N. 263 SENTENZA 6 - 11 luglio 2000

Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale.

Reati  militari  - Violata consegna - Militare in servizio di guardia
(nella  specie,  svolgente  il  servizio  in abiti civili) - Sanzione
della reclusione militare, fino a un anno - Prospettato contrasto con
il  principio  di  legalita' e di tassativita' e determinatezza della
fattispecie  criminosa,  con  pregiudizio  del diritto di difesa e in
violazione  del  principio di obbligatorieta' dell'azione penale, del
principio  di  eguaglianza  e  del  principio  di  offensivita' - Non
fondatezza della questione.
- Cod. pen. mil. pace, art. 120.
- Costituzione, artt. 25, 24, 112, 13 e 3.
(GU n.30 del 19-7-2000 )
                       LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:
Presidente: Cesare MIRABELLI;
  Giudici:   Fernando  SANTOSUOSSO,  Massimo  VARI,  Cesare  RUPERTO,
Riccardo   CHIEPPA,   Gustavo   ZAGREBELSKY,   Valerio  ONIDA,  Carlo
MEZZANOTTE,  Guido  NEPPI  MODONA,  Piero Alberto CAPOTOSTI, Annibale
MARINI, Franco BILE, Giovanni Maria FLICK;
ha pronunciato la seguente


                              Sentenza

nel  giudizio di legittimita' costituzionale dell'art. 120 del codice
penale  militare  di  pace,  promosso  con  ordinanza  emessa  il  29
settembre  1999  dal  giudice  per  le indagini preliminari presso il
Tribunale  militare  di  Torino,  iscritta  al  n. 660  del  registro
ordinanze 1999 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica
n. 50, prima serie speciale, dell'anno 1999.
    Visto  l'atto  di  intervento  del  Presidente  del Consiglio dei
Ministri;
    Udito  nella  camera  di  consiglio  del 5 aprile 2000 il giudice
relatore Carlo Mezzanotte.

