N. 264 ORDINANZA 6 - 11 luglio 2000

Ordinanza 6-11 luglio 2000
Giudizio   sull'ammissibilita'   del   ricorso   per   conflitto   di
attribuzione tra poteri dello Stato.

Parlamento - Immunita' parlamentari - Procedimento penale a carico di
un   componente   del  Parlamento,  per  dichiarazioni  asseritamente
offensive   dell'onore   di   un   magistrato   -   Deliberazione  di
insindacabilita' della Camera di appartenenza - Ricorso del Tribunale
di  Roma per conflitto tra poteri dello Stato - Lamentata menomazione
delle   attribuzioni   costituzionali   del   potere   giudiziario  -
Delibazione  preliminare  di  ammissibilita'  del  ricorso  - Carenze
formali  e  sostanziali dell'atto introduttivo - Inammissibilita' del
ricorso.
- Deliberazione della Camera dei deputati 11 novembre 1999.
- Costituzione,  art.  68,  primo  comma; legge 11 marzo 1953, n. 87,
  art. 37.
(GU n.30 del 19-7-2000 )
                       LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
Presidente: Cesare MIRABELLI;
  Giudici:  Francesco  GUIZZI,  Fernando  SANTOSUOSSO,  Massimo VARI,
Cesare  RUPERTO,  Riccardo  CHIEPPA, Valerio ONIDA, Carlo MEZZANOTTE,
Fernanda   CONTRI,  Guido  NEPPI  MODONA,  Piero  Alberto  CAPOTOSTI,
Annibale MARINI, Franco BILE, Giovanni Maria FLICK;

ha pronunciato la seguente


                              Ordinanza

nel  giudizio di ammissibilita' del conflitto tra poteri dello Stato,
sorto  a  seguito  della  delibera  della Camera dei deputati dell'11
novembre  1999 relativa alla insindacabilita' delle opinioni espresse
dal deputato Vittorio Sgarbi nei confronti del dott. Roberto Pennisi,
promosso  dal  Tribunale  di Roma, con ricorso pervenuto l'11 gennaio
2000 ed iscritto al n. 140 del registro ammissibilita' conflitti.
    Visto l'atto di intervento del dott. Roberto Pennisi;
    udito  nella  camera  di  consiglio del 12 aprile 2000 il giudice
relatore Guido Neppi Modona.
    Ritenuto  che  con ordinanza del 14 dicembre 1999 il Tribunale di
Roma  ha  sollevato  conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato
nei confronti della Camera dei deputati, in ordine alla deliberazione
adottata  il  giorno  11  novembre  1999, con la quale l'Assemblea ha
ritenuto  che  i fatti per i quali e' in corso un procedimento penale
nei  confronti  del  deputato  Vittorio Sgarbi costituiscono opinioni
espresse   nell'esercizio   delle   funzioni   parlamentari   e  sono
insindacabili ai sensi dell'art. 68, primo comma, della Costituzione;
        che   il  Tribunale  ricorrente  procede  nei  confronti  del
deputato   Vittorio   Sgarbi  per  dichiarazioni  ritenute  offensive
dell'onore   e   della  reputazione  di  Roberto  Pennisi,  all'epoca
magistrato  in servizio presso la Direzione distrettuale antimafia di
Reggio  Calabria,  divulgate  con un comunicato ANSA e pubblicate sul
quotidiano "Il giornale di Calabria";
        che  la  Camera  dei  deputati, con delibera dell'11 novembre
1999, in conformita' alla proposta della Giunta per le autorizzazioni
a  procedere,  ha  dichiarato che i fatti per i quali era in corso il
procedimento  penale  concernevano opinioni espresse da un membro del
Parlamento  nell'esercizio delle sue funzioni, ai sensi dell'art. 68,
primo comma, Costituzione;
        che  la  Giunta  ha  motivato la proposta di insindacabilita'
sulla base della considerazione che "le frasi pronunziate dal collega
Sgarbi  erano  in  stretta ed immediata connessione con l'esito di un
procedimento  penale  che, all'epoca del suo inizio, aveva gravemente
leso  la reputazione degli indagati, alcuni ex membri del Parlamento,
sottoposti  ad  una  lunga  custodia  cautelare ed esposti con grande
enfasi  alla  pubblica  berlina.  Si trattava, dunque, di una critica
tutta   politica  sulla  conduzione,  da  parte  dell'accusa,  di  un
procedimento  penale  nel  quale  le  tesi  della  medesima  si erano
rivelate  del  tutto infondate, non senza aver arrecato, tuttavia, un
grave vulnus non solo alla reputazione degli interessati, ma anche al
rapporto  tra  opinione  pubblica e classe politica. Cio' sia pure in
assenza   di   un   collegamento   specifico  con  atti  o  documenti
parlamentari,   che   comunque   deve   ritenersi  implicito,  attesa
l'ampiezza  e la diffusione che ebbe a suo tempo la discussione tanto
sugli  organi  di stampa quanto, in generale, nel dibattito politico.
Inoltre,  le  frasi  vanno  inquadrate nel contesto della costante ed
intensa   battaglia   politica  che  il  collega  Sgarbi  svolge,  in
Parlamento  e  al  di  fuori  di  esso,  contro  l'uso distorto degli
strumenti giudiziari";
        che  il Tribunale di Roma sostiene che la deliberazione della
Camera  dei  Deputati  sarebbe  lesiva delle attribuzioni dell'organo
giurisdizionale  investito  del giudizio sulla responsabilita' penale
del  deputato Sgarbi, perche' adottata in palese carenza di specifici
profili   di   collegamento   tra   l'espletamento   della   funzione
parlamentare  e  le  opinioni espresse da Vittorio Sgarbi mediante la
divulgazione delle frasi a lui imputate;
        che,  in particolare, il Tribunale rileva che il riferimento,
nella motivazione della Giunta, al generico inquadramento delle frasi
pronunciate dal deputato Sgarbi nel contesto della battaglia politica
portata  avanti,  in  Parlamento  e al di fuori di esso, contro l'uso
improprio   degli   strumenti   giudiziari,   non   sarebbe  comunque
sufficiente a ricondurre tali dichiarazioni nell'alveo dell'esercizio
delle funzioni parlamentari;
        che,    infatti,    la   funzione   parlamentare,   pur   non
estrinsecandosi  solo  negli atti tipici (potendo ricomprendere anche
quanto  sia  presupposto  o  conseguenza  di questi ultimi), non puo'
tuttavia  essere  estesa  all'"intera"  attivita' politica svolta dal
parlamentare,  in  quanto  cio' comporterebbe la trasformazione della
prerogativa parlamentare in privilegio personale (sentenza n. 289 del
1998);
        che  il  Tribunale  ha, dunque, sollevato conflitto ritenendo
che  "la  delibera della Camera dei deputati suindicata, per i motivi
esposti,  integra  una  menomazione delle attribuzioni costituzionali
