N. 283 SENTENZA 6 - 14 luglio 2000

Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale.

Processo  penale - Imparzialita' del giudice - Giudice che in diverso
procedimento,  anche  non  penale,  abbia espresso una valutazione di
merito  sullo  stesso  fatto  nei  confronti  del medesimo soggetto -
Omessa  previsione  quale  causa di ricusazione - Conseguente lesione
del  diritto  di  difesa  e  violazione  del  principio di parita' di
trattamento  tra  imputati,  in  contrasto  con i principî del giusto
processo - Illegittimita' costituzionale in parte qua.
- Cod. proc. pen., art. 37, comma 1.
- Costituzione,  artt.  3,  24  e  111; legge cost. 23 novembre 1999,
  n. 2, art. 1, comma 1.
(GU n.30 del 19-7-2000 )
                       LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
Presidente: Cesare MIRABELLI;
Giudici:   Francesco  GUIZZI,  Fernando  SANTOSUOSSO,  Massimo  VARI,
Riccardo   CHIEPPA,   Gustavo   ZAGREBELSKY,   Valerio  ONIDA,  Carlo
MEZZANOTTE,   Fernanda  CONTRI,  Guido  NEPPI  MODONA,  Franco  BILE,
Giovanni Maria FLICK.
ha pronunciato la seguente


                              Sentenza

nei giudizi di legittimita' costituzionale dell'art. 37, comma 1, del
codice  di procedura penale, promossi, nell'ambito di procedimenti di
ricusazione  proposti  da alcuni imputati, con ordinanze emesse il 22
aprile  1999  dalla  Corte di appello di Torino e il 23 febbraio 1999
dalla  Corte  di  appello  di Napoli, iscritte al n. 396 del registro
ordinanze  1999  e  al n. 94 del registro ordinanze 2000 e pubblicate
nella   Gazzetta   Ufficiale  della  Repubblica  n. 29,  prima  serie
speciale,  dell'anno  1999  e  n. 11, prima serie speciale, dell'anno
2000.
    Visti  gli  atti  di  intervento del Presidente del Consiglio dei
Ministri;
    Udito  nella  camera  di  consiglio  del 7 giugno 2000 il giudice
relatore Guido Neppi Modona.

                          Ritenuto in fatto

    1. - Con ordinanza in data 22 aprile 1999 (r.o. n. 396 del 1999),
la  Corte  di  appello di Torino, investita della decisione in merito
alla dichiarazione di ricusazione dei componenti l'intero collegio di
altra sezione della medesima Corte, ha sollevato, in riferimento agli
artt. 3,   primo   comma,  e  24  della  Costituzione,  questione  di
legittimita'  costituzionale  dell'art. 37  del  codice  di procedura
penale, "nella parte in cui non prevede quale causa di ricusazione il
fatto  che  il  giudice  abbia  gia'  manifestato  il  proprio parere
sull'oggetto  del processo nell'esercizio di funzioni giudiziarie nel
corso di un diverso procedimentoº.
    La Corte rimettente premette che i giudici componenti il collegio
ricusato  si  erano  gia'  occupati,  in sede di impugnazione avverso
decreti  di  applicazione  di  misure  di  prevenzione,  della stessa
vicenda  (concernente  attivita' delittuose, a sfondo mafioso, svolte
in   relazione  a  pratiche  di  acquisti  di  terreni,  rilascio  di
concessioni   e   attivita'   edilizie   in  un'area  del  comune  di
Bardonecchia)  della  quale erano attualmente investiti quali giudici
di  appello  in  un  procedimento  penale, ed avevano, nell'ambito di
quelle  precedenti funzioni, espresso valutazioni e giudizi di merito
"inerenti  agli  stessi  fatti  ed agli stessi soggetti che avrebbero
dovuto essere da loro giudicatiº nel procedimento penale.
    Stante  tale  situazione,  i  componenti  del collegio, allora in
composizione  parzialmente  diversa, avevano presentato dichiarazione
di astensione, ritenendo che ricorresse l'ipotesi di cui all'art. 36,
comma  1,  lettera  g)  in  relazione all'art. 34 cod. proc. pen.: la
dichiarazione  era stata pero' respinta dal presidente della Corte di
appello,  in base al rilievo che non erano nella specie ravvisabili i
presupposti  di  cui  alla  disposizione  evocata.  In una successiva
udienza  era  stata  poi  presentata  dichiarazione di ricusazione da
parte  degli  imputati, ai sensi dell'art. 37, comma 1, lettera a) in
relazione  all'art. 36,  comma  1,  lettera c) cod. proc. pen., e, in
subordine,  eccezione  di  illegittimita' costituzionale dell'art. 37
cod. proc. pen. in riferimento agli artt. 3 e 24 Cost.
    Nel  merito,  la Corte rimettente osserva che la dichiarazione di
ricusazione e' da considerare inammissibile, in quanto proposta al di
fuori dei casi tassativamente previsti dall'art. 37 cod. proc. pen.
    Infatti,   non   puo'   venire  in  questione  l'ipotesi  di  cui
all'art. 36, comma 1, lettera g) cod. proc. pen. (a suo tempo addotta
come  causa di astensione), poiche' non ricorre alcuna delle cause di
incompatibilita'  previste  dall'art. 34  cod.  proc.  pen.,  nemmeno
considerando  quanto  statuito  dalla  Corte  costituzionale  con  la
sentenza n. 371 del 1996, dato che le precedenti valutazioni espresse
sullo stesso fatto nel procedimento di prevenzione non sono contenute
in una sentenza, ma in un provvedimento avente natura di decreto; ne'
alcuna  delle  cause contemplate dalle lettere a), b), d), e), f) del
medesimo  art. 36,  comma 1, perche' concernenti situazioni del tutto
diverse da quella in esame; ne' la causa di cui all'art. 37, comma 1,
lettera b) cod. proc. pen., perche' non si e' verificata nella specie
una  manifestazione "indebita" del proprio convincimento da parte dei
giudici  ricusati;  ne'  quella,  infine,  di cui alla lettera c) del
menzionato  comma 1 dell'art. 36, su cui si fonda la dichiarazione di
ricusazione,   atteso   che  nel  caso  di  specie  il  convincimento
pregiudicante  non  e'  stato  espresso  "fuori  dell'esercizio delle
funzioni  giudiziarie",  ma nell'ambito di un diverso procedimento, e
quindi nell'esercizio di tali funzioni.
    Potrebbe  sostenersi,  prosegue  la  rimettente,  che  l'avere il
giudice,   nell'esercizio   delle  proprie  funzioni,  in  precedenza
manifestato  legittimamente il proprio convincimento sull'oggetto del
procedimento  integri  una  "grave  ragione  di convenienza", tale da
legittimarlo  alla  astensione  ex  art. 36, comma 1, lettera h) cod.
proc.  pen.;  ma  questa  ipotesi non e' richiamata dall'art. 37 cod.
proc.  pen.,  e  non  e' quindi idonea a fondare una dichiarazione di
ricusazione.
    1.1. - Cio'  posto,  ad  avviso del giudice a quo la questione di
costituzionalita'  dedotta  dagli  imputati  appare  rilevante  e non
manifestamente infondata.
    Quanto  al  primo aspetto, la Corte di appello sottolinea che ove
la  questione  fosse  accolta, si determinerebbe una nuova ipotesi di
ricusazione  perfettamente aderente al caso di specie, avendo tutti i
componenti   del   collegio  ricusato  gia'  manifestato  il  proprio
convincimento  sui fatti oggetto delle imputazioni sottoposte al loro
giudizio in sede di appello.
    Quanto   alla   non   manifesta   infondatezza,   la   rimettente
preliminarmente osserva che sia dalle sentenze nn. 306, 307 e 308 del
1997 della Corte costituzionale, sia dalla successiva sentenza n. 351
del  1997,  paiono  ricavarsi,  per  chi  debba vagliare questioni di
costituzionalita'   attinenti   al  principio  di  imparzialita'  del
giudice,  due indicazioni: la prima e' che si deve abbandonare la via
di  una  richiesta di intervento sull'art. 34 cod. proc. pen. qualora
il  pregiudizio  alla  imparzialita' venga ravvisato in ipotesi nelle
quali  il  parere  del  giudice  sia  stato manifestato in un diverso
procedimento;  la seconda e' che, in tali ipotesi, ove la fattispecie
in  esame non sia riconducibile ad alcuno dei casi in cui si articola
la  disciplina della astensione e della ricusazione, tali istituti, e
non  quello  della  incompatibilita',  devono  essere  sottoposti  al
giudizio di costituzionalita'.
    Nel  caso  in  esame,  prosegue  il giudice a quo si verifica una
possibile  violazione  del  principio  del  giusto processo, sotto il
profilo   della   imparzialita'  del  giudice,  "in  quanto  tutti  i
componenti  del  Collegio giudicante potrebbero apparire condizionati
dalle  precedenti valutazioni che essi hanno legittimamente espresso,
nei  confronti  dei  fatti  oggetto  del  processo  e  degli  attuali
imputati, in occasione della loro partecipazione ad altri collegi che
ebbero  a  pronunciarsi,  in  differenti  procedimenti  in materia di
applicazione di misure di prevenzione".
    Poiche'  la  situazione  in  esame  non e' contemplata tra i casi
tassativi  di  cui  all'art. 37 cod. proc. pen., e' configurabile una
violazione  dell'art. 24  Cost., in quanto il diritto di difesa degli
imputati  e'  in  primo luogo diritto ad avere un processo giusto, da
parte di un giudice terzo e imparziale.
    D'altro  canto,  l'omessa  previsione  quale causa di ricusazione
dell'ipotesi   in   cui  il  giudice  abbia  manifestato  il  proprio
convincimento sui fatti oggetto dell'imputazione nell'esercizio delle
proprie funzioni e nel corso di un diverso procedimento integra anche
una  violazione del principio di eguaglianza di cui all'art. 3, primo
comma,  Cost., data la "ingiustificata ed irragionevole disparita' di
trattamento  rispetto all'imputato nei cui confronti il giudice abbia
manifestato,  con  riferimento  ai fatti oggetto dell'imputazione, il
proprio  parere  come privato ovvero cio' abbia fatto, indebitamente,
nell'esercizio delle proprie funzioni"; tale rilievo, ad avviso della
Corte  rimettente,  appare  pienamente  confortato dalle affermazioni
contenute  nella sentenza della Corte costituzionale n. 308 del 1997,
ove  si sottolinea che la precedente manifestazione del convincimento
del  giudice  sull'oggetto  del  procedimento  determina  un identico
pregiudizio  della  imparzialita' sia che si tratti di manifestazione
indebita,  sia  che  sia  stata  legittimamente  resa  in  un diverso
procedimento, anche non penale.
    1.2. - Nel  giudizio  e'  intervenuto il Presidente del Consiglio
dei  Ministri,  rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello
Stato,  chiedendo  che  la  questione  sia dichiarata inammissibile o
infondata.
    Si  osserva  al  riguardo  che  la  diversita'  dell'oggetto  del
procedimento  di  prevenzione  e di quello penale, riconosciuta anche
dalla   Corte  rimettente,  implica  la  mancanza,  nella  situazione
prospettata,  del presupposto della identita' della valutazione sugli
stessi  fatti,  il  che  esclude un pericolo per la imparzialita' del
giudice   anche   nel   quadro  degli  istituti  della  astensione  e
ricusazione.
    2. - Con  ordinanza in data 8 marzo 2000 (r.o n. 94 del 2000), la
Corte  di appello di Napoli, investita della decisione in merito alla
dichiarazione  di  ricusazione  del presidente e del giudice a latere
della  Corte  di  assise  di  S. Maria Capua Vetere, ha sollevato, in
riferimento  agli  artt. 3 e 24 della Costituzione, analoga questione
di legittimita' costituzionale dell'art. 37, comma 1, cod. proc. pen.
"nella parte in cui non prevede, tra le ipotesi di ricusazione, anche
quella  di  situazioni  pregiudicanti riferite a rapporti processuali
che non investono lo stesso procedimento".
    La  Corte di appello premette che i magistrati togati della Corte
di  assise,  ricusati  ai sensi dell'art. 37, comma 1, lettera a), in
relazione agli artt. 36, comma 1, lettera g) e 34 cod. proc. pen., da
vari imputati del delitto di cui all'art. 416-bis cod. pen., si erano
gia'  occupati,  in altri procedimenti di prevenzione o penali, della
stessa  vicenda - concernente l'esistenza di una associazione di tipo
mafioso  operante  nella zona di Caserta e le attivita' delittuose ad
essa  connesse - della quale si trovano attualmente investiti in sede
di  giudizio  di assise, ed avevano, nell'ambito di quelle precedenti
funzioni,  espresso  valutazioni, sia pure in alcuni casi solo in via
incidentale, sui fatti divenuti poi oggetto del procedimento penale e
sulla specifica posizione, nell'ambito del sodalizio di tipo mafioso,
di  alcuni  degli  imputati  che  avevano  proposto  dichiarazione di
ricusazione.
    In particolare, con riferimento alle dichiarazioni di ricusazione
motivate  in relazione alle funzioni giudicanti esercitate da uno dei
magistrati ricusati in altro procedimento penale, la Corte di appello
ritiene che la circostanza che questi aveva concorso a pronunciare la
sentenza  di  condanna  di  uno dei ricusanti per il reato di tentato
omicidio,  aggravato  dall'essere  il  fatto  commesso  "al  fine  di
agevolare   l'associazione  camorristica  facente  capo  a  S.F.  nel
controllo  del  territorio  e delle illecite attivita'", non consente
dubbi  sulla  "configurabilita' di un'ipotesi di prevenzione per quel
che  concerne  il [ricusante] dal momento che nella sentenza non solo
si  riconosce  la  sua  responsabilita'  nella  commissione del reato
ascrittogli,  ma  si  considera,  sia pure incidentalmente ed ai soli
fini  dell'aggravante  contestata,  ma  comunque  alla  stregua di un
rigoroso  ragionamento probatorio [...] come esistente l'associazione
camorristica  "clan dei casalesi", quella stessa che sara' oggetto di
valutazione  (ai  fini  della  conseguente decisione) nel giudizio in
corso dinanzi al Tribunale di S. Maria Capua Vetere".
    Quanto all'esercizio da parte dei giudici ricusati di funzioni di
giudizio  nell'ambito  di  procedimenti  di  prevenzione  a carico di
soggetti indiziati di appartenere ad associazioni mafiose, il giudice
a  quo  osserva,  in via preliminare, che in tali procedimenti, se e'
consentito,  per  quanto  attiene  all'aspetto dell'appartenenza alla
associazione,  una  valutazione  meno rigorosa sul terreno probatorio
rispetto  a quella richiesta nel procedimento penale, non altrettanto
puo'    dirsi   con   riferimento   all'accertamento   dell'esistenza
dell'associazione,  che va, invece, compiutamente provata. Sicche' si
verifica  una situazione di pregiudizio per l'imparzialita' quando lo
stesso  giudice,  che  in  tali  procedimenti  ha affermato, sia pure
incidentalmente,  l'esistenza di un'associazione di tipo mafioso e ha
nel  contempo  valutato la posizione di determinati destinatari della
misura   di   prevenzione,   ritenendone   l'appartenenza   a   detta
associazione,   sia   successivamente  chiamato  a  giudicare  in  un
procedimento  penale  della responsabilita' di quegli stessi soggetti
per il reato di cui all'art. 416-bis cod. pen.
    Tuttavia,  prosegue  la Corte rimettente, la situazione in esame,
in  cui  la ragione del pregiudizio alla imparzialita' del giudice si
collega  a funzioni esercitate in altri procedimenti, non rientra tra
i  casi  di  incompatibilita'  ex art. 34 cod. proc. pen. (neppure in
forza  della sentenza n. 371 del 1996 della Corte costituzionale, non
ricorrendo nella specie il presupposto della endoprocessualita' cosi'
detta  sostanziale).  D'altra  parte,  non  puo'  farsi  applicazione
dell'istituto  della ricusazione, posto che l'invocato art. 36, comma
1, lettera g) richiamato dall'art. 37, comma 1, lettera a) cod. proc.
pen., rinvia a sua volta ai casi di incompatibilita'. Infine, in base
alla previsione dell'art. 37, comma 1, lettera b) cod. proc. pen., la
ricusazione  puo' operare solo in caso di manifestazione indebita del
convincimento  da parte del giudice in relazione a un procedimento in
corso   alla   decisione   del  quale  sia  chiamato  a  partecipare,
circostanza questa che non ricorre nel caso in esame.
