N. 449 ORDINANZA (Atto di promovimento) 10 febbraio 2000

Ordinanza   emessa   dal  tribunale  amministrativo  regionale  della
Lombardia  sul  ricorso  proposto  da  Angelillo  Giustina  contro il
Ministero della giustizia ed altri

Avvocato  e procuratore - Esami di abilitazione per l'esercizio della
professione  -  Giudizio  espresso  esclusivamente mediante punteggio
numerico  -  Obbligo  di motivazione - Esclusione secondo l'indirizzo
interpretativo  del  Consiglio di Stato, non condiviso dal rimettente
ma costituente "diritto vivente" - Lamentata ingiustificata deroga al
principio    dell'obbligo    di    motivazione    dei   provvedimenti
amministrativi  previsto  dalla legge anche per i pubblici concorsi -
Incidenza   sui   principi   di   difesa   in   giudizio,  di  tutela
giurisdizionale, di imparzialita' e buon andamento della p.a., per la
difficolta' di conoscere e controllare le ragioni poste alla base del
giudizio  negativo  e  l'iter logico delle valutazioni compiute dalle
Commissioni  esaminatrici  - Richiesta di valutazione chiarificatrice
alla Corte costituzionale.
- Legge 7 agosto 1990, n. 241, art. 3.
- Costituzione, artt. 3, 24, 97 e 113.
Invia  subordinata (ove la Corte "ritenga conforme al dato normativo
  l'interpretazione dell'art. 3 della legge n. 241/1990 quale risulta
  dal   diritto   vivente"):   Avvocato  e  procuratore  -  Esami  di
  abilitazione   per  l'esercizio  della  professione  -  Obbligo  di
  motivazione  - Esclusione - Violazione dei principi di uguaglianza,
  di  imparzialita' e buon andamento della p.a. - Lesione del diritto
  di difesa e del principio della tutela giurisdizionale.
- Legge 7 agosto 1990, n. 241, art. 3.
- Costituzione, artt. 3, 24, 97 e 113.
(GU n.31 del 26-7-2000 )
art=3;

                IL TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE

    Ha pronunciato la seguente ordinanza sul ricorso n. 3615 del 1999
  proposto  da  Angelillo  Giustina,  rappresentata  e  difesa  dagli
  avvocati  Maria  Cristina  Zavatti  ed  Enrico  Cimino Gibellini ed
  elettivamente  domiciliata presso lo studio degli stessi in Milano,
  Via Quintino Sella n. 1;
    Contro  il  Ministero  della  giustizia  e la commissione per gli
  esami da avvocato, costituitisi in giudizio, rappresentati e difesi
  dall'avvocatura  distrettuale  dello  Stato in Milano, presso i cui
  uffici  sono  ope  legis  domiciliati  in via Freguglia n. 1; e nei
  confronti   di  Jacopo  Franco  Dambrosio,  controinteressato,  non
  costituito; per l'annullamento, previa sospensione:
        del  giudizio  di  non ammissione della ricorrente alle prove
  orali degli esami di avvocato nonche' di tutti gli atti connessi.
    Visto il ricorso con i relativi allegati;
    Visto  l'atto  di  costituzione  in  giudizio del Ministero della
  giustizia;
    Viste  le  memorie  prodotte dalle parti a sostegno delle proprie
  difese;
    Visti gli atti tutti della causa;
    Udito  alla  pubblica  udienza  del  10 febbraio 2000 il relatore
  dott. Carlo Deodato;
    Uditi, altresi', i procuratori delle parti;
    Ritenuto in fatto e in diritto quanto segue:

                              F a t t o

    La  dott.ssa  Giustina  Angelillo  ha  sostenuto  presso la Corte
  d'appello  di  Milano  le  prove  scritte degli esami di avvocato -
  sessione  1998/1999,  sulle quali la comissione d'esame ha espresso
  un  giudizio  negativo,  che  ha impedito alla ricorrente di essere
  ammessa all'orale.
