N. 385 ORDINANZA (Atto di promovimento) 31 gennaio 2000

Ordinanza  emessa  il  31  gennaio  2000  dal tribunale di Milano nel
procedimento penale a carico di M. E. ed altri

Processo  penale - Procedimenti penali nei quali sia stato dichiarato
aperto   il   dibattimento   all'entrata   in   vigore   della  legge
costituzionale  23  novembre  1999,  n. 2  -  Attuazione dei principi
introdotti  dalla  legge  costituzionale  nell'art. 111 Cost. - Prova
della colpevolezza dell'imputato - Criteri previsti dal decreto-legge
7   gennaio   2000,   n. 2  -  Ritenuto  contrasto  con  il  precetto
costituzionale da attuare.
- D.L. 7 gennaio 2000, n. 2, art. 1, comma 2.
- Costituzione, art. 111, comma 4, parte II.
(GU n.28 del 5-7-2000 )
                            IL TRIBUNALE

    Ha  pronunciato  la  seguente  ordinanza di rimessione degli atti
  alla  Corte  costituzionale  nel  procedimento penale in epigrafe a
  carico  di  M. E.,  B. E.,  C. C.,
  S. S., G. A., B. T., S. F. e
  V. P., imputati:
        M.,  B.,  B.,  C.,  G.,  S., del
  reato  di  cui  agli  artt. 110,  81  capoverso,  648 codice penale
  perche', in concorso tra loro;
        M. M.,  S.,  B.,  C. e S.,
  quali ideatori del complessivo disegno criminoso;
        B., quale materiale percettrice di n. 1 titolo (capo b);
        M.  e  S.,  quali  materiali  percettori  di n. 454
  titoli;
        S., quale materiale percettore di n. 4 titoli;
        B.,  M.,  G. e  S., quali intermediari con
  compiti   relativi   alla   successiva   negoziazione  dei  titoli,
  acquistavano,   ricevevano,   si  intromettevano  nel  ricevere  ed
  acquistare  n. 1.300  "certificati  di  deposito  al  portatore" di
  nominali  L. 500.000.000 ciascuno e quindi per complessive nominali
  lire  650  miliardi,  (di questi 1.300 titoli: n. 4 negoziati il 29
  novembre 1996 presso la Comit di Milano ed ora in sequestro, n. 137
  negoziati  in  Spagna nel novembre-dicembre 1996, n. 1 negoziato in
  Treviso  il  16  dicembre  1996, n . 454 sequestrati in Milano il 5
  febbraio  1997,  n. 17  negoziati  nell'aprile  -  maggio  1997  in
  Germania,   n. 179   sequestrati   in  Londra  il  10  aprile  1997
  apparentemente   rilasciati  dall'Istituto  Bancario  S.  Paolo  di
  Torino,  sedi  Milano  e  Firenze,  provento  del reato di falso in
  scrittura privata.
    Fatti  commessi  in  Milano  in  data  anteriore e prossima al 29
  novembre   1996;   accertati   in  Milano  il  5  febbraio  1997  e
  successivamente all'estero fino al maggio 1997.
    V.,  S.:  del  reato  di  cui agli artt. 110, 648
  codice   penale  perche',  in  concorso  tra  loro  e  con  B.
  E.  quale  fornitrice del titolo, acquistavano, ricevevano,
  si  intromettevano  nel ricevere ed acquistare n. 1 "certificato di
  deposito  al  portatore"  n. 20730338  di nominali L. 500.000.000.,
  apparentemente   rilasciato  dall'Istituto  Bancario  S.  Paolo  di
  Torino,  sede  di Firenze, provente del reato di falso in scrittura
  privata.  Commesso  in  Milano  in  data anteriore e prossima al 29
  novembre 1996, accertato in Treviso il 16 dicembre 1996.
