N. 300 SENTENZA 11 - 19 luglio 2000

Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale.

Intervento  in  giudizio  -  Comune  di Cologno Monzese - Qualita' di
parte   nel   giudizio   a   quo   -   Difetto   -   Inammissibilita'
dell'intervento.
Questione  di  costituzionalita'  -  Limitata  indicazione  normativa
risultante  dal  dispositivo dell'ordinanza di rimessione - Eccezione
di inammissibilita', per irrilevanza - Reiezione.
Espropriazione per pubblica utilita' - Indennita' di espropriazione -
Giudizio  per  la  determinazione, instaurato dopo l'espropriazione -
Riduzione del quaranta per cento dell'indennita' - Mancata previsione
che  l'applicazione di tale riduzione e' subordinata all'accertamento
giudiziale  della  conformita'  ai  criteri di legge della indennita'
provvisoria offerta al privato - Prospettata violazione del principio
di   eguaglianza   e  di  imparzialita',  in  ragione  della  diversa
disponibilita'   dell'amministrazione   a   negoziare   la   cessione
volontaria, nonche' del diritto di difesa e del diritto di proprieta'
- Non fondatezza della questione.
- D.Lgs. 11 luglio 1992, n. 333 (convertito, con modificazioni, nella
  legge 8 agosto 1992, n. 359), art. 5-bis, commi 1 e 2.
- Costituzione, artt. 3, 24, 42 e 97.
(GU n.31 del 26-7-2000 )
                       LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
Presidente: Cesare MIRABELLI;
Giudici: Francesco GUIZZI, Fernando SANTOSUOSSO, Massimo VARI, Cesare
RUPERTO,  Riccardo CHIEPPA, Gustavo ZAGREBELSKY, Valerio ONIDA, Carlo
MEZZANOTTE,  Fernanda  CONTRI,  Guido  NEPPI  MODONA,  Piero  Alberto
CAPOTOSTI, Annibale MARINI, Franco BILE, Giovanni Maria FLICK;
ha pronunciato la seguente


                              Sentenza

nei  giudizi di legittimita' costituzionale dell'art. 5-bis comma 2 -
recte: commi 1 e 2 - del decreto-legge 11 luglio 1992, n. 333 (Misure
urgenti  per  il risanamento della finanza pubblica), convertito, con
modificazioni,  nella  legge  8  agosto  1992,  n. 359,  promossi con
ordinanze  emesse  il  26  marzo  1998  ed  il 10 febbraio 1999 (n. 2
ordinanze)  dalla Corte d'appello di Milano, rispettivamente iscritte
al  n. 559  del  registro  ordinanze  1998  ed  ai  nn. 300 e 304 del
registro  ordinanze  1999 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della
Repubblica n. 36, prima serie speciale, dell'anno 1998 e n. 22, prima
serie speciale, dell'anno 1999.
    Visti l'atto di intervento del comune di Cologno Monzese, nonche'
gli atti di intervento del Presidente del Consiglio dei Ministri;
    Udito  nella  camera di consiglio del 23 febbraio 2000 il giudice
relatore Riccardo Chieppa.

                          Ritenuto in fatto

    1. - Nel  giudizio promosso dalla societa' "I.S.A. S.r.l." contro
la  determinazione dell'indennita' definitiva di esproprio resa dalla
Commissione  provinciale,  la Corte d'appello di Milano ha sollevato,
in riferimento agli artt. 3, 24 e 97 della Costituzione, questione di
legittimita'  costituzionale dell'art. 5-bis comma 2 - recte: commi 1
e 2 - del decreto-legge 11 luglio 1992, n. 333 (Misure urgenti per il
risanamento  della  finanza pubblica), convertito, con modificazioni,
nella  legge  8 agosto 1992, n. 359, nella parte in cui non subordina
l'applicazione   dell'abbattimento   del   40%   dell'indennita'   di
espropriazione   nel   giudizio  di  determinazione  instaurato  dopo
l'espropriazione,   all'accertamento   che  l'indennita'  provvisoria
offerta al privato sia conforme ai criteri di legge.
    Premette,   il  giudice  a  quo,  che  dalla  consulenza  tecnica
espletata nel giudizio di opposizione alla stima il valore venale, da
assumere  nel  calcolo  dell'indennita', e' risultato di L. 60.901 al
mq.  e,  secondo  un computo pari alla "semisomma del valore venale e
del  coacervo  decennale  dei  redditi  catastali",  si  perveniva  a
complessive  L. 17.330.000 ridotte al netto della diminuzione del 40%
a L. 10.400.000.
    Per    contro,    vi   era   stata   una   richiesta   giudiziale
dell'espropriato  di  L.  160.000  al  mq.  di  fronte  alla proposta
dell'amministrazione  (determinata sulla base del valore venale di L.
45.000  al  mq.),  di  L. 13.542 al mq., al netto della riduzione del
40%.
    Sulla   valutazione  effettuata  dal  consulente  tecnico  di  L.
60.000/mq.  hanno  concordato le parti, il cui dissenso, tra l'altro,
si  e'  concentrato sulla applicabilita' o meno della "riduzione" del
40%,  prevista  dall'art. 5-bis del d.l. n. 333 del 1992, convertito,
con  modificazioni,  nella  legge  n. 359  del  1992, alla indennita'
dovuta,  avendo  l'espropriato  rifiutato  in  un  primo  momento  la
cessione   volontaria   sulla  base  di  una  indennita'  provvisoria
determinata   dall'ente   in  misura  palesemente  insufficiente,  ed
essendo,  invece,  "disponibile alla cessione volontaria del bene per
un corrispettivo pari a quello indicato dal consulente tecnico".
    Il  giudice  a  quo  prospetta  una  ricostruzione interpretativa
secondo  cui  la  tutela  giurisdizionale  del diritto soggettivo del
privato    ad   un   corrispettivo   (serio   indennizzo),   tutelato
dall'art. 42, terzo comma, sarebbe garantita qualora, nell'ambito del
procedimento  di determinazione dell'indennita' di espropriazione, la
decisione  amministrativa  della  giusta  indennita' dovuta per legge
costituisse  un presupposto di legittimita' della cessione volontaria
e   tale   base   fosse   essa  stessa  presupposto  di  legittimita'
dell'abbattimento  del  40%  dell'indennita'  in sede di accertamento
giurisdizionale.   La   determinazione   giudiziale   dell'indennita'
comporterebbe   di   conseguenza  l'abbattimento  del  40%  solo  sul
presupposto  di  un accertamento dell'indennita' dovuta in una misura
corrispondente   -   o   inferiore   -  a  quella  offerta  dall'ente
espropriante  (e  della  conseguente  infondatezza  del  rifiuto  del
privato).
    Tuttavia,   rileva   il   giudice   rimettente,   tale  soluzione
interpretativa  non  sembra  percorribile  alla luce della disciplina
dettata  dall'art. 5-bis  del  d.l.  n. 333 del 1992, convertito, con
modificazioni,  nella  legge  n. 359  del  1992,  laddove  esclude la
possibilita'   che   in  sede  giurisdizionale  possa  essere  omesso
l'abbattimento    del   40%.   Non   sarebbe,   infatti,   consentito
l'accertamento delle cause del mancato perfezionamento della cessione
volontaria  nell'ipotesi di disaccordo sull'ammontare dell'indennita'
dovuta  per legge, ne' sarebbe prevista la possibilita' di sanzionare
l'eventuale  responsabilita'  dell'amministrazione che, omettendo una
proposta  rigorosamente  conforme  ai parametri di legge, ovvero; non
accettando  una  proposta  conforme  a  tali parametri, ma divergente
dalla valutazione espressa in sede di determinazione della indennita'
provvisoria,  non  abbia  consentito al privato di conseguire, con il
meccanismo  della  cessione volontaria, quanto effettivamente dovuto,
con    l'esclusione   dell'abbattimento   del   40%.   Aggiunge   che
l'amministrazione,    ancorche'   nell'accertamento   dell'indennita'
provvisoria  sia  vincolata  ai  parametri di legge, nel determinarsi
alla  cessione  volontaria  opera  nella  sfera  della  sua autonomia
privata.
    Da  quanto sopra, il giudice rimettente fa derivare la violazione
dell'art. 3  della  Costituzione  per  violazione  del  principio  di
uguaglianza,  atteso  che  il trattamento riservato agli espropriandi
varia  in  ragione  di  comportamenti  insindacabili  della  pubblica
amministrazione.  Ne' residuerebbe "alcuno spazio per un accertamento
giudiziale   delle  responsabilita'  (vale  a  dire,  del  fatto  che
l'accordo  sia  mancato  per le richieste eccessive del privato o per
l'offerta insufficiente della pubblica amministrazione)".
