N. 320 SENTENZA 11 - 21 luglio 2000

Giudizio per conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato.

Conflitto promosso dall'autorita' giudiziaria - Atto introduttivo del
giudizio  -  Forma dell'ordinanza, anziche' del ricorso - Idoneita' a
promuovere il conflitto - Eccezione di irricevibilita' - Rigetto.
- Legge   11   marzo  1953,  n. 87,  art.  37,  quarto  comma;  norme
  integrative  per  i giudizi davanti alla Corte costituzionale, art.
  26.
Conflitto promosso dall'autorita' giudiziaria - Atto introduttivo del
  giudizio   -   Ragioni   costituzionali   del  conflitto  -  Omessa
  indicazione  delle disposizioni costituzionali identificative delle
  attribuzioni  difese  in giudizio - Eccezione di inammissibilita' -
  Rigetto.
- Costituzione,  art.  68,  primo  comma; legge 11 marzo 1953, n. 87,
  art.  37;  norme  integrative  per  i  giudizi  davanti  alla Corte
  costituzionale, art. 26.
Parlamento - Immunita' parlamentari - Dichiarazioni rese da un membro
  del  Parlamento  a  un  organo  di stampa - Procedimento penale per
  diffamazione   a   mezzo   stampa   a  carico  del  parlamentare  -
  Deliberazione  di  insindacabilita'  della Camera di appartenenza -
  Conflitto  tra  poteri  dello  Stato  promosso  dal  giudice per le
  indagini  preliminari  presso  il Tribunale di Reggio Calabria, nei
  confronti    della   Camera   dei   deputati   -   Riconducibilita'
  dell'attivita'  incriminata a quella garantita dalla Costituzione -
  Spettanza   alla  Camera  dei  deputati  del  potere  di  affermare
  l'insindacabilita' delle dichiarazioni rese dal parlamentare.
- Deliberazione della Camera dei deputati 9 dicembre 1998.
- Costituzione, art. 68, primo comma.
(GU n.31 del 26-7-2000 )
                       LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
Presidente: Cesare MIRABELLI;
  Giudici:  Francesco  GUIZZI,  Fernando  SANTOSUOSSO,  Massimo VARI,
Cesare RUPERTO, Riccardo CHIEPPA, Gustavo ZAGREBELSKI, Valerio ONIDA,
Carlo  MEZZANOTTE, Fernanda CONTRI, Guido NEPPI MODONA, Piero Alberto
CAPOTOSTI, Annibale MARINI, Franco BILE, Giovanni Maria FLICK;
ha pronunciato la seguente


                              Sentenza

nel  giudizio  per  conflitto  di attribuzione tra poteri dello Stato
sorto  a  seguito della delibera del 9 dicembre 1998 della Camera dei
deputati  relativa  alla  insindacabilita'  delle  opinioni  espresse
dall'on. Amedeo  Matacena  nei  confronti  del dott. Vincenzo Macri',
promosso  con  ricorso del giudice per le indagini preliminari presso
il  Tribunale  di  Reggio  Calabria,  notificato  il  5 ottobre 1999,
depositato  in  cancelleria  il 20 successivo e iscritto al n. 33 del
registro conflitti 1999.
    Visto l'atto di costituzione della Camera dei deputati;
    Udito  nell'udienza pubblica del 7 marzo 2000 il giudice relatore
Gustavo Zagrebelsky;
    Udito l'avvocato Massimo Luciani per la Camera dei deputati.

                          Ritenuto in fatto

    1.1. - Nel  corso  di  un  procedimento  penale  concernente, tra
l'altro,  il  reato  di diffamazione a mezzo stampa (artt. 595, commi
secondo  e  terzo,  cod. pen., e 13 e 21 della legge 8 febbraio 1948,
n. 47)  addebitato  al  deputato  Amedeo  Matacena, il giudice per le
indagini  preliminari  presso  il  Tribunale  di  Reggio  Calabria ha
promosso,   con   ordinanza   del  19  febbraio  1999,  conflitto  di
attribuzione  tra  poteri  dello Stato nei confronti della Camera dei
deputati,  in  relazione  alla  deliberazione, adottata il 9 dicembre
1998,  con  la  quale la Camera, accogliendo la proposta della Giunta
per  le  autorizzazioni  a procedere, ha dichiarato che i fatti per i
quali e' in corso il procedimento penale concernono opinioni espresse
dal  deputato  nell'esercizio  delle  sue  funzioni,  con conseguente
insindacabilita'   a   norma   dell'art. 68,   primo   comma,   della
Costituzione.
    1.2. - Il  deputato  Matacena  premette, in fatto, il giudice che
solleva il conflitto e' stato imputato di diffamazione in relazione a
un  articolo,  non firmato, apparso sul giornale "Il quotidiano della
Calabria"  in  data  26  marzo  1997; in detto articolo si dava conto
della  presentazione  di  una  denuncia  da  parte di Amedeo Matacena
senior   padre  del  deputato,  e  imputato  anch'egli  nel  medesimo
procedimento  penale,  con  l'imputazione di calunnia contro Vincenzo
Macri',  magistrato  addetto  alla  Direzione nazionale antimafia; la
denuncia,  secondo il testo dell'articolo, era "volta ad accertare se
il  PM nazionale Vincenzo Macri' avesse avuto o no titolo a percepire
la  diaria  che  normalmente  compete  ai  funzionari dello Stato che
vengono  distaccati  in luoghi dove non hanno alcuna dimora. Matacena
senior"  -  proseguiva  il  testo  dell'articolo - "fa riferimento al
fatto  che il magistrato alla data del 17 aprile 1993 era residente a
Reggio  Calabria.  E  per  dimostrare che la residenza in citta' dura
tuttora,   tocca   il   tasto   del  servizio  di  vigilanza  attorno
all'abitazione  del  magistrato,  argomento che per le forti critiche
fatte  in  passato sono costate all'anziano armatore una condanna per
diffamazione del giudice Macri'". Nell'articolo, poi, veniva riferito
che  la denuncia riportava la risposta scritta del Ministro di grazia
e  giustizia  a  un'interrogazione  parlamentare  del deputato Amedeo
Matacena,  figlio  del  denunciante, sul medesimo argomento; in detta
risposta  del  Ministro,  sintetizzata  anch'essa  nell'articolo,  si
chiariva   "... che  i  magistrati  di  quell'ufficio  [la  Direzione
nazionale   antimafia]  dimorano  di  fatto  a  Roma  e  percepiscono
l'indennita'   di   missione   allorche'   svolgono  attivita'  fuori
dell'ordinaria sede di servizio e del luogo di abituale dimora".
    Avviate  le  indagini sulla base di denuncia-querela proposta dal
magistrato  nei  confronti  di  entrambi  i Matacena, e formulata dal
pubblico  ministero richiesta di rinvio a giudizio degli imputati, la
Camera  dei deputati, su richiesta del suo componente, ha dichiarato,
con  deliberazione  del  9  dicembre 1998, su conforme proposta della
Giunta  per le autorizzazioni a procedere, che i fatti per i quali e'
in  corso  il  procedimento  penale  concernono opinioni espresse dal
deputato   nell'esercizio   delle   sue   funzioni,  con  conseguente
insindacabilita'   a   norma   dell'art. 68,   primo   comma,   della
Costituzione.
    La   deliberazione  della  Camera  prosegue  l'ordinanza  che  ha
promosso il conflitto si incentra sul rilievo, formulato dalla Giunta
e  fatto  proprio  dall'Assemblea,  secondo  il  quale "l'antecedente
logico  di  tutta  la  vicenda  e' costituito da un atto di sindacato
ispettivo  presentato  dall'on. Matacena",  cioe' dall'interrogazione
parlamentare  al  Ministro  di  grazia  e giustizia n. 4-02698 del 31
luglio  1996,  cui  inscindibilmente  si  connetterebbero  le vicende
successive,  dall'iniziativa  del  padre  del  deputato, all'articolo
pubblicato  sul giornale; quest'ultimo pertanto rappresenterebbe, per
la  Camera,  divulgazione  di  un'attivita'  parlamentare e, per cio'
stesso,  un comportamento scriminato dall'art. 68, primo comma, della
Costituzione.
