N. 369 ORDINANZA 12 - 26 luglio 2000

Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale.

Giudizio  di  assise - Giudice popolare - Diritto alla indennita' per
l'ufficio  svolto  -  Determinazione  dell'indennita'  in  un importo
fisso,  non  commisurato alla retribuzione - Lamentata violazione del
principio  di  eguaglianza  e  della  adeguatezza e sufficienza della
retribuzione,  nonche'  del principio della parita' nell'accesso agli
uffici   pubblici   -  Errata  premessa  interpretativa  -  Manifesta
infondatezza della questione.
- Legge 10 aprile 1951, n. 287, art. 36, secondo comma.
- Costituzione,  artt.  3,  primo comma, 36, primo comma, e 51, primo
  comma.
(GU n.32 del 2-8-2000 )
Ordinanza 12-26 luglio 2000
                       LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
Presidente: Cesare MIRABELLI;
  Giudici:   Fernando  SANTOSUOSSO,  Massimo  VARI,  Cesare  RUPERTO,
Riccardo   CHIEPPA,   Gustavo   ZAGREBELSKY,   Valerio  ONIDA,  Carlo
MEZZANOTTE,  Fernanda  CONTRI,  Guido  NEPPI  MODONA,  Piero  Alberto
CAPOTOSTI, Annibale MARINI, Franco BILE, Giovanni Maria FLICK;
ha pronunciato la seguente


                              Ordinanza

nel  giudizio  di  legittimita'  costituzionale dell'art. 36, secondo
comma,  della legge 10 aprile 1951, n. 287 (Riordinamento dei giudizi
di  assise),  promosso  con ordinanza emessa il 23 settembre 1999 dal
Tribunale di Vallo della Lucania nel procedimento civile vertente tra
U.L.  e  le  Ferrovie dello Stato S.p.a. ed altro, iscritta al n. 628
del  registro  delle  ordinanze  1999  e  pubblicata  nella  Gazzetta
Ufficiale  della  Repubblica  n. 46,  prima serie speciale, dell'anno
1999;
    Visto  l'atto  di  intervento  del  Presidente  del Consiglio dei
Ministri;
    Udito  nella  Camera  di  Consiglio  del 5 luglio 2000 il giudice
relatore Piero Alberto Capotosti;
    Ritenuto  che il Tribunale di Vallo della Lucania, in funzione di
giudice  del  lavoro,  ha  sollevato,  con ordinanza del 23 settembre
1999,  questione di legittimita' costituzionale dell'art. 36, secondo
comma,  della legge 10 aprile 1951, n. 287 (Riordinamento dei giudizi
di  assise),  in  riferimento  agli  artt. 3,  primo comma, 36, primo
comma, e 51, primo comma, della Costituzione;
        che  la  questione e' stata proposta nel corso di un giudizio
instaurato  da  un  dipendente  delle Ferrovie dello Stato S.p.a. nei
confronti  di  detta  societa', integrato nei confronti del Ministero
della  giustizia,  allo  scopo  di  ottenere,  in  via principale, il
pagamento degli stipendi relativi all'intero periodo durante il quale
egli aveva ricoperto l'ufficio pubblico di giudice popolare presso la
Corte  d'assise di Salerno, assentandosi dal lavoro, ovvero, in linea
gradata,   l'accertamento   del   diritto  a  percepire  l'indennita'
nell'importo corrispondente alla retribuzione;
        che,  ad  avviso  del  rimettente,  la norma impugnata, nella
parte in cui stabilisce che a coloro i quali sono chiamati a prestare
servizio  come  giudici  popolari,  e  non conservano il diritto alla
retribuzione,  spetta un'indennita' quantificata in un importo fisso,
si  porrebbe  in  contrasto con gli artt. 3, primo comma, e 36, primo
comma,  della  Costituzione,  in  quanto  la  mancata  commisurazione
dell'indennita'   alla   retribuzione   violerebbe  il  principio  di
eguaglianza  ed  il  principio  secondo il quale la retribuzione deve
essere  sufficiente  ad assicurare al lavoratore ed alla sua famiglia
una esistenza libera e dignitosa;
        che,  secondo  il  giudice  a  quo  la disposizione censurata
violerebbe  altresi'  l'art. 3, primo comma, della Costituzione, dato
che  parifica, non ragionevolmente, lavoratori che hanno retribuzioni
diverse, recando vulnus all'art. 51, primo comma, della Costituzione,
poiche'   realizza   condizioni   di   diseguaglianza  economica  che
ostacolano  l'accesso all'ufficio pubblico da parte di quelli di essi
che,  non conservando il diritto alla retribuzione, potrebbero essere
indotti a rinunziarvi;
        che,  ad avviso del Tribunale, la questione - gia' dichiarata
dalla  Corte  manifestamente inammissibile per difetto di motivazione
sulla  rilevanza  (ordinanza  n. 256  del  1997)  - sarebbe rilevante
poiche'  il ricorrente non avrebbe espletato attivita' lavorativa per
l'intera  durata  della sessione della corte di assise, risultandogli
la necessita' di assicurare la propria disponibilita' e reperibilita'
durante detto periodo;
        che il Presidente del Consiglio dei Ministri, rappresentato e
difeso  dall'Avvocatura  generale  dello  Stato,  e'  intervenuto nel
giudizio,  chiedendo  che  la questione sia dichiarata manifestamente
infondata, dato che la norma impugnata quantifica in modo ragionevole
l'indennita'  in  esame  in  due differenti importi, a seconda che il
giudice  popolare  conservi  o  meno  il  diritto  alla retribuzione,
mentre,  in  considerazione  della  sua  natura,  ad  essa  non  sono
applicabili i principi che riguardano la retribuzione;
        che,   ad   avviso   della  difesa  erariale,  sono  altresi'
manifestamente  infondate  le  censure  riferite  all'art. 51,  primo
comma,  della  Costituzione,  sia perche' detta norma non riguarda il
profilo economico, bensi' la capacita' e l'idoneita' all'espletamento
dei pubblici uffici, sia perche' le disparita' economiche che possono
eventualmente  determinarsi preesistono alla disposizione censurata e
non sono riconducibili ad essa;
        che  le  parti del processo principale non si sono costituite
nel giudizio innanzi a questa Corte.
    Considerato  che  il Tribunale di Vallo della Lucania impugna, in
riferimento  agli  artt. 3, primo comma, 36, primo comma, e 51, primo
comma,  della  Costituzione,  l'art. 36,  secondo  comma, della legge
n. 287  del  1951  nella parte in cui stabilisce che a coloro i quali
sono  chiamati  a  prestare  servizio  come  giudici  popolari  e non
conservano   il   diritto  alla  retribuzione,  spetta  un'indennita'
quantificata in un importo fisso, non commisurata alla retribuzione;
        che  l'ordinanza  di rimessione puntualizza che il ricorrente
nel  processo  principale  e'  stato nominato giudice popolare per la
terza   sessione   dell'anno   1993  (1o luglio-30 settembre)  ed  ha
partecipato in tre mesi a nove udienze, l'ultima delle quali e' stata
tenuta  il  22  luglio,  ma  si  e' assentato dal lavoro per l'intera
durata di detta sessione;
        che,  secondo la prospettazione del giudice a quo il vizio di
legittimita'  costituzionale  sarebbe dimostrato dal danno subito dal
ricorrente,    che    deriverebbe   non   gia'   dalla   liquidazione
dell'indennita'  nell'importo  stabilito  dalla norma censurata per i
giorni  nei  quali  egli  ha  effettivamente espletato la funzione di
giudice  popolare,  bensi'  dalla  mancata  corresponsione  di  detta
indennita'  per l'intera durata della sessione della corte di assise,
ossia  anche  per  i giorni nei quali egli non ha espletato i compiti
connessi all'ufficio;
        che il rimettente solleva quindi la questione di legittimita'
costituzionale  sulla premessa che il cittadino chiamato ad espletare
la  funzione  di  giudice  popolare  non  possa  attendere  ai propri
ordinari compiti lavorativi nei giorni nei quali non sono programmate
e tenute udienze ovvero svolte attivita' in camera di consiglio;
        che  siffatta  premessa  e'  erronea,  dato  che,  secondo la
corretta  interpretazione  della  norma  quale  risulta offerta anche
dalla  prassi  amministrativa,  l'obbligo  del  giudice  popolare  di
assicurare  "disponibilita'  e  reperibilita'" per la sessione per la
quale  e'  nominato  nell'ufficio  non  impedisce,  di  per  se',  lo
svolgimento  dell'ordinaria  attivita' lavorativa per l'intera durata
della medesima giacche', nel caso in cui sia stato fissato un preciso
calendario delle udienze, i giudici popolari sono "tenuti a garantire
la   loro  presenza  soltanto  per  i  giorni  in  cui  concretamente
eserciteranno  i  loro compiti" e per i quali ricevono, tra le altre,
l'indennita' prevista dall'art. 36, secondo comma, della legge n. 287
del 1951;
        che,  pertanto, gli eventuali pregiudizi subiti a seguito del
mancato espletamento dell'ordinaria attivita' lavorativa per l'intera
durata   dell'ufficio,  anche  in  difetto  dei  presupposti  che  la
impongono,  non  sono  riferibili  alla  disposizione  denunciata, ma
semplicemente alla erronea applicazione che di essa e' stata data;
        che,  secondo  la  giurisprudenza  di questa Corte, l'erronea
applicazione  della  norma  e  le situazioni patologiche attinenti al
funzionamento  della  medesima non possono essere poste a base di una
pronuncia  di  illegittimita'  costituzionale  (ex  plurimis sentenze
n. 40  del  1998 e n. 175 del 1997), sicche' la questione deve essere
dichiarata manifestamente infondata.
    Visti  gli  artt. 26,  secondo  comma, della legge 11 marzo 1953,
n. 87  e  9,  secondo  comma,  delle  norme integrative per i giudizi
davanti alla Corte costituzionale.
                          Per questi motivi

                       LA CORTE COSTITUZIONALE
    Dichiara   la   manifesta   infondatezza   della   questione   di
legittimita'  costituzionale dell'art. 36, secondo comma, della legge
10   aprile  1951,  n. 287  (Riordinamento  dei  giudizi  di  assise)
sollevata  in riferimento agli artt. 3, primo comma, 36, primo comma,
e  51,  primