N. 227 SENTENZA 8 - 22 giugno 2000

Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale.
Straniero  -  Espulsione  dal  territorio  dello  Stato  - Ricorso al
pretore  avverso  il  decreto  di  espulsione  -  Termine  -  Mancata
previsione  della  rimessione in termine o della proroga del termine,
per  il  caso di non adeguata conoscenza del provvedimento espulsivo,
per  non  essere stato tradotto nella lingua madre del destinatario -
Asserita  lesione  del  diritto  di  agire in giudizio - Possibilita'
interpretative   delle   norme  denunciate  -  Non  fondatezza  della
questione.
- Legge  6 marzo 1998, n. 40, art. 11, comma 8 (ora art. 13, comma 8,
  del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286).
- Costituzione, art. 24.
(GU n.27 del 28-6-2000 )
                       LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
Presidente: Francesco GUIZZI;
Giudici: Fernando SANTOSUOSSO, Massimo VARI, Cesare RUPERTO, Riccardo
CHIEPPA,  Gustazo  ZABREBELSKY, Carlo MEZZANOTTE, Guido NEPPI MODONA,
Piero Alberto CAPOTOSTI, Annibale MARINI, Franco BILE, Giovanni Maria
FLICK.
ha pronunciato la seguente


                              Sentenza

nel  giudizio  di  legittimita' costituzionale dell'art. 11, comma 8,
della legge 6 marzo 1998, n. 40 (Disciplina dell'immigrazione e norme
sulla  condizione  dello straniero), promosso con ordinanza emessa il
24  dicembre 1998 dal pretore di Padova sul ricorso proposto da Tania
Catarama  contro  il  Prefetto  di  Padova,  iscritta  al  n. 121 del
registro  ordinanze 1999, e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della
Repubblica n. 10, prima serie speciale, dell'anno 1999;
    Udito  nella  camera  di  consiglio  del 5 aprile 2000 il giudice
relatore Gustavo Zagrebelsky.

                          Ritenuto in fatto


    1. - Il  pretore  di  Padova  ha  sollevato, con ordinanza del 24
dicembre 1998, questione di legittimita' costituzionale dell'art. 11,
comma    8,   della   legge   6   marzo   1998,   n. 40   (Disciplina
dell'immigrazione   e   norme   sulla  condizione  dello  straniero),
disposizione   ora  contenuta  nell'art. 13,  comma  8,  del  decreto
legislativo  25  luglio  1998, n. 286 (Testo unico delle disposizioni
concernenti  la disciplina dell'immigrazione e norme sulla condizione
dello straniero), in riferimento all'art. 24 della Costituzione.