    1.3. - Cio'  premesso,  il  ricorrente  osserva che, alla stregua
delle  risultanze  processuali  e  dello  stesso  articolo  (il quale
esordisce  enunciando  che  "Il  deputato  di Forza Italia on. Amedeo
Matacena  ha  reso  noto che il padre ..."), non sussistono dubbi ne'
circa  lo svolgimento dei fatti ne' circa la riferibilita' di essi al
deputato;  si  tratta  dunque,  prosegue  il  ricorrente, soltanto di
verificare  se all'attivita' posta in essere dal deputato possa dirsi
applicabile  la  prerogativa costituzionale e se, in particolare, sia
ravvisabile  nel  caso  in  esame il nesso funzionale tra l'attivita'
"tipica"  del  parlamentare (l'interrogazione) e quella successiva ed
"esterna"  (la pubblicazione), nesso che giustifica l'estensione alla
seconda della garanzia posta per la prima.
    A   tale  riguardo,  il  giudice  critica  la  qualificazione  di
"attivita'   parlamentare"   che   la   Camera   ha  attribuito  alla
pubblicazione  nel  caso  di  specie,  poiche'  il taglio complessivo
dell'informazione,  ispirata  dal  deputato, non consentirebbe questa
qualificazione:   l'articolo  esordisce  annunciando  una  iniziativa
giudiziaria  di  chi  non e' deputato - il padre del parlamentare - e
prosegue  menzionando  precedenti  controversie  giudiziarie  tra  la
stessa  persona  e  il  magistrato,  risoltesi  peraltro  a favore di
quest'ultimo; solo in chiusura dell'articolo, si da' conto di stralci
della    risposta    (in   data   3   aprile   1997)   del   Ministro
all'interrogazione del deputato Matacena.
    Nel  suo  assieme  e  per il suo divulgare iniziative assunte nei
confronti  di un magistrato da una persona, non parlamentare, che con
il  primo  coltiva  una remota conflittualita', l'articolo pubblicato
non  potrebbe  dunque  ricollegarsi alla funzione parlamentare svolta
dal  deputato  Matacena,  funzione che ha natura personalissima e che
non  e'  estensibile  a  terzi.  Anzi,  la  pubblicazione in discorso
riveste,  per  il ricorrente, il carattere di uno "sfogo pubblico" di
iniziative giudiziarie assunte dal genitore del deputato, e lo stesso
sintetico accenno al contenuto della risposta del Ministro appare, in
questo    quadro,    un   espediente,   strumentale   alla   "cattura
dell'interesse  del  pubblico"  su  una vicenda che e' e rimane tutta
privata.
    Ritenendo,  in conclusione, incongrua e arbitraria la valutazione
che  nel caso concreto e' stata effettuata dalla Camera dei deputati,
il  giudice per le indagini preliminari chiede, sollevando conflitto,
che la Corte costituzionale dichiari che non spettava alla Camera dei
deputati  affermare  l'insindacabilita',  a norma dell'art. 68, primo
comma,  della Costituzione, delle opinioni espresse dal deputato, per
le  quali  e'  sottoposto  a  procedimento penale, e conseguentemente
annulli  la  relativa  deliberazione,  adottata  dall'Assemblea nella
seduta del 9 dicembre 1998, per riportare i fatti dedotti in giudizio
sotto  il  dominio  delle  regole  comuni,  non  sussistendo la ratio
giustificativa della prerogativa.

    2. - Con  ordinanza  n. 319  del  1999 la Corte costituzionale ha
dichiarato  l'ammissibilita'  del conflitto; il ricorso e l'ordinanza
sono  stati  notificati  alla Camera dei deputati il 5 ottobre 1999 e
depositati il successivo 20 ottobre.
    3.1.  -  Nel giudizio cosi' instaurato si e' costituita la Camera
dei  deputati,  per  chiedere  che  l'atto  introduttivo sia ritenuto
irricevibile  o  che il conflitto sia dichiarato inammissibile e, nel
merito, respinto.
    3.2.  -  Secondo la Camera, il conflitto sarebbe irricevibile per
essere  l'atto  introduttivo costituito da un'ordinanza, forma questa
che  non  sarebbe idonea a promuovere il giudizio per conflitto, alla
luce  degli artt. 37, quarto comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87,
e  26  delle  norme  integrative  per  i  giudizi  davanti alla Corte
costituzionale, i quali considerano testualmente il (solo) "ricorso",
escludendo equipollenti di esso.