    M.,  C.:  del  reato  di  cui agli artt. 56, 110, 640,
  primo  e  terzo  comma, 61 n. 7, 61 n. 11 codice penale perche', in
  concorso   tra   loro,   non   riuscendo   nell'intento  per  cause
  indipendenti  dalla propria volonta', compivano atti idonei diretti
  in   modo  non  equivoco  a  procurarsi  un  ingiusto  profitto  di
  L. 2.000.000.000  pari  al  controvalore  di  n. 4  certificati  di
  deposito dell'Istituto San Paolo di Torino sedi di Milano e Firenze
  del  valore  di L. 500.000.000 ciascuno (n.20146.338, n. 20147.338,
  n. 20148.338,  n. 20149.338)  con  corrispondente danno della Banca
  Commerciale  Italiana,  agenzia  di Milano c.so di P.ta Nuova n. 7,
  inducendo  in  errore  i  funzionari  della banca suddetta circa la
  genuinita'  ed  il  legittimo  possesso  dei titoli, con i seguenti
  artifizi e raggiri:
    M.,  M.,  C.,  S.  e  S., fornendo i
  titoli ed ideando l'illecito,
        S.,  fornendo  a  C. P., procuratore della soc.
  GE.FIN S.A. di S. Marino, documentazione contabile della soc. Gervi
  Holding  di.Vienna relativa alla disponibilita' dei citati titoli e
  consegnandogli materialmente i titoli,
        S.,  incaricando  il  C.  di  agire,  nella  citata
  qualita',  quale  fiduciario  della  stessa Gervi al fine di aprire
  linee  di  credito in favore delle societa' Ferderfin, Verdengo AG,
  Intogofin, tutte riferibili al S., costituendo in garanzia i
  titoli medesimi,
        S.,  gia'  noto  quale cliente, fornendo assicurazioni
  alla  Banca circa la serieta' dell'operazione e della affidabilita'
  del C. e della societa' dallo stesso rappresentata,
        S.,   sollecitando   C.   ad  esigere  dalla  Banca
  l'apertura  della  linea di credito a fronte dei titoli consegnati.
  In Milano in data 29 novembre 1996.
    M.:  del  reato  di cui all'art. 482/477 codice penale perche'
  falsificava  il tesserino n. 0387 apparentemente rilasciato al Cpt.
  E. M.  da  "Allied  officers' club - Afsouth post - Naples,
  Italy"  facente  parte del Comando N.A.T.O. di Bagnoli, costituente
  certificazione amministrativa utile per accedere ad area militare.
    Accertato  in  Bologna  il  20  marzo  1997,  con la recidiva per
  B., C., V., S., G., B..
                          Premesse in fatto
    Con  decreto  di  citazione  in  data  2  gennaio 1998 i suddetti
  imputati  venivano  tratti a giudizio davanti a questo pretore (ora
  Giudice) per rispondere dei reati di cui sopra.
    Nell'ambito  del  giudizio penale di primo grado si procedeva, in
  accoglimento delle richieste istruttorie formulate in data 12 marzo
  1998  dal  p.m.  e  dalle difese degli imputati M., C. e
  B.,  all'audizione dei coimputati S., M. e M.
  nei  cui  confronti  si era proceduto con il rito del patteggimento
  stralciandone la relativa posizione alla medesima udienza.
    In  particolare, all'udienza del 6 luglio 1998, mentre S.
  si sottoponeva all'esame, M. si avvaleva della facolta' di non
  rispondere.  In  tale  udienza  veniva  disposto  lo stralcio della
  posizione  del S. le cui gravi condizioni di salute avrebbero
  comportato   lunghi   rinvii  del  processo  incompatibili  con  la
  necessita'  di  speditezza dello stesso. All'udienza del 14 ottobre
  1998 anche il M. si avvaleva della facolta' di non rispondere.
    All'udienza  del 24 novembre 1998, essendo nelle more intervenuta
  la  sentenza 361/1998 della Corte costituzionale, il p.m. chiedeva,
  a  fronte  della nuova formulazione dell'art. 513 codice penale, di
  essere  autorizzato a ricitare gli imputati - nella specie M. e
  M. - che si erano avvalsi della facolta' di non rispondere, al
  fine  di consentire l'eventuale introduzione nel dibattimento delle
  dichiarazioni da loro rese in istruttoria attraverso l'applicazione
  del disposto dell'art. 500, commi 2 bis e 4 codice procedura penale
  richiamato dall'art. 513 codice prcedura penale.
    Il pretore rigettava tale istanza con ordinanza pronunciata nella
  medesima udienza.
    In  data  14  dicembre 1998 si procedeva all'esame del coimputato
  S. il quale si avvaleva della facolta' di non rispondere e le
  cui  dichiarazioni  rese  in istruttoria gli venivano contestate ai
  sensi del nuovo assetto dell'art. 513 codice procedura penale nelle
  forme di cui all'art. 500, commi 2-bis e 4 codice prcedura penale.