    Per  ottenere  l'annullamento  di  tale  valutazione l'istante ha
  adito  questo  tribunale con il ricorso in epigrafe, deducendo vizi
  di violazione di legge e di eccesso di potere.
    Si  e'  costituito  in  giudizio  il  Ministero  della giustizia,
  contestando   le  tesi  sostenute  nel  ricorso  e  chiedendone  la
  reiezione.
    AIl'udienza   del  10  febbraio  2000  la  causa  e'  passata  in
  decisione.

                            D i r i t t o

    1)  -  L'illegittimita'  dell'impugnato  giudizio  negativo viene
  denunciata  nel  ricorso  sotto  molteplici  profili;  il  collegio
  ritiene  che  tra  questi  debba  essere prioritariamnente definito
  quello  riguardante  il  difetto  di  motivazione.  Cio'  in quanto
  l'obiettivo  della  ricorrente  e',  insieme alla caducazione degli
  atti  impugnati,  la  rinnovazione  del  giudizio  sulle  sue prove
  scritte;  rispetto  a  tale  obiettivo  la  decisione sulla censura
  relativa al profilo motivazionale risulta centrale non solo ai fini
  dell'invocato annullamento del giudizio negativo gia' formulato, ma
  anche e soprattutto ai fini conformativi dell'attivita' che la p.a.
  sarebbe  chiamata  a  svolgere nell'eventualita' di un accoglimento
  del  gravame.  Percio'  il  collegio  ritiene  di  dover  esaminare
  innanzitutto la predetta censura.
    2)  -  Si  sostiene  in  proposito  che  detto giudizio, espresso
  esclusivamente  in forma numerica, attraverso voti contrasta con il
  principio  generale  enunciato  dall'art. 3, comma 1, della legge 7
  agosto 1990, n. 241, a tenore del quale:
        "ogni    provvedimento    amministrativo,   compresi   quelli
  concernenti  l'organizzazione  amministrativa,  lo  svolgimento dei
  pubblici  concorsi ed il personale, deve essere motivato, salvo che
  nelle  ipotesi previste dal comma 2. La motivazione deve indicare i
  presupposti  di fatto e le ragioni giuridiche che hanno determinato
  la  decisione  dell'amministrazione,  in  relazione alle risultanze
  dell'istruttoria"
    Sulla  questione dell'integrale applicabilita' della norma citata
  ai  giudizi  relativi  agli  esami di abilitazione professionale (e
  segnatamente  agli esami per accedere alla professione di avvocato)
  questa sezione si e' ripetutamente espressa in senso favorevole, da
  ultimo  con  le sentenze 3 giugno 1998, nn. 1154 e 1157 e 30 giugno
  1998, n. 1521. Ad analoghe, conclusioni sono recentemente pervenuti
  anche  il  Tribunale  amministrativo  regionale Puglia - sezione di
  Lecce,  I  sezione, nelle sentenze 25 marzo 1997, n. 207, 10 agosto
  1996,   n. 617   e   27   marzo   1996,  n. 119;  ed  il  Tribunale
  amministrativo  regionale  Lombardia  -  sezione  di  Brescia nella
  sentenza 19 ottobre 1996, n. 990.
    Il   Consiglio   di  Stato  ha,  invece,  adottato  un  contrario
  orientamento che riconosce, nell'ambito che qui interessa, la piena
  legittimita' del giudizio espresso esclusivamente mediante un voto,
  cioe' attraverso un mero punteggio numerico; e tale posizione viene
  giustificata  sostenendo,  da  un  lato,  che il voto sintetizza in
  forma   numerica   il   giudizio  e  contiene  in  se'  la  propria
  motivazione,  dall'altro  che l'art. 3 della legge sul procedimento
  amministrativo  e'  applicabile  alla  sola  attivita' propriamente
  provvedimentale e non anche all'attivita' di giudizio conseguente a
  valutazioni.
