N. 387 ORDINANZA (Atto di promovimento) 1 marzo 2000

Ordinanza  emessa  il  1o  marzo  2000  dal  tribunale di Taranto nel
procedimento  di  esecuzione  promosso  da  Braun S.p.a. ed altri nei
confronti di U.S.L. Taranto n. 7 in gestione liquidatoria ed altra

Procedimento  civile - Astensione e ricusazione del giudice - Obbligo
di  astensione  del  giudice  che ha gia' conosciuto della causa come
magistrato - Sussistenza, secondo l'interpretazione della Cassazione,
solo  se  la  cognizione sia avvenuta "in altro grado" del processo -
Contrasto  con  i principi costituzionali relativi al giusto processo
ed alla terzieta' ed imparzialita' della tutela giurisdizionale.
- Cod. proc. civ., art. 51, primo comma, n. 4.
- Costituzione, artt. 24, primo comma, 101, comma secondo, 104, primo
  comma,  e  111, comma secondo (come modificato dall'art. 1 l. cost.
  23 novembre 1999, n. 2).
Esecuzione  forzata  in  genere  -  Opposizione agli atti esecutivi -
  Sottoposizione  alla  cognizione  dello  stesso  magistrato  che ha
  diretto  l'esecuzione  -  Contrasto  con  i principi costituzionali
  relativi al giusto processo ed alla terzieta' e imparzialita' della
  tutela giurisdizionale.
- Cod. proc. civ., artt. 617, comma secondo, e 618.
- Costituzione, artt. 24, primo comma, 101, comma secondo, 104, primo
  comma,  e  111, comma secondo (come modificato dall'art. 1 l. cost.
  23 novembre 1999, n. 2).
(GU n.28 del 5-7-2000 )
                            IL TRIBUNALE

    Scio1ta  la  riserva  formulata  all'udienza  del 20 gennaio 2000
  nella  procedura  di  opposizione  agli  atti esecutivi n. 3343 del
  R.G.E. 1998, osserva quanto segue.

                              F a t t o

    A seguito di procedura di espropriazione presso terzi promossa da
  Braun  S.p.a.  nei  confronti della Unita' Sanitaria Locale Taranto
  n. 7  in  gestione  liquidatoria  (debitrice)  e  Banca Popolare di
  Puglia   e   Basilicata,  filiale  di  Taranto  (terzo  pignorato),
  procedura  alla  quale  partecipavano numerosi altri creditori, era
  emessa,  in  data  23 settembre  1999, ordinanza con cui per alcuni
  crediti   v'era   l'assegnazione   delle  somme,  per  altri  v'era
  dichiarazione di improcedibilita'.
    Bieffe Medital S.p.a. (rappresentata dagli avvocati Luigi Porta e
  Pietro  Mastrangelo)  e Giotta Cosimo (rappresentato dagli avvocati
  Armando  Lasalvia  e  Giuseppe Polignano, i quali agivano anche per
  se'  medesimi  quanto  alle  spese),  nei cui confronti v'era stata
  pronunzia  di  improcedibilita' ed a cui il provvedimento era stato
  notificato  rispettivamente l'8 ottobre 1999 ed il 18 ottobre 1999,
  proponevano  tempestivamente  (la  prima  il  13  ottobre  1999, il
  secondo il 23 ottobre 1999) opposizione agli atti esecutivi avverso
  l'ordinanza predetta.
    Bieffe   Medital   S.p.a.   chiedeva   di   essere  ammessa  alla
  assegnazione  delle somme; Giotta Cosimo, l'avv. Armando Lasalvia e
  l'avv.  Giuseppe Polignano chiedevano la riforma dell'ordinanza del
  23  settembre  1999 con accertamento del loro diritto a partecipare
  all'assegnazione delle somme.
    Questi   ultimi,  peraltro,  chiedevano  espressamente,  all'atto
  dell'iscrizione  a  ruolo  dell'opposizione,  che  la  causa  fosse
  assegnata  a  magistrato diverso dal sottoscritto, che aveva emesso
  l'ordinanza opposta.
    Con  provvedimento  del  26 novembre 1999 la causa era ugualmente
  assegnata a chi scrive, che aveva curato l'esecuzione.
    All'udienza  di  comparizione  delle parti (tenutasi dopo che era
  stata  disposta  l'integrazione  del  contraddittorio) la difesa di
  Giotta  Cosimo, riportandosi a quanto statuito, con sentenza n. 387
  del  15  ottobre  1999, dalla Corte costituzionale, chiedeva che il
  giudice  dell'esecuzione  si astenesse ai sensi dell'art. 51, primo
  comma,   n. 4   c.p.c.   o   che  venisse  sollevata  questione  di
  costituzionalita' della norma.
    La  causa  era  riservata  affinche' si provvedesse all'eventuale
  sospensione  dell'esecuzione ed alla fissazione della prima udienza
  di trattazione nel merito.

                            D i r i t t o

    L'art. 617, secondo comma, c.p.c. prevede che le opposizione agli
  atti   esecutivi   che  non  sia  stato  possibile  proporre  prima
  dell'inizio  dell'esecuzione  "si propongono con ricorso al giudice
  dell'esecuzione".
    L'art.  618,  primo  comma,  c.p.c.  stabilisce  che  "il giudice
  dell'esecuzione  fissa  con decreto l'udienza di comparizione delle
  parti  davanti  a  se'"  dando,  "nei casi urgenti, i provvedimenti
  opportuni".
    L'art.  618,  secondo  comma,  c..p.c.  prevede  che  il  giudice
  dell'esecuzione,  dopo  aver  tenuto  l'udienza  per  verificare se
  adottare  o  meno  "i  provvedimenti  che ritiene indilazionabili",
  "provvede  a  norma  degli  articoli  175 e seguenti all'istruzione
  della causa, che e' poi decisa con sentenza non impugnabile".
    Alla luce di siffatte disposizioni e' il giudice dell'esecuzione,
  nella  persona dello stesso magistrato che ha diretto l'esecuzione,
  a  dovere  prima  decidere  se  adottare  o  meno  "i provvedimenti
  opportuni"   inaudita   altera   parte   ovvero   i   provvedimenti
  indilazionabili  (una  volta disposta la comparizione delle parti),
  ed  a  dovere  poi  istruire  e  decidere  nel merito l'opposizione
  proposta.
    Invero  la  Suprema  Corte  (con sentenza 02588 del 18 marzo 1994
  sez.  3)  ha  stabilito  che  mentre  "l'ordinanza  di  sospensione
  adottata  da  un diverso giudice ancorche' appartenente al medesimo
  ufficio  giudiziario  e' da considerare nulla perche' affetta da un
  vizio  che  attiene  alla  costituzione  del giudice (art. 158 cod.
  proc.  civ.)", la successiva istruzione e decisione della causa nel
  merito   compiuta   da   altro   magistrato  dello  stesso  ufficio
  giudiziario non ridonderebbe "ne' in nullita' della sentenza ne' in
  vizio  di  incompetenza",  "dovendosi  riconoscere per questa parte
  all'art.  618,  comma  2,  cod.  proc.  civ. la portata d'una norma
  ordinatoria".
    Appare  evidente, quindi, che secondo la Suprema Corte (ed invero
  secondo  il  chiaro disposto degli artt. 617, secondo e 618 c.p.c.)
  e'  comunque  lo  stesso magistrato che ha diretto l'esecuzione che
  deve  necessariamente occuparsi di emettere o meno "i provvedimenti
  opportuni"  o  "che  ritiene indilazionabili" (e quindi decidere se
  sospendere  o meno l'esecuzione), e che deve, normalmente ed in via
  ordinaria,  provvedere  poi ad istruire l'opposizione e a deciderla
  nel merito.
    E'  altresi',  evidente,  allora,  che  non  puo' invocarsi altra
  norma,  l'art. 51, primo comma, n. 4, c.p.c. al fine di sollecitare
  l'astensione  del  giudice,  essendo  previsto  dalle  disposizioni
  anzidette  che  debba  essere  proprio  quel  giudice,  il  giudice
  dell'esecuzione,  a  doversi  occupare  sia  della fase preliminare
  relativa alla sospensione dell'esecuzione, sia della fase di merito
  al   fine   di   decidere  l'opposizione  proposta  (sia  pure,  in
  quest'ultimo  caso,  non  a  pena  di nullita', secondo l'anzidetta
  pronunzia della Suprema Corte).
    Tanto   e'  confermato  espressamente  da  altra  sentenza  della
  cassazione  (sent.  01870  del 2 aprile 1981 sez. 3) secondo cu "il
  magistrato con funzioni di giudice dell'esecuzione non e' tenuto ad
  astenersi   ai   sensi   dell'art. 51  n. 4  cod.  proc.  civ.  dal
  partecipare,  quale  membro del collegio giudicante, al giudizio di
  opposizione ex art. 617 dello stesso codice avverso un'ordinanza da
  lui emessa nell'esercizio di dette funzioni, in quanto egli viene a
  conoscere della medesima questione non in un successivo grado di un
  unico   processo,   ma   in   un   nuovo   procedimento,  originato
  dall'impugnazione  di un provvedimento rispetto a cui aveva operato
  come giudice addetto all'esecuzione" (massima CED).
    Analoghi  principi  sono poi stati affermati anche da Cass. Sent.
  04320  del  18  novembre  1976  sez.  3  (in  tema  di  opposizione
  all'esecuzione),  nonche' da Cass. 801/1978 (in tema di opposizione
  a sentenza dichiarativa di fallimento).
    Cio'  detto,  art. 51, primo comma, n. 4, c.p.c, e gli artt. 617,
  secondo  comma,  e  618 c.p.c. appaiono non rispondere ai "principi
  che  si  ricavano  dalla  Costituzione relativi al giusto processo,
  come   espressione   necessaria   del   diritto   ad   una   tutela
  giurisdizionale mediante azione (art. 24 della Costituzione) avanti
  ad  un  giudice  con le garanzie proprie della giurisdizione, cioe'
  con  la  connaturale  imparzialita',  senza  la  quale  non avrebbe
  significato ne' la soggezione dei giudici solo alla legge (art. 101
  della  Costituzione), ne' la stessa autonomia ed indipendenza della
  magistratura  (art.  104,  primo comma, della Costituzione)" (Corte
  costituzionale  n. 387 del 1999). Ed infatti, proprio l'esame della
  presente  vicenda  dimostra che il giudice dell'esecuzione, qualora
  dovesse    pronunziarsi    sia   relativamente   ai   provvedimenti
  indilazionabili,   sia   nel   merito   sulla   questione   oggetto
  d'opposizione,  dovrebbe  (sia pure solo quanto al fumus boni juris
  nella prima fase) in definitiva "ripercorrere l'identico itinerario
  logico  precedentemente  seguito" in un giudizio caratterizzato "da
  pronuncia che attiene al medesimo oggetto e alle stesse valutazioni
  decisorie  sul  merito" rispetto a quelli relativi alla definizione
  della  fase  esecutiva  (il corsivo e' ancora tratto dalla sentenza
  n. 387 del 1999 della Corte costituzionale).
    In  sostanza,  v'e'  il  dubbio che nel caso de quo sussista quel
  "presupposto  di  ogni incompatibilita' endoprocessuale" che "e' la
  preesistenza   di   valutazioni   che  cadono  sulla  medesima  res
  judicanda"  (cosi'  Corte  Cost. sentenza n. 0131 del 1996, nonche'
  sentenze n. 0326 del 1997, n. 455 del 1994, n. 439 del 1993, n. 186
  e n. 124 del 1992).
    Ed  allora,  la  questione  di  legittimita' costituzionale degli
  artt.  617,  secondo  comma,  e  618,  c.p.c,  nella  parte  in cui
  prevedono che l'opposizione agli atti esecutivi sia sottoposta alla
  cognizione dello stesso magistrato che ha diretto l'esecuzione, non
  appare manifestamente infondata.
    Come  pure non appare manifestamente infondata, vista l'anzidetta
  interpretazione data dalla Suprema Corte dell'art. 51, primo comma,
  n. 4  c.p.c.  (che  e'  difforme  da quella del codice delle leggi,
  ribadita  di  recente  nella  gia'  piu'  volte menzionata sentenza
  n. 387  del  1999),  la questione di legittimita' costituzionale di
  siffatta  norma,  nella  parte  in  cui  prevede  che il giudice ha
  l'obbligo  di  astenersi  solo  se  ha conosciuto della causa "come
  magistrato in altro grado del processo".
    Ed  infatti,  le  sentenze  sopra richiamate della Suprema Corte,
  aderiscono ad una interpretazione letterale e restrittiva dell'art.
  51,  primo  comma,  n. 4,  c.p.c.,  come  si  evince  pure da altre
  sentenze della Cassazione: si veda, in proposito, quanto di recente
  e'  stato asserito da Cass. sent. 10443 del 21 ottobre 1998 sez. 2,
  secondo  cui  "non  sussiste l'obbligo di astenersi dal partecipare
  alla  composizione  del  collegio costituito in sede di ricorso, ai
  sensi  dell'art. 11 legge 8 luglio 1980, n. 319, ne' sussiste vizio
  di  costituzione  del  giudice se esso e' formato anche dal giudice
  che  ha  liquidato  il  compenso ad un consulente tecnico d'ufficio
  perche'  la  fase  di  opposizione  -  e  non di impugnazione - non
  costituisce   giudizio   di   secondo  grado,  bensi'  riesame  del
  provvedimento dell'istruttore, assimilabile al riesame da parte del
  collegio, adito in sede di reclamo, delle sue ordinanze, ovvero dei
  provvedimenti  del  giudice  delegato al fallimento" (massima CED);
  nonche'  quanto  statuito da Cass. sent. 13714 del 19 dicembre 1991
  sezioni  unite,  che  ha  rigettato il ricorso ad essa proposto che
  muoveva  "dal presupposto che a determinare l'obbligo di astensione
  del  giudice  sia sufficiente il fatto che questi abbia "conosciuto
  come magistrato il processo ", mentre "la norma richiede invece che
  egli abbia conosciuto del processo in altro grado".
    Sempre  nel senso di un'interpretazione restrittiva dell'art. 51,
  primo comma, n. 4, c.p.c. si vedano altresi': Cass. sent. 08797 del
  10  agosto 1995 sez. 1; Cass. sent. 04642 del 9 luglio 1983 sez. 3;
  Cass.  sent. 01221 del 30 marzo 1977 sez. 1 ; Cass. sent. 02679 del
  28  settembre 1971 sez. 3; Cass. sent. 02033 del 9 giugno 1969 sez.
  2.
    La  non  manifesta  infondatezza  della questione di legittimita'
  costituzionale  delle norme in oggetto emerge non solo in relazione
  ai  parametri costituzionali innanzi richiamati (artt. 24, 101, 104
  della  Costituzione),  ma  anche in relazione all'art. 111, secondo
  comma, Cost., (come risulta in seguito alla entrata in vigore della
  legge  costituzionale  23 novembre 1999, n. 2) che ha espressamente
  previsto  che  "ogni  processo si svolge nel contraddittorio tra le
  parti,  in  condizioni  di  parita',  davanti  a  giudice  terzo  e
  imparziale".
    In  definitiva,  in relazione ai parametri costituzionali innanzi
  citati,   non  appare  manifestamente  infondata  la  questione  di
  legittimita'   costituzionale  dell'art.  51,  primo  comma,  n. 4,
  c.p.c., cosi' come interpretato dalla Suprema Corte di Cassazione.
    Quand'anche,  poi, si dovesse seguire l'interpretazione estensiva
  di  detta  norma,  prospettata dalla sentenza n. 387 del 1999 della
  Corte  Costituzionale,  resterebbe il dovere, per il giudice che ha
  diretto  l'esecuzione,  di  trattare  e decidere l'opposizione agli
  atti  esecutivi:  cio' che fa ritenere non manifestamente infondata
  la  questione  di  legittimita'  costituzionale  degli  artt.  617,
  secondo comma, e 618 c.p.c.
                              P. Q. M.
    Visti gli articoli 1 legge costituzionale 9 febbraio 1948, n. 1 e
  23   legge   11  marzo  1953,  n. 87,  ritenuta  la  non  manifesta
  infondatezza   della   questione   di  legittimita'  costituzionale
  dell'art.  51,  primo comma, n. 4, nonche' degli artt. 617, secondo
  comma,  e 618 c.p.c., in relazione agli artt. 24, comma primo, 101,
  comma  secondo,  104,  comma  primo,  e  111,  comma secondo, della
  Costituzione,  dispone  la  sospensione  del  presente  giudizio  e
  l'immediata trasmissione degli atti alla Corte costituzionale;
    Ordina  che,  a cura della cancelleria, la presente ordinanza sia
  notificata  alle  parti in causa ed al Presidente del Consiglio dei
  Ministri,   e   comunicata  ai  Presidenti  delle  due  Camere  del
  Parlamento.
        Taranto, addi' 1o marzo 2000.
                Il giudice dell'esecuzione: Cavallone
00C0614