    2. - Il  pretore  e'  chiamato  a  definire  il  ricorso  di  una
cittadina   extracomunitaria   avverso   il   decreto  di  espulsione
amministrativa  del  Prefetto, ricorso che e' stato proposto oltre un
mese  dopo  la  comunicazione del decreto, mentre l'art. 13, comma 8,
del  citato  decreto  legislativo stabilisce a tal fine il termine di
cinque  giorni;  a  spiegazione del ritardo, riferisce l'ordinanza di
rimessione,   la   ricorrente,   cittadina  rumena,  ha  allegato  la
difficolta'  di  comprensione  del  contenuto  dell'atto,  redatto in
lingua italiana e tradotto in inglese.
    Osserva  il pretore che l'art. 11 della legge n. 40 del 1998 (ora
art. 13  del  testo unico) stabilisce, al comma 7, che "il decreto di
espulsione  e  il  provvedimento  di cui al comma 1 dell'art. 12 [ora
art. 14 del t.u.], nonche' ogni altro atto concernente l'ingresso, il
soggiorno  e l'espulsione, sono comunicati all'interessato unitamente
all'indicazione  delle  modalita' di impugnazione e ad una traduzione
in  una  lingua  da lui conosciuta, ovvero, ove non sia possibile, in
lingua francese, inglese o spagnola".
    La  traduzione  in  una lingua conosciuta dall'interessato, cioe'
secondo   il   rimettente   "nella  lingua  del  suo  paese  natale",
costituirebbe  dunque  un  presupposto  di  forma  necessario  e  non
sostituibile  perche'  il  provvedimento di espulsione possa produrre
effetti  nei  confronti  del destinatario. Cio' equivale, prosegue il
Pretore,  a  escludere  la possibilita', per l'amministrazione, di un
accertamento  in  concreto  della  conoscenza o comunque del grado di
conoscenza   della   lingua   italiana   da   parte   del   cittadino
extracomunitario;   sarebbe  del  resto  una  probatio  diabolica  la
dimostrazione,  da  parte dell'interessato, di una conoscenza piena e
approfondita  della  lingua  italiana  o  di un'altra lingua (diversa
dalla   madrelingua)  e  comunque  un'indagine  del  genere  potrebbe
comportare   fraintendimenti  e  incertezze,  assegnando  uno  spazio
eccessivo di discrezionalita' all'autorita' di polizia.
    Dunque,  osserva il Pretore, l'ipotesi di traduzione dell'atto in
una  delle  lingue  principali  e  piu'  diffuse  inglese, francese o
spagnolo  si configurerebbe come strettamente residuale, quando cioe'
risulti  oggettivamente  impossibile  effettuare  la traduzione nella
lingua  originaria dello straniero, ad esempio per la estrema rarita'
di    detta   lingua   o   del   dialetto   parlato   dal   cittadino
extracomunitario;  solo  cosi'  si  giustificherebbe  la  presunzione
normativa  di  conoscenza  di  una di dette lingue internazionalmente
piu'  utilizzate, e l'esclusione di un accertamento in concreto, caso
per  caso,  dell'effettiva  conoscenza  linguistica.  Ma  di  regola,
"quando  cio'  sia possibile", come nel caso di specie, e' necessario
che   il  decreto  di  espulsione  venga  consegnato  all'interessato
"unitamente a una traduzione del provvedimento medesimo" nella lingua
del destinatario.
    Questo  requisito  di  forma del resto si collega direttamente al
rimedio  giurisdizionale  esperibile contro il decreto di espulsione,
quale delineato sul piano procedimentale dai successivi commi 9, 10 e
11  dell'impugnato art. 11 della legge n. 40 del 1998. Ora, rileva il
giudice rimettente, il comma 8 di questo stesso articolo, nel fissare
il  termine  -  perentorio - di cinque giorni per la proposizione del
ricorso,  "non prevede alcun meccanismo di rimessione in termini o di
proroga  del  termine  nel  caso  in  cui  il provvedimento sia stato
notificato allo straniero in una lingua da lui non conosciuta".
    Ed e' appunto in cio' che il rimettente ravvisa la violazione del
diritto  di  azione  e difesa in giudizio tutelato dall'art. 24 della
Costituzione: nella perdita del potere di ricorrere contro il decreto
di  espulsione, per l'intempestivita' del rimedio, nonostante che per
l'omessa  traduzione  dell'atto  nella  lingua madre dell'interessato
questi  non sia stato messo in grado di comprenderne adeguatamente il
contenuto.
    La  questione  sollevata,  conclude  il  Pretore,  e'  rilevante,
perche'  investe  l'ammissibilita'  dell'opposizione al decreto e con
essa  la  validita'  del  provvedimento  amministrativo  sottoposto a
verifica giudiziale.

                       Considerato in diritto


    1. - Il    pretore    di   Padova   dubita   della   legittimita'
costituzionale dell'art. 11, comma 8, della legge 6 marzo 1998, n. 40
(Disciplina   dell'immigrazione   e   norme  sulla  condizione  dello
straniero),  disposizione  ora  contenuta  nell'art. 13, comma 8, del
decreto  legislativo  25  luglio  1998,  n. 286  (Testo  unico  delle
disposizioni  concernenti  la  disciplina  dell'immigrazione  e norme
sulla  condizione  dello straniero), il quale stabilisce che "avverso
il decreto di espulsione [dello straniero dal territorio dello Stato,
nei  casi  previsti  dai commi precedenti del medesimo articolo] puo'
essere presentato [...] ricorso al pretore, entro cinque giorni dalla
comunicazione  del  decreto [...]". Il giudice rimettente ritiene che
tale  disposizione  violi  il diritto di azione in giudizio garantito
dall'art. 24 della Costituzione in quanto non prevede, per il caso in
cui  il decreto stesso, non essendo stato tradotto nella lingua madre
dell'interessato,  non sia stato da questi adeguatamente compreso, la
rimessione  in  termine  dell'interessato  o  la  proroga del termine
stesso.