    La    norma   denunciata   comporterebbe,   inoltre,   violazione
dell'art. 97  della  Costituzione  per  violazione  del  principio di
imparzialita',  in  ragione  della  diversa  disponibilita', di fatto
consentita  alla  pubblica  amministrazione,  a negoziare la cessione
volontaria,  e del principio di legalita' dell'azione amministrativa,
in  quanto  il riferimento ai parametri di legge nella determinazione
dell'indennita'    provvisoria    non   condizionerebbe   il   potere
espropriativo  della pubblica amministrazione, ancorche' sanzionabile
nella  sede  della  giurisdizione  amministrativa e non garantirebbe,
pertanto,  una tutela adeguata in ordine alla cessione volontaria per
un prezzo corrispondente a quello stabilito dalla legge.
    La  norma  impugnata  si  porrebbe,  infine,  in contrasto con il
principio   della   tutela   giurisdizionale   dei  diritti,  sancito
dall'art. 24  della Costituzione, giacche' l'accertamento del diritto
leso  darebbe  luogo  ad una determinazione punitiva per la parte che
intende  farlo  valere,  vanificando  di  fatto  il  suo buon diritto
ancorche' riconosciuto fondato.
    2. - Nel  giudizio  innanzi alla Corte si e' costituito il comune
di  Cologno  Monzese,  il  quale,  pur non essendo parte in causa nel
giudizio  principale,  giustifica  il proprio intervento con il fatto
che  lo  stesso  e' convenuto in altro giudizio, avente ad oggetto la
medesima questione.
    Il   comune   anzidetto  ha  concluso  per  l'infondatezza  della
questione sollevata.
    3. - Nel  corso  di  due  giudizi,  proposti  contro il comune di
Malgrate  e  la comunita' montana del Lario orientale rispettivamente
dalla  Societa'  Immobiliare Malgrate e da Consonni Luigia, la stessa
Corte  d'appello  di  Milano sollevava, con due distinte ordinanze in
data  10  febbraio  1999  (r.o.  nn. 300  e  304  del 1999), analoghe
questioni  di  legittimita'  costituzionale. In entrambi i giudizi, i
proprietari   espropriandi  avevano  fin  dall'inizio  dichiarato  la
disponibilita' a convenire la cessione volontaria dell'immobile ad un
prezzo  commisurato  (non  all'indennita'  provvisoria comunicata dal
comune)   bensi'   all'importo   che  sarebbe  stato  definitivamente
determinato  dalla  competente  commissione provinciale. Il giudice a
quo   ha   introdotto   il   riferimento   ad   ulteriori   parametri
costituzionali,  sulla base di argomentazioni non dissimili da quelle
gia' riferite.
    In  particolare,  secondo  la Corte d'appello di Milano, la norma
esaminata  violerebbe anche l'art. 113 della Costituzione, poiche' la
proposizione   dell'azione  giudiziaria  vanificherebbe  comunque  il
diritto  dell'espropriato  in  seguito ad una scelta lasciata al mero
arbitrio  dell'amministrazione; nonche' l'art. 42 della Costituzione,
in quanto il diritto di proprieta' verrebbe privato delle garanzie di
legge,  riconosciute anche nell'ambito della procedura espropriativa,
atteso  che  l'amministrazione  sarebbe  del  tutto  libera  di  fare
un'offerta  di  indennizzo  manifestamente  insufficiente,  prima  di
procedere  all'emissione del decreto di esproprio e, una volta emesso
il  provvedimento  ablativo,  di  conseguire  lo stesso risultato ove
convenuta in giudizio.
    4. - In   tutti  i  giudizi  e'  intervenuto  il  Presidente  del
Consiglio  dei  Ministri,  con il patrocinio dell'Avvocatura generale
dello  Stato,  la  quale prospetta un profilo di inammissibilita' per
irrilevanza,  atteso  che  la  questione verrebbe riferita al comma 2
dell'art. 5-bis  anzidetto. Piu' correttamente, precisa l'Avvocatura,
la  questione  dovrebbe  ritenersi  proposta nei confronti del "primo
comma,  secondo  periodo" della norma in questione, anche in coerenza
con l'iter argomentativo svolto nelle ordinanze di remissione.
