N. 336 SENTENZA 12 - 24 luglio 2000

Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale.

Rilevanza  della  questione di legittimita' costituzionale - Eccepito
difetto - Esclusione - Rigetto dell'eccezione di inammissibilita'.
Norma  oggetto  del  giudizio  -  Asserita erronea individuazione, da
parte  del rimettente - Eccezione di inammissibilita' della questione
- Rigetto.
Professioni   -  Ingegnere  e  architetto  -  Revoca,  da  parte  del
committente, dell'incarico professionale, per cause non imputabili al
professionista    -    Diritto   del   professionista   all'integrale
risarcimento  del  danno  subito,  oltre  all'aumento  automatico del
compenso,  nella  misura  del  25  per  cento - Prospettata posizione
ingiustificatamente  privilegiata di tali professionisti, rispetto ad
altre categorie professionali - Non fondatezza della questione.
- Legge 2 marzo 1949, n. 143, art. 10, secondo comma.
- Costituzione, art. 3.
(GU n.32 del 2-8-2000 )
                       LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
  Presidente: Cesare MIRABELLI;
  Giudici:  Francesco  GUIZZI,  Fernando  SANTOSUOSSO,  Massimo VARI,
Cesare  RUPERTO,  Riccardo  CHIEPPA, Valerio ONIDA, Carlo MEZZANOTTE,
Fernanda   CONTRI,  Guido  NEPPI  MODONA,  Piero  Alberto  CAPOTOSTI,
Annibale MARINI, Franco BILE, Giovanni Maria FLICK;
ha pronunciato la seguente


                              Sentenza

nel  giudizio  di  legittimita'  costituzionale dell'art. 10, secondo
comma,  della legge 2 marzo 1949, n. 143 (Tariffa professionale degli
ingegneri  e  degli  architetti),  promosso  con  ordinanza emessa il
14 maggio  1998  dal tribunale di Potenza nel procedimento civile fra
Nigro  Francesco  Paolo e Cicala Giuseppe e altra, iscritta al n. 332
del  registro  ordinanze  1999  e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale
della Repubblica n. 24 - prima serie speciale - dell'anno 1999;
    Visto  l'atto  di  intervento  del  Presidente  del Consiglio dei
Ministri;
    Udito  nella  camera  di  consiglio del 10 maggio 2000 il giudice
relatore Francesco Guizzi;

                          Ritenuto in fatto

    1. - Un ingegnere libero professionista conveniva in giudizio due
clienti,  asserendo che costoro, dopo avergli conferito l'incarico di
redigere  il  progetto  di  un  fabbricato, da realizzare su un fondo
venduto   dallo  stesso  ingegnere  ai  committenti,  recedevano  dal
contratto,  affidando  la  progettazione e la direzione dei lavori ad
altro  professionista.  L'attore  chiedeva  pertanto  che i convenuti
fossero  condannati  al  risarcimento  dei  danni subi'ti per effetto
dell'anticipato recesso.
    Trattenuta   la  causa  in  decisione,  il  tribunale  adi'to  ha
sollevato, in riferimento all'art. 3 della Costituzione, questione di
legittimita'  costituzionale dell'art. 10, secondo comma, della legge
2  marzo  1949, n. 143 (Tariffa professionale degli ingegneri e degli
architetti),  nella parte in cui prevede che, nell'ipotesi di recesso
del  cliente  dal  rapporto  di  opera intellettuale, rimane salvo il
diritto  del  professionista, ingegnere o architetto, al risarcimento
degli  eventuali maggiori danni, quando la sospensione non sia dovuta
a cause dipendenti dal professionista stesso.

