuova  occupazione,  e  percio' per un tempo limitato
(salvo  l'ipotesi  della c.d. mobilita' "lunga", che e' uno strumento
di  "accompagnamento"  alla pensione), sicche' sono meno pressanti le
esigenze di un adeguamento dell'importo originario.
    Non  va inoltre trascurato che quest'ultimo importo e' certamente
adeguato  al momento della concessione poiche', ai sensi dell'art. 7,
comma  1,  della  legge  n. 223  del  1991, l'indennita' di mobilita'
spetta   in  misura  percentuale  del  trattamento  straordinario  di
integrazione  salariale  che  i  lavoratori  "hanno  percepito ovvero
sarebbe  loro  spettato  nel  periodo  immediatamente  precedente  la
risoluzione  del  rapporto  di lavoro". Ne deriva che gli aumenti del
trattamento  straordinario  menzionato  vanno a riflettersi, sia pure
indirettamente, sull'indennita' di mobilita'.
    Il    legislatore,    peraltro,    nell'esercizio    della    sua
discrezionalita',  puo' evidentemente intervenire per concedere anche
all'indennita'  di mobilita' un meccanismo di rivalutazione, identico
a  quello  esistente per la cassa integrazione straordinaria, ma tale
scelta non e' costituzionalmente vincolata.
                          Per questi motivi

                       LA CORTE COSTITUZIONALE
    Riuniti i giudizi;
    Dichiara  non fondate le questioni di legittimita' costituzionale
degli  articoli 7, comma 3, della legge 23 luglio 1991, n. 223 (Norme
in   materia   di   cassa  integrazione,  mobilita',  trattamenti  di
disoccupazione,  attuazione  di  direttive  della  comunita' europea,
avviamento  al lavoro ed altre disposizioni in materia di mercato del
lavoro),  1,  comma  5,  2  e 3, comma 2, del decreto-legge 16 maggio
1994,  n. 299  (Disposizioni  urgenti  in materia di occupazione e di
fiscalizzazione  degli  oneri  sociali),  convertito  in  legge,  con
modificazioni,  dall'art. 1,  comma  1,  della  legge 19 luglio 1994,
n. 451,  e  dell'art. 54,  comma  12,  della  legge 27 dicembre 1997,
n. 449  (Misure  per  la  stabilizzazione  della  finanza  pubblica),
sollevate,  in riferimento agli artt. 2, 3 e 38, secondo comma, della
Costituzione, dal tribunale di Torino e dal pretore di Trieste con le
ordinanze di cui in epigrafe.

    Cosi'  deciso  in  Roma,  nella  sede della Corte costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 7 giugno 2000.
                      Il Presidente: Mirabelli
                      Il redattore: Santosuosso
                      Il cancelliere: Fruscella
    Depositata in cancelleria il 9 giugno 2000.
              Il direttore della cancelleria: Fruscella
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