N. 435 ORDINANZA (Atto di promovimento) 1 marzo 2000

Ordinanza  emessa  il  1o  marzo  2000  dal  tribunale di Taranto nei
procedimenti  di  esecuzione riuniti promossi da Carl Zaiss S.p.a. ed
altri contro U.S.L. Taranto 3 in gestione liquidatoria ed altra

Procedimento  civile - Astensione e ricusazione del giudice - Obbligo
di  astensione  del  giudice  che ha gia' conosciuto della causa come
magistrato - Sussistenza, secondo l'interpretazione della Cassazione,
solo  se  la  cognizione  sia  avvenuta in altro grado del processo -
Contrasto  con  i principi costituzionali relativi al giusto processo
ed alla terzieta' ed imparzialita' della tutela giurisdizionale.
- Cod. proc. civ., art. 51, primo comma, n. 4.
- Costituzione, artt. 24, primo comma, 101, secondo comma, 104, primo
  comma,  e  111,  secondo  comma  (come modificato dall'art. 1 legge
  cost.  23  novembre  1999,  n. 2).  Esecuzione  forzata in genere -
  Opposizione  agli  atti  esecutivi - Sottoposizione alla cognizione
  dello stesso magistrato che ha diretto l'esecuzione - Contrasto con
  i  principi  costituzionali  relativi  al  giusto  processo ed alla
  terzieta' e imparzialita' della tutela giurisdizionale.
- Cod. proc. civ., artt. 617, comma secondo, e 618.
- Costituzione, artt. 24, primo comma, 101, secondo comma, 104, primo
  comma,  e  111,  secondo  comma  (come modificato dall'art. 1 legge
  cost. 23 novembre 1999, n. 2).
(GU n.30 del 19-7-2000 )
                            IL TRIBUNALE

    Sciolta  la  riserva  formulata  all'udienza del 17 febbraio 2000
  nella  procedura  di  opposizione  agli  atti esecutivi n. 3486 del
  R.G.E. 1998, osserva quanto segue.

                              F a t t o

    A seguito di procedura di espropriazione presso terzi promossa da
  Carl  Zeiss  S.p.a.  nei  confronti  della  unita' sanitaria locale
  Taranto  3 in gestione liquidatoria (debitrice) e Banca Popolare di
  Puglia  e  Basilicata  -  Filiale  di  Taranto  (terzo  pignorato),
  procedura  alla  quale  partecipavano numerosi altri creditori, era
  emessa,  in  data  27  ottobre  1999,  ordinanza con cui per alcuni
  crediti   v'era   l'assegnazione   delle  somme,  per  altri  v'era
  dichiarazione di improcedibilita'.
    Bieffe Medital S.p.a. (rappresentata dagli avvocati Luigi Porta e
  Pietro  Mastrangelo),  a cui l'ordinanza era stata notificata il 22
  novembre  1999,  proponeva  tempestivamente  opposizione  agli atti
  esecutivi  con ricorso depositato il 27 novembre 1999, chiedendo la
  rideterminazione di quanto dovuto per interessi e l'assegnazione di
  una ulteriore somma a tale titolo.
    Giotta  Cosimo  (rappresentato  dagli avvocati Armando Lasalvia e
  Giuseppe  Polignano) ed i medesimi avvocati Lasalvia e Polignano (i
  quali  agivano  anche per se' medesimi, quanto alle spese), nei cui
  confronti  v'era  stata  pronunzia  di improcedibilita' ed a cui il
  provvedimento era stato notificato il 26 novembre 1999, proponevano
  tempestivamente   opposizione   agli  atti  esecutivi  con  ricorso
  depositato il 1o dicembre 1999: gli opponenti chiedevano la riforma
  dell'ordinanza  del  27  ottobre  1999  con  accertamento  del loro
  diritto  a partecipare all'assegnazione delle somme. Questi ultimi,
  peraltro,  chiedevano  espressamente,  all'atto  dell'iscrizione  a
  ruolo  dell'opposizione,  che la causa fosse assegnata a magistrato
  diverso dal sottoscritto, che aveva emesso l'ordinanza opposta.
    All'udienza  di  comparizione delle parti, peraltro, la difesa di
  Giotta  Cosimo, riportandosi a quanto statuito, con sentenza n. 387
  del  15  ottobre  1999, dalla Corte costituzionale, chiedeva che il
  giudice  dell'esecuzione  di astenesse ai sensi dell'art. 51, comma
  1,   n. 4   c.p.c.   o   che   venisse   sollevata   questione   di
  costituzionalita' della norma.
    Disposta  la riunione delle due procedure d'opposizione, la causa
  era  riservata  affinche'  si provvedesse all'eventuale sospensione
  dell'esecuzione   ed   alla   fissazione  della  prima  udienza  di
  trattazione nel merito.