    Nella   stessa  udienza  il  p.m.  formulava  istanza  di  revoca
  dell'ordinanza  24  novembre  1998  -  di  rigetto  dell'istanza di
  riaudizione  di  M. e  M. - sulla quale questo giudice si
  riservava, decidendo poi, con ordinanza pronunciata fuori udienza e
  comunicata  alle  parti,  dopo una piu' attenta riflessione, per il
  suo accoglimento.
    Ne  seguiva,  all'udienza  del 18 maggio 1999, la ricitazione del
  coimputato  M. che si avvaleva nuovamente della facolta' di non
  rispondere  con  le conseguenze di cui all'art. 513, secondo comma,
  ultima parte.
    Quanto  al coimputato M., resosi nel frattempo irreperibile,
  con  apposita  ordinanza  veniva  disposta  la lettura, ex art. 512
  codice  procedura  penale, delle dichiarazioni dallo stesso rese al
  p.m. in sede di indagini preliminari.
    L'esame  delle  dichiarazioni  rese  al p.m. dai coimputati sopra
  nominati  e  che  si sono avvalsi in dibattimento della facolta' di
  non  rispondere,  evidenziano  chiamate  in  correita'  a carico di
  alcuni degli odierni imputati.
    All'udienza  del  12  gennaio  2000,  il  difensore dell'imputato
  S.,  seguito  dai  difensori  di  tutti  gli altri imputati, a
  fronte  dell'intervenuta  modifica dell'art. 111 della Costituzione
  di  cui  alla  legge  costituzionale  23  novembre  1999  n. 2,  ha
  sollevato  eccezione  di  illegittimita' costituzionale dell'art. 1
  del  decreto-legge  emesso  dal Consiglio dei Ministri il 5 gennaio
  2000  ed entrato in vigore il 7 gennaio 2000, per contrasto con gli
  articoli  3,  24  comma  secondo,  111 quarto comma, parte seconda,
  della  Costituzione  perche',  anziche' regolare l'applicazione dei
  principi  contenuti  nella  legge  Costituzionale  23 novembre 1999
  n. 2,  ne  prevede  la  non  applicazione ai procedimenti penali in
  corso  nei  quali,  alla data di entrata in vigore del decreto, sia
  stato aperto il dibattimento.

                       Considerato in diritto

    I. - La rilevanza.
    In  tale  contesto  processuale  non  puo' porsi in dubbio che la
  dedotta  questione  di legittimita' costituzionale appaia rilevante
  sia  in  fatto  che  in  diritto:  in  fatto perche', essendo state
  acquisite  al  fascicolo  del dibattimento, con le modalita' di cui
  all'art. 500   commi   2-bis   e  4  codice  procedura  penale,  le
  dichiarazioni  rese  al p.m. in istruttoria dai computati M. e
  M.  -  entrambi  avvalsisi  della facolta' di non rispondere in
  sede   dibattimentale -   esse  fanno  ormai  parte  del  materiale
  probatorio  a  disposizione  delle  parti e, contenendo chiamate in
  correita'  a  carico  di alcuni degli odierni imputati, afferiscono
  sicuramente  all'oggetto del processo ed al suo possibile esito; in
  diritto perche' la norma di cui si eccepisce l'incostituzionalita',
  l'art. 1  del  decreto-legge emesso dal Consiglio dei Ministri il 5
  gennaio  2000,  e'  certamente applicabile al presente processo nel
  quale,  alla  data  di  entrata in vigore del suddetto decreto, era
  gia' stato ampiamente dichiarato aperto il dibattimento.
    II. - La non manifesta infondatezza.
    La  questione  di  legittimita' costituzionale e' stata sollevata
  per contrasto con gli artt. 3, 24 comma secondo e 111 comma quarto,
  parte seconda, della Costituzione.
    A  parere  di  questo  giudice  la  questione  e'  manifestamente
  infondata  con riferimento agli artt. 3 e 24, comma secondo, mentre
  deve  essere  ritenuta non manifestamente infondata con riferimento
  all'art. 111, comma quarto, parte seconda.
