N. 301 SENTENZA 11 - 19 luglio 2000

Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale.

Giudice  rimettente  - Giurisdizione del giudice ordinario - Eccepito
difetto,   con  conseguente  difetto  di  rilevanza  della  questione
sollevata - Insussistenza - Rigetto dell'eccezione.
Imposta  comunale  di  pubblicita'  -  Presupposti dell'imposizione -
Ritenuto  assoggettamento  all'imposta  di  forme  di  propaganda  di
contenuto  ideologico senza fini di lucro - Asserito contrasto con la
liberta'  di  manifestazione  del  pensiero  e  con  il  principio di
capacita'   contributiva   -   Erronea  interpretazione  del  sistema
normativo Non fondatezza della questione.
- D.Lgs. 15 novembre 1993, n. 507, artt. 5, 8, 15, 20 e 21.
- Costituzione, artt. 21 e 53, primo comma.
(GU n.31 del 26-7-2000 )
                       LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
Presidente: Cesare MIRABELLI;
Giudici: Francesco GUIZZI, Fernando SANTOSUOSSO, Massimo VARI, Cesare
RUPERTO,  Riccardo CHIEPPA, Gustavo ZAGREBELSKY, Valerio ONIDA, Carlo
MEZZANOTTE,  Fernanda  CONTRI,  Guido  NEPPI  MODONA,  Piero  Alberto
CAPOTOSTI, Annibale MARINI, Franco BILE, Giovanni Maria FLICK;
ha pronunciato la seguente


                              Sentenza

nel  giudizio di legittimita' costituzionale degli artt. 5, 8, 15, 20
e 21 del d.lgs. 15 novembre 1993, n. 507 (Revisione ed armonizzazione
dell'imposta comunale sulla pubblicita' e del diritto sulle pubbliche
affissioni,  della tassa per l'occupazione di spazi ed aree pubbliche
dei  comuni nonche' della tassa per lo smaltimento dei rifiuti solidi
urbani  a  norma  dell'art. 4  della  legge  23 ottobre 1992, n. 421,
concernente  il  riordino  della  finanza territoriale), promosso con
ordinanza  emessa  il  19  febbraio  1998  dal pretore di Bassano del
Grappa, sezione distaccata di Asiago, iscritta al n. 300 del registro
ordinanze 1998 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica
n. 18, prima serie speciale, dell'anno 1998.
    Visti  l'atto  di costituzione dell'associazione "Antichi Binari"
di  Asiago  nonche' l'atto di intervento del Presidente del Consiglio
dei Ministri;
    Udito nell'udienza pubblica del 21 marzo 2000 il giudice relatore
Valerio Onida;
    Uditi   l'avvocato  Mauro  Mellini  per  l'associazione  "Antichi
Binari"  di  Asiago  e l'avvocato dello Stato Giancarlo Mando' per il
Presidente del Consiglio dei Ministri.

                          Ritenuto in fatto


    1. - Nel   corso  di  un  giudizio  di  opposizione  a  ordinanza
ingiunzione  emessa per l'applicazione di sanzione amministrativa per
violazione  di  norme  del  regolamento comunale sulla pubblicita' in
combinato disposto con le norme del d.lgs. n. 507 del 1993 in materia
di  imposta  sulla  pubblicita',  il  pretore  di Bassano del Grappa,
sezione  distaccata  di  Asiago,  su  eccezione  del  ricorrente,  ha
sollevato,  con  ordinanza  emessa  il  19 febbraio 1998, pervenuta a
questa   Corte   il   10   aprile  1998,  questione  di  legittimita'
costituzionale,  in  riferimento  agli articoli 21 e 53, primo comma,
della  Costituzione,  degli  articoli 5, 8, 15, 20 e 21 del d.lgs. 15
novembre  1993,  n. 507  (Revisione  ed  armonizzazione  dell'imposta
comunale  sulla pubblicita' e del diritto sulle pubbliche affissioni,
della  tassa  per l'occupazione di spazi ed aree pubbliche dei comuni
nonche'  della  tassa  per lo smaltimento dei rifiuti solidi urbani a
norma dell'art. 4 della legge 23 ottobre 1992, n. 421, concernente il
riordino   della   finanza   territoriale),   "nella   parte  in  cui
assoggettano ad imposta sulla pubblicita' e ad apposita dichiarazione
da  parte  del  soggetto passivo dell'imposta, anche la propaganda di
contenuto  ideologico  a  mezzo  di  diffusione di manifestini, senza
scopo di lucro".
    Premette  il  remittente che il giudizio dinanzi ad esso pendente
riguarda  una  contestazione  di  violazione delle norme sull'imposta
sulla  pubblicita'  effettuata  a carico del legale rappresentante di
un'associazione politicoculturale, per la distribuzione, in occasione
della  ricorrenza  del 25 aprile, di un volantino "inteso a mantenere
vivo  il ricordo dei valori della lotta antifascista e del permanente
pericolo del fascismo".
    Ricorda  poi  che  questa  Corte,  con  sentenza n. 131 del 1973,
dichiaro'  l'illegittimita'  costituzionale,  per  contrasto  con gli
articoli   21  e  53,  primo  comma,  della  Costituzione,  di  norme
previgenti  in  tema  di imposta sulla pubblicita' nella parte in cui
assoggettavano  ad  imposta  anche  le forme di propaganda ideologica
effettuata,  senza fini di lucro, a diretta cura degli interessati; e
osserva che analogo sospetto di illegittimita' costituzionale e' dato
avanzare nei confronti delle norme del sopravvenuto d.lgs. n. 507 del
1993.
    Infatti  -  osserva  il giudice a quo - e' ben vero che l'art. 5,
secondo  comma,  del  decreto legislativo, considerando rilevanti, ai
fini   dell'imposizione,   i   messaggi   diffusi  nell'esercizio  di
un'attivita' economica, allo scopo di promuovere la domanda di beni o
servizi,  ovvero  finalizzati  a  migliorare  l'immagine del soggetto
pubblicizzato,   sembra  escludere  dalla  soggezione  al  tributo  i
messaggi  di  natura politica, ideologica, religiosa effettuati senza
fine  di  lucro:  ma siffatta interpretazione non sarebbe sostenibile
alla  luce  dei  successivi  articoli  20  e 21 dello stesso decreto.
L'art. 20,  lettere  b  e  c,  comprende  fra i casi di riduzione del
diritto   sulle   pubbliche  affissioni  "i  manifesti  di  comitati,
associazioni,  fondazioni  ed  ogni altro ente che non abbia scopo di
lucro",  e  "i manifesti relativi ad attivita' politiche, sindacali e
di  categoria,  culturali,  sportive,  filantropiche  e religiose, da
chiunque realizzate, con il patrocinio o la partecipazione degli enti
pubblici  territoriali"; l'art. 21, elencando i casi di esenzione dal
tributo,  non  vi  comprende  i  messaggi  di propaganda ideologica o
politica.
    Ad  avviso del remittente, percio', il combinato disposto di tali
norme, non lasciando spazio ad un interpretazione conforme al dettato
costituzionale,  sarebbe  suscettibile  di  violare  i  canoni  della
liberta'  di manifestazione del pensiero con qualsiasi mezzo, e della
capacita'   contributiva,  difettando  quest'ultima  radicalmente  in
presenza di propaganda ideologica.
    L'ordinanza  conclude sottolineando la rilevanza della questione,
in  quanto  in  caso  di  suo  accoglimento  il  giudicante  dovrebbe
annullare l'ordinanza ingiunzione opposta.