    3.3.   -   Il   conflitto,   secondo   la   Camera,  sarebbe  poi
inammissibile,    poiche'    dal   ricorso   non   si   ricaverebbero
"l'esposizione  sommaria  delle  ragioni di conflitto e l'indicazione
delle  norme  costituzionali che regolano la materia", secondo quanto
prescritto dall'art. 26 delle norme integrative.
    Non   sarebbe,   nella   specie,   sufficiente  la  menzione  che
l'ordinanza-ricorso  fa  dell'esigenza  del "pieno riespandersi della
giurisdizione",  giacche'  le  disposizioni che "regolano la materia"
non  si  esauriscono  nell'art. 68 della Costituzione, ma comprendono
quelle concernenti le attribuzioni dell'autorita' giudiziaria.
    3.4.  - Nel merito del conflitto, la Camera dei deputati richiede
che    la    Corte   dichiari   che   spettava   a   essa   affermare
l'insindacabilita' delle opinioni del deputato Matacena.
    Anche    alla   stregua   dell'indirizzo   della   giurisprudenza
costituzionale,  ampiamente  richiamata  nell'atto di costituzione in
giudizio,  rileva  in  via generale la Camera che, in materia, nessun
problema  sorge  per  i  due casi "estremi", delle opinioni contenute
negli  atti  tipici  della  funzione (ad esempio, un'interrogazione),
certamente   ricomprese  nella  garanzia,  e  all'opposto  di  quelle
puramente  personali  ed  estranee  alla  sfera  politica, certamente
escluse:  il  problema  si  pone per la zona intermedia, dovendosi di
volta  in  volta  accertare l'esistenza del "nesso funzionale" tra le
opinioni  e  il  mandato  parlamentare,  per  farne derivare, in caso
positivo,  la  prerogativa dell'insindacabilita'. A tale fine, assume
particolare rilievo, secondo la Camera, l'art. 67 della Costituzione,
che  stabilisce  che  "ogni  membro  del  Parlamento  rappresenta  la
Nazione",   perche'   da   tale   principio  si  ricaverebbe  che  la
rappresentanza  e'  di tipo politico, e che l'attivita' parlamentare,
in  quanto  libera  nel fine, non ha un terreno predefinito che possa
essere stabilito a priori: cio' rileverebbe, ai fini che interessano,
nel senso di negare la riconducibilita' al mandato parlamentare delle
sole attivita' che siano "manifestamente" estranee alla funzione.
    Cio'  premesso  in generale circa il metodo da utilizzare ai fini
della  risoluzione  del  conflitto, la Camera osserva che nel caso di
specie  deve ritenersi sussistente la "connessione funzionale" che e'
la   condizione   necessaria   e   sufficiente   per   l'affermazione
dell'insindacabilita'.
    I   fatti   contestati   al   deputato   Matacena  consistono  in
dichiarazioni rese dallo stesso e intimamente connesse con un atto di
esercizio   della   funzione   di  sindacato  ispettivo;  all'origine
dell'intera  vicenda, infatti, si colloca l'interrogazione n. 4-02698
presentata  dal  deputato  in  data  31  luglio  1996: l'articolo del
quotidiano  non fa altro che riprendere il contenuto di quello stesso
atto,     che    per    definizione    si    osserva    e'    coperto
dall'insindacabilita',  menzionando successivi ma pur sempre connessi
atti riguardanti la stessa vicenda, cioe' i presunti abusi contestati
al magistrato.
    Ineccepibile  risulta  dunque,  per  la  Camera  dei deputati, la
relazione  della  Giunta per le autorizzazioni a procedere, poi fatta
propria dal relatore nella seduta dell'Assemblea, secondo la quale l'
"antecedente  logico  di tutta la vicenda e' costituito da un atto di
sindacato  ispettivo"  presentato  dal  deputato,  atto cui "tutto il
resto ... si connette inscindibilmente".
    A  fronte  di  cio', rileva la Camera, le contestazioni mosse dal
giudice  ricorrente  non sono fondate. Il giudice sembra distinguere,
nel contesto della pubblicazione, tra il fatto storico della denuncia
presentata  dal  padre del deputato e la menzione dell'interrogazione
parlamentare,   che   pero',   sempre  secondo  il  giudice,  sarebbe
"strumentale"  in quanto preordinata a divulgare una vicenda privata.