    L'inammissibilita'   e',   tuttavia,   prospettata  dalla  difesa
erariale  anche  sulla  base  di un'ulteriore argomentazione. Secondo
l'autorita'  interveniente,  in  primo  luogo,  l'unico  elemento  di
calcolo  che  puo' condurre a contrasti tra le parti e' rappresentato
dal    valore   venale   dell'immobile,   suscettibile   di   diverso
apprezzamento   soggettivo   ed   irriducibile   -   come  tale  -  a
predeterminati  criteri  legali;  in secondo luogo, la determinazione
provvisoria  dell'indennita'  di  esproprio  non  e'  riferibile, nel
sistema   delle   leggi   n. 865   del   1971   e  n. 359  del  1992,
all'espropriante  bensi'  ad un terzo (con conseguente impossibilita'
di   imputare   a  quello  le  conseguenze,  in  termini  di  mancata
conclusione  del  trasferimento  consensuale,  di  un'incongrua,  per
difetto,   valutazione  del  bene);  in  terzo  luogo,  la  pronunzia
"additiva",  cui  tende  l'ordinanza  di  remissione,  non sarebbe di
quelle  a  "contenuto  necessitato", attesa l'inevitabile elasticita'
del  primo  addendo  della  semisomma,  con  la  conseguenza  che  il
parametro  di  giudizio  della  congruita'  dell'offerta indennitaria
potrebbe  essere  situato, con uguale ragionevolezza, entro una gamma
di   soluzioni   possibili,   riservate   alla  discrezionalita'  del
legislatore.
    Nel  merito,  l'Avvocatura  ha concluso per la infondatezza delle
questioni sollevate.

                       Considerato in diritto

    1. - Le  questioni  di legittimita' costituzionale, sottoposte in
via  incidentale all'esame della Corte, riguardano l'art. 5-bis comma
2  -  recte:  commi  1 e 2 - del decreto-legge 11 luglio 1992, n. 333
(Misure   urgenti   per   il  risanamento  della  finanza  pubblica),
convertito,  con  modificazioni,  nella  legge 8 agosto 1992, n. 359,
nella parte in cui non subordina l'applicazione dell'abbattimento del
40% dell'indennita' di espropriazione, nel giudizio di determinazione
instaurato  dopo  l'espropriazione, all'accertamento che l'indennita'
provvisoria offerta al privato sia conforme ai criteri di legge.
    Viene  denunciato  il  contrasto con l'art. 3 della Costituzione,
per  violazione  del principio di uguaglianza, in quanto il cittadino
subirebbe   un   trattamento  diverso  sulla  base  di  comportamenti
insindacabili  della  pubblica  amministrazione;  con l'art. 97 della
Costituzione,  per  compromissione  dei principi di imparzialita', in
ragione  della diversa disponibilita', di fatto consentita alla p.a.,
di   negoziare  la  cessione  volontaria;  di  legalita'  dell'azione
amministrativa,  in quanto il riferimento ai parametri di legge nella
determinazione  dell'indennita'  provvisoria  non  condizionerebbe il
potere  espropriativo  della  p.a., e non garantirebbe, pertanto, una
tutela  adeguata  in  ordine  alla  cessione volontaria per un prezzo
corrispondente a quello stabilito dalla legge; con gli artt. 24 e 113
della  Costituzione,  in  quanto  la  riduzione  del  40% menomerebbe
eccessivamente  il  diritto di difesa, sottoponendo ad ingiustificati
rischi  chi  agisce  in giudizio per tutelare un proprio diritto; con
l'art. 42  della  Costituzione,  in  quanto  il diritto di proprieta'
verrebbe  privato  di  quelle  garanzie di legge ad esso riconosciute
anche nell'ambito della procedura espropriativa.
    2. - I  giudizi,  aventi  per  oggetto  la  stessa norma, possono
essere riuniti, stante la evidente connessione oggettiva ed attesa la
parziale  identita'  delle  questioni  proposte,  di modo che possono
essere decisi con unica sentenza.
    3. - L'intervento  del  comune  di  Cologno  Monzese  deve essere
dichiarato  inammissibile, in quanto il comune anzidetto non e' stato
parte  in  causa  nel  giudizio  a  quo, in cui e' stata sollevata la
questione di legittimita' costituzionale con l'ordinanza del 26 marzo
1998 della Corte d'appello di Milano, a nulla rilevando che era parte
in  un  diverso  giudizio  in  cui  e'  dibattuta  analoga questione,
tuttavia non rimessa all'esame della Corte.
    4. - E' pregiudiziale l'esame della eccezione di inammissibilita'
sollevata dalla Avvocatura generale dello Stato.
    L'eccezione  non  puo'  essere  accolta.  Innanzitutto  non  puo'
configurarsi una irrilevanza della questione proposta, secondo quanto
risulta  dal  dispositivo  delle  ordinanze, relativamente al secondo
comma  dell'art. 5-bis. Infatti, dall'iter argomentativo svolto nelle
ordinanze  di  rimessione, si desume che la censura e' rivolta contro
il  sistema  dell'abbattimento  del  40% e delle relative esclusioni,
sotto  il  profilo  che  doveva  essere espressamente prevista la non
applicazione,  anche  nella ipotesi di indennita' provvisoria offerta
al  soggetto  espropriando  in  misura inferiore a quella determinata
secondo i criteri di legge. Secondo l'ordinanza si dovrebbe pervenire
ad  un  medesimo  trattamento di esclusione, parificando, quanto agli
effetti,  la cessione volontaria ed il legittimo rifiuto da parte del
proprietario  di  indennita'  provvisoria inferiore, anche perche' vi
sarebbe   stata  fin  dall'origine  della  procedura  una  dichiarata
disponibilita'  alla  cessione  volontaria  sulla  base  di un valore
(diverso   da  quello  commisurato  all'indennita'  provvisoria)  che
sarebbe stato determinato dalla Commissione provinciale.
    In sostanza, viene chiaramente investito il sistema del combinato
disposto  dei  commi  1  e  2,  di  modo che la richiesta di sentenza
additiva  e'  agganciabile  ad  una qualsiasi delle due disposizioni,
essendo  chiara  nelle  ordinanze  la individuazione della questione,
riferita,  con  evidenza,  a tutte e due le norme, con cio' potendosi
superare  la  piu'  limitata  indicazione  nel  dispositivo delle tre
ordinanze del giudice a quo.
    5. - Le questioni proposte non sono fondate.
    Come  sottolineato  con la recentissima sentenza n. 262 del 2000,
rispetto  ad  analoga  questione,  l'art. 5-bis  - sia  pure  in  via
temporanea  fino  alla  emanazione di una (sempre auspicata) organica
disciplina  per  tutte  le  espropriazioni  per  opere  ed interventi
pubblici  o di pubblica utilita' detta una disciplina generale per la
determinazione   della  indennita'  di  espropriazione  per  le  aree
edificabili, recependo - con una correzione - il sistema (a suo tempo
introdotto con la legge sul risanamento della citta' di Napoli) della
media  di due valori (o semisomma), desunti uno dal "valore venale" e
l'altro  dal  "reddito"  moltiplicato  per  10.  Il  sistema e' stato
corretto  con  la  eliminazione  del criterio del "reddito", previsto
prioritariamente  dalla  legge 15 gennaio 1885, n. 2892 rapportato ai
"fitti  coacervati dell'ultimo decennio", e con l'utilizzo invece del
criterio  sussidiario  (previsto  dalla  predetta  legge  del  1885),
agganciato   (sempre   con   il  rapporto  moltiplicatore  di  dieci)
all'imponibile  tributario agli effetti delle imposte sui terreni. Un
ulteriore  correttivo  (di aggiornamento) e' stato apportato mediante
l'espresso  riferimento  al reddito domenicale rivalutato di cui agli
articoli  24  e  seguenti  del testo unico delle imposte sui redditi,
approvato  con  d.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, e con l'applicazione
di una riduzione del 40% all'importo della media cosi' risultante.
    In realta', l'indennita' di esproprio per le aree edificabili e',
in  via  normale, pari al 60% della media (semisomma) dei due valori:
valore  venale  e valore di redditivita', pari al decuplo del reddito
(coacervo di 10) considerato ai fini tributari (art. 5-bis comma 1).