    A.  -  Quanto al primo profilo di illegittimita', deve osservarsi
  che  non  appare corretto quanto affermato dalle difese secondo cui
  il  decreto-legge  regolerebbe  in  maniera  contraria  ai principi
  Costituzionali  situazioni  identiche  sol  perche'  riguardano, in
  generale, la categoria degli imputati.
    Invero  la  stessa  legge  costituzionale  23 novembre 1999 n. 2,
  all'art. 2,   ha   stabilito  di  demandare  alla  legge  ordinaria
  l'applicazione  dei  principi contenuti nell'art. 1 con riguardo ai
  procedimenti penali in corso alla data della sua entrata in vigore.
  Ha, cioe', espresso in una norma costituzionale e, quindi, di rango
  superiore  alla  legge  ordinaria,  la  necessita'  di sottoporre a
  regolamentazione   i   principi   introdotti   nell'art. 111  della
  Costituzione  con  riferimento  ad  una  particolare  situazione: i
  processi penali in corso alla data di entrata in vigore della legge
  costituzionale.  Con legge costituzionale e' stata quindi affermata
  la  necessita' di regolare situazioni diverse: i processi penali in
  corso rispetto agli altri.
    La  deroga all'immediata applicazione dei principi costituzionali
  a  tutte,  indifferentemente,  le  situazioni processuali e' stata,
  pertanto,  prevista  dalla stessa legge costituzionale - ne avrebbe
  potuto  essere  diversamente  proprio per un principio di gerarchia
  delle  fonti  legislative  -  giacche',  in  difetto, tali principi
  sarebbero  stati  immediatamente  operativi  senza la necessita' di
  alcuna  precisazione, salva la conseguente, ed inevitabile, sequela
  di  impugnazioni  dinanzi la Corte Costituzionale di tutte le norme
  in  evidente  contrasto  con il principio secondo il quale non puo'
  essere   provata   la   colpevolezza  dell'imputato  (bensi',  deve
  ritenersi,  solo la sua innocenza) sulla base di dichiarazioni rese
  da  chi,  per libera scelta, si e' sempre volontariamente sottratto
  all'interrogatorio da parte dell'imputato (si dovra' poi spiegare a
  quale  istituto  processuale ci si riferisce!) o del suo difensore.
  E'  chiaro lo scrupolo e la preoccupazione espressa dal legislatore
  costituzionale  di  "evitare che l'impatto dei nuovi principi sugli
  assetti processuali preesistenti determini la paralisi dei processi
  in  corso,  anche per effetto delle varie questioni di legittimita'
  costituzionali prospettabili" (Relazione al disegno di legge per la
  conversione del decreto-legge 5 gennaio 2000 recante: "Disposizioni
  urgenti  per l'attuazione dell'art. 2 della legge costituzionale 23
  novembre 1999, n. 2 in materia di giusto processo") scrupolo che ha
  giustificato, ai suoi stessi occhi, la necessita' di una diversita'
  di   trattamento.   Orbene   a  meno  di  sostenere  che  la  legge
  costituzionale   sia  anch'essa  incostituzionale,  il  che  appare
  sinceramente inaccettabile, deve giungersi alla conclusione che non
  sono   trattate  in  modo  ingiustificatamente  diverso  situazioni
  identiche  ma  che  sono  state regolate in modo diverso situazioni
  diverse.
    Orbene,  nell'ambito  di  questa  direttiva,  il  decreto-legge 5
  gennaio  2000  -  dopo avere, al primo comma dell'art. 1, fatto una
  affermazione  perfettamente  inutile  in  quanto  non  vi e' alcuna
  necessita',  ne'  possibilita',  visto  che la legge costituzionale
  nulla  dice  in  tal  senso,  di  attendere che la legge disciplini
  l'applicazione dei principi al processo penale, in quanto essi sono
  immediatamente   operativi   -  individua  nella  dichiarazione  di
  apertura  del  dibattimento  il limite processuale, all'interno dei
  processi   penali   in   corso,  superato  il  quale  il  principio
  costituzionale  di  cui all'art. 111, 4o comma, seconda parte della
  Costituzione,  trova  applicazione  nei  termini di cui all'art. 1,
  comma  2  del  decreto-legge.  Ne'  tale termine appare arbitrario,
  bensi'  risulta  correlato  al  fatto  che  se  non e' stato ancora
  dichiarato  aperto  il  dibattimento,  ovviamente,  non  sono state
  ancora   compiute   attivita'   istruttorie   che   possano  venire
  influenzate   dalla  nuova  norma  Costituzionale  con  l'eventuale
  risultato di investirne la portata e la valenza probatoria.
