N. 504 ORDINANZA (Atto di promovimento) 9 marzo 2000

Ordinanza   emessa   dal  tribunale  amministrativo  regionale  della
Lombardia   sul  ricorso  proposto  da  Fornari  Giuseppe  contro  il
Ministero della giustizia

Avvocato  e procuratore - Esami di abilitazione per l'esercizio della
professione  -  Giudizio  espresso  esclusivamente mediante punteggio
numerico  -  Obbligo  di motivazione - Esclusione secondo l'indirizzo
interpretativo  del  Consiglio di Stato, non condiviso dal rimettente
ma costituente "diritto vivente" - Lamentata ingiustificata deroga al
principio    dell'obbligo    di    motivazione    dei   provvedimenti
amministrativi  previsto  dalla legge anche per i pubblici concorsi -
Incidenza   sui   principi   di   difesa   in   giudizio,  di  tutela
giurisdizionale, di imparzialita' e buon andamento della p.a., per la
difficolta' di conoscere e controllare le ragioni poste alla base del
giudizio  negativo  e  l'iter logico delle valutazioni compiute dalle
Commissioni  esaminatrici  - Richiesta di valutazione chiarificatrice
alla Corte costituzionale.
- Legge 7 agosto 1990, n. 241, art. 3.
- Costituzione, artt. 3, 24, 97 e 113.
Invia  subordinata (ove la Corte "ritenga conforme al dato normativo
  l'interpretazione dell'art. 3 della legge n. 241/1990 quale risulta
  dal   diritto   vivente"):   Avvocato  e  procuratore  -  Esami  di
  abilitazione   per  l'esercizio  della  professione  -  Obbligo  di
  motivazione  - Esclusione - Violazione dei principi di uguaglianza,
  di  imparzialita' e buon andamento della p.a. - Lesione del diritto
  di difesa e del principio della tutela giurisdizionale.
- Legge 7 agosto 1990, n. 241, art. 3.
- Costituzione, artt. 3, 24, 97 e 113.
(GU n.31 del 26-7-2000 )
art=3;

                IL TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE
    Ha pronunciato la seguente ordinanza sul ricorso n. 3003 del 1999
  proposto  da  Fornari  Giuseppe,  rappresentato  e difeso dall'avv.
  Maurizio  Orlando,  presso il quale e' elettivamente dimiciliato in
  Milano, piazzetta Guastalla n. 5;
    Contro  il Ministero della giustizia, costituitosi in giudizio in
  persona  del  Ministro  in  carica,  rappresentato e difeso ex lege
  dall'avvocatura  distrettuale  dello  Stato in Milano, presso i cui
  uffici  e'  domiciliato  in via Freguglia n. 1, per l'annullamento,
  previa sospensione:
        della  lettera  del  26 dicembre 1998 e relativi allegati del
  presidente   della   commissione  giudicatrice  per  gli  esami  di
  abilitazione  all'esercizio della professione di avvocato presso la
  Corte d'appello di Milano (sessione 1998/1999);
        nonche'  del  verbale  15 gennaio  1999 in cui la commissione
  predetta  ha  aderito  ai criteri ed alle soluzioni contenute nella
  suddetta missiva;
        in subordine, del giudizio di non ammissione alla prova orale
  espresso   nei   confronti   del   ricorrente   dalla,  commissione
  esaminatrice nel verbale del 18 maggio 1999.
    Visto il ricorso con i relativi allegati;
    Visto  l'atto di costituzione in giudizio del Ministero di grazia
  e giustizia;
    Viste le memorie prodotte dalle parti a sostegno delle rispettive
  difese;
    Visti gli atti tutti della causa;
    Udito  alla  pubblica  udienza del 9 marzo 2000 il relatore dott.
  Carlo Testori;
    Ritenuto in fatto e in diritto quanto segue:

                              F a t t o

    Il dott. Giuseppe Fornari ha sostenuto presso la Corte di appello
  di  Milano  le  prove  scritte  degli  esami di avvocato - sessione
  1998/1999,  sulle  quali  la  commissione  d'esame  ha  espresso un
  giudizio  negativo, che ha impedito al ricorrente di essere ammesso
  all'orale.
    Per  ottenere  l'annullamento  degli atti indicati in epigrafe il
  predetto  ha  adito  questo  tribunale con il ricorso n. 3303/1999,
  deducendo vizi di violazione di legge e di eccesso di potere.
    Si  e' costituito in giudizio il Ministero di grazia e giustizia,
  contestando   le  tesi  sostenute  nel  ricorso  e  chiedendone  la
  reiezione.
    Nella  camera  di  consiglio del 23 settembre 1999, con ordinanza
  n. 2554,  la  Sezione ha respinto la domanda cautelare proposta dal
  ricorrente.
    All'udienza  del  9 marzo  2000 la causa e' passata in decisione.
  Con    separata   sentenza   parziale   questa   Sezione,   risolte
  negativamente  le  eccezioni  di  inammissibilita'  del ricorso, ha
  sospeso  il  giudizio  ai  sensi  dell'art. 23, secondo comma della
  legge 11 marzo 1953, n. 87.

                            D i r i t t o

    1. -   L'illegittimita'  dell'impugnato  giudizio  negativo viene
  denunciata  nel  ricorso  sotto  molteplici  profili;  il  collegio
  ritiene  che  tra  questi  debba  essere  prioritariamente definito
  quello  riguardante  il  difetto  di  motivazione.  Cio'  in quanto
  l'obiettivo  del ricorrente e', insieme alla caducazione degli atti
  impugnati,  la  rinnovazione  del giudizio sulle sue prove scritte;
  rispetto  a  tale  obiettivo la decisione sulla censura relativa al
  profilo   motivazionale   risulta   centrale   non   solo  ai  fini
  dell'invocato annullamento del giudizio negativo gia' formulato, ma
  anche e soprattutto ai fini conformativi dell'attivita' che la p.a.
  sarebbe  chiamata  a  svolgere nell'eventualita' di un accoglimento
  del  gravame.  Percio'  il  collegio  ritiene  di  dover  esaminare
  innanzitutto la predetta censura.
    2. - Si  sostiene  in  proposito  che  detto  giudizio,  espresso
  esclusivamente  in forma numerica, attraverso voti contrasta con il
  principio  generale  enunciato  dall'art. 3,  comma  1  della legge
  7 agosto 1990, n. 241, a tenore del quale:
    "ogni  provvedimento  amministrativo, compresi quelli concernenti
  l'organizzazione   amministrativa,   lo  svolgimento  dei  pubblici
  concorsi  ed  il  personale,  deve essere motivato, salvo che nelle
  ipotesi  previste  dal  comma  2.  La  motivazione  deve indicare i
  presupposti  di fatto e le ragioni giuridiche che hanno determinato
  la  decisione  dell'amministrazione,  in  relazione alle risultanze
  dell'istruttoria".
    Sulla  questione dell'integrale applicabilita' della norma citata
  ai  giudizi  relativi  agli  esami di abilitazione professionale (e
  segnatamente  agli esami per accedere alla professione di avvocato)
  questa sezione si e' ripetutamente espressa in senso favorevole, da
  ultimo  con  le  sentenze  3 giugno  1998,  numeri 1154  e  1157  e
  30 giugno  1998  n. 1521. Ad analoghe conclusioni sono recentemente
  pervenuti  anche  il Tribunale amministrativo regionale di Lecce, I
  sezione,  nelle  sentenze  25 marzo  1997,  n. 207, 10 agosto 1996,
  n. 617  e  27  marzo  1996,  n. 119; ed il Tribunale amministrativo
  regionale di Brescia nella decisione 19 ottobre 1996, n. 990.