                            D i r i t t o

    L'art.  617,  secondo comma, prevede che le opposizione agli atti
  esecutivi  che  non  sia stato possibile proporre prima dell'inizio
  dell'esecuzione    "si    propongono   con   ricorso   al   giudice
  dell'esecuzione".
    L'art.  618,  primo  comma,  c.p.c.  stabilisce  che  "il giudice
  dell'esecuzione  fissa  con decreto l'udienza di comparizione delle
  parti  davanti  a  se'",  dando  "nei casi urgenti, i provvedimenti
  opportuni".
    L'art.   618,  secondo  comma,  c.p.c.  prevede  che  il  giudice
  dell'esecuzione,  dopo  aver  tenuto  l'udienza  per  verificare se
  adottare  o  meno  "i  provvedimenti  che ritiene indilazionabili",
  "provvede  a  norma  degli  articoli  175 e seguenti all'istruzione
  della causa, che e' poi decisa con sentenza non impugnabile".
    Alla luce di siffatte disposizioni e' il giudice dell'esecuzione,
  nella  persona dello stesso magistrato che ha diretto l'esecuzione,
  a  dovere  prima  decidere  se  adottare  o  meno  "i provvedimenti
  opportuni"   inaudita   altera   parte   ovvero   i   provvedimenti
  indilazionabili  (una  volta disposta la comparizione della parti),
  ed  a  dovere  poi  istruire  e  decidere  nel merito l'opposizione
  proposta.  Invero  la  Suprema  Corte (con sentenza n. 02588 del 18
  marzo  1999,  sez.  3)  ha  stabilito  che  mentre  "l'ordinanza di
  sospensione  adottata  da un diverso giudice ancorche' appartenente
  al  medesimo  ufficio  giudiziario  e' da considerare nulla perche'
  affetta da un vizio che attiene alla costituzione del giudice (art.
  158  c.p.c.)", la successiva istruzione e decisione della causa nel
  merito   compiuta   da   altro   magistrato  dello  stesso  ufficio
  giudiziario non ridonderebbe "ne' in nullita' della sentenza ne' in
  vizio  di  incompetenza",  "dovendosi  riconoscere per questa parte
  all'art.   618,  secondo  comma,  c.p.c.  la  portata  d'una  norma
  ordinatoria".
    Appare  evidente, quindi, che secondo la Suprema Corte (ed invero
  secondo  il  chiaro  disposto degli artt. 617, secondo comma, e 618
  c.p.c.)   e'   comunque   lo   stesso  magistrato  che  ha  diretto
  l'esecuzione  che deve necessariamente occuparsi di emettere o meno
  "i  provvedimenti  opportuni"  o  "che  ritiene indilazionabili" (e
  quindi  decideere  se  sospendere o meno l'esecuzione), e che deve,
  normalmente  ed  in  via  ordinaria,  provvedere  poi  ad  istruire
  l'opposizione e a deciderla nel merito.
    E'  altresi',  evidente,  allora,  che  non  puo' invocarsi altra
  norma,  l'art. 51, primo comma, n. 4, c.p.c. al fine di sollecitare
  l'astensione  del  giudice,  essendo  previsto  dalle  disposizioni
  anzidette  che  debba  essere  proprio  quel  giudice,  il  giudice
  dell'esecuzione,  a  doversi  occupare  sia  della fase preliminare
  relativa alla sospensione dell'esecuzione, sia della fase di merito
  al   fine   di   decidere  l'opposizione  proposta  (sia  pure,  in
  quest'ultimo  caso,  non  a  pena  di nullita', secondo l'anzidetta
  pronunzia della Suprema Corte).
    Tanto   e'  confermato  espressamente  da  altra  sentenza  della
  Cassazione  (sent.  01870 del 2 aprile 1981 sez. 3) secondo cui "il
  magistrato con funzioni di giudice dell'esecuzione non e' tenuto ad
  astenersi  ai  sensi  dell'art.  51  n. 4  del  cod. proc. civ. dal
  partecipare,  quale  membro del collegio giudicante, al giudizio di
  opposizione ex art. 617 dello stesso codice avverso un'ordinanza da
  lui emessa nell'esercizio di dette funzioni, in quanto egli viene a