    I  problemi  di  costituzionalita'  di tale meccanismo sono stati
piu'  volte  esaminati  dalla giurisprudenza della Corte con riguardo
alla  legge  15  gennaio  1885, n. 2892 (art. 13, terzo comma) con le
sentenze n. 5 del 1960 e n. 216 del 1990. Lo stesso esame e' avvenuto
con riferimento all'attuale sistema comportante la riduzione del 40%,
pervenendosi  all'esclusione  dei  vizi  denunciati  sotto molteplici
profili,  relativi  agli  artt. 3,  24,  42  e 113 della Costituzione
(sentenze  nn. 283 e 442 del 1993; ordinanza n. 414 del 1993; arg. da
sentenze n. 369 del 1996 e n. 148 del 1999).
    Tale  indirizzo  deve essere ulteriormente confermato (vedi anche
la  recentissima sentenza n. 262 del 2000), non essendo stati dedotti
elementi  che  possano  condurre  ad  una  diversa soluzione sotto il
profilo della legittimita' costituzionale delle norme denunciate.
    6. - Anche  il  nuovo  parametro dell'art. 97 della Costituzione,
sotto  i  profili  della  imparzialita'  e  della legalita', non puo'
portare  ad una soluzione di fondatezza in ordine al sollevato dubbio
di costituzionalita'.
    Innanzitutto  l'eventuale  prospettato  comportamento  di singole
amministrazioni,  che,  nel corso del procedimento di espropriazione,
non  si  attengano  ai  parametri di legge nella determinazione della
indennita',   ed   il   cattivo   uso   delle  facolta'  di  gestione
amministrativa non possono influire sulla legittimita' costituzionale
della  norma  applicata,  che riguarda solo il modo del calcolo della
indennita' e il prezzo della cessione volontaria.
    Sul  piano  specifico  del  richiamato art. 97 della Costituzione
deve  essere  sottolineato che le norme denunciate non attengono alla
creazione  od  organizzazione  dei  pubblici uffici, o alla struttura
degli  apparati ed alla articolazione delle competenze, ne' a profili
organizzativi  o  di  funzionamento  o  di  esercizio di poteri della
pubblica  amministrazione,  neppure  come disciplina dei procedimenti
amministrativi,   ne'   ad  obiettivi  di  trasparenza,  pubblicita',
partecipazione  e  tempestivita'  dell'azione  amministrativa, che si
ricollegano  tutti  al  principio  costituzionale  di  buon andamento
dell'amministrazione (sentenze n. 40 del 1998 e n. 262 del 1997).
    7. - Infine, non puo' configurarsi una manifesta irragionevolezza
nella  scelta  discrezionale  (tra modalita' e strumenti diversi) del
legislatore   di   incentivare  la  cessione  volontaria  -  rispetto
all'ordinario  procedimento  espropriativo  e  relativa  indennita' -
anche  sotto  il  profilo  della  agevolazione  sul  piano  economico
(esclusione   dell'abbattimento   del   40%).   Infatti  trattasi  di
tradizionale  sistema  deflattivo del contenzioso, coerente e congruo
rispetto  al fine che si vuole conseguire, in relazione alle esigenze
generali di speditezza ed efficienza dell'azione amministrativa nella
fase di acquisizione delle aree per ragioni di pubblica utilita'.
    In ordine al concreto esercizio delle facolta' di addivenire alla
cessione volontaria non viene escluso o limitato il ricorso ad alcuno
dei  mezzi di tutela previsti dall'ordinamento e, nello stesso tempo,
non  vi  e'  un  impedimento  ad  azioni  a  difesa  delle  posizioni
soggettive lese da discriminazioni o da assenza di imparzialita'.
    8. - Il  comma  2  dell'anzidetto art. 5-bis disciplina - come ha
posto  in  rilievo  la  citata sentenza n. 262 del 2000 - una ipotesi
sostanzialmente   diversa   -   rispetto   alla   normale   procedura
espropriativa  - diretta a ridurre il contenzioso ed a facilitare una
via   transattiva  di  cessione  volontaria  delle  aree  edificabili
espropriate,   consentendosi,   "in   ogni   fase   del  procedimento
espropriativo", la cessione volontaria per un prezzo commisurato alla
indennita'  di  esproprio  calcolata  ai  sensi  del  comma  1, senza
tuttavia l'applicazione della riduzione del 40%.