del  potere giudiziario: palesandosi cosi' un'ipotesi di conflitto di
attribuzioni  tra  poteri  dello Stato ai sensi dell'art. 37 legge 11
marzo 53 n. 87";
        che  in  prossimita'  della  data fissata per la decisione, a
norma  dell'art. 37, terzo e quarto comma, della legge 11 marzo 1983,
n. 87,  sulla  ammissibilita'  del  conflitto, ha depositato "atto di
intervento",  a  mezzo  dei suoi difensori, il dott. Roberto Pennisi,
quale  persona  offesa  nel  procedimento  penale pendente dinanzi al
Tribunale di Roma;
        che  la  persona  offesa,  nonostante  sia a conoscenza della
giurisprudenza  costituzionale  che nega al singolo la legittimazione
ad essere parte nel giudizio costituzionale che segue la proposizione
del  conflitto  di  attribuzione, rivendica la propria legittimazione
"ad   intervenire   nel   procedimento  iniziato  dall'ordinanza  del
Tribunale   di   Roma,   gia'   nella   fase   di  delibazione  circa
l'ammissibilita'  del  medesimo  ricorso,  al  fine  di  sostenere le
ragioni   di   tale   ammissibilita'   e   chiedere   sin  da  adesso
l'annullamento della dichiarazione di insindacabilita' adottata dalla
Camera  dei  deputati  per  le  affermazioni diffamatorie pronunziate
dall'onorevole  Sgarbi",  sulla  base  della  legge costituzionale 23
novembre 1999, n. 2;
        che,   ad  avviso  della  parte  privata,  l'inserimento  dei
principi   del   giusto  processo  nell'art. 111  della  Costituzione
consentirebbe  di ritenere costituzionalmente obbligata la estensione
della  garanzia  del  contraddittorio a ogni scansione processuale e,
dunque,  imporrebbe di rendere attivabile da ogni soggetto, coinvolto
nel   rapporto   processuale-sostanziale   suscettibile   di   essere
condizionato  dal  giudizio  della Corte costituzionale, lo strumento
dell'intervento  in tale giudizio, anche quando esso abbia ad oggetto
un  conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato e fin dalla fase
della delibazione preliminare sulla sua ammissibilita'.
    Considerato   che   in   questa   fase   la   Corte  e'  chiamata
preliminarmente  a decidere, senza contraddittorio, se il ricorso sia
ammissibile,   in   quanto  sussistano  i  presupposti  di  cui  agli
articoli 37  e  38  della  legge  11 marzo 1953, n. 87, e all'art. 26
delle   norme   integrative   per   i   giudizi  davanti  alla  Corte
costituzionale;
        che,  al  riguardo,  preliminarmente  si  deve  verificare se
l'atto  con  il  quale  e'  stato  sollevato  il conflitto possieda i
requisiti richiamati dalle citate norme;
        che  non  rileva a tal fine la forma dell'ordinanza rivestita
dall'atto  introduttivo, ma la sua rispondenza ai contenuti richiesti
da tali norme per la valida instaurazione del conflitto (v. da ultimo
sentenze numeri. 11 e 10 del 2000; ordinanza n. 61 del 2000);
        che  sotto  questo  aspetto l'ordinanza - a prescindere dalla
considerazione  che,  recando  la  mera  intestazione "Il Tribunale",
senza  ulteriori  specificazioni,  non  offre un'autonoma indicazione
dell'autorita'  ricorrente  -  e'  priva  di  ogni  riferimento  agli
specifici  fatti per cui si procede e alla loro esatta qualificazione
giuridica, elementi necessari ai fini della compiuta percezione delle
ragioni  del conflitto (v., tra le altre, ordinanza n. 318 del 1999),
e  difetta  del tutto, sia nel dispositivo, sia nella motivazione, di
una domanda rivolta alla Corte;
        che a colmare tali lacune non possono soccorrere gli atti del
procedimento   penale,  irritualmente  trasmessi  dal  Tribunale  (v.
ordinanza  n. 140 del 2000), in quanto e' nel solo atto di ricorso, e
negli  eventuali  documenti  ad  esso  allegati,  che  devono  essere
rinvenibili  gli  elementi  identificativi  della causa petendi e del
petitum relativi al conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato;
        che  le  carenze  formali  e  sostanziali  sopra  evidenziate
impediscono  di  considerare l'ordinanza del Tribunale come un valido
atto di promovimento di un conflitto di attribuzione tra poteri dello
Stato;
        che  tale  conclusione,  attenendo  all'atto introduttivo del
conflitto,  preclude  alla Corte di prendere in esame la richiesta di
intervento della persona offesa;
        che, pertanto, il ricorso va dichiarato inammissibile.
                          Per questi motivi

                       LA CORTE COSTITUZIONALE
    Dichiara  inammissibile  il ricorso per conflitto di attribuzione
tra poteri dello Stato indicato in epigrafe.
    Cosi'  deciso  in  Roma,  nella  sede della Corte costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 6 luglio 2000.
                      Il Presidente: Mirabelli
                        Il redattore: Modena
                      Il cancelliere: Fruscella
    Depositata in cancelleria l'11 luglio 2000.
              Il direttore della cancelleria: Fruscella
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