    2. - Si e' costituita l'associazione "Antichi binari", ricorrente
nel  giudizio  a  quo,  la  quale chiede preliminarmente che la Corte
affermi  che  le norme denunciate vanno intese nel senso di escludere
l'applicabilita'  del  tributo e dei relativi incombenti alle ipotesi
di  propaganda  ideologica  e  politica effettuata direttamente dagli
interessati,  senza  fine  di lucro, e pertanto dichiari la questione
"irrilevante  ed infondata per difetto di effettiva sussistenza della
disposizione   di   cui   e'  allegato  il  contrasto  con  la  norma
costituzionale".
    Secondo  la  parte,  poiche' questa Corte, con la sentenza n. 131
del  1973,  ha  dichiarato  la illegittimita' costituzionale parziale
della normativa preesistente con una pronuncia additiva, introducendo
cosi'  una  esclusione  dalla soggezione al tributo, tale limitazione
dovrebbe  intendersi  operante anche rispetto alla formulazione della
nuova normativa, pur in assenza di un espresso richiamo di questa; in
ogni  caso,  anche  indipendentemente  da cio', le norme sopravvenute
andrebbero  interpretate, nel dubbio, in senso non contrastante con i
principi costituzionali.
    La  parte  aggiunge che il decreto legislativo n. 507 del 1993 e'
stato  emanato  in base alla delega conferita al Governo con la legge
n. 421   del   1992   per  il  "riordino  della  finanza  degli  enti
territoriali": delega che pertanto dovrebbe intendersi finalizzata ad
un  piu'  efficace,  equo  e  funzionale assetto della materia, in un
ambito   che   non   potrebbe   toccare   spazi  inerenti  a  diritti
fondamentali,   tanto  piu'  se  espressamente  fatti  salvi  da  una
specifica  pronuncia del giudice delle leggi. Ne conseguirebbe che se
il  decreto  legislativo  dovesse risultare lesivo del principio gia'
affermato   dalla   Corte,  esso  dovrebbe  considerarsi  affetto  da
illegittimita' costituzionale, prima ancora che per il suo contenuto,
per eccesso rispetto alla delega.
    Per  il  caso  in cui la Corte non ritenesse di seguire detta via
interpretativa,  la  parte  chiede venga dichiarata la illegittimita'
costituzionale delle norme denunciate.

    3. - E'  intervenuto  nel  giudizio  il Presidente del Consiglio,
chiedendo che la questione sia dichiarata inammissibile o infondata.
    Essa sarebbe priva di rilevanza nel giudizio principale, il quale
dovrebbe  concludersi  con  una pronuncia di difetto di giurisdizione
del   giudice   adi'to,   dato  che  la  questione  sulla  soggezione
all'imposta  sarebbe  devoluta  alle  commissioni tributarie, a norma
dell'art. 2,   lettera   h   del  d.lgs.  31  dicembre  1992,  n. 546
(Disposizioni  sul  processo tributario in attuazione della delega al
Governo contenuta nell'art. 30 della legge 30 dicembre 1991, n. 413).
    Nel  merito, essa sarebbe comunque infondata, in quanto basata su
di  un'errata  interpretazione  delle  norme  denunciate. Infatti, in
forza   dell'art. 5   del   decreto   legislativo  n. 507  del  1993,
presupposto  dell'imposta  e'  la diffusione di messaggi pubblicitari
"nell'esercizio  di  una attivita' economica allo scopo di promuovere
la  domanda  di  beni  o  servizi,  ovvero  finalizzati  a migliorare
l'immagine  del  soggetto  pubblicizzato": onde, secondo l'Avvocatura
erariale,   la   legge  si  adeguerebbe  perfettamente  al  principio
affermato  con  la  sentenza  di  questa  Corte  n. 131  del 1973, ed
escluderebbe  l'imposizione  sulla propaganda di contenuti ideologici
senza scopo di lucro.
    Tale  interpretazione  non  sarebbe contraddetta dall'art. 20 del
decreto,  che non riguarda l'imposta sulla pubblicita', ma il diritto
sulle  pubbliche  affissioni di manifesti, e prevede la soggezione ad
esso, in misura peraltro ridotta, anche quando l'operazione materiale
di  affissione eseguita dal comune riguarda manifesti relativi ad una
attivita'  non soggetta all'imposta come quelle politiche, sindacali,
culturali,   ecc.   Nel  caso  di  specie  l'art. 20  non  troverebbe
applicazione,   trattandosi  di  propaganda  mediante  diffusione  di
manifestini non destinati alla affissione.
    Se mai - prosegue la difesa erariale - un apparente contrasto con
il  principio  dell'art. 5  potrebbe  riscontrarsi  nell'art. 16, non
menzionato  dall'ordinanza, che prevede la riduzione dell'imposta per
la  pubblicita'  relativa  a  "manifestazioni"  politiche, sindacali,
religiose,  culturali, sportive con il patrocinio o la partecipazione
degli  enti  pubblici  territoriali,  nonche'  per  la pubblicita' di
"festeggiamenti" patriottici, religiosi ecc. In tal caso la norma non
concernerebbe  la propaganda a contenuto ideologico di per se', ma la
pubblicita' di eventi organizzati che involgono piu' ampi interessi.

    4. - In  una  memoria depositata in vista dell'udienza, la difesa
del  Presidente del Consiglio osserva che la definizione delimitativa
del presupposto dell'imposta sulla pubblicita', contenuta nell'art. 5
del decreto legislativo impugnato, e' stata modellata proprio tenendo
presenti  i  principi  enunciati  da  questa  Corte, ed e' diversa da
quella, piu' ampia, enunciata nell'art. 6 del d.P.R. 26 ottobre 1972,
n. 639  (Imposta comunale sulla pubblicita' e diritti sulle pubbliche
affissioni),  ai cui articoli 12 e 15 si riferiva la dichiarazione di
illegittimita'  costituzionale.  Sulla  base di detta definizione del
presupposto,  non  sarebbe  soggetta  all'imposta  la c.d. propaganda
ideologica,   che   di   per  se'  non  costituirebbe  mai  messaggio
pubblicitario  rilevante ai fini dell'imposta medesima, non avendo la
funzione  di  richiamare  l'attenzione del pubblico su beni o servizi
dei  quali  si  intenda  sollecitare la domanda, ne' di promuovere il
miglioramento   dell'immagine   della  persona  o  dell'ente  cui  si
riferisce  la  pubblicita', e quindi una finalita' di "lucro" sia pur
latamente  intesa:  con  la  conseguenza che non sussisterebbe in tal
caso  nemmeno  l'obbligo  di  dichiarazione  previsto dall'art. 8 del
decreto a carico del soggetto di imposta.
    Alla  luce  di  tale  premessa andrebbe letto anche l'art. 15 del
decreto,   che  si  riferisce  alla  "pubblicita'  varia"  effettuata
mediante  distribuzione di manifestini, nell'ovvio presupposto che si
tratti di messaggi pubblicitari quali definiti nell'art. 5.
    Non  varrebbe,  in  contrario, il richiamo agli artt. 20 e 21 del
decreto,   operato   nell'ordinanza   di  rimessione:  tali  articoli
disciplinerebbero  la  distinta  materia della riduzione di tariffa e
della  esenzione relativamente al diritto sulle pubbliche affissioni,
prestazione patrimoniale di carattere tariffario dovuta al comune per
il   servizio   delle  pubbliche  affissioni  negli  appositi  spazi.
Pertanto,  a  parte  la  non rilevanza della questione con riguardo a
tali articoli, dal richiamo ad essi non potrebbe comunque dedursi che
la   propaganda   ideologica   attuata   mediante   distribuzione  di
manifestini  sia  soggetta ad imposta sulla pubblicita'. Il pagamento
del  diritto  sulle  pubbliche  affissioni  di  manifesti,  anche  di
carattere  ideologico  (salve  le ipotesi di riduzione o di esenzione
indicate  dalla  legge),  troverebbe la sua specifica giustificazione
nella  richiesta  del  servizio  prestato  dal comune, costituendo il
rimborso  del  relativo  costo,  e  nell'uso  della  risorsa limitata
costituita  dallo  spazio  adibito  all'affissione,  quale che sia il
contenuto dei manifesti.
    La   memoria   ricorda   infine  che,  quanto  alla  legittimita'
costituzionale  della soggezione a diritti sulle pubbliche affissioni
di  manifesti,  anche  a  contenuto  di propaganda ideologica, questa
Corte si e' gia' espressa con la sentenza n. 89 del 1979.

                       Considerato in diritto


    1. - La  questione  sollevata investe gli articoli 5, 8, 15, 20 e
21  del  d.lgs. 15 novembre 1993, n. 507 (Revisione ed armonizzazione
dell'imposta comunale sulla pubblicita' e del diritto sulle pubbliche
affissioni,  della tassa per l'occupazione di spazi ed aree pubbliche
dei  comuni nonche' della tassa per lo smaltimento dei rifiuti solidi
urbani  a  norma  dell'art. 4  della  legge  23 ottobre 1992, n. 421,
concernente il riordino della finanza territoriale).
    L'art. 5  definisce  il  presupposto  dell'imposta comunale sulla
pubblicita';  l'art. 8  prevede  che il soggetto passivo dell'imposta
sia  tenuto, prima di iniziare la pubblicita', a presentare al comune
apposita  dichiarazione; l'art. 15 stabilisce la tariffa dell'imposta
per la cosi' detta "pubblicita' varia", tra cui e' compresa (comma 4)
quella  effettuata  mediante  distribuzione di manifestini o di altro
materiale  pubblicitario; l'art. 20 riguarda i casi di riduzione alla
meta'  del  diritto  sulle  pubbliche affissioni, fra l'altro, "per i
manifesti  di  comitati,  associazioni, fondazioni ed ogni altro ente
che  non  abbia  scopo  di  lucro"  (lettera  b),  e "per i manifesti
relativi ad attivita' politiche, sindacali e di categoria, culturali,
sportive,  filantropiche  e religiose, da chiunque realizzate, con il
patrocinio  o  la  partecipazione  degli  enti pubblici territoriali"
(lettera  c);  l'art. 21,  infine,  riguarda  i casi di esenzione dal
medesimo diritto sulle pubbliche affissioni.
    Da   questa   disciplina,   complessivamente  considerata,  e  in
particolare dalle citate disposizioni sulle ipotesi di esenzione e di
riduzione,  il  remittente  desume  che  la  propaganda  a  contenuto
ideologico,  a  mezzo  di  diffusione  di manifestini, senza scopo di
lucro  -  quale  si  sarebbe  verificata  nella  fattispecie  ad esso
sottoposta  -  non  sarebbe  sottratta alla imposizione; e dubita che
tale assoggettamento contrasti con gli articoli 21 e 53, primo comma,
della Costituzione, per le stesse ragioni che indussero questa Corte,
a  suo  tempo,  a  dichiarare  la illegittimita' costituzionale delle
norme  previgenti  in  tema  di  imposta sulla pubblicita', contenute
nella legge 5 luglio 1961, n. 641, e nel successivo d.P.R. 26 ottobre
1972,  n. 639, nella parte in cui assoggettavano ad imposta "anche le
forme  di  propaganda  ideologica  effettuata, senza fini di lucro, a
diretta cura degli interessati" (sentenza n. 131 del 1973).