    In   altri   termini   il   legislatore,  nella  valutazione  che
l'indennita' di espropriazione cosi' ragguagliata al valore venale ed
al  calcolo  della  media  aritmetica  con un altro addendo, sia pure
determinato  per  relationem, possa essere oggetto di contestazione e
del  ricorso  alla  giurisdizione,  con  possibilita'  di aumento del
contenzioso  a  seguito  di  azione giudiziaria dell'espropriando, ha
ritenuto  di  offrire  una  maggiorazione  nel caso si addivenga alla
cessione volontaria.
    Il  legislatore  ha  voluto garantire - seguendo un indirizzo non
nuovo  nel  sistema delle espropriazioni - un importo per la cessione
volontaria (corrispondente a prezzo) maggiore (senza la riduzione del
40%), rispetto alla indennita' di espropriazione, cosi' pervenendo al
100%  (anziche'  60%)  della media sopraspecificata (modello legge di
risanamento della citta' di Napoli), con correzione del parametro dei
"fitti  coacervati"  in  quello  del  decuplo  del reddito dominicale
rivalutato (sentenza n. 262 del 2000).
    Il   soggetto  espropriando  ha  una  scelta  tra  la  via  della
contestazione giudiziaria dell'indennita' (offerta) di espropriazione
e  quella  della cessione volontaria ad un prezzo maggiorato rispetto
alla  suddetta  indennita'.  Tale  scelta,  come  in ogni accordo con
profili  transattivi,  e' effettuata secondo un soggettivo calcolo di
convenienza, valutando i rischi (di durata e di esito) di ogni azione
giudiziaria,  con  la  conseguenza  che  l'indennita'  definitiva sia
determinata   anche  giudizialmente  con  un  risultato  finale  meno
vantaggioso  del prezzo ricavabile dalla cessione volontaria ai sensi
del comma 2 dell'art. 5-bis.
    9. - Se   poi  sussistano  contestazioni  sul  verificarsi  della
cessione  volontaria e sui limiti temporali della realizzazione e sui
relativi   presupposti,   sono   tutte  questioni  esclusivamente  di
interpretazione    delle    anzidette   norme   nel   sistema   delle
espropriazioni    rientranti    nelle    attribuzioni   del   giudice
istituzionalmente competente.
    Anche  sotto  questo  riguardo,  non  puo'  che ribadirsi che gli
eventuali  prospettati  abusi  delle  autorita'  amministrative nella
determinazione  della  indennita'  di  esproprio  offerta al soggetto
espropriato,  ovvero  non  congrue  valutazioni  nella determinazione
della   indennita',   non   possono   influire   sulla   legittimita'
costituzionale  delle  stesse norme, restando questi profili estranei
al presente giudizio di costituzionalita'.
    Allo  stesso  modo,  rilevato  che le esigenze di superare alcune
anomalie di applicazione delle norme denunciate o di malfunzionamento
degli  organi  amministrativi  hanno  potuto  trovare,  in  casi piu'
manifesti,  diversi rimedi e soluzioni, deve essere confermato che la
concreta  praticabilita'  degli  strumenti raffigurati dalla prassi e
dalla  giurisprudenza  rientra  "nelle scelte di tutela delle parti e
nelle  esclusive  valutazioni  interpretative dei giudici chiamati ad
applicare le norme relative" (sentenza n. 262 del 2000).
                          Per questi motivi

                       LA CORTE COSTITUZIONALE
    Riuniti i giudizi;
    Dichiara  non fondate le questioni di legittimita' costituzionale
dell'art. 5-bis commi 1 e 2, del decreto-legge 11 luglio 1992, n. 333
(Misure   urgenti   per   il  risanamento  della  finanza  pubblica),
convertito,  con  modificazioni,  nella  legge 8 agosto 1992, n. 359,
sollevate,  in  riferimento  agli  artt. 3,  24,  42,  97 e 113 della
Costituzione,  dalla  Corte  d'appello  di  Milano  con  le ordinanze
indicate in epigrafe.
    Cosi'  deciso  in  Roma,  nella  sede della Corte costituzionale,
Palazzo della Consulta, l'11 luglio 2000.
                      Il Presidente: Mirabelli
                        Il redattore: Chieppa
                      Il cancelliere: Di Paola
    Depositata in cancelleria il 19 luglio 2000.
              Il direttore della cancelleria: Di Paola
00C0799