  conoscere della medesima questione non in un successivo grado di un
  unico   processo,   ma   in   un   nuovo   procedimento,  originato
  dall'impugnazione  di un provvedimento rispetto a cui aveva operato
  come   giudice  addetto  all'esecuzione"  (massima  CED).  Analoghi
  principi sono poi stati affermati anche da Cass. sent. n. 04320 del
  18  novembre  1976, sez. 3 (in tema di opposizione all'esecuzione),
  nonche'  da  Cass.  n. 801/1978  (in tema di opposizione a sentenza
  dichiarativa di fallimento).
    Cio' detto, l'art. 51, primo comma, n. 4, c.p.c. e gli artt. 617,
  secondo  comma,  e  618 c.p.c. appaiono non rispondere ai "principi
  che  si  ricavano  dalla  Costituzione relativi al giusto processo,
  come   espressione   necessaria   del   diritto   ad   una   tutela
  giurisdizionale mediante azione (art. 24 della Costituzione) avanti
  ad  un  giudice  con le garanzie proprie della giurisdizione, cioe'
  con  la  connaturale  imparzialita',  senza  la  quale  non avrebbe
  significato ne' la soggezione dei giudici solo alla legge (art. 101
  della  Costituzione), ne' la stessa autonomia ed indipendenza della
  magistratura  (art.  104,  primo comma, della Costituzione)" (Corte
  costituzionale n. 387 del 1999).
    Ed  infatti,  proprio l'esame della presente vicenda dimostra che
  il   giudice  dell'esecuzione,  qualora  dovesse  pronunziarsi  sia
  relativamente  ai  provvedimenti  indilazionabili,  sia  nel merito
  sulla  questione  oggetto  d'opposizione,  dovrebbe  (sia pure solo
  quanto  al  fumus  boni  juris  nella  prima  fase)  in  definitiva
  "ripercorrere l'identico itinerario logico precedentemente seguito"
  in un giudizio caratterizzato "da pronuncia che attiene al medesimo
  oggetto  e alle stesse valutazioni decisorie sul merito" rispetto a
  quelli  relativi  alla definizione della fase esecutiva (il corsivo
  e'  ancora  tratto  dalla  sentenza  n. 387  del  1999  della Corte
  costituzionale).
    In  sostanza,  v'e'  il  dubbio che nel caso de quo sussista quel
  "presupposto  di  ogni incompatibilita' endoprocessuale" che "e' la
  preesistenza   di   valutazioni   che  cadono  sulla  medesima  res
  judicanda"  (cosi'  Corte costituzionale sentenza n. 0131 del 1996,
  monche'  sentenze  n. 0326  del  1997,  n. 445 del 1994, n. 439 del
  1993, n. 186 e n. 124 del 1992).
    Ed  allora,  la  questione  di  legittimita' costituzionale degli
  artt.  617,  secondo  comma,  e  618,  c.p.c.  nella  parte  in cui
  prevedono che l'opposizione agli atti esecutivi sia sottoposta alla
  cognizione dello stesso magistrato che ha diretto l'esecuzione, non
  appare manifestamente infondata.
    Come  pure non appare manifestamente infondata, vista l'anzidetta
  interpretazione data dalla Suprema corte dell'art. 51, primo comma,
  n. 4  c.p.c.  (che  e'  difforme da quella del giudice delle leggi,
  ribadita  di  recente  nella  gia'  piu'  volte menzionata sentenza
  n. 387  del  1999),  la questione di legittimita' costituzionale di
  siffatta  norma,  nella  parte  in  cui  prevede  che il giudice ha
  l'obbligho  di  astenersi  solo  se ha conosciuto della causa "come
  magistrato in altro grado del processo".
    Ed  infatti,  le  sentenze  sopra richiamate della Suprema Corte,
  aderiscono ad una interpretazione letterale e restrittiva dell'art.
  51,  primo  comma,  n. 4,  c.p.c.,  come  si  evince  pure da altre
  sentenze della Cassazione: si veda, in proposito, quanto di recente
  e' stato asserito da Cass. sent. 10443 del 21 ottobre 1998, sez. 2,
  secondo  cui  "non  sussiste l'obbligo di astenersi dal partecipare