    2.1. - In  siffatta  situazione  la  mancata considerazione tra i
casi  di ricusazione di "situazioni pregiudicanti riferite a rapporti
processuali  che  non  investono lo stesso procedimento" appare, alla
rimettente, in contrasto con gli artt. 3 e 24 della Costituzione.
    Da   un  lato,  infatti,  l'imputato,  in  presenza  di  identica
condizione di prevenzione del giudicante (per avere questi anticipato
legittimamente  il  suo  convincimento) riceve tutela solo attraverso
l'istituto dell'astensione, a norma dell'art. 36, comma 1, lettera h)
cod. proc. pen., mentre, qualora il giudice non ritenga di astenersi,
rimane  precluso  il  ricorso  alla  ricusazione, dato che l'art. 37,
comma  1, lettera b) cod. proc. pen. prende in considerazione solo la
indebita manifestazione del proprio convincimento.
    Dall'altro,  tale  preclusione si pone in contrasto con l'art. 24
Cost.,  risultando menomato il diritto di difesa, "di cui l'esercizio
del  diritto  alla  ricusazione  costituisce  senza  dubbio una delle
multiformi manifestazioni".
    2.2. - Nel  giudizio  e'  intervenuto il Presidente del Consiglio
dei  Ministri,  rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello
Stato,   riportandosi   integralmente   al   contenuto  dell'atto  di
intervento    depositato    con    riferimento    al    giudizio   di
costituzionalita'  promosso  con  l'ordinanza  iscritta al n. 396 del
r.o. del 1999.

                       Considerato in diritto

    1. - La questione di legittimita' costituzionale, sollevata dalle
Corti  di  appello di Torino (r.o. n. 396 del 1999) e di Napoli (r.o.
n. 94   del   2000),  chiamate  a  decidere  sulla  dichiarazione  di
ricusazione  nei confronti, rispettivamente, di alcuni giudici di una
diversa  sezione  della  Corte di appello e dei giudici togati di una
Corte  di  assise, concerne l'art. 37 del codice di procedura penale,
nella  parte  in cui non prevede che possa essere ricusato il giudice
che  abbia  gia'  manifestato  il  proprio  parere  sull'oggetto  del
processo  nell'esercizio di funzioni giudiziarie svolte in un diverso
procedimento.
    In   entrambe   le   ordinanze  l'attivita'  pregiudicante  viene
individuata  nella  partecipazione  del  giudice  al  procedimento di
prevenzione,  quella  pregiudicata  nell'essere  il  medesimo giudice
investito delle funzioni di giudizio in un procedimento penale avente
ad oggetto i medesimi fatti.
    In  particolare, con riferimento all'ordinanza iscritta al n. 396
del  r.o. del 1999, i giudici ricusati, ora chiamati alle funzioni di
giudizio  di appello, in precedenza, nella qualita' di componenti del
collegio   chiamato   a  decidere  sui  ricorsi  avverso  decreti  di
applicazione  di  misure  di  prevenzione, avevano espresso giudizi e
valutazioni  di merito "sulla posizione" degli attuali imputati circa
i  "fatti  ai  medesimi  attribuiti  in  imputazione";  in  relazione
all'ordinanza  iscritta  al  n. 94  del  r.o.  del  2000,  i  giudici
ricusati,  ora  chiamati  alle  funzioni di giudizio quali componenti
togati  di  una  Corte  di  assise,  in precedenza, nella qualita' di
componenti  di  diversi  collegi  del  tribunale  in procedimenti per
l'applicazione   di   misure   di   prevenzione,   avevano  accertato
l'esistenza di una associazione di tipo mafioso e preso in esame, sia
pure  in  via  incidentale,  la posizione di alcuni destinatari delle
misure,  che  ora figurano come imputati per il reato di cui all'art.
416-bis cod. pen. e per reati connessi.
    Nell'ordinanza  n. 94  del  r.o.  del  2000  la  Corte di appello
rimettente  rileva inoltre che un giudice e' stato ricusato anche per
aver  esercitato funzioni giudicanti in altro procedimento penale; in
particolare   per   avere,   nella   sentenza   conclusiva   di  tale
procedimento, affermato la responsabilita' dell'imputato per il reato
di  tentato  omicidio aggravato dall'essere il fatto commesso al fine
di   agevolare   un'associazione  camorrista,  accertando,  sia  pure
incidentalmente   e   ai   soli   fini   dell'aggravante  contestata,
l'esistenza  della  associazione  criminosa  oggetto di valutazione a
carico del medesimo soggetto nel successivo giudizio penale.
    Con  argomentazioni sostanzialmente analoghe, le Corti di appello
rimettenti  denunciano  il  contrasto  della  norma censurata con gli
artt. 3,  primo  comma,  e  24 della Costituzione. In ordine al primo
parametro,  viene dedotta l'ingiustificata e irragionevole disparita'
del  trattamento  riservato  all'imputato  nel caso in cui il giudice
abbia  legittimamente  espresso  il  suo  convincimento in un diverso
procedimento  -  situazione  in  cui  il  diritto dell'imputato ad un
giudice  terzo  e  imparziale riceve tutela solo in quanto il giudice
ritenga   di  astenersi  -  rispetto  alle  identiche  situazioni  di
pregiudizio  per  il principio di imparzialita', previste dalla legge
come  casi  di  ricusazione,  nelle  ipotesi  in cui il giudice abbia
manifestato   il  suo  parere  sull'oggetto  del  procedimento  fuori
dell'esercizio  delle funzioni giudiziarie ovvero abbia indebitamente
manifestato    il    proprio    convincimento   sui   fatti   oggetto
dell'imputazione  nell'esercizio  delle  funzioni.  Sotto  il profilo
della  violazione  dell'art. 24  Cost.,  i  rimettenti  rilevano  che
l'omessa  previsione  di  una causa di ricusazione nei casi in cui la
valutazione   pregiudicante  sia  stata  espressa  nell'esercizio  di
funzioni  giudiziarie  svolte  in  un  diverso  procedimento  lede il
diritto di difesa degli imputati ad avere un giusto processo da parte
di un giudice terzo e imparziale.
    Poiche'  le  ordinanze  sollevano identica questione, deve essere
disposta la riunione dei relativi giudizi di costituzionalita'.

    2. - La questione e' fondata.
    3. - Nel prospettare la questione di legittimita' costituzionale,
i  rimettenti  menzionano  le sentenze di questa Corte nn. 306, 307 e
308  del  1997,  e  le successive sentenze nn. 331 e 351 dello stesso
anno  che  ad  esse  si  richiamano, facendo propria la ricostruzione
delineata  da  questa  Corte  circa  le  sfere  di applicazione degli
istituti  della  incompatibilita' e della astensione-ricusazione e la
funzione  da  essi  svolta  per  assicurare  una esaustiva tutela del
principio  del giusto processo, di cui la garanzia dell'imparzialita'
e  della  neutralita'  del giudice costituisce uno dei piu' rilevanti
aspetti.
    In  quelle  decisioni, ed in numerose altre successive, sino alla
recente  sentenza  n. 113  del  2000,  la Corte - nel ribadire che la
disciplina  in  materia deve essere comunque idonea ad evitare che il
giudice  chiamato  a  svolgere  funzioni  di giudizio possa essere, o
anche  solo apparire, condizionato da precedenti valutazioni espresse
sulla  medesima  res  iudicanda  tali  da  esporlo  alla  forza della
prevenzione  derivante  dalle  attivita'  giudiziarie precedentemente
svolte   -  ebbe  in  particolare  a  rilevare  che  la  "scelta  del
legislatore   di   qualificare   una   situazione   come   causa   di
incompatibilita',  ovvero  di  astensione  e di ricusazione, discende
[...]   dalla   possibilita'  o  dalla  impossibilita'  di  valutarne
preventivamente   e   in   astratto   l'effetto   pregiudicante   per
l'imparzialita' del giudice penale" (sentenza n. 308 del 1997).
    Le  situazioni  pregiudizievoli  per  l'imparzialita' del giudice
riconducibili   all'istituto  dell'incompatibilita'  operano  infatti
all'interno  del  medesimo procedimento in cui interviene la funzione
pregiudicata  e  si  riferiscono ad atti o funzioni che hanno "di per
se'  effetto  pregiudicante,  a prescindere dallo specifico contenuto
dell'atto  stesso  o  dalle  modalita'  con  cui la funzione e' stata
esercitata"  (sentenza n. 308 del 1997); le incompatibilita' trovano,
dunque,  la loro ratio nell'esigenza obiettiva, attinente alla stessa
logica  del  processo,  "di  preservare  l'autonomia e la distinzione
della  funzione  giudicante,  in  evidente  relazione all'esigenza di
garanzia  dell'imparzialita'  di  quest'ultima, rispetto ad attivita'
compiute  in  gradi e fasi anteriori del medesimo processo" (sentenza
n. 306  del  1997).  Ne deriva che le situazioni di incompatibilita',
essendo astrattamente tipicizzate dal legislatore, sono prevedibili e
quindi   prevenibili  e,  in  quanto  tali,  postulano  un  onere  di
organizzare preventivamente la terzieta' del giudice, che viene cosi'
a  "manifestarsi,  prima  ancora  che  come diritto delle parti ad un
giudice  terzo,  come  modo  di  essere della giurisdizione nella sua
oggettivita'" (sentenza n. 307 del 1997).
    Il  carattere  di fondo delle situazioni di incompatibilita' - di
essere, cioe', sempre riferite a rapporti che interessano il medesimo
procedimento  -  non  e'  contraddetto, come prendono atto gli stessi
rimettenti,  dalla  sentenza  n. 371  del  1996:  tale  decisione  si
riferisce,  infatti,  alla  specifica  ipotesi  in cui la valutazione
pregiudicante,  pur  essendo stata espressa in un procedimento penale
formalmente diverso, riguarda una vicenda processuale sostanzialmente
unitaria,  che  avrebbe  potuto,  ed  anzi normalmente avrebbe dovuto
essere  giudicata nel medesimo contesto processuale (v. in tale senso
sentenze  nn. 306,  307  e  308  del  1997,  nonche',  per un'ipotesi
analoga,  in  cui  la  precedente  valutazione pregiudicante e' stata
espressa in diverso procedimento avente per oggetto il medesimo fatto
storico  successivamente  addebitato  allo  stesso imputato, sentenza
n. 241 del 1999).
    Gli    istituti    della   astensione-ricusazione   sono   invece
caratterizzati   dal   riferirsi  a  situazioni  pregiudizievoli  per
l'imparzialita'   della   funzione   giudicante   -   ad   eccezione,
evidentemente,  di  quelle  che  hanno  come  presupposto  i  casi di
incompatibilita'   -  che  normalmente  preesistono  al  procedimento
(art. 36,  comma  1, lettere a b) d) e f) cod. proc. pen.), ovvero si
collocano  comunque al di fuori di esso (art. 36, comma 1, lettera c)
cod.   proc.   pen.).   Anche   l'ipotesi  di  ricusazione  descritta
dall'art. 37,  comma  1, lettera b), cod. proc. pen. non si sottrae a
questo  criterio  di  massima:  il  giudice  che nell'esercizio delle
funzioni  ha  manifestato  indebitamente il proprio convincimento sui
fatti oggetto dell'imputazione opera - per usare le espressioni della
prevalente   giurisprudenza   di  legittimita'  -  fuori  della  sede
processuale e dei compiti che gli sono propri.
    Risultano  pertanto evidenti le ragioni per cui le situazioni che
danno luogo alla astensione-ricusazione debbono essere sempre oggetto
di  una puntuale valutazione di merito, che consenta, previa verifica
in concreto dell'eventuale effetto pregiudicante, di rendere operante
la   tutela  del  principio  del  giusto  processo:  sarebbe  infatti
"impossibile pretendere dal legislatore uno sforzo di astrazione e di
tipicizzazione  idoneo  a individuare a priori tutte le situazioni in
cui  il giudice, avendo esercitato funzioni giudiziarie in un diverso
procedimento,  potrebbe  poi  venire  a trovarsi in una situazione di
incompatibilita' nel successivo procedimento penale" (sentenza n. 308
del  1997).  Ove tale onere venisse imposto al legislatore, "l'intera
materia delle incompatibilita', dispersa in una casistica senza fine,
diverrebbe  refrattaria  a  qualsiasi  tentativo  di  amministrazione
mediante  atti  di  organizzazione  preventiva"  (sentenza n. 307 del
1997).
    Ne  emerge  un sistema che si propone di apprestare la necessaria
tutela  del principio del giusto processo in tutti i casi in cui puo'
risultare  compromessa  l'imparzialita'  del  giudice: le ragioni del
pregiudizio  sono  infatti  oggettivamente  identiche  sia  quando il
giudice  ha  manifestato  il  proprio  convincimento  all'interno del
medesimo  procedimento mediante un atto o l'esercizio di una funzione
a  cui  il  legislatore  attribuisce  astrattamente e preventivamente
effetti  pregiudicanti,  sia quando la valutazione di merito e' stata
espressa   in   un   diverso   procedimento   (ovvero   nel  medesimo
procedimento,  ma  mediante  un  atto  che  non  presuppone  una tale
valutazione)  e  gli  effetti  pregiudicanti  debbano  quindi  essere
accertati  in  concreto, grazie agli istituti dell'astensione e della
ricusazione.
    L'esigenza di attuare in forma esaustiva la garanzia, inerente al
principio  del  giusto processo, di un giudizio affidato a un giudice
non  condizionato  da  precedenti  valutazioni,  ha trovato riscontro
nelle  gia'  menzionate  sentenze  nn. 306,  307  e 308 del 1997: nel
dichiarare  inammissibili le questioni di legittimita' costituzionale
allora  sollevate,  in  riferimento  all'art. 34  cod. proc. pen., in
relazione  a  valutazioni pregiudicanti a vario titolo espresse in un
diverso   procedimento,  la  Corte  ebbe  a  segnalare  che,  ove  il
pregiudizio  per  l'imparzialita' del giudice non fosse riconducibile
ad  alcuna delle ipotesi di astensione o di ricusazione gia' previste
dall'ordinamento, la tutela del giusto processo avrebbe potuto essere
assicurata  sollecitando  un intervento volto ad ampliare l'ambito di
applicazione di tali istituti.
    Un  intervento  di  tale  natura  forma  appunto  l'oggetto della
questione  di  legittimita'  costituzionale sottoposta al giudizio di
questa Corte.
    4. - Nelle  situazioni  di  fatto prospettate dai rimettenti sono
indubbiamente    riscontrabili    profili    di    pregiudizio    per
l'imparzialita' e la neutralita' della funzione giudicante.
    Da  entrambe  le  ordinanze  di rimessione emerge, infatti, che i
giudici  sono  stati  ricusati  -  ed in alcuni casi hanno presentato
senza  esito  dichiarazione  di  astensione - per avere in precedenza
espresso,   nell'ambito   di   un   diverso   procedimento   relativo
all'applicazione  della  misura  di  prevenzione  della  sorveglianza
speciale  della  pubblica  sicurezza, valutazioni e giudizi di merito
sulla  posizione  dei  destinatari  delle  misure  di prevenzione, in
relazione  ai  medesimi  fatti  loro  attribuiti nel giudizio penale,
ovvero   per   avere   accertato,  nell'ambito  del  procedimento  di
prevenzione,  l'esistenza  dell'associazione  di  stampo mafioso e la
partecipazione  ad  essa  dei  medesimi  soggetti  ora  sottoposti  a
giudizio penale per il delitto di cui all'art. 416-bis cod. pen.
    Al  riguardo,  questa  Corte ha gia' avuto occasione di affermare
che  il  pregiudizio  per  l'imparzialita'-neutralita' del giudicante
puo'  verificarsi  anche  nei  rapporti  tra il procedimento penale e
quello  di  prevenzione,  sia quando la valutazione pregiudicante sia
stata  espressa nel primo in sede di accertamento dei gravi indizi di
colpevolezza,   quale   condizione  di  applicabilita'  delle  misure
cautelari  (sentenza  n. 306  del  1997),  sia  quando il rapporto di
successione   temporale   tra   attivita'  pregiudicante  e  funzione
pregiudicata   sia  invertito,  per  avere  il  giudice,  chiamato  a
pronunciarsi  sulla responsabilita' penale di un imputato del delitto
di  associazione  di  stampo  mafioso,  gia' espresso nell'ambito del
procedimento    di   prevenzione   una   valutazione   sull'esistenza
dell'associazione  e sull'appartenenza ad essa della persona imputata
nel successivo processo penale (ordinanza n. 178 del 1999).
    Le  questioni,  allora sollevate con riferimento all'art. 34 cod.
proc.  pen.,  vennero ritenute inammissibili perche' la situazione di
pregiudizio   avrebbe   dovuto   essere   inquadrata   nell'area   di
applicazione  degli  istituti dell'astensione e della ricusazione. In
questa direzione si muovono, appunto, gli attuali rimettenti, i quali
lamentano che la situazione di pregiudizio prospettata non rientra in
alcune delle cause di ricusazione contemplate dall'art. 37 cod. proc.
pen.
    In   effetti,   nel   caso   di   specie   il   pregiudizio   per
l'imparzialita'-neutralita'  del giudice non e' riconducibile, per le
ragioni   sinora   esposte,  ai  casi  di  incompatibilita'  (cui  fa
riferimento,  quali altrettante cause di astensione, la lettera g del
comma  1 dell'art. 36 cod. proc. pen., richiamata dall'art. 37, comma
1,  lettera  a  cod.  proc.  pen.), ma neppure rientra nelle cause di
astensione  e di ricusazione riferite a precedenti manifestazioni del
convincimento  del  giudice sull'oggetto del procedimento o sui fatti
oggetto  dell'imputazione:  non nella causa di astensione di cui alla
lettera c) del comma 1 dell'art. 36 cod. proc. pen. (richiamata quale
causa  di  ricusazione  dall'art. 37,  comma 1, lettera a) cod. proc.
pen.),  in  quanto  relativa  a  consigli  o  pareri sull'oggetto del
procedimento    espressi    fuori   dell'esercizio   delle   funzioni
giudiziarie; non nella causa di ricusazione di cui all'art. 37, comma
1, lettera b), cod. proc. pen., che presuppone una manifestazione del
convincimento    sui    fatti   oggetto   dell'imputazione   espressa
indebitamente nell'esercizio delle funzioni giudiziarie, mentre nelle
situazioni  sottoposte  al  giudizio  di  questa Corte le valutazioni
pregiudicanti  rientrano  nelle  funzioni  proprie  dei  giudici  poi
ricusati.
    Le  esigenze  di  tutela  del  principio  del giusto processo non
possono  d'altro  canto  essere  assicurate soltanto dall'obbligo del
giudice   di   astenersi   ove  ricorrano  "altre  gravi  ragioni  di
convenienza",  per  la ragione che tale causa di astensione, prevista
dall'art. 36,  comma  1, lettera h), cod. proc. pen., non rientra tra
quelle che l'art. 37, comma 1, lettera a), cod. proc. pen. indica tra
i motivi di ricusazione. Anche dopo che questa Corte ha affermato che
le  "altre  gravi  ragioni  di convenienza" si riferiscono non solo a
situazioni  di  pregiudizio per l'imparzialita' del giudice derivanti
da ragioni extraprocessuali, cioe' di carattere personale e collegate
alla   posizione  del  giudice  uti  privatus  ma  si  estendono,  in
attuazione  del  principio  del  giusto  processo,  ai  casi  in  cui
l'imparzialita'  del giudice risulti compromessa dallo svolgimento di
precedenti  attivita'  giudiziarie  (sentenza  n. 113  del  2000), la
tutela  del  principio  non  sarebbe  comunque  esaustiva,  in quanto
subordinata all'iniziativa del giudice.
    Sussistono  quindi  i  presupposti che la Corte aveva a suo tempo
indicato  quali  condizioni  per  un  eventuale  intervento  volto ad
estendere  l'area  di  applicazione  degli istituti dell'astensione e
della  ricusazione a situazioni non espressamente previste dal codice
di   rito,   ma   tuttavia   capaci  di  esprimere  analoghi  effetti
pregiudicanti   per   l'imparzialita'-neutralita'   del  giudice.  In
particolare,  l'intervento  e' imposto dai parametri costituzionali a
cui la giurisprudenza di questa Corte si e' richiamata nell'affermare
l'operativita'  del principio del giusto processo in tema di garanzia
dell'imparzialita'  del giudice (v., ad esempio, sentenze nn. 113 del
2000,  241  del 1999, 290 del 1998, 346 e 311 del 1997, 155 e 131 del
1996,  432  del  1995);  principio  che ha trovato esplicita menzione
nell'art. 111,  secondo  comma,  della  Costituzione (come modificato
dall'art. 1,  comma  1,  della legge costituzionale 23 novembre 1999,
n. 2), la' dove viene enunciata la regola che ogni processo si svolge
davanti a un giudice terzo e imparziale.
    5. - Le   medesime   considerazioni  valgono  per  la  situazione
prospettata  nell'ordinanza  di  rimessione della Corte di appello di
Napoli,  relativa  al  pregiudizio che deriverebbe dall'avere uno dei
giudici ricusati esercitato funzioni giudicanti in altro procedimento
penale  per  il  reato  di  tentato  omicidio  aggravato  dal fine di
agevolare  l'attivita' dell'associazione di cui all'art. 416-bis cod.
pen.,  conclusosi  con  la  condanna  della  persona ora imputata del
delitto  di  partecipazione  a quella medesima associazione di stampo
mafioso  la  cui  esistenza  e'  stata  gia'  valutata  sub specie di
circostanza aggravante.
    Non  vi  e'  dubbio,  infatti,  che il giudizio sulla sussistenza
dell'aggravante  puo'  in  concreto  presupporre  una valutazione sul
merito  non solo dell'esistenza dell'associazione criminosa, ma anche
della partecipazione dell'imputato a tale associazione.
    6. - In  linea  con  la prospettazione dei giudici rimettenti, la
sede  piu'  appropriata  per  colmare,  mediante  una disposizione di
chiusura      del      sistema      delle      incompatibilita'     e
dell'astensione-ricusazione,  la  denunciata  carenza  di  tutela del
principio  del  giusto processo, e' l'art. 37 cod. proc. pen., specie
dopo  che,  come  sopra  ricordato,  la  sentenza  n. 113 del 2000 ha
affermato  che  le  gravi  ragioni di convenienza di cui all'art. 36,
comma  1,  lettera  h), cod. proc. pen. non possono non estendersi al
pregiudizio   che   discende   da  attivita'  processuali  svolte  in
precedenza,  cosi'  imponendo  anche in tali situazioni l'obbligo del
giudice di astenersi.
    Il  confronto  con  le  due  cause di ricusazione e di astensione
disciplinate  dagli  artt. 37,  comma  1,  lettera b), e 36, comma 1,
lettera  c),  cod.  proc. pen., che all'apparenza presentano maggiori
affinita'  con le fattispecie dedotte in giudizio, induce a formulare
l'intervento di questa Corte in maniera del tutto autonoma, anche per
evitare  che  le  esigenze  di  tutela del giusto processo possano in
qualche    modo    essere    condizionate    dalla    stratificazione
giurisprudenziale   e  dottrinale  in  materia.  In  particolare,  e'
necessario  tenere  presente  che  nelle ipotesi oggetto del presente
giudizio di costituzionalita' le precedenti valutazioni pregiudicanti
espresse   dal   giudice   in   un   diverso  procedimento  rientrano
legittimamente   e   doverosamente   nell'esercizio   delle  funzioni
giudiziarie.
    Sulla   base   di   queste   premesse,   deve  essere  dichiarata
l'illegittimita'  costituzionale  dell'art. 37 cod. proc. pen., nella
parte  in  cui  non  riconosce  alle parti la facolta' di ricusare il
giudice  che  in  un  diverso  procedimento,  anche non penale, abbia
espresso una valutazione di merito sullo stesso fatto e nei confronti
del medesimo soggetto.
    Al  riguardo,  va  rilevato che non e' sufficiente, ai fini della
individuazione  dell'attivita' pregiudicante, che il giudice abbia in
precedenza  avuto mera cognizione dei fatti di causa, raccolto prove,
ovvero  si  sia  espresso  solo  incidentalmente e occasionalmente su
particolari  aspetti  della  vicenda  processuale  sottoposta  al suo
giudizio  (v. la costante giurisprudenza costituzionale in materia e,
in  particolare, le sentenze nn. 131 e 155 del 1996 e le decisioni in
queste  richiamate,  nonche',  da  ultimo, le ordinanze nn. 444, 153,
152,  135  e 29 del 1999, 206 e 203 del 1998 e la sentenza n. 364 del
1997).
    L'effetto  pregiudicante  non  puo',  inoltre, essere limitato ai
soli  casi  in  cui  la  valutazione  di  merito sia contenuta in una
sentenza,  in  quanto  il  giudice  puo'  esprimersi  nella forma del
decreto,  come  nella  ipotesi  - oggetto del presente giudizio - del
procedimento  di  prevenzione, ovvero nelle altre forme eventualmente
previste   dal   diverso  procedimento  in  cui  sia  intervenuta  la
valutazione pregiudicante.
    La  funzione  pregiudicata  va  a  sua  volta  individuata in una
decisione  attinente alla responsabilita' penale, essendo necessario,
perche'  si  verifichi  un  pregiudizio  per  l'imparzialita', che il
giudice sia chiamato ad esprimere una valutazione di merito collegata
alla decisione finale della causa.
    Si  deve  comunque  precisare  che,  alla  stregua  dei  rapporti
sistematici  tra  incompatibilita' e cause di astensione-ricusazione,
queste   ultime,   ove  si  sostanzino  nella  manifestazione  di  un
convincimento    espresso    in   un   diverso   procedimento,   sono
caratterizzate   dalla  loro  non  idoneita'  ad  essere  tipicizzate
preventivamente  dal  legislatore,  in  quanto  la loro stessa natura
impone  che  sia  il  giudice,  nell'ambito  della  cornice  generale
delineata  dalla  legge,  ad  accertare  in  concreto e caso per caso
l'effetto    pregiudicante    per   l'imparzialita'.   Sara'   dunque
l'elaborazione giurisprudenziale, cosi' come e' avvenuto per le cause
di astensione e di ricusazione gia' previste nel codice, a definire i
vari casi di applicazione di questa causa di ricusazione.
                          Per questi motivi

                       LA CORTE COSTITUZIONALE
    Riuniti i giudizi;
    Dichiara  l'illegittimita'  costituzionale dell'art. 37, comma 1,
del  codice  di  procedura penale, nella parte in cui non prevede che
possa essere ricusato dalle parti il giudice che, chiamato a decidere
sulla  responsabilita'  di  un  imputato,  abbia  espresso  in  altro
procedimento,  anche  non  penale,  una  valutazione  di merito sullo
stesso fatto nei confronti del medesimo soggetto.

    Cosi'  deciso  in  Roma,  nella  sede della Corte costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 6 luglio 2000.
                      Il Presidente: Mirabelli
                     Il redattore: Neppi Modona
                      Il cancelliere: Fruscella
    Depositata in cancelleria il 14 luglio 2000.
              Il direttore della cancelleria: Fruscella
00C0779