    Detto  consolidato  orientamento  e' stato seguito, tra le altre,
  nelle  decisioni del Consiglio di Stato, VI sezione 27 maggio 1996,
  n. 747  e  15  ottobre  1993,  n. 727; V sezione 19 settembre 1995,
  n. 1323  (che  ribadisce la validita' dell'orientamento richiamato,
  pur   riconoscendo  la  necessita'  di  motivazione  del  punteggio
  negativo  attribuito,  in  caso  di  unico candidato di un pubblico
  concorso);  C.G.A.R.S.  29  dicembre 1997, n. 583 e 29 luglio 1997,
  n. 309  (che  superano  la  precedente,  isolata decisione di segno
  opposto  n. 228  del  31 maggio 1995); ed che in sede consultiva il
  Consiglio di Stato si e' espresso nel senso indicato allorche', nel
  parere  9  novembre  1995,  n. 120  reso dall'adunanza generale, ha
  ritenuto  opportuna  la  modifica dell'art. 12, comma 1 del decreto
  del  Presidente  della  Repubblica 9 agosto 1994, n. 487 in tema di
  accesso   ai   pubblici  impieghi,  nel  senso  che  i  criteri  di
  valutazione  nei  concorsi  devono  essere  stabiliti  al  fine  di
  "assegnare" e non di "motivare" i punteggi attribuiti ai candidati,
  essendo  la  graduazione  numerica  un  modo  di  differenziare  le
  valutazioni.
    Detta modifica, che sembra avere espunto dall'ordinamento la sola
  norma,  seppure  di  rango  secondario,  che si poneva in obiettivo
  contrasto  con  la  menzionata, riduttiva lettura dell'art. 3 della
  legge  n. 241/1990,  appare  di  tutto  rilievo  in  relazione alla
  particolare  autorevolezza  dell'organo  da cui promana: l'adunanza
  generale  del  Consiglio  di  Stato e', infatti, chiamata a rendere
  un'interpretazione  potenzialmente  vincolante  per ogni successiva
  lettura  della  norma,  deliberando  essa  con la partecipazione di
  tutti   i   componenti   delle   sezioni  consultive  e  di  quelle
  giurisdizionali  ex  art. 17  del  r.d.  26  giugno  1924, n. 1054.
  L'importanza  di  detto avviso emerge anche dal fatto che esso pare
  sottendere  non  solo  l'inequivoco  intento di difendere il previo
  indirizzo   interpretativo,   ma   anche   quello   di  assecondare
  l'avvertita   preoccupazione  per  le  non  superabili  difficolta'
  indotte  dal  legislatore  sull'amministrazione  e  per  essa sulle
  commissioni  giudicatrici  da un cogente obbligo di motivazione dei
  giudizi negativi espressi in sede di pubblici concorsi ed esami.
    In proposito non si puo' non sottolineare, tuttavia, che i valori
  costituzionali  che  presiedono  all'emissione  del suddetto avviso
  dell'adunanza  generale  sono  quelli indicati dall'art. 100, primo
  comma  della  Costituzione  e  che  lo  stesso  e'  dunque  diretta
  espressione  della funzione primaria affidata da quest'ultima norma
  al  Consiglio  di  Stato,  che  e'  quella di rendere allo Stato la
  consulenza  giuridico-amministrativa e di garantire la tutela della
  giustizia all'interno della pubblica amministrazione.