                          Ritenuto in fatto


    1.  -  Il giudice per le indagini preliminari presso il Tribunale
militare  di Torino, dovendo pronunciare sulla richiesta di emissione
di  decreto  penale  di  condanna  nei  confronti  di un imputato del
delitto  di  violata  consegna,  per  avere,  in qualita' di militare
effettivo  dell'ufficio locale marittimo di Sestri Levante, comandato
di  servizio  di  guardia giornaliera h 24, violato la consegna avuta
svolgendo  il  servizio  in  abiti  civili  e  non  indossando,  come
prescritto,  la  divisa,  ha sollevato, in riferimento agli artt. 25,
24,  112,  13  e  3  della  Costituzione,  questione  di legittimita'
costituzionale  dell'art.  120 del codice penale militare di pace, il
quale  assoggetta  alla  sanzione della reclusione militare fino a un
anno la violazione della consegna avuta.
    In  primo  luogo,  ad  avviso  del  giudice a quo la disposizione
denunciata violerebbe la riserva di legge di cui all'art. 25, secondo
comma,  della  Costituzione,  in  quanto  il  legislatore  si sarebbe
limitato  a  prevedere  la sanzione, lasciando all'amministrazione la
descrizione  del  precetto,  in  tal modo spogliandosi del compito di
effettuare   scelte  di  politica  criminale-militare  attraverso  la
definizione  dei  presupposti,  del  contenuto  e  dei  limiti  della
consegna  e  delle  conseguenze della sua violazione; e poiche' nella
legislazione   militare  la  nozione  di  consegna  puo'  comprendere
qualsiasi atto che cosi' venga qualificato dal comandante, l'art. 120
del  codice  penale  militare  di pace finirebbe con il prevedere una
sanzione penale per la mera violazione delle prescrizioni impartite.
    Peraltro, prosegue il remittente, quand'anche si volesse ritenere
che  la  riserva  di  legge  di cui all'art. 25, secondo comma, della
Costituzione  sia una riserva relativa, ugualmente sarebbe violato il
principio  di  legalita',  poiche'  il  legislatore  avrebbe comunque
omesso di determinare in modo sufficiente i presupposti, i caratteri,
il  contenuto  e  i  limiti  dei  provvedimenti  dell'amministrazione
specificativi  dell'astratta e generica nozione di consegna, sicche',
nel  caso,  sarebbe rimessa all'amministrazione addirittura la scelta
se  sanzionare penalmente o solo sul piano disciplinare le violazioni
dei doveri imposti ai militari.
    L'art. 25, secondo comma, della Costituzione sarebbe poi violato,
ad  avviso  del  giudice  a  quo  sotto  il  concorrente  profilo del
principio  di  tassativita'  o  di  determinatezza  della fattispecie
penale.  La  indeterminatezza  della nozione di consegna, nella quale
possono rientrare anche le prescrizioni di dettaglio e persino quelle
implicite, non potrebbe, infatti, non riverberarsi sulla disposizione
incriminatrice.  Si  sarebbe,  quindi,  in  presenza  di  un  difetto
strutturale  nella  descrittivita' del precetto, che sarebbe privo di
qualsiasi  indicazione  circa  i  presupposti, i contenuti e i limiti
della  fattispecie penale, dando luogo a una incertezza congenita che
potrebbe determinare arbitri in sede applicativa.
    Il  remittente  prospetta inoltre il contrasto tra l'art. 120 del
codice  penale  militare  di  pace  e l'art. 24, secondo comma, della
Costituzione,  rilevando  come la violazione della riserva di legge e
del   principio  di  tassativita'  non  potrebbe  non  comportare  un
pregiudizio  al  diritto  di  difesa,  dal  momento  che il cittadino
militare  non  sarebbe  posto  in  grado  di  conoscere  cio'  che e'
penalmente  vietato  e  cio'  che  viceversa  e' consentito ovvero e'
sanzionato    solo    sul   piano   disciplinare,   con   conseguente
impossibilita'  di  decidere  con  coscienza  e  volonta'  il proprio
comportamento  in  relazione alle prescrizioni impostegli. Neppure il
pubblico  ministero,  a  dispetto  della  obbligatorieta' dell'azione
penale   di   cui   all'art.   112  della  Costituzione,  avrebbe  la
possibilita'   di   individuare   con  certezza  i  comportamenti  da
reprimere.
    Ed  ancora,  l'art.  120  del  codice  penale  militare  di  pace
violerebbe,  ad  avviso  del remittente, l'art. 3 della Costituzione,
sotto un duplice profilo. In primo luogo, alla indeterminatezza della
fattispecie  criminosa  potrebbero  seguire  decisioni  difformi  dei
giudici  pur in presenza di identiche situazioni di fatto. In secondo
luogo,  verrebbe rimesso alla amministrazione, attraverso l'emissione
di  atti amministrativi costituenti consegna, di determinare cio' che
e'  delitto  e cio' che delitto non e', ovvero di stabilire, mediante
la  revoca  o  l'annullamento  della  consegna,  cio' che non e' piu'
reato,   di   guisa   che  i  cittadini  militari  sarebbero  esposti
all'arbitrio   assoluto   dell'esecutivo   e   a   sperequazioni  nel
trattamento sanzionatorio.
    Infine,  il giudice a quo deduce la illegittimita' costituzionale
dell'art. 120 del codice penale militare di pace, in riferimento agli
art.  25,  secondo  comma,  e  13  della  Costituzione, in quanto, in
contrasto  con il principio di offensivita', per il quale la sanzione
penale  dovrebbe essere utilizzata come extrema ratio la disposizione
censurata  configurerebbe  un reato di pericolo presunto, un illecito
di  mera disubbidienza disancorato dalla effettiva lesione di un bene
giuridico:  il  militare,  infatti, verrebbe punito con la reclusione
militare  solo  per  avere  disobbedito  a  doveri  imposti,  non dal
legislatore,  ma  dall'amministrazione  in  forza  di  una  delega in
bianco.
    Quanto  alla  rilevanza, il remittente ne afferma la sussistenza,
osservando  che  le  sollevate  questioni coinvolgono la stessa norma
incriminatrice,  sulla base della quale e' stata nella specie elevata
l'imputazione.

    2.  -  E'  intervenuto  nel  presente  giudizio il Presidente del
Consiglio  dei Ministri, rappresentato dall'Avvocatura generale dello
Stato, e ha chiesto che la questione sia dichiarata infondata.
    L'Avvocatura  rileva  che le argomentazioni svolte nell'ordinanza
di  rimessione  non considerano le peculiarita' del sistema militare,
ordinato  su  base  gerarchica  e  nel  quale e' insita l'esigenza di
assicurare  il  rispetto  di  doveri  di  disciplina;  la pretesa del
remittente  di  limitare le fattispecie penali ai soli episodi lesivi
di  beni  costituzionalmente non indifferenti, del resto, potrebbe al
piu'  valere  come indicazione di tendenza e non sarebbe unanimemente
condivisa.
    Quanto  alle  censure  relative  alla  asserita  violazione della
riserva  di  legge  e  del  principio  di  tassativita',  dalla quale
discenderebbero  tutte le altre indicate dal remittente, l'Avvocatura
osserva che quest'ultimo non terrebbe conto degli sforzi dottrinali e
giurisprudenziali  diretti  a  circoscrivere  la  portata della norma
incriminatrice.  L'art.  120  del  codice  penale  militare  di pace,
infatti,  poggerebbe su una endiade, i cui termini sono rappresentati
dal  servizio  e  dalla  consegna.  In  relazione  a questa l'approdo
giurisprudenziale,    che   risponderebbe   anche   all'esigenza   di
individuare  il  proprium  del delitto di violata consegna rispetto a
quello  di disobbedienza ad un ordine (articolo 173 del codice penale
militare  di pace), sarebbe nel senso che il provvedimento gerarchico
suscettibile  di  trasformarsi in consegna non potrebbe consistere in
un  mero ordine individuale o collettivo, essendo comunque necessaria
l'esistenza  di  uno  schema  normativo  astratto e predeterminato di
regolamentazione,  rispetto  al quale il provvedimento individualizzi
l'attivita'  e  configuri  una  consegna.  Affinche'  possa aversi il
reato,  la  consegna  deve  essere  precisa,  deve  cioe' determinare
tassativamente  senza  spazi di discrezionalita' il comportamento del
militare  di servizio, e al militare devono anche essere assicurati i
mezzi per adempiere.