    2. - Non  puo'  essere  accolta  la eccezione di inammissibilita'
della  questione  per difetto di rilevanza, proposta dalla difesa del
Presidente  del  Consiglio  sull'assunto  che  il  giudice remittente
sarebbe privo di giurisdizione, spettando alle commissioni tributarie
la  decisione  della  controversia davanti ad esso proposta. Infatti,
all'epoca in cui ebbe luogo la violazione contestata, fu applicata la
sanzione  e fu proposta l'opposizione oggetto del giudizio a quo, era
in  vigore  l'originaria disciplina recata dall'art. 24, comma 1, del
decreto  legislativo  n. 507 del 1993, secondo cui per l'applicazione
delle sanzioni amministrative in materia di imposta sulla pubblicita'
si  osservavano  "le  norme contenute nelle sezioni I e II del capo I
della legge 24 novembre 1981, n. 689", alla cui stregua la competenza
a  conoscere delle opposizioni alle ordinanze ingiunzione applicative
di sanzioni amministrative spetta al giudice ordinario. Ne' puo' aver
rilievo  la  successiva  modifica  recata  a  detto art. 24, comma 1,
dall'art. 12  del  d.lgs. 18 dicembre 1997, n. 473, entrato in vigore
il  1o  aprile  1998,  che  rinviava  all'osservanza della disciplina
generale  delle sanzioni amministrative per la violazione delle norme
tributarie:   modifica   a   sua   volta   poi   superata  da  quella
successivamente intervenuta ad opera dell'art. 4, comma 3, del d.lgs.
5  giugno  1998,  n. 203, che ha nuovamente fatto richiamo alle norme
della  legge  n. 689  del  1981  e,  "per  le  violazioni delle norme
tributarie",  a  "quelle  sulla  disciplina  generale  delle relative
sanzioni  amministrative".  In  base  al  principio della perpetuatio
jurisdictionis  (art. 5  cod.  proc. civ.), infatti, la giurisdizione
del  giudice  ordinario, sussistente all'epoca della proposizione del
giudizio  a quo nonche' al momento della emanazione dell'ordinanza di
rimessione (19 febbraio 1998), non potrebbe essere comunque negata.

    3. - Nel  merito,  la  questione  non  e'  fondata,  in quanto e'
erronea  l'interpretazione  del sistema normativo sulla cui base essa
e' stata sollevata.
    Come   riconosce  lo  stesso  remittente,  l'art. 5  del  decreto
legislativo  n. 507  del  1993,  che  considera  rilevanti,  ai  fini
dell'imposizione,  solo  "i  messaggi  diffusi  nell'esercizio di una
attivita'  economica  allo  scopo  di promuovere la domanda di beni o
servizi,  ovvero  finalizzati  a  migliorare  l'immagine del soggetto
pubblicizzato"  (comma  2),  e'  formulato  in modo tale da escludere
dalla  soggezione  al  tributo  i  messaggi  di  contenuto  politico,
ideologico, religioso effettuati senza fine di lucro.
    Dai lavori preparatori risulta del resto che il testo dell'art. 5
e'  stato  consapevolmente  ed  intenzionalmente formulato in modo da
tener conto della statuizione di questa Corte (sent. n. 131 del 1973)
secondo cui non e' conforme a Costituzione l'assoggettare all'imposta
la  cosi' detta pubblicita' ideologica (cfr. la relazione allo schema
di  decreto  legislativo  a  norma dell'art. 4 della legge 23 ottobre
1992, n. 421, concernente il riordino della finanza territoriale).
    Questa  e'  la  disposizione  fondamentale  che  definisce in via
generale  i  presupposti  dell'imposizione,  ed e' dunque ad essa che
occorre  far  capo  per  stabilire  se una fattispecie rientri o meno
nell'area    dell'obbligo    tributario,    nonche'   per   orientare
coerentemente  l'interpretazione  delle altre specifiche disposizioni
del decreto legislativo in questione.
    Alla  esclusione  della  pubblicita'  ideologica dalla soggezione
all'imposta  non  pone  alcun ostacolo l'art. 8, pure denunciato, del
d.lgs.   n. 507,   che   si   limita   a  disciplinare  l'obbligo  di
dichiarazione   gravante   sui  soggetti  passivi  dell'imposta;  ne'
l'art. 15,  che  definisce  le tariffe per le forme della cosi' detta
"pubblicita'  varia",  sempre  sul presupposto, evidentemente, che si
tratti   di  messaggi  pubblicitari  soggetti  all'imposta  ai  sensi
dell'art. 5.
