N. 401 ORDINANZA (Atto di promovimento) 6 aprile 2000

Ordinanza  emessa  il  6  aprile  2000 dal tribunale di La Spezia nel
procedimento penale a carico di Ronchi Massimiliano

Processo  penale - Applicazione della pena su richiesta delle parti -
Modifiche  normative  recate  dalla  legge 16 dicembre 1999, n. 479 -
Preclusione,  nei  giudizi  in  corso, della facolta' di formulare la
richiesta  di  applicazione  della  pena  fino  alla dichiarazione di
apertura del dibattimento, cosi' come previsto dalle norme previgenti
-   Difetto   di   disciplina   transitoria   -   Irragionevolezza  -
Ingiustificata  disparita'  di trattamento tra imputati - Lesione del
diritto di difesa - Violazione del principio di legalita'.
- Cod.   proc.   pen.,   art. 446,   primo   comma,   come  novellato
  dall'art. 33, comma 1, lett. a), legge 16 dicembre 1999, n. 479.
- Costituzione, artt. 3, 24, comma secondo, e 25, comma secondo.
(GU n.29 del 12-7-2000 )
                            IL TRIBUNALE


    All'udienza  del  6  aprile 2000, pronuncia la seguente ordinanza
  nel  procedimento  n. 295/99/16  (n. 194/98/21  RGPM) contro Ronchi
  Massimiliano, imputato del reato di cui agli artt. 216 e 219 L.F.
    Premesso che:
        all'odierna  udienza,  il  difensore dell'imputato, munito di
  procura  speciale, ha chiesto l'applicazione della pena ex art. 444
  c.p.p. e che il p.m. ha espresso il suo consenso;
        che  il  decreto del g.u.p. del tribunale di La Spezia che ha
  disposto  il  giudizio ai sensi dell'art. 429 c.p.p. e stato emesso
  in  data  3  giugno 1999, e quindi in epoca successiva alla data di
  efficacia del d.lgs. n. 51 del 19 febbraio 1998;
        che, conseguentemente, non e' applicabile alla fattispecie la
  norma   transitoria  dell'art. 224  del  detto  d.lgs.  n. 51/1998,
  relativa  ai  giudizi  di primo grado in corso, in quanto alla data
  del 2 giugno 1999 la fase del giudizio non era ancora iniziata;
        ritenuto che, a seguito dell'entrata in vigore della legge 16
  dicembre  1999  n. 479  che  ha  riformato l'art. 446, primo comma,
  c.p.p.,  non  e'  piu'  consentita  la formulazione dell'istanza di
  applicazione  della  pena  ex art. 444 c.p.p. nella fase degli atti
  preliminari  al  dibattimento  del  procedimento  ordinario  - tale
  istanza   rimane   consentita  davanti  aI  collegio  soltanto  nei
  procedimenti con rito direttissimo;

                            O s s e r v a

    La  legge  n. 479/1999  non  contiene norme transitorie, sicche',
  secondo   il   principio  tempus  regit  actum  dovrebbe  ritenersi
  inammissibile  la  richiesta  di  applicazione della pena formulata
  all'odierna  udienza, ancorche' all'epoca in cui essa venne fissata
  col  decreto  del g.u.p. ex art. 429 c.p.p., l'imputato, sulla base
  delle  norme  allora  vigenti,  aveva la facolta' di formulare tale
  istanza - e poteva riservarsi di farlo - sino alla dichiarazione di
  apertura del dibattimento.
    La  modifica dell'art. 446 c.p.p., nel precludere la possibilita'
  di  richiedere  l'applicazione  della  pena  ex art. 444 c.p.p., ha
  anche  effetti sostanziali, posto che la disciplina degli artt. 444
  e segg., c.p.p. ha solo in parte natura processuale, posto che essa
  consente  all'imputato di non subire una vera e propria sentenza di
  condanna,  di  ottenere  una  pena  ridotta, evitare la condanna al
  pagamento  delle  spese,  alle  pene  accessorie  ed alle misure di
  sicurezza;  la sentenza non ha, poi, efficacia nei giudizi civili e
  amministrativi  ed  e'  diversa  anche  la disciplina degli effetti
  penali (art. 445 c.p.p.).
    Invero,  nel  caso  in esame non e' indifferente procedere con un
  rito  o  con  l'altro,  dato  che  la  scelta  del rito alternativo
  comporta  una  decisione avente un contenuto anche qualitativamente
  diverso  rispetto  alla  decisione  ordinaria:  sicche',  ben  puo'
  ritenersi  che  l'istituto  di  cui  agli  artt. 444 e segg. c.p.p.
  contenga una disciplina non solo processuale, ma anche sostanziale,
  quanto  alla  natura  ed  agli effetti delle conseguenze penali per
  l'imputato che vi aderisca.
    Sotto  tale  profilo non e' manifestamente infondata la questione
  di  legittimita'  costituzionale dell'art. 446, primo comma, c.p.p.
  come  modificato  dall'art. 33,  comma  1  lett. a), della legge 16
  dicembre  1999  n. 479,  nella  parte  in  cui non salvaguarda, con
  riferimento  ai giudizi pendenti - e cioe' a quelli in cui era gia'
  stato emesso il decreto di cui all'art. 429 c.p.p. anteriormente al
  2   gennaio   2000   -,   la  facolta'  dell'imputato  di  chiedere
  l'applicazione  della  pena sino alla dichiarazione di apertura del
  dibattimento,  cosi' come previsto dalla norma previgente e sino al
  2 gennaio 2000 applicata ai detti giudizi.
    Appare  vulnerato  l'art. 25,  secondo  comma, della Costituzione
  posto   che   la   norma  suddetta,  anticipando  alle  conclusioni
  dell'udienza  preliminare  il  termine  finale  per la formulazione
  delta  richiesta  di  applicazione dalla pena, senza nulla disporre
  per  regolare  i  processi  pendenti  - prevede, con riferimento ai
  procedimenti  che  si  trovano  gia'  nella  fase del giudizio, una
  decadenza  con  effetto  retroattivo, in ordine all'esercizio di un
  diritto  dell'imputato avente riflessi - come si e' rilevato -, non
  solo   processuali,   ma   anche   sostanziali   in   ordine   alla
  quantificazione   della   pena,   al  contenuto  del  provvedimento
  sanzionatorio ed agli altri effetti penali.
    E'  poi palesemente vulnerato l'art. 24 Cost., laddove l'imputato
  non  e'  stato messo in condizione di conoscere entro quale termine
  avrebbe  dovuto  presentare l'istanza di applicazione della pena ex
  art. 444;    la    modifica    dell'art. 446   c.p.p.   costituisce
  un'ingiustificato  repentino mutamento delle regole del processo in
  corso, posto che il legislatore non ha neppure assegnato un termine
  entro  cui,  nei procedimenti pendenti, le domande avrebbero dovuto
  essere presentate; sicche' il soggetto che sino al 31 dicembre 1999
  in  base  alla legge vigente, nella quale faceva affidamento, aveva
  la  facolta' di formulare tale istanza e poteva riservarsi di farlo
  all'udienza  successiva,  prima della dichiarazione di apertura del
  dibattimento, a partire al 2 gennaio 2000 si e' trovato decaduto da
  tale facolta';
    Non  manifestamente  infondata  e',  altresi',  la  questione  di
  legittimita'  costituzionale  della  norma suddetta, nella parte in
  cui non ha salvaguardato la posizione dell'imputato che, sulla base
  delle  norme  sino  ad  allora  vigenti,  avrebbe  potuto formulare
  l'istanza  di  applicazione  della  pena ad udienza successiva, con
  riferimento  all'art. 3  Cost.,  per l'evidente irragionevolezza di
  tale  disciplina, che, senza alcuna - almeno evidente - esigenza di
  tutela  di  interessi  pubblici della collettivita', va ad incidere
  sulla  situazione  sostanziale  dell'imputato posta in essere dalla
  legge   precedente,   frustrando   cosi'  anche  l'affidamento  del
  cittadino  nella  sicurezza  giuridica,  che  costituisce  elemento
  fondamentale  ed  indispensabile dello Stato di diritto (Cfr. Corte
  costituzionale sentenze 36 e 349/1985).
    Sussiste,  peraltro, una ingiustificata disparita' di trattamento
  tra  la  situazione  degli  imputati la cui udienza venne fissata a
  data  anteriore  al  2  gennaio 2000 e quella di coloro per i quali
  venne  fissata  udienza successiva, posto che solo nel secondo caso
  si  e' verificata, con l'entrata in vigore della legge suddetta, la
  preclusione  alla  formulazione  dell'istanza di applicazione della
  pena.
    Ritenuto  che  le  questioni  sollevate d'ufficio con riferimento
  agli  artt. 3,  24 e 25, secondo comma, della Costituzione non sono
  manifestamente  infondate  e  che  esse sono rilevanti nel presente
  giudizio, posto che, ove accolte, il tribunale potrebbe prendere in
  esame   la   domanda  formulata  dal  difensore  dell'imputato  con
  riferimento alla quale il p.m. ha espresso il suo consenso;
                              P. Q. M.
    Visto l'art. 23 della legge 11 marzo 1953, n. 87;
    Dichiara rilevanti e non manifestamente infondate le questioni di
  legittimita'  costituzionale,  sollevate  d'ufficio, dell'art. 446,
  primo  comma,  c.p.p.,  cosi' come novellato dall'art. 33, comma 1,
  lett. a),  della  legge  16 dicembre 1999 n. 479, in relazione agli
  artt. 3,  24,  secondo  comma,  e  25, secondo comma, Costituzione,
  nella  parte  in cui non salvaguarda, con riferimento ai giudizi in
  corso,  la  facolta' dell'imputato di chiedere l'applicazione della
  pena sino alla dichiarazione di apertura del dibattimento;
    Sospende  il procedimento e dispone la trasmissione immediata del
  fascicolo alla Corte costituzionale;
    Ordina  che,  a cura della cancelleria, la presente ordinanza sia
  notificata  al Presidente del Consiglio dei Ministri e che essa sia
  comunicata al Presidente della Camera dei deputati ed al Presidente
  del Senato della Repubblica.
        La Spezia, addi' 6 aprile 2000.
                       Il Presidente: Favarino
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