    2.   -  Il  giudice  a  quo  premette  che  la  domanda  proposta
dall'attore  ha  a  oggetto,  fra  l'altro, il risarcimento del danno
patrimoniale   consistente  nel  mancato  guadagno  che  gli  sarebbe
derivato  dall'esecuzione  della  progettazione e della direzione dei
lavori    del    costruendo   fabbricato.   Tale   danno   nascerebbe
dall'inadempimento dell'obbligazione assunta dai convenuti sia con il
compromesso, sia con l'atto pubblico di vendita.
    Secondo  il  collegio,  la  normativa applicabile alla vicenda in
esame  sarebbe  costituita  dall'art. 10 della legge n. 143 del 1949,
che  disciplina  gli  effetti della "sospensione per qualsiasi motivo
dell'incarico dato al professionista". In questi casi, il committente
avrebbe  l'obbligo  "di  corrispondere  l'onorario relativo al lavoro
fatto e predisposto", come precisato dall'art. 18 della stessa legge,
"salvo   il   diritto   del   professionista  al  risarcimento  degli
eventuali maggiori  danni,  quando  la  sospensione  non sia dovuta a
causa  dipendente  dal professionista stesso". La norma ora citata si
configurerebbe, dunque, come una deroga ai princi'pi generali dettati
dall'art. 2237 del codice civile, giacche' - pur lasciando al cliente
la facolta' di recedere in qualsiasi momento dal contratto - porrebbe
a  suo carico sia un'obbligazione indennitaria ex lege con previsione
d'un  aumento  automatico  del  compenso  per il professionista nella
misura  del  25  per  cento,  sia  una  vera  e  propria obbligazione
risarcitoria.
    Il   tribunale  da'  conto  che  una  questione  di  legittimita'
costituzionale  dell'art. 18  della  legge  n. 143,  con  riferimento
alla maggiorazione del compenso spettante in caso di recesso, e' gia'
stata dichiarata non fondata da questa Corte, ma soggiunge che quella
decisione   non   avrebbe   toccato   il  problema  del  diritto  del
professionista    al    risarcimento   dei maggiori   danni,   almeno
nell'ipotesi  in  cui  la  sospensione dell'incarico non sia dovuta a
cause dipendenti dal suo comportamento (art. 10, secondo comma, della
legge  n. 143  del  1949).  Il  cliente  puo'  infatti  recedere  dal
contratto  in  qualsiasi  momento  e  per  qualsiasi motivo, ai sensi
dell'art.  2237  del  codice  civile, lasciando indenne il prestatore
d'opera e consentendo il pagamento delle spese per l'opera svolta, ma
con  esclusione  di  ogni  diritto al risarcimento del danno. Un tale
diritto  presupporrebbe  un  atto  illecito;  mentre  il  recesso del
cliente  costituirebbe  semplicemente  una conseguenza del venir meno
della fiducia riposta nel professionista. Di conseguenza, prosegue il
rimettente,  l'art. 2237  parrebbe escludere in radice che il recesso
unilaterale del cliente possa di per se' solo giustificare la pretesa
risarcitoria  del  professionista.  Al  contrario, in difformita' dal
regime  codicistico,  la  legge sulla tariffa degli ingegneri e degli
architetti prevederebbe il diritto del professionista al risarcimento
dei danni, determinando un'ingiustificata posizione di privilegio per
costoro   rispetto   alle   altre   categorie   professionali:  cosi'
privilegiando,   con   lesione  del  principio  di  eguaglianza,  una
categoria  professionale  in danno delle altre. Ne' potrebbe parlarsi
d'una  mera  integrazione  della regola generale di cui all'art. 2237
del codice civile.

    3.  -  E'  intervenuto  il Presidente del Consiglio dei Ministri,
rappresentato   e   difeso   dall'Avvocatura   dello  Stato,  che  ha
preliminarmente    eccepito    l'inammissibilita'   della   questione
osservando,  da  un lato, che il rimettente nulla dice in ordine alla
concreta  configurabilita', nel caso di specie, di danni risarcibili;
dall'altro,  che  anche ad ammettere l'esistenza di una disciplina di
favore  per  gli  ingegneri  e  gli  architetti,  rispetto agli altri
professionisti,  questa sarebbe prevista dal primo, e non dal secondo
comma  dell'art.  10 della legge n. 143 del 1949, poiche' e' il primo
comma  che,  attraverso  il  rinvio  al  successivo art. 18, consente
la maggiorazione  degli  onorari  del  25  per  cento.  Comunque,  ha
concluso  l'Avvocatura,  l'asserito  privilegio  sarebbe  gia'  stato
ritenuto  conforme  a  Costituzione dalle sentenze nn. 109 del 1987 e
192  del  1984 di questa Corte, le cui motivazioni potrebbero "valere
[...]  a  giustificare le particolarita' previste nella tariffa degli
ingegneri  e  architetti  anche  se  il  disposto  del  secondo comma
dell'art. 10 potesse qualificarsi come privilegio della categoria".

                       Considerato in diritto


    1.  -  E'  all'esame  della  Corte  la  questione di legittimita'
costituzionale dell'art. 10, secondo comma, della legge 2 marzo 1949,
n. 143,  nella  parte in cui prevede che, nell'ipotesi di recesso del
cliente  dal rapporto di opera intellettuale, rimane salvo il diritto
del  professionista,  ingegnere  o  architetto, al risarcimento degli
eventuali maggiori  danni  quando  la  "sospensione" non sia dovuta a
cause  dipendenti  dal  professionista  stesso. Questa disciplina, ad
avviso  del rimettente, determinerebbe un'ingiustificata posizione di
privilegio  per  gli  ingegneri  e gli architetti rispetto alle altre
categorie  professionali,  in quanto solo ai primi sarebbe consentito
il  cumulo  del  risarcimento dei danni e dell'aumento automatico del
compenso nella misura del 25 per cento.

    2.    -    Vanno   innanzitutto   disattese   le   eccezioni   di
inammissibilita' sollevate dall'Avvocatura.
    Per   quanto   attiene  all'asserito  difetto  di  rilevanza,  il
Tribunale  di Potenza ha correttamente rappresentato che nel giudizio
a  quo  la  domanda aveva a oggetto il risarcimento del danno causato
dalla  revoca  dell'incarico  professionale:  tanto  basta perche' la
questione  si possa ritenere rilevante, non essendo necessario che il
giudice  rimettente  anticipi  il  proprio giudizio circa la concreta
esistenza,  nella  specie,  di  un  danno  risarcibile,  poiche' tale
questione  e'  logicamente successiva alla individuazione della norma
che  disciplina  la  domanda.  Per  quanto attiene, poi, alla seconda
eccezione preliminare, con riguardo alla erronea individuazione della
norma  da  censurare,  si osserva che nel caso di specie il tribunale
fonda  il  dubbio  di  legittimita'  costituzionale  sul  rilievo che
soltanto   agli   architetti   e   ingegneri,   e   non   agli  altri
professionisti,  la  legge  consentirebbe di ottenere il risarcimento
del  danno anche nell'ipotesi di incolpevole recesso del committente.
Rettamente,  dunque,  si  individua  la norma censurata nell'art. 10,
secondo  comma,  della  citata legge n. 143, ove si prevede (sia pure
mediante  richiamo  al successivo art. 18) il diritto al risarcimento
del danno nell'ipotesi di recesso del committente.