    A  questo punto, accertato che il discrimine non solo e' motivato
  ma  trova  la  sua  fonte  in  una  legge  costituzionale,  occorre
  verificare  se  il legislatore d'urgenza ha applicato i principi di
  cui  al  nuovo art. 111 della Costituzione ai processi in corso nei
  quali il dibattimento fosse stato gia' dichiarato aperto.
    B.   -  Vengono  allora  in  esame  le  altre  due  questioni  di
  illegittimita'    costituzionale    dell'art. 1,    comma   2   del
  decreto-legge  emesso  dal Consiglio dei Ministri il 5 gennaio 2000
  con  riguardo  all'art. 24, secondo comma della Costituzione e 111,
  secondo comma della Costituzione.
    Quanto  alla  prima questione ritiene questo giudice che essa sia
  manifestamente  infondata.  Infatti,  la  norma  dell'art. 1  comma
  secondo  su richiamata non pone limitazioni al diritto di difesa in
  quanto si preoccupa di fornire una disciplina transitoria solo alla
  seconda  parte  del quarto comma dell'art. 111 della Costituzione e
  nulla  dice,  ne' avrebbe potuto, sul principio del contraddittorio
  nell'assunzione della prova il quale e', ovviamente, immediatamente
  operativo. Il diritto di difesa, pertanto, con riferimento a questo
  profilo  non  e'  in  alcun modo compromesso. Resta da chiedersi se
  tale  diritto  possa ritenersi compromesso dalla facolta', lasciata
  al  p.m. dalla disciplina transitoria, di introdurre, ai fini della
  dichiarazione  di  colpevolezza  dell'imputato,  altri  elementi di
  prova unitamente alle dichiarazioni rese (in istruttoria) da chi si
  e'  poi sottratto all'interrogatorio da parte della difesa di colui
  che da queste dichiarazioni e' danneggiato.
    La  risposta,  a  parere del Giudicante, allo stato attuale della
  legislazione,   non   puo'   che   essere   negativa.  Infatti,  la
  disposizione  dell'art. 1, comma 2 del decreto legge 5 gennaio 2000
  -   dimenticando   per   un   momento   che   e'   norma  destinata
  all'applicazione  di  un principio costituzionale, ancorche' in via
  transitoria  -  ha  una portata che in nulla differisce rispetto ad
  altre  norme  processuali  in  tema  di  formazione  della prova in
  dibattimento.
    D'altra   parte,  in  forza  del  disposto  dell'art. 495  codice
  procedura  penale, l'imputato ha diritto all'ammissione delle prove
  indicate  a  discarico  sui  fatti oggetto delle prove a carico. Ne
  consegue  che, essendo a conoscenza del contenuto del fascicolo del
  p.m.,  potra'  predisporre una adeguata linea difensiva non solo in
  ordine  alle  dichiarazioni rese in istruttoria da soggetti che poi
  al   dibattimento   potrebbero  avvalersi  della  facolta'  di  non
  rispondere  ma,  soprattutto,  in ordine agli ulteriori elementi di
  prova  che  il  p.m.  dovra'  introdurre immediatamente, in sede di
  richieste istruttorie, a supporto delle dichiarazioni di coloro che
  potrebbero,  in dibattimento, sottrarsi all'interrogatorio da parte
  del  difensore.  Infatti,  se  il  p.m.  non disporra' di ulteriori
  elementi  di  supporto  non  potra'  neppure chiedere al giudice di
  provare  la colpevolezza attraverso le dichiarazioni rese da chi si
  sottrae all'esame da parte del difensore e se, invece, ne disperra'
  essi saranno confutabili dalla difesa.
    C.  -  Deve,  invece,  ritenersi  non manifestamente infondata la
  questione  di  legittimita'  con riferimento all'art. 111, comma 4,
  seconda parte.
    Invero,  la  norma costituzionale e' chiara nell'affermare che la
  colpevolezza  dell'imputato  non  puo'  essere  provata (e, quindi,
  affermata)  sulla  base  di  dichiarazioni  rese da chi, per libera
  scelta,  si  e' sempre volontariamente sottratto all'interrogatorio
  da  parte  dell'imputato  o  del  suo difensore. Tale principio non
  soffre eccezioni se non per consenso dell'imputato stesso o in casi
  patologici,  cosi'  come  stabilisce  il quinto comma dell'articolo
  citato.