    Il   giudice   d'appello   ha,   invece,  adottato  un  contrario
  orientamento che riconosce, nell'ambito che qui interessa, la piena
  legittimita' del giudizio espresso esclusivamente mediante un voto,
  cioe' attraverso un mero punteggio numerico; e tale posizione viene
  giustificata  sostenendo,  da  un  lato,  che il voto sintetizza in
  forma   numerica   il   giudizio  e  contiene  in  se'  la  propria
  motivazione,  dall'altro  che l'art. 3 della legge sul procedimento
  amministrativo  e'  applicabile  alla  sola  attivita' propriamente
  provvedimentale e non anche all'attivita' di giudizio conseguente a
  valutazioni.
    Detto  consolidato  orientamento  e' stato seguito, tra le altre,
  nelle  sentenze  del Consiglio di Stato, VI sezione 27 maggio 1996,
  n. 747  e  15  ottobre  1993,  n. 727; V sezione 19 settembre 1995.
  n. 1323  (che  ribadisce la validita' dell'orientamento richiamato,
  pur   riconoscendo  la  necessita'  di  motivazione  del  punteggio
  negativo  attribuito,  in  caso  di  unico candidato di un pubblico
  concorso);  C.G.A.R.S.  29 dicembre  1997, n. 583 e 29 luglio 1997,
  n. 309  (che  superano  la  precedente,  isolata decisione di segno
  opposto  n. 228 del 31 maggio 1995); ed anche in sede consultiva il
  Consiglio di Stato si e' espresso nel senso indicato allorche', nel
  parere 9 novembre 1995, n. 120/1995 reso dall'adunanza generale, ha
  ritenuto  opportuna la modifica dell'art. 12, comma 1, del d.P.R. 9
  agosto  1994,  n. 487  in tema di accesso ai pubblici impieghi, nel
  senso  che  i  criteri  di  valutazione  nei concorsi devono essere
  stabiliti  al  fine  di  "assegnare" e non di "motivare" i punteggi
  attribuiti ai candidati, essendo la graduazione numerica un modo di
  differenziare le valutazioni.
    Detta modifica, che sembra avere espunto dall'ordinamento la sola
  norma,  seppure  di  rango  secondario,  che si poneva in obiettivo
  contrasto  con  la  menzionata, riduttiva lettura dell'art. 3 della
  legge  n. 241/1990,  appare  di  tutto  rilievo  in  relazione alla
  particolare  autorevolezza  dell'organo  da cui promana: l'adunanza
  generale  del  Consiglio  di  Stato e', infatti, chiamata a rendere
  un'interpretazione  potenzialmente  vincolante  per ogni successiva
  lettura  della  norma,  deliberando  essa  con la partecipazione di
  tutti   i   componenti   delle   ezioni   consultive  e  di  quelle
  giurisdizionali  ex  art. 17  de1  regio  decreto  26 giugno  1924,
  n. 1054.
    L'importanza  di tale avviso emerge anche dal fatto che esso pare
  sottendere  non  solo  l'inequivoco  intento di difendere il previo
  indirizzo   interpretativo,   ma   anche   quello   di  assecondare
  l'avvertita   preoccupazione  per  le  non  superabili  difficolta'
  indotte  dal  legislatore  sull'amministrazione  e  per  essa sulle
  commissioni  giudicatrici  da un cogente obbligo di motivazione dei
  giudizi negativi espressi in sede di pubblici concorsi ed esami.
    In proposito non si puo' non sottolineare, tuttavia, che i valori
  costituzionali  che  presiedono  all'emissione  del suddetto avviso
  dell'adunanza  generale  sono  quelli indicati dall'art. 100, primo
  comma  della  Costituzione  e  che  lo  stesso  e'  dunque  diretta
  espressione  della funzione primaria affidata da quest'ultima norma
  al  Consiglio  di  Stato,  che  e'  quella di rendere allo Stato la
  consulenza  giuridico-amministrativa e di garantire la tutela della
  giustizia all'interno della pubblica ministrazione.
    Le  ragioni  del  diverso  orientamento seguito da questa Sezione
  possono essere cosi' sintetizzate:
        l'affermazione   secondo  cui  il  voto  sarebbe  espressione
  sintetica,  ma  completa  del  giudizio,  recante  in  se'  la  sua
  motivazione,   e'   tanto  perentoria  quanto  insoddisfacente;  se
  significa   che,   ad   esempio,  un  esame  da  "5"  e'  un  esame
  insufficiente,  essa  si risolve in una mera tautologia: in realta'
  il  voto  e'  un  giudizio di cui sfugge la motivazione, perche' le
  ragioni  di  una  valutazione negativa (e la graduazione di questa)
  possono essere le piu' diverse: errori concettuali e/o ortografici,
  superficiale   o   confusa   conoscenza   della  materia  trattata,
  inadeguatezza   dell'esposizione,  mancata  comprensione  del  tema
  proposto,  incapacita'  di analisi e/o di sintesi, ed altre ancora;
  ed una specifica, ancorche' sintetica enunciazione delle ragioni di
  un  giudizio  non positivo corrisponde al generalissimo precetto di
  clare  loqui  consentendo al candidato un adeguato riscontro tra il
  contenuto  della prova svolta e la sua negativa valutazione: il che
  puo'  alternativamente condurre ad una consapevole reazione in sede
  giurisdizionale  ovvero all'accettazione del risultato, visto anche
  in funzione di aiuto e di indirizzo per le scelte future;
        l'esigenza  di  conoscere il "perche'" di un voto puo' essere
  soddisfatta  solo  quando  esso  e'  accompagnato  da  un  giudizio
  sintetico  o  trova illustrazione nella simbologia utilizzata nelle
  correzioni  apportate  ad  una  eventuale  prova scritta o, ancora,
  quando  puo' essere spiegato attraverso il raffronto con criteri di
  valutazione   predeterminati   in   modo   puntuale   e  pressoche'
  matematico;  in  mancanza  di tali elementi di raffronto l'esigenza
  predetta resta insoddisfatta;
        quanto   alla   tesi   secondo   cui   l'art. 3  della  legge
  n. 241/1990,  riferendosi  ad "ogni provvedimento amministrativo" e
  ricollegando  la  motivazione  "alle  risultanze  dell'istruttoria"
  farebbe    esclusivo    riferimento    all'attivita'   propriamente
  provvedimentale  e  non  anche  a quella di giudizio, conseguente a
  valutazione,  essa  appare confliggente con lo spirito della norma;
  in  una  legge di principi sul procedimento amministrativo, volta a
  garantire   la   trasparenza   e   l'imparzialita'   dell'attivita'
  amministrativa,  il  generale  obbligo  di  motivazione  di  "ogni"
  provvedimento  puo'  essere  escluso  solo  nei  casi espressamente
  previsti  e  cioe'  solo  "per  gli  atti  normativi e per quelli a
  contenuto  generale",  a  cui  puntualmente si riferisce il comma 2
  della  norma  citata;  e  d'altra  parte  il  comma  1 utilizza una
  terminologia  varia,  collegando  l'obbligo di motivazione prima al
  "provvedimento     amministrativoi",     poi     alla    "decisione
  dell'amministrazione":  il  che appare espressivo della volonta' di
  attribuire alla disposizione la piu' ampia portata.
    Il  collegio  ritiene  tuttora  valide  le  argomentazioni appena
  richiamate, che appaiono pertinenti al caso di specie, tenuto conto
  che   il   giudizio   contestato   e'   stato   espresso  in  forma
  esclusivamente  numerica,  che  gli  elaborati  del  ricorrente non
  presentano   alcuna  correzione  e  che  i  criteri  di  correzione
  enunciati  nella  seduta  della  commissione  del  15  gennaio 1999
  risultano generali ed astratti.
    Tuttavia  non  puo' trascurare il fatto che anche le piu' recenti
  decisioni  adottate  dal  giudice d'appello in sede di merito (cfr.
  Cons.  Stato, IV sezione 9 aprile 1999, n. 538, che ha annullato la
  sentenza  di questa sezione n. 1726 dell'8 ottobre 1997 pronunciata
  su  un caso analogo a quello di cui qui si controverte) e cautelare
  (cfr.  ordinanza  Cons.  Stato, IV sezione 21 maggio 1999, n. 1188)
  sono  conformi  al suo consolidato orientamento, contrario a quello
  di questa sezione.
    Si  deve  dunque  riconoscere  che,  secondo il "diritto vivente"
  quale risulta dalle decisioni del giudice d'appello, l'art. 3 della
  legge  n. 241/1990  (alla  luce  del  quale  vanno  interpretate le
  disposizioni  sull'esame  da  avvocato contenute nel r.d. 2 gennaio
  1934, n. 37 e, in particolare, quelle di cui agli artt. 17-bis e 23
  che  utilizzano  il  termine  "punteggio,"  esclude dall'obbligo di
  puntuale  motivazione  i  giudizi  espressi  in sede di valutazione
  degli esami di abilitazione professionale.
    In  tali condizioni questo collegio ritiene di non poter definire
  il  ricorso  semplicemente  insistendo nel riproporre le tesi della
  sezione, senza farsi carico dell'evidente contrasto con il "diritto
  vivente"  in  materia,  quale  emerge dal pacifico orientamento del
  Consiglio  di  Stato,  tenuto  conto  del rilievo che esso presenta
  sotto il profilo nomofilattico.
    3. - L'indubbio  vincolo  costituito,  di  fatto,  dal richiamato
  "diritto  vivente"  non  appare  tuttavia  sufficiente ad imporre a
  questo  giudice di adeguarsi all'indirizzo sinora avversato, atteso
  che  l'interpretazione  dell'art. 3  citato  seguita  sul punto dal
  Consiglio   di   Stato   appare   al   collegio   sospettabile   di
  illegittimita'  costituzionale.  Non  resta  allora che prospettare
  tali  dubbi  alla  Corte  costituzionale per averne una valutazione
  chiarificatrice.  E  che  il  giudice di merito, quando si trova di
  fronte  ad  indirizzi  giurisprudenziali  consolidati  da  lui  non
  condivisi  sul  piano  costituzionale,  possa rivolgersi al giudice
  delle  leggi e' stato ripetutamente riconosciuto dalla stessa Corte
  costituzionale,  da ultimo nelle sentenze 21 novembre 1997, n. 350,
  21 luglio  1995,  n. 345,  6 aprile 1995, n. 110, 24 febbraio 1995,
  n. 58.
    Nel  caso  in  esame  il  collegio  dubita  della  conformita'  a
  determinate   norme  costituzionali  dell'indirizzo  interpretativo
  dell'art. 3  della  legge  n. 241/1990  uniformemente  seguito  dal
  giudice  amministrativo  d'appello  in rapporto alla formulazione e
  motivazione   dei   giudizi   relativi  ad  esami  di  abilitazione
  professionale  (con specifico riguardo agli esami per accedere alla
  professione di avvocato). In particolare tali dubbi si prospettano:
        a) in  relazione  all'art. 3  della  Costituzione perche' non
  appare  ragionevole una disposizione normativa inserita nella legge
  generale  sul  procedimento  amministrativo che, mentre consacra il
  generale principio dell'obbligo di motivazione, tra l'altro facendo
  specifico  riferimento a "lo svolgimento dei pubblici concorsi", ne
  esclude  l'applicazione a categorie di atti (nella specie i giudizi
  sugli  esami  d'abilitazione)  rispetto  ai  quali  l'esigenza  dei
  destinatari  di  conoscere,  attraverso  un'idonea  motivazione, le
  concrete  ragioni  poste  a  fondamento  della loro adozione non e'
  diversa,  ne'  minore  di quella dei soggetti interessati agli atti
  amministrativi sicuramente vincolati all'osservanza della norma;
        b) in  relazione  agli  artt.  24 e 113 Cost., perche' la non
  soggezione all'obbligo di motivazione dei giudizi d'esame di cui si
  discute,  traducendosi nell'impossibilita' per il singolo candidato
  bocciato  di  conoscere  e  controllare le ragioni poste a base del
  giudizio negativo, interdice ogni concreta, tutela nella gia' assai
  limitata  sede  della  giurisdizione  di  legittimita',  in  cui al
  giudice  amministrativo  e'  consentito il solo riscontro dell'iter
  logico  delle  valutazioni  di  merito  compiute  dalle commissioni
  esaminatrici;  quando,  al contrario, anche tale limitato sindacato
  viene  precluso  di  fronte  al  mero  dato  numerico del voto, non
  illustrato,  cioe'  spiegato  da una almeno sintetica, ma concreta,
  motivazione;  la tutela cosi' consentita dall'ordinamento si riduce
  allora  al  solo  riscontro  di profili estrinseci e formali, quali
  quelli   inerenti   al   rispetto   delle  garanzie  connesse  alla
  collegialita' dell'organo giudicante ed alla sua composizione;
        c) in  relazione  all'art. 97 Cost. perche' la sottrazione di
  una   categoria   di   atti   all'obbligo   di  motivazione  appare
  confliggente  sia  con il principio di imparzialita' (evidentemente
  meno garantito da un giudizio espresso in forma solo numerica), sia
  con  il principio di buon andamento dell'amministrazione, che in un
  ordinamento  modernamente  democratico si traduce anche nella piena
  trasparenza   dell'azione   amministrativa;   ne'  le  esigenze  di
  snellezza  e  speditezza  del  procedimento,  pure riconducibili al
  principio  di  buon  andamento  ex  art. 97  Cost.,  possono essere
  ritenute  prevalenti  rispetto  all'esigenza  di assicurare il piu'
  corretto rapporto tra cittadino e amministrazione pubblica, essendo
  invece   diversamente  tutelabili  attraverso  un'applicazione  del
  principio  dell'obbligo  di motivazione ragionevole e proporzionato
  ai richiamati obiettivi di trasparenza e di tutela.
    4. - In  subordine,  ove  si  ritenga  conforme al dato normativo
  l'interpretazione dell'art. 3 della legge n. 241/1990 quale risulta
  dal  "diritto vivente" formatosi sul punto che riguarda il presente
  giudizio,  il  collegio  prospetta  l'illegittimita'  del  medesimo
  art. 3,   in   rapporto  ai  parametri  costituzionali  piu'  sopra
  richiamati e per le ragioni gia' illustrate.
    5. - Le   questioni   prospettate   appaiono   al   collegio  non
  manifestamente  infondate  e  sono  sicuramente  rilevanti, perche'
  dalla  loro  risoluzione  dipende l'accoglimento o meno del ricorso
  sotto il denunciato profilo del difetto di motivazione.
                              P. Q. M.
    Ritenuta  la  rilevanza  e  la  non  manifesta infondatezza delle
  questioni  di  legittimita' costituzionale sopra illustrate, ordina
  l'immediata trasmissione degli atti alla Corte costituzionale;
    Dispone  che,  a cura della segreteria, la presente ordinanza sia
  notificata  alle  parti in causa ed al Presidente del Consiglio dei
  Ministri  e  sia  comunicata  ai  Presidenti  delle  due Camere del
  Parlamento.
    Cosi'  deciso  in  Milano  nella  Camera di Consiglio del 9 marzo
  2000.
                       Il Presidente: Mariuzzo
Il giudice estensore: Testori
00C0810