    3. - Nel merito, la questione non e' fondata.
    Il  rimettente  mostra  di  ritenere che, nel caso di recesso del
committente   dal  contratto  di  prestazione  d'opera  intellettuale
stipulato  con  un  architetto  o  un  ingegnere,  quest'ultimo possa
pretendere  sia  la maggiorazione, nella misura del 25 per cento, del
compenso  per l'opera svolta, sia il risarcimento integrale del danno
(rispettivamente ai sensi dell'art. 18 e dell'art. 10, secondo comma,
della  legge  in esame). In tal modo si permetterebbe ad architetti e
ingegneri,  unici  tra  i professionisti, di cumulare il risarcimento
del danno da inadempimento con una indennita' dovuta per legge.
    Questa lettura della norma non e', tuttavia, l'unica consentita.
    Si  deve  innanzitutto  escludere che la maggiorazione del 25 per
cento  dei compensi, prevista dal combinato disposto degli artt. 10 e
18  della  citata legge n. 143 del 1949 nell'ipotesi di "sospensione"
dell'incarico   (ma   il   lemma   e'   interpretato  dalla  costante
giurisprudenza  in senso ampio, comprensivo anche della revoca vera e
propria), costituisca una forma forfetaria di risarcimento del danno.
Come  gia'  ritenuto  da  questa Corte (sentenza n. 192 del 1984), la
suddetta maggiorazione  e'  vo'lta  sia  a  compensare  l'ingegnere o
architetto  per  l'impossibilita'  di realizzare il proprio interesse
alla  fedele  esecuzione  del progetto predisposto; sia a tener conto
della circostanza che il lavoro dell'ingegnere o architetto racchiude
un'utilita'  potenziale,  suscettibile  di essere apprezzata soltanto
nei  successivi  stadi  di  realizzazione  dell'opera.  Si' che e' da
escludere  che  l'indennita'  di  cui  agli artt. 10 e 18 della legge
n. 143  e  il  risarcimento  del  danno  abbiano le medesime natura e
finalita', e che il secondo costituisca una duplicazione della prima.
    4.  - Si deve escludere, altresi', che il risarcimento del danno,
nell'ipotesi  prevista  dall'art. 10,  secondo  comma,  deroghi  alle
regole   generali.  Come  ritenuto  dalla  Corte  di  cassazione,  il
professionista  puo',  infatti,  pretendere il risarcimento del danno
soltanto deducendo, e provando, l'altrui colpevole condotta (sentenza
n. 401  del  1985),  e non sulla base del mero fatto dell'intervenuta
revoca  dell'incarico.  A  evitare,  infine,  il rischio di qualsiasi
indebita  locupletazione  per  il professionista vi e' il principio -
anch'esso affermato dalla Corte di cassazione nella sentenza citata -
secondo  cui  l'indennita'  prevista dall'art. 10, primo comma, resta
assorbita nel risarcimento quando esso sia superiore.
    Da  quanto esposto consegue che la maggiorazione del 25 per cento
della  tariffa in caso di revoca dell'incarico non e' ingiustificata;
che il risarcimento del danno non puo' essere liquidato in assenza di
una  condotta  colpevole  del committente; e che non e' consentito il
cumulo  di  indennita'  e  risarcimento,  ove questo sia maggiore. La
disciplina  di  cui  all'art. 10  della  legge n. l43 del 1949 non e'
percio'  difforme  dalle regole generali, nella parte in cui vieta il
risarcimento  del  danno  incolpevolmente  causato  e  il  cumulo  di
indennizzo  e risarcimento nell'ipotesi accennata; mentre anzi appare
rispettosa  della peculiarita' delle prestazioni dovute a ingegneri e
architetti, nella parte in cui prevede la maggiorazione del compenso,
dovuta per legge, nel caso di revoca dell'incarico.
    La  questione  non e' quindi da accogliere, perche' non sussiste,
nella specie, l'asserita violazione dell'art. 3 della Costituzione.
                          Per questi motivi

                       LA CORTE COSTITUZIONALE
    Dichiara  non fondata la questione di legittimita' costituzionale
dell'art. 10,   secondo  comma,  della  legge  2 marzo  1949,  n. 143
(Tariffa   professionale   degli   ingegneri   e  degli  architetti),
sollevata,   in   riferimento   all'art. 3  della  Costituzione,  dal
tribunale di Potenza, con l'ordinanza in epigrafe.
    Cosi' deciso nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della
Consulta, il 12 luglio 2000.
                      Il Presidente: Mirabelli
                        Il redattore: Guizzi
                      Il cancelliere: Di Paola
    Depositata in cancelleria il 24 luglio 2000.
              Il direttore della cancelleria: Di Paola
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