Ma  tale conclusione, si osserva, e' errata: il fatto di rendere noto
che  e'  stata  presentata  una  altrui  denuncia,  nella quale si fa
menzione  esplicita  di  una  propria  attivita' ispettiva e', per il
parlamentare,  attivita'  strettamente  collegata  all'interrogazione
medesima;  interrogazione  nella quale, inoltre, si prospettava anche
la possibilita' di una denuncia da parte del magistrato, denuncia che
in  effetti  e'  successivamente  intervenuta,  cosicche' darne conto
nell'articolo  non  ha  altro significato che quello di ricollegarsi,
ancora, all'interrogazione.
    Del  resto, impedire al parlamentare di intervenire pubblicamente
su  una  questione  che  ha formato oggetto di una sua interrogazione
equivarrebbe si osserva ancora a far rivivere la vecchia teoria della
copertura costituzionale delle sole opinioni "intramurarie", tesi che
la Corte costituzionale ha gia' respinto.
    Ne'  ad avviso della Camera puo' avere rilievo la circostanza che
la  denuncia  cui  si  riferisce  l'articolo sia stata presentata dal
padre  del  deputato  Matacena:  cio' non trasforma, come sostiene il
ricorrente,  in  vicenda  privata un problema che e' invece politico,
come e' dimostrato dal fatto che il Ministro di grazia e giustizia ha
ritenuto di rispondere all'interrogazione.
    Sussistono  infine,  si osserva, oltre ai presupposti sostanziali
per  la  dichiarazione  di  insindacabilita',  i requisiti formali di
validita'  di  essa: la Giunta ha proceduto in contraddittorio con il
deputato,   e   l'Assemblea  ha  deliberato,  recependo  le  motivate
conclusioni  della  Giunta,  dopo  aver ascoltato le osservazioni del
relatore.
    La  Camera  chiede  pertanto  che sia riconosciuta la sussistenza
degli  elementi,  sostanziali  e  procedurali, dell'insindacabilita',
che,  conclude, e' posta a presidio della rappresentanza e dunque del
corretto  svolgimento della funzione parlamentare, secondo il disegno
della Costituzione.

    4. - In  prossimita'  dell'udienza,  la  Camera  dei  deputati ha
depositato   una   memoria   nella   quale  si  aggiungono  ulteriori
argomentazioni   sia   per   ribadire   le   eccezioni  di  carattere
processuale, sia quanto al merito del conflitto.
    Nel  merito,  in particolare, la memoria della Camera si sofferma
sulle  piu'  recenti pronunce rese dalla Corte costituzionale in tema
di  insindacabilita'  parlamentare  (sentenze nn. 58, 56, 11 e 10 del
2000),  per  rilevare  in  primo  luogo  che, anche se tali decisioni
rappresentano  per  certi  profili un mutamento di indirizzo rispetto
alla giurisprudenza precedente (mutamento del resto dichiarato, nella
sentenza  n. 10), tuttavia esse si collocano a brevissima distanza da
una  decisione di segno diverso (sentenza n. 417 del 1999), cosicche'
non  potrebbe  dirsi, allo stato, che sia maturato un nuovo indirizzo
giurisprudenziale  realmente  consolidato,  ne'  che  sia conclusa la
problematica  determinazione  dei  criteri del giudizio sui conflitti
tra giudici e Parlamento, in riferimento all'art. 68 Cost.
    Nel quadro della giurisprudenza costituzionale resa fino all'anno
1999,   prosegue  la  Camera,  non  vi  sarebbe  alcun  dubbio  circa
l'applicabilita'  dell'art. 68,  primo comma, della Costituzione alle
dichiarazioni   rese   dal   deputato   Matacena,   essendosi  sempre
riconosciuto  il  nesso con la funzione parlamentare quando vi sia un
"complessivo  contesto parlamentare" nel quale le opinioni sono state
manifestate (sentenza n. 417 del 1999 citata).
    Tuttavia,   prosegue   la   memoria,  neppure  l'indirizzo  della
giurisprudenza  costituzionale  piu'  recente  puo' portare a diversa
conclusione;  e  al  riguardo,  la  Camera svolge un raffronto con la
fattispecie decisa dalla sentenza n. 10 del 2000.