    Nulla in contrario puo' desumersi, diversamente da quanto ritiene
il  remittente,  nemmeno  dagli articoli 20 e 21 del decreto, i quali
non  riguardano  le  riduzioni  e  le  esenzioni  dall'imposta  sulla
pubblicita',  ma  quelle  relative al diverso diritto sulle pubbliche
affissioni,  comprensivo  bensi' anche dell'imposta sulla pubblicita'
(art. 19,  comma 1),  ma  dovuto  al  comune in relazione al servizio
delle  affissioni  da  questo prestato, e che ha quindi presupposti e
caratteri  differenziati  da  quelli  della predetta imposta: onde si
tratta  di  disposizioni,  come  esattamente  rileva  la  difesa  del
Presidente  del  Consiglio, estranee alla fattispecie dedotta davanti
al giudice a quo.
    Ma  anche  se si abbia riguardo agli articoli 16 e 17 del decreto
(non  impugnati),  che disciplinano rispettivamente le riduzioni e le
esenzioni   dall'imposta   sulla   pubblicita',  le  conclusioni  non
cambiano.  L'art. 17  non  aveva  ragione  di contemplare l'esenzione
della pubblicita' ideologica, in quanto si tratta di ipotesi, come si
e'  detto,  radicalmente  estranea  al  presupposto dell'imposizione.
Quanto   all'art. 16,  i  casi  di  riduzione  dell'imposta  da  esso
disciplinati  -  concernenti  la "pubblicita' effettuata da comitati,
associazioni,  fondazioni  ed  ogni altro ente che non abbia scopo di
lucro"   (lettera  a),  la  "pubblicita'  relativa  a  manifestazioni
politiche,   sindacali   e   di   categoria,   culturali,   sportive,
filantropiche  e religiose, da chiunque realizzate, con il patrocinio
o  la partecipazione degli enti pubblici territoriali" (lettera b), e
la  "pubblicita'  relativa a festeggiamenti patriottici, religiosi, a
spettacoli viaggianti e di beneficenza" (lettera c) - vanno intesi in
correlazione  ed  in  coerenza  con  la  definizione  legislativa del
presupposto  dell'imposta  offerta dall'art. 5: si tratta delle forme
di  pubblicita'  imponibile  ai  sensi dell'art. 5, qualificate dalla
natura  soggettiva  di  chi  le  effettua  (lettera a); e di forme di
pubblicita',  pur  sempre  rientranti  nella generale definizione del
presupposto  dell'imposta,  qualificate  non  gia' dal loro contenuto
politico,   culturale,   sportivo,   filantropico   o  religioso,  ma
dall'essere  relative a (cioe' dirette a diffondere la conoscenza di)
manifestazioni   di   tale   natura,   festeggiamenti  patriottici  o
religiosi, spettacoli viaggianti e di beneficenza (lettere b) e c).
    In   definitiva,   dunque,   dal   sistema  normativo  in  esame,
correttamente  interpretato,  non discende affatto che siano soggette
all'imposta le forme di propaganda di contenuto ideologico effettuate
senza  fini  di lucro, cui aveva riguardo la sentenza n. 131 del 1973
di  questa  Corte,  e  a  cui si riferisce la questione sollevata dal
giudice a quo: della quale, pertanto, non sussiste il fondamento.
                          Per questi motivi

                       LA CORTE COSTITUZIONALE
    Dichiara  non fondata la questione di legittimita' costituzionale
degli  articoli 5, 8, 15, 20 e 21 del decreto legislativo 15 novembre
1993, n. 507 (Revisione ed armonizzazione dell'imposta comunale sulla
pubblicita' e del diritto sulle pubbliche affissioni, della tassa per
l'occupazione  di  spazi  ed  aree pubbliche dei comuni nonche' della
tassa   per   lo  smaltimento  dei  rifiuti  solidi  urbani  a  norma
dell'art. 4  della  legge  23  ottobre  1992,  n. 421, concernente il
riordino  della finanza territoriale), sollevata, in riferimento agli
articoli  21  e  53,  primo comma, della Costituzione, dal pretore di
Bassano  del Grappa, sezione distaccata di Asiago, con l'ordinanza in
epigrafe.
    Cosi'  deciso  in  Roma,  nella  sede della Corte costituzionale,
Palazzo della Consulta, l'11 luglio 2000.
                      Il Presidente: Mirabelli
                         Il redattore: Onida
                      Il cancelliere: Di Paola
    Depositata in cancelleria il 19 luglio 2000.
              Il direttore della cancelleria: Di Paola
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