    A  parere  del giudicante, la norma, che per avere un significato
  compiuto  deve  essere  letta come diretta alla figura del pubblico
  ministero,  vieta  a  quest'ultimo  di  "provare"  la  colpevolezza
  dell'imputato attraverso le dichiarazioni a lui rese in istruttoria
  da  soggetti  che,  legittimati  a farlo, si sono sottratti in sede
  dibattimentale  all'interrogatorio  da  parte  della  difesa (resta
  aperto il problema di quale soluzione adottare in caso di rifiuto a
  sottoporsi  ad  interrogatorio  ma  di  rilascio  di  dichiarazioni
  spontanee  confermative)  .  Essa,  cioe', pone un limite tassativo
  alla   acquisibilita'   e,   quindi,   utilizzabilita',   di   tali
  dichiarazioni.    Qualora,    chiamata    a   deporre   o   rendere
  interrogatorio,  la  persona  si  avvalga  della  facolta'  di  non
  rispondere al difensore (e se volesse rispondere solo al p.m., quid
  juris ?)  nulla  potra'  fare  l'accusa  se non accontentarsi delle
  altre prove a carico.
    Orbene,  se  questa  e'  la portata del principio costituzionale,
  occorre  verificare  se l'art. 1, comma secondo del decreto-legge 5
  gennaio  2000  nell'applicare il suddetto principio ai procedimenti
  penali   in   corso,   cio'   delegato   dall'art. 2   della  legge
  costituzionale  2/1999,  sia  incorso  in  violazione dell'art. 111
  quarto comma seconda parte della Costituzione.
    A  parere  di  questo giudice il decreto-legge quando recita: "la
  colpevolezza  dell'imputato  non puo' essere provata esclusivamente
  sulla  base  di dichiarazioni ...", afferma un principio totalmente
  opposto  a  quello  espresso  nella  citata  norma  costituzionale.
  Quest'ultima,  infatti,  e' perentoria nel dichiarare che in nessun
  caso  si puo' provare la colpevolezza dell'imputato se l'accusatore
  si  sottrae  al vaglio del contraddittorio, mentre l'art. 1 comma 2
  del  decreto-legge  pone  un  principio  esattamente  opposto. Esso
  afferma,  cioe',  che  purche'  vi  siano  ulteriori elementi (deve
  intendersi  "di  prova"  giacche'  il  regime  di valutazione delle
  dichiarazioni  dei  coimputati  o  degli imputati di reato connesso
  resta  quello  dettato dall'art. 192, terzo comma, codice procedura
  penale),  tale  colpevolezza  puo'  essere provata sulla base delle
  dichiarazioni  suddette. Appare evidente come il principio espresso
  dal  dettato costituzionale sia stato totalmente sovvertito e come,
  pur rimanendo valide ed apprezzabili le ragioni di salvaguardia dei
  processi   gia'  in  corso,  la  strada  percorsa  dal  legislatore
  d'urgenza  si  sia  discostata  troppo  dalla  delega  conferitagli
  dall'art. 2  della  legge  costituzionale  piu' volte citata sino a
  giungere ad una sua aperta violazione.
                              P. Q. M.
    Visti  gli  artt. 134  della Costituzione e 23, e seguenti, della
  legge 11 marzo 1953 n. 87;
    Dichiara rilevante e non manifestamente infondata la questione di
  illegittimita'   costituzionale   dell'art. 1,  comma  secondo  del
  decreto-legge  emesso dal Consiglio dei Ministri il 5 gennaio 2000,
  in  relazione  all'art. 111,  comma  quarto,  parte  seconda  della
  Costituzione, per i profili di cui in motivazione;
    Sospende il presente procedimento;
    Ordina la trasmissione degli atti alla Corte Costituzionale;
    Dispone  che la presente ordinanza, a cura della cancelleria, sia
  notificata  alle parti e al Presidente del Consiglio dei Ministri e
  comunicata ai Presidenti delle due Camere del Parlamento.
      Milano, addi' 31 gennaio 2000.
                         Il giudice: Vitale
00C0612