    In questa decisione, si e' affermato che le dichiarazioni esterne
sono   coperte   dalla  garanzia  costituzionale  solo  quando  siano
"sostanzialmente   riproduttive   di  un'opinione  espressa  in  sede
parlamentare".
    Al  di  la'  di  possibili considerazioni critiche che potrebbero
svolgersi  riguardo  a  questo indirizzo che sembra tener conto di un
dato  estrinseco-formale  piu'  che di una corrispondenza di sostanza
osserva  la  resistente  che  nel caso all'esame della Corte sussiste
comunque  proprio  la stessa riproduzione delle dichiarazioni rese in
sede   parlamentare:  nell'interrogazione  del  31  luglio  1996  del
deputato  Matacena, si formulava espressamente l'invito al Presidente
del  Consiglio  dei  Ministri  e  al Ministro di grazia e giustizia a
valutare  se  la  percezione dell'indennita' di missione da parte del
dott.  Macri',  applicato  alla  direzione  distrettuale antimafia di
Reggio  Calabria,  nonostante la sua residenza nella medesima citta',
integrasse  il reato di truffa e fosse percio' meritevole di denuncia
penale;  nell'atto  di  sindacato  ispettivo  l'eventualita'  di  una
denuncia  era  dunque  esplicitamente prospettata, e nella successiva
dichiarazione   resa   all'esterno  nulla  si  aggiunge,  riferendosi
soltanto   che   in   effetti  una  denuncia,  relativa  allo  stesso
comportamento contestato in sede parlamentare, era stata presentata.
    A  fronte  di  tale  evidente  identita' di sostanza, prosegue la
Camera,  la  pretesa del giudice ricorrente, espressa nel ricorso, di
definire   la  "congrua"  divulgazione  dell'attivita'  parlamentare,
fissandone perfino il tipo di atto, i tempi e cosi' via, in una sorta
di   "decalogo"   della  divulgazione  stessa,  e',  per  la  Camera,
inaccettabile: una impostazione del genere svuoterebbe di significato
la  garanzia  costituzionale  dell'insindacabilita',  affidandone  la
delimitazione  proprio  al potere giudiziario, sovente contrapposto a
quello   che   dalla   garanzia   e'  assistito,  e  pertanto  simile
impostazione deve essere, in conclusione, respinta.

                       Considerato in diritto


    1. -  Il presente conflitto di attribuzione e' stato promosso dal
giudice  per  le  indagini  preliminari presso il Tribunale di Reggio
Calabria  contro  la  Camera dei deputati, in relazione alla delibera
della  Camera stessa del 9 dicembre 1998 con la quale si e' affermata
l'insindacabilita'  - alla stregua dell'art. 68, primo comma, Cost. -
delle  affermazioni  contenute in un articolo di giornale ascritto al
deputato  Amedeo  Matacena,  affermazioni per le quali, come riferito
nell'esposizione  dei fatti di causa, e' in corso un procedimento per
diffamazione  a  mezzo  stampa, pendente presso l'ufficio giudiziario
ricorrente.  Ritiene  il  giudice  ricorrente  che  la  deliberazione
impugnata della Camera dei deputati sia espressione di una concezione
dell'insindacabilita'  parlamentare  piu'  ampia  di  quella  che  la
Costituzione  prevede,  circoscritta alle opinioni espresse e ai voti
dati  nell'esercizio delle funzioni, e su questa premessa ricorre per
conflitto di attribuzione.

    2. - La    difesa    della    Camera   dei   deputati   eccepisce
preliminarmente l'irricevibilita' dell'atto introduttivo del giudizio
e  l'inammissibilita'  del conflitto: l'irricevibilita', per avere il
giudice  ricorrente  utilizzato  la forma dell'ordinanza, in luogo di
quella  del  ricorso,  prescritta dagli artt. 37, quarto comma, della
legge  11  marzo  1953,  n. 87,  e  26  delle norme integrative per i
giudizi  davanti  alla  Corte costituzionale; l'inammissibilita', per
avere  trascurato  di esporre, sia pure sommariamente, le ragioni del
conflitto,  attraverso  l'indicazione  delle norme costituzionali che
regolano  la  materia,  conformemente  a quanto previsto nel medesimo
art. 26, ora ricordato.
    Le  eccezioni  non  sono  fondate. Quanto all'irricevibilita', e'
sufficiente  richiamare  gli  argomenti  con  i quali questa Corte ha
ritenuto,   per   l'ipotesi   di  conflitto  promosso  dall'Autorita'
giudiziaria,  che  l'atto  introduttivo  sia  idoneo  a promuovere il
giudizio  per  conflitto  di  attribuzione tutte le volte in cui esso
corrisponda, nel contenuto, al ricorso quale disciplinato dalla legge
(per   tutte,   sentenza  n. 10  del  2000)  e,  nella  specie,  tale
corrispondenza   non  e'  ne'  contestata  ne'  contestabile.  Quanto
all'inammissibilita',  dedotta rilevando la mancata esposizione delle
ragioni  costituzionali  del  conflitto  -  carenza che discenderebbe
dall'omessa  indicazione  delle  norme  costituzionali identificative
delle  attribuzioni  giurisdizionali  difese  in  giudizio  -,  basta
rilevare  in  contrario  che  la prospettata violazione dell'art. 68,
primo   comma,  della  Costituzione,  quando  comporti,  in  ipotesi,
un'estensione  abusiva  della garanzia al di la' dei casi ai quali si
riferisce, si traduce di per se' in una violazione delle attribuzioni
dell'Autorita'  giudiziaria,  quali  determinate  dalla Costituzione.
Essendo  l'art. 68,  primo comma, della Costituzione posto al confine
tra  protezione  del  parlamentare e ambito della giurisdizione, ogni
estensione non consentita dell'una ridonda automaticamente in lesione
della   sfera   di   attribuzioni  dell'altro  e  viceversa,  con  la
conseguenza   che  l'indicazione  dell'art. 68,  primo  comma,  della
Costituzione  e' sufficiente a ritenere adempiuto l'onere di indicare
la  norma  costituzionale  che  regola  la  materia,  delimitando  le
attribuzioni  costituzionali  in  discussione  nel presente giudizio,
secondo   la   previsione  dell'art. 26  delle  norme  integrative  e
dell'art. 37 della legge n. 87 del 1953.

    3. - Nel   merito,  il  ricorso  per  conflitto  di  attribuzione
proposto  dal giudice per le indagini preliminari presso il Tribunale
di Reggio Calabria non e' fondato.
    3.1. - Trattandosi di valutare l'applicabilita' della prerogativa
parlamentare prevista dal primo comma dell'art. 68 della Costituzione
a  dichiarazioni  rese  da  un  membro  del Parlamento a un organo di
stampa, dichiarazioni dunque rilasciate al di fuori dell'esercizio di
attivita'  parlamentari  tipiche,  l'intero problema si risolve nello
stabilire  se  -  cio'  non di meno - esse siano "identificabili come
espressioni  di  attivita'  parlamentare" (sentenze nn. 10 del 2000 e
329  del  1999)  e  quindi  siano  da ricomprendere nella sfera delle
attivita'   dei   membri  del  Parlamento  assistite  dalla  garanzia
costituzionale.
    Come  piu'  volte affermato dalla giurisprudenza di questa Corte,
ai  fini  di  tale identificazione non basta la semplice comunanza di
argomenti,   oggetto   di   attivita'   parlamentari   tipiche  e  di
dichiarazioni   fatte   al   di   fuori   di   esse,   ne'  basta  la
riconducibilita'   di  queste  ultime  dichiarazioni  a  un  medesimo
"contesto politico" (sentenze nn. 375 del 1997, 329 del 1999 e 58 del
2000,  nonche'  n. 56  del 2000). Occorre invece che la dichiarazione
possa essere qualificata come "espressione di attivita' parlamentare"
(sentenze  nn. 10  e  11 del 2000), il che normalmente accade se e in
quanto  sussista una sostanziale corrispondenza di significati tra le
dichiarazioni   rese  al  di  fuori  dell'esercizio  delle  attivita'
parlamentari tipiche svolte in Parlamento e le opinioni gia' espresse
nell'ambito di queste ultime.
    Nell'ordinario svolgimento della vita democratica e del dibattito
politico  (sentenze  nn. 10  e  56  del  2000), questo la sostanziale
corrispondenza  e  quindi  il  carattere  divulgativo - e' infatti il
criterio  che  consente  di  identificare le dichiarazioni rese al di
fuori  di  quelle  attivita' e ciononostante riconducibili o inerenti
alla  funzione  parlamentare,  distinguendole  cosi'  da  quelle  che
ricadono  nel  diritto  comune  a  tutti  i cittadini e proteggendole
tramite   la  speciale  garanzia  dell'art. 68,  primo  comma,  della
Costituzione, senza con cio' determinare situazioni ingiustificate di
privilegio  personale  (sentenza  n. 375  del  1997). L'attivita' dei
membri  delle  Camere  nello Stato democratico rappresentativo e' per
sua  natura  destinata  infatti  a proiettarsi al di fuori delle aule
parlamentari,  nell'interesse della libera dialettica politica che e'
condizione  di  vita  delle  istituzioni  democratico-rappresentative
(sentenze nn. 11 e 56 del 2000).
    3.2.  -  Nella  specie, il contenuto delle dichiarazioni affidate
alla  stampa  dal  deputato  Matacena  corrisponde a quanto affermato
dallo stesso nell'interrogazione parlamentare presentata il 31 luglio
1996.  In  essa  si  richiama  l'attenzione  del Ministro di grazia e
giustizia   sul   percepimento  di  determinate  somme  a  titolo  di
indennita'  di  missione  da parte di un magistrato, percepimento che
l'interrogante   presume  indebito;  si  ipotizza  la  necessita'  di
promuovere  la  restituzione  delle  somme medesime e si sollecita la
presentazione  di  una  denuncia all'Autorita' giudiziaria sulla base
della   ritenuta   rilevanza  penale  del  comportamento  tenuto  dal
magistrato.  Parallelamente,  nell'articolo  di stampa, attribuito al
deputato      interrogante,      si      riferisce     dell'esistenza
dell'interrogazione e della risposta del Ministro e si da' notizia di
una  denuncia,  sporta  dal  padre  del  deputato  nei  confronti del
magistrato,   riguardante   gli   stessi   fatti   oggetto  dell'atto
parlamentare.  Ne'  la  strutturazione dell'articolo a stampa - cioe'
l'utilizzazione  del  contenuto  di  un atto altrui per richiamare il
contenuto  di  un  atto parlamentare -; ne' l'indicazione, accanto al
contenuto principale, di circostanze di contorno, di per se' prive di
autonomo  significato,  come  quella,  riferita  nell'esposizione  in
fatto,  relativa  a  un  precedente  contenzioso  tra la famiglia del
deputato   e   il  magistrato  in  questione,  valgono  a  negare  la
sostanziale  corrispondenza tra il contenuto di questo e il contenuto
di  atti  parlamentari  precedenti.  E  tale  corrispondenza con atti
compiuti  ed  ammessi  nell'esercizio  della funzione di parlamentare
rende  irrilevante  la  ragione,  ritenuta  dal  ricorrente di natura
personale,  che  puo',  ipoteticamente,  aver  mosso  il  deputato  a
promuovere la pubblicazione dell'articolo di stampa in questione.

    4. - Riconosciuta   cosi'   la   riconducibilita'  dell'attivita'
incriminata a quella a garanzia della quale e' posto l'art. 68, primo
comma,  della Costituzione, il giudizio sul conflitto di attribuzione
proposto  dal giudice per le indagini preliminari presso il Tribunale
di  Reggio  Calabria  contro la Camera dei deputati deve risolversi a
favore di quest'ultima.
                          Per questi motivi

                       LA CORTE COSTITUZIONALE
    Dichiara   che   spetta   alla   Camera  dei  deputati  affermare
l'insindacabilita',   ai   sensi  dell'art. 68,  primo  comma,  della
Costituzione,   delle  dichiarazioni  espresse  dal  deputato  Amedeo
Matacena,  secondo  quanto  deliberato dall'Assemblea della Camera in
data 9 dicembre 1998.
    Cosi'  deciso  in  Roma,  nella  sede della Corte costituzionale,
Palazzo della Consulta l'11 luglio 2000.
                      Il Presidente: Mirabelli
                      Il relatore: Zagrebelsky
                      Il cancelliere: Di Paola
    Depositata in cancelleria il 21 luglio 2000.
              Il direttore della cancelleria: Di Paola
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