    2. - La questione non e' fondata.
    Il  diritto  di  azione  in  giudizio  contro atti della pubblica
amministrazione  presuppone  ovviamente  la  conoscibilita'  del loro
contenuto   e,   di   tale   conoscibilita',   l'uso  di  una  lingua
comprensibile all'interessato e' evidentemente condizione necessaria.
E'  per  questa ragione che l'art. 11, comma 7, della legge n. 40 del
1998  (ora art. 13, comma 7, del decreto legislativo n. 286 del 1998)
stabilisce che il decreto di espulsione e' comunicato all'interessato
unitamente  all'indicazione  delle modalita' di impugnazione e ad una
traduzione  in  una  lingua  da  lui  conosciuta, ovvero, ove non sia
possibile,  in  lingua  francese,  inglese  o  spagnola; l'art. 3 del
d.P.R.   31   agosto  1999,  n. 394  (Regolamento  recante  norme  di
attuazione   del   testo  unico  delle  disposizioni  concernenti  la
disciplina   dell'immigrazione   e   norme   sulla  condizione  dello
straniero,  a  norma dell'art. 1, comma 6, del decreto legislativo 25
luglio  1998, n. 286), al comma 3 stabilisce che, se lo straniero non
comprende   la   lingua   italiana,   il  provvedimento  deve  essere
accompagnato  da  una  sintesi  del  suo  contenuto,  anche  mediante
appositi  formulari  sufficientemente dettagliati, nella lingua a lui
comprensibile  o,  se  cio'  non  e'  possibile,  in una delle lingue
inglese,   francese   o  spagnola,  secondo  la  preferenza  indicata
dall'interessato.    Tale    disciplina    corrisponde    largamente,
nell'inevitabile   limite   del   possibile,  all'esigenza  di  porre
l'interessato   nella   condizione  di  conoscere  il  contenuto  del
provvedimento  che  lo  riguarda,  affinche' egli possa eventualmente
mettere in atto gli strumenti che l'ordinamento prevede per la difesa
dei suoi diritti (commi 9, 10 e 11 dell'art. 11 in questione).
    Il  sistema  legislativo  e' cosi' costruito sulla garanzia della
piena   conoscibilita'  del  contenuto  del  provvedimento,  garanzia
necessaria  all'effettivita'  del  diritto  di  difesa  in  giudizio,
secondo   l'art. 24   della   Costituzione,   nonche'  secondo  varie
disposizioni  di  accordi internazionali in materia ai quali l'Italia
ha  aderito  (v.  art. 1  del protocollo n. 7 alla convenzione per la
salvaguardia  dei  diritti  dell'uomo  e delle liberta' fondamentali,
protocollo  adottato  a  Strasburgo il 22 novembre 1984, ratificato e
reso  esecutivo  con la legge 9 aprile 1990, n. 98; art. 13 del patto
internazionale  relativo  ai  diritti  civili e politici, fatto a New
York il 19 dicembre 1966, ratificato e reso esecutivo con la legge 25
ottobre 1977, n. 881). Sulla premessa di tale conoscibilita', vale il
termine  perentorio di cinque giorni per la proposizione del ricorso,
previsto  dalla disposizione impugnata. Il caso eccezionale in cui la
premessa  non  si  realizza,  non  essendo  stata  compresa la lingua
impiegata,  sta  fuori della portata della disposizione impugnata. La
mancata  previsione  di  rimedi  per  ovviare  a  tale situazione non
significa  affatto  come  invece presuppone il giudice rimettente nel
proporre  la  questione  di costituzionalita' che essa debba ricadere
nella  disciplina  del  termine  previsto  a pena di decadenza. Se si
tiene  ferma  l'esigenza  che  il  contenuto  del  provvedimento  sia
conoscibile,  affinche'  possano  operare  le ulteriori scansioni del
procedimento previsto dalla legge, ove tale conoscibilita' non vi sia
occorrera' che il giudice, facendo uso dei suoi poteri interpretativi
dei  principi  dell'ordinamento,  ne tragga una regola congruente con
l'esigenza  di  non vanificare il diritto di azione in giudizio, come
del  resto risulta dalla giurisprudenza dei giudici di merito i quali
-  per l'ipotesi in esame e sempre che la comunicazione dell'atto non
abbia  comunque raggiunto lo scopo - hanno ritenuto l'inefficacia del
provvedimento   non   tradotto  in  lingua  comprensibile  e  la  sua
inidoneita'  a  far decorrere il termine per il ricorso. Possibilita'
interpretative  di  questo  genere  non  sono  affatto  escluse dalla
disposizione sottoposta a controllo, la quale risulta pertanto esente
dal vizio di costituzionalita' che le viene imputato.
                          Per questi motivi

                       LA CORTE COSTITUZIONALE
    Dichiara  non fondata la questione di legittimita' costituzionale
dell'art. 11,  comma  8,  della legge 6 marzo 1998, n. 40 (Disciplina
dell'immigrazione   e   norme   sulla  condizione  dello  straniero),
disposizione   ora  contenuta  nell'art. 13,  comma  8,  del  decreto
legislativo  25  luglio  1998, n. 286 (Testo unico delle disposizioni
concernenti  la disciplina dell'immigrazione e norme sulla condizione
dello   straniero),   sollevata,  in  riferimento  all'art. 24  della
Costituzione,  dal  pretore  di  Padova,  con l'ordinanza indicata in
epigrafe.

    Cosi'  deciso  in  Roma,  nella  sede della Corte costituzionale,
Palazzo della Consulta, l'8 giugno 2000.
                        Il Presidente: Guizzi
                      Il redattore: Zagrebelsky
                      Il cancelliere: Di Paola
    Depositata in cancelleria il 22 giugno 2000.
              Il direttore della cancelleria: Di Paola
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