                       Considerato in diritto


    1.  -  Viene  all'esame  della Corte l'art. 120 del codice penale
militare di pace, il quale sanziona con la pena della reclusione fino
ad un anno il militare che viola la consegna avuta. Il giudice per le
indagini  preliminari  presso  il  Tribunale  militare  di  Torino ne
denuncia  il  contrasto  con  gli  artt.  25,  24,  112, 13 e 3 della
Costituzione. I parametri, nell'ordinanza di rimessione, sono assunti
secondo  un  ordine che riflette la sequenza logica dell'argomentare:
se  nella  legge  penale  -  sembra  ragionare  il giudice a quo - fa
difetto quella sufficiente descrizione del fatto-reato che e' imposta
dall'art. 25  della Costituzione, la determinazione della fattispecie
criminosa  sarebbe interamente rimessa alla pubblica amministrazione,
l'illecito  penale non sarebbe piu' distinguibile, in astratto, dalla
condotta  penalmente  lecita, l'imputato verrebbe privato del diritto
di  difendersi, l'esercizio dell'azione penale, non orientabile verso
condotte   adeguatamente   specificate,   non   potrebbe  che  essere
arbitrario, la stessa liberta' personale potrebbe finire con l'essere
sacrificata   in   presenza   di   fatti   che   non  offendono  beni
costituzionalmente  rilevanti,  e non vi sarebbe piu' alcuna garanzia
che i militari ricevano eguale trattamento dinanzi al giudice.
    Nonostante   la   pluralita'  delle  disposizioni  costituzionali
richiamate  e'  unicamente  nella  pretesa  violazione  dell'art. 25,
secondo  comma,  della  Costituzione  e  del principio di legalita' e
determinatezza  delle fattispecie penali ad esso riconducibile che si
racchiude  l'essenza  delle  censure  mosse  all'art. 120  del codice
penale  militare  di  pace.  Gli  altri  parametri  non  postulano un
autonomo  e distinto scrutinio, poiche', nell'economia dell'ordinanza
di  rimessione,  servono soltanto ad accentuare il ritenuto carattere
condizionante  di  quel  principio,  la  sua  attitudine a porsi come
cardine del sistema delle garanzie in materia penale e la conseguente
esigenza  di  interpretarne  il  contenuto  avendo sempre presente il
complessivo contesto costituzionale.

    2.  -  Cosi'  precisato l'ambito della sollevata questione, e' da
dire che l'art. 120 del codice penale militare di pace non merita gli
addebiti che l'ordinanza gli rivolge.
    Ad  avviso del remittente, la formulazione di questa disposizione
non  sarebbe  idonea  ad  assicurare  il  rispetto  del  principio di
"legalita'"   inteso  come  tassativita'-determinatezza  delle  norme
incriminatrici,   poiche'   il   contenuto  della  consegna,  la  cui
violazione  comporta  la  sanzione  della  reclusione  militare,  non
sarebbe   stabilito  in  maniera  precisa  ed  in  via  generale  dal
legislatore,   ma   verrebbe   integrato  di  volta  in  volta  dalle
prescrizioni impartite dal comandante.
    Va  in  contrario  rilevato  che  il  termine  consegna,  che nel
linguaggio  comune  possiede  una molteplicita' di significati, anche
eterogenei,  nell'ambito dell'ordinamento militare e' da sempre stato
inteso  in  una  accezione fortemente tecnica, che lo rende oltremodo
preciso  e  per  nulla indeterminato. E' in primo luogo chiaro, dalla
stessa  collocazione nel Titolo II sotto la rubrica "Dei reati contro
il servizio militare", che l'incriminazione della violata consegna e'
diretta  a  tutelare  il servizio e non anche la disciplina militare,
alla cui salvaguardia sono invece preordinate le fattispecie comprese
nel   Titolo  III.  Deve  inoltre  considerarsi,  quanto  alla  sfera
soggettiva  degli  autori, che la giurisprudenza ha da tempo chiarito
che  il reato puo' essere commesso non, genericamente, da un militare
in  servizio, ma solo da un militare che sia comandato ad un servizio
determinato  ed  al  quale  siano assicurati i mezzi per l'esecuzione
della  consegna.  Per quanto riguarda infine il contenuto di cio' che
puo'   legittimamente   costituire   consegna,   e'   pacifico  nella
giurisprudenza  di  legittimita'  che non sono configurabili spazi di
discrezionalita'  da  parte  del militare comandato e che pertanto la
consegna  deve  essere  precisa,  nel senso che essa deve determinare
interamente   e  tassativamente  il  comportamento  del  militare  di
servizio.   In   breve   vi   e',   nella  consegna,  il  massimo  di
formalizzazione delle prescrizioni impartite al militare.

    3.  -  La  norma penale censurata risponde al requisito, invocato
dal  remittente,  della  offensivita' in astratto, che va intesa come
limite  di  rango costituzionale alla discrezionalita' legislativa in
materia  penale  e  che  spetta indubbiamente a questa Corte rilevare
(sentenza n. 360 del 1995). Una volta accertato che il bene giuridico
protetto  dall'art. 120  del  codice  penale  militare  di pace e' la
funzionalita'   e   l'efficienza   di  servizi  determinati,  che  il
legislatore  ha  inteso  garantire  rendendone  rigide e tassative le
modalita'  di  esecuzione  da parte del militare comandato, non vi e'
ragione  di  dubitare che la violazione della consegna sia di per se'
suscettibile   di   ledere   interessi   di   rilievo  costituzionale
riconducibili ai valori espressi dall'art. 52 della Costituzione.
    L'accertamento  in concreto della sussistenza dei presupposti che
identificano la consegna e' invece compito dell'autorita' giudiziaria
militare,   alla   quale   spetta   altresi'  valutare  se  tutte  le
prescrizioni  impartite  siano,  nei  singoli  casi,  finalizzate  al
corretto  svolgimento  del servizio comandato; se, cioe', l'eventuale
inadempimento   del   militare   ad  alcuna  di  esse  sia  idoneo  a
pregiudicare l'integrita' del bene protetto ed abbia quindi carattere
di  offensivita'  anche  in  concreto. L'art. 25, quale risulta dalla
lettura  sistematica  a  cui  fanno  da  sfondo,  oltre  ai parametri
indicati  dal remittente, l'insieme dei valori connessi alla dignita'
umana,  postula,  infatti,  un  ininterrotto operare del principio di
offensivita'  dal  momento della astratta predisposizione normativa a
quello   della  applicazione  concreta  da  parte  del  giudice,  con
conseguente  distribuzione  dei poteri conformativi tra giudice delle
leggi  e  autorita'  giudiziaria,  alla  quale  soltanto  compete  di
impedire,  con un prudente apprezzamento della lesivita' in concreto,
una  arbitraria  ed  illegittima dilatazione della sfera dei fatti da
ricondurre  al  modello  legale  (cfr.  ancora la sentenza n. 360 del
1995,  nonche'  le  sentenze  nn. 247 del 1997; 133 del 1992; 333 del
1991, 144 del 1991).
    Appurato il duplice operare del principio di offensivita' sia sul
piano  della  previsione  normativa  sia  su quello dell'applicazione
giudiziale, e chiarite le ragioni per le quali esulano dai compiti di
questa  Corte  le valutazioni del fatto sollecitate dall'ordinanza di
rimessione,  non rileva in questa sede la questione se l'offensivita'
in   concreto  apprezzabile  dal  giudice  sia  dotata  di  autonomia
concettuale  o  se essa non sia nient'altro che il riflesso della non
sussumibilita' di singoli casi sotto la previsione della norma penale
a  causa  del  necessario  concorrere dell'offensivita' con gli altri
elementi che tipizzano il reato.
                          Per questi motivi

                       LA CORTE COSTITUZIONALE
    Dichiara  non fondata la questione di legittimita' costituzionale
dell'art.  120  del  codice  penale  militare  di  pace sollevata, in
riferimento  agli  artt.  25, 24, 112, 13 e 3 della Costituzione, dal
giudice  per  le indagini preliminari presso il Tribunale militare di
Torino con l'ordinanza in epigrafe.
    Cosi'  deciso  in  Roma,  nella  sede della Corte costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 6 luglio 2000.
                      Il Presidente: Mirabelli
                      Il redattore: Mezzanotte
                      Il cancelliere: Fruscella
Depositata in cancelleria l'11 luglio 2000.
              Il direttore della cancelleria: Fruscella
00C0759