  alla  composizione  del  collegio costituito in sede di ricorso, ai
  sensi  dell'art.  11 legge 8 luglio 1980 n. 319, ne' sussiste vizio
  di  costituzione  del  giudice se esso e' formato anche dal giudice
  che  ha  liquidato  il  compenso ad un consulente tecnico d'ufficio
  perche'  la  fase  di  opposizione  -  e  non di impugnazione - non
  costituisce   giudizio   di   secondo  grado,  bensi'  riesame  del
  provvedimento dell'istruttore, assimilabile al riesame da parte del
  collegio, adito in sede di reclamo, delle sue ordinanze, ovvero dei
  provvedimenti  del  giudice  delegato al fallimento" (massima CED);
  nonche'  quanto statuito dal Cass. sent. 13714 del 19 dicembre 1991
  sezioni  unite,  che  ha  rigettato il ricorso ad essa proposto che
  muoveva  "dal presupposto che a determinare l'obbligo di astensione
  del  giudice  sia sufficiente il fatto che questi abbia "conosciuto
  come magistrato il processo ", mentre "la norma richiede invece che
  egli  abbia  conosciuto  del processo "in altro grado ". Sempre nel
  senso  di un'interpretazione restrittiva dell'art. 51, primo comma,
  n. 4,  c.p.c.  si  vedano altresi': Cass. sent. 08797 del 10 agosto
  1995  sez.  1;  Cass.  sent.  04642 del 9 luglio 1983 sez. 3; Cass.
  sent.  01221  del  30  marzo  1977 sez. 1; Cass. sent. 02679 del 28
  settembre 1971 sez. 3; Cass. sent. 02033 del 9 giugno 1969 sez. 2.
    La  non  manifesta  infondatezza  della questione di legittimita'
  costituzionale  delle norme in oggetto emerge non solo in relazione
  ai  parametri costituzionali innanzi richiamati (artt. 24, 101, 104
  della  Costituzione),  ma  anche in relazione all'art. 111, secondo
  comma, Cost., (come risulta in seguito alla entrata in vigore della
  legge  costituzionale  23 novembre 1999, n. 2) che ha espressamente
  previsto  che  "ogni  processo si svolge nel contraddittorio tra le
  parti,   in  condizioni  di  parita'  davanti  a  giudice  terzo  e
  imparziale".
    In  definitiva,  in relazione ai parametri costituzionali innanzi
  citati,   non  appare  manifestamente  infondata  la  questione  di
  legittimita'   costituzionale  dell'art.  51,  primo  comma,  n. 4,
  c.p.c., cosi' come interpretato dalla Suprema Corte di Cassazione.
    Quand'anche,  poi, si dovesse seguire l'interpretazione estensiva
  di  detta  norma,  prospettata dalla sentenza n. 387 del 1999 della
  Corte  costituzionale,  resterebbe il dovere, per il giudice che ha
  diretto  l'esecuzione,  di  trattare  e decidere l'opposizione agli
  atti  esecutivi:  cio' che fa ritenere non manifestamente infondata
  la  questione  di  legittimita'  costituzionale  degli  artt.  617,
  secondo comma, e 618 c.p.c.
                              P. Q. M.
    Visti gli articoli 1 legge costituzionale 9 febbraio 1948 nn. 1 e
  23   legge   11   marzo  1953  n. 87,  ritenuta  la  non  manifesta
  infondatezza   della   questione   di  legittimita'  costituzionale
  dell'art.  51,  primo comma, n. 4, nonche' degli artt. 617, secondo
  comma,  e 618 c.p.c., in relazione agli artt. 24, primo comma, 101,
  secondo  comma,  104,  primo  comma,  e  111,  secondo comma, della
  Costituzione;
    Dispone  la  sospensione  del  presente  giudizio  e  l'immediata
  trasmissione degli atti alla Corte costituzionale;
    Ordina  che,  a cura della cancelleria, la presente ordinanza sia
  notificata  alle  parti in causa ed al Presidente del Consiglio dei
  Ministri,   e   comunicata  ai  Presidenti  delle  due  Camere  del
  Parlamento.
        Taranto, addi' 1o marzo 2000
                Il giudice dell'esecuzione: Cavallone
00C0716