    Le  ragioni  del  diverso  orientamento seguito da questa sezione
  rispetto   a   quanto  espresso  dalll'adunanza  generale  e  dalle
  decisioni  dalle  sezioni  giurisdizionali  rese antecedentemente e
  successivamente   al   ricordato   parere,   possono  essere  cosi'
  sintetizzate:
        l'affermazione   secondo  cui  il  voto  sarebbe  espressione
  sintetica,  ma  completa  del  giudizio,  recante  in  se'  la  sua
  motivazione,   e'   tanto  perentoria  quanto  insoddisfacente;  se
  significa   che,   ad   esempio,  un  esame  da  "5"  e'  un  esame
  insufficiente,  essa  si risolve in una mera tautologia; in realta'
  il  voto  e'  un  giudizio di cui sfugge la motivazione, perche' le
  ragioni  di  una  valutazione negativa (e la graduazione di questa)
  possono essere le piu' diverse: errori concettuali e/o ortografici,
  superficiale   o   confusa   conoscenza   della  materia  trattata,
  inadeguatezza   dell'esposizione,  mancata  comprensione  del  tema
  proposto,  incapacita'  di analisi e/o di sintesi, ed altre ancora;
  ed una specifica, ancorche' sintetica enunciazione delle ragioni di
  un  giudizio  non positivo corrisponde al generalissimo precetto di
  clare  loqui, consentendo al candidato un adeguato riscontro tra il
  contenuto  della prova svolta e la sua negativa valutazione: il che
  puo'  alternativamente condurre ad una consapevole reazione in sede
  giurisdizionale  ovvero all'accettazione del risultato, visto anche
  in funzione di aiuto e di indirizzo per le scelte future;
        l'esigenza  di  conoscere il "perche'" di un voto puo' essere
  soddisfatta  solo  quando  esso  e'  accompagnato  da  un  giudizio
  sintetico  o  trova illustrazione nella simbologia utilizzata nelle
  correzioni  apportate  ad  una  eventuale  prova scritta o, ancora,
  quando  puo' essere spiegato attraverso il raffronto con criteri di
  valutazione   predeterminati   in   modo   puntuale   e  pressoche'
  matematico;  in  mancanza  di tali elementi di raffronto l'esigenza
  predetta resta insoddisfatta;
        quanto   alla   tesi   secondo   cui   l'art. 3  della  legge
  n. 241/1990,  riferendosi  ad "ogni provvedimento amministrativo" e
  ricollegando  la  motivazione  "alle  risultanze  dell'istruttoria"
  farebbe    esclusivo    riferimento    all'attivita'   propriamente
  provvedimentale  e  non  anche  a quella di giudizio, conseguente a
  valutazione,  essa  appare confliggente con lo spirito della norma;
  in  una  legge di principi sul procedimento amministrativo, volta a
  garantire   la   trasparenza   e   l'imparzialita'   dell'attivita'
  amministrativa,  il  generale  obbligo  di  motivazione  di  "ogni"
  provvedimento  puo'  essere  escluso  solo  nei  casi espressamente
  previsti  e  cioe'  solo  "per  gli  atti  normativi e per quelli a
  contenuto  generale"  a  cui  puntualmente  si riferisce il comma 2
  della  norma  citata;  e  d'altra parte il primo comma utilizza una
  terminologia  varia,  collegando  l'obbligo di motivazione prima al
  "provvedimento     amministrativo",     poi     alla     "decisione
  dell'amministrazione":  il  che appare espressivo della volonta' di
  attribuire alla disposizione la piu' ampia portata.
    Il  collegio  ritiene  tuttora  valide  le  argomentazioni appena
  richiamate, che appaiono pertinenti al caso di specie, tenuto conto
  che   il   giudizio   contestato   e'   stato   espresso  in  forma
  esclusivamente  numerica,  che  gli  elaborati  del  ricorrente non
  presentano   alcuna  correzione  e  che  i  criteri  di  correzione
  enunciati   nella   relativa  seduta  della  commissione  risultano
  generali ed astratti.
    Tuttavia  non  puo' trascurare il fatto che anche le piu' recenti
  decisioni  adottate  dal Consiglio di Stato in sede di merito (cfr.
  sez.  IV  9  aprile  1999,  n. 538, che ha annullato la sentenza di
  questas  sezione n. 1726 dell'8 ottobre 1997 pronunciata su un caso
  analogo  a  quello  di  cui  qui  si controverte) e cautelare (cfr.
  ordinanza  sez.  IV  21  maggio 1999, n. 1188) sono conformi al suo
  consolidato orientamento, contrario a quello di questa sezione.
    Si  deve  dunque  riconoscere  che,  secondo il "diritto vivente"
  quale  risulta  dalle  decisioni emesse in sede d'appello, l'art. 3
  della  legge n. 241/1990 (alla luce del quale vanno interpretate le
  disposizioni sull'esame da avvocato contenute r.d. 22 gennaio 1934,
  n. 37  e,  in particolare, quelle di cui agli artt. 17-bis e 23 che
  utilizzano  il termine "punteggio" esclude dall'obbligo di puntuale
  motivazione  i  giudizi espressi in sede di valutazione degli esami
  di abilitazione professionale.
    In  tali condizioni questo collegio ritiene di non poter definire
  il  ricorso  semplicemente  insistendo nel riproporre le tesi della
  sezione, senza farsi carico dell'evidente contrasto con il "diritto
  vivente"  in  materia,  quale  emerge dal pacifico orientamento del
  Consiglio  di  Stato,  tenuto  conto  del rilievo che esso presenta
  sotto il profilo nomofilattico.
    3)  -  L'indubbio  vincolo  costituito,  di fatto, dal richiamato
  "diritto  vivente"  non  appare  tuttavia  sufficiente ad imporre a
  questo  giudice di adeguarsi all'indirizzo sinora avversato, atteso
  che  l'interpretazione  dell'art.  3  citato  seguita sul punto dal
  Consiglio   di   Stato   appare   al   collegio   sospettabile   di
  illegittimita' costituzionale.
    Non   resta   allora   che  prospettare  tali  dubbi  alla  Corte
  costituzionale per averne una valutazione chiarificatrice. E che il
  giudice   di  merito,  quando  si  trova  di  fronte  ad  indirizzi
  giurisprudenziali  consolidati  da  lui  non  condivisi  sul  piano
  costituzionale,  possa  rivolgersi  al giudice delle leggi e' stato
  ripetutamente  riconosciuto  dalla  stessa Corte costituzionale, da
  ultimo  nelle  sentenze  21  novembre 1997, n. 350, 21 luglio 1995,
  n. 345, 6 aprile 1995, n. 110, 24 febbraio 1995, n. 58.
    Nel  caso  in  esame  il  collegio  dubita  della  conformita'  a
  determinate   norme  costituzionali  dell'indirizzo  interpretativo
  dell'art. 3  della  legge  n. 241/1990  uniformemente  seguito  dal
  Consiglio  di Stato in rapporto alla formulazione e motivazione dei
  giudizi  relativi  ad  esami  di  abilitazione  professionale  (con
  specifico  riguardo  agli  esami  per  accedere alla professione di
  avvocato). In particolare tali dubbi si prospettano:
        a)  in  relazione  all'art.  3 della Costituzione perche' non
  appare  ragionevole una disposizione normativa inserita nella legge
  generale  sul  procedimento  amministrativo che, mentre consacra il
  generale principio dell'obbligo di motivazione, tra l'altro facendo
  specifico  riferimento a "lo svolgimento dei pubblici concorsi", ne
  esclude  l'applicazione a categorie di atti (nella specie i giudizi
  sugli  esami  d'abilitazione)  rispetto  ai  quali  l'esigenza  dei
  destinatari  di  conoscere,  attraverso,  un'idonea motivazione, le
  concrete  ragioni  poste  a  fondamento  della loro adozione non e'
  diversa,  ne'  minore di quella dei soggetti interessati agli altri
  atti  amministrativi, se del caso egualmente esprimenti valutazioni
  di  natura  tecnica,  sicuramente  vincolati  all'osservanza  della
  norma.
        b)  in  relazione  agli  artt. 24 e 113 Cost., perche' la non
  soggezione all'obbligo di motivazione dei giudizi d'esame di cui si
  discute,  traducendosi nell'impossibilita' per il singolo candidato
  bocciato  di  conoscere  e  controllare le ragioni poste a base del
  giudizio  negativo, interdice ogni concreta tutela nella gia' assai
  limitata  sede  della  giurisdizione  di  legittimita',  in  cui al
  giudice  amministrativo  e'  consentito il solo riscontro dell'iter
  logico  delle  valutazioni  di  merito  compiute  dalle commissioni
  esaminatrici;  quando,  al contrario, anche tale limitato sindacato
  viene  precluso  di  fronte  al  mero  dato  numerico del voto, non
  illustrato,  cioe'  spiegato  da una almeno sintetica, ma concreta,
  motivazione,  la tutela cosi' consentita dall'ordinamento si riduce
  al  solo  riscontro  di  profili estrinseci e formali, quali quelli
  inerenti  al  rispetto  delle  garanzie connesse alla collegialita'
  dell'organo  giudicante  ed  alla sua composizione con una cospicua
  riduzione del tasso di effettivita' dei giudizi nella sede generale
  della legittimita';
        c)  in  relazione all'art. 97 Cost. perche' la sottrazione di
  una   categoria   di   atti   all'obbligo   di  motivazione  appare
  confliggente  sia  con il principio di imparzialita' (evidentemente
  meno garantito da un giudizio espresso in forma solo numerica), sia
  con il principio di buon andamento, dell'amministrazione, che in un
  ordinamento  modernamente  democratico si traduce anche nella piena
  trasparenza   dell'azione   amministrativa;   ne'  le  esigenze  di
  snellezza  e  speditezza  del  procedimento,  pure  riconducibii al
  principio  di  buon  andamento  ex art. 97 della Costituzione e che
  sono pienamente percepibili nel gia' ricordato avviso dell'adunanza
  generale,    possono    essere    ritenute    prevalenti   rispetto
  all'inderogabile necessita' di assicurare il piu' corretto rapporto
  tra   cittadino   e   amministrazione   pubblica,   essendo  invece
  diversamente  tutelabili  attraverso  un'applicazione del principio
  dell'obbligo   di   motivazione   ragionevole  e  proporzionato  ai
  richiamati obiettivi di trasparenza e di tutela.
    4)  -  In  subordine,  ove  si ritenga conforme al dato normativo
  l'interpretazione dell'art. 3 della legge n. 241/1990 quale risulta
  dal  "diritto vivente" formatosi sul punto che riguarda il presente
  giudizio,  il  collegio  prospetta  l'illegittimita'  del  medesimo
  art. 3,   in   rapporto  ai  parametri  costituzionali  piu'  sopra
  richiamati e per le ragioni gia' illustrate.
    5)   -Le   questioni   prospettate   appaiono   al  collegio  non
  manifestamente  infondate  e  sono  sicuramente  rilevanti, perche'
  dalla  loro  risoluzione  dipende l'accoglimento o meno del ricorso
  sotto il denunciato profilo del difetto di motivazione.
                              P. Q. M.
    Ritenuta  la  rilevanza  e  la  non  manifesta infondatezza delle
  questioni di legittimita' costituzionale sopra illustrate, sospende
  il  giudizio  sul  ricorso  n. 3437  del  1999 e ordina l'immediata
  trasmissione degli atti alla Corte costituzionale;
    Dispone  che,  a cura della segreteria, la presente ordinanza sia
  notificata  alle  parti in causa ed al Presidente del Consiglio dei
  Ministri  e  sia  comunicata  ai  Presidenti  delle  due Camere del
  Parlamento.
    Cosi'  deciso in Milano nella Camera di Consiglio del 10 febbraio
  2000.
                      Il Presidente: Cardinale
Il giudice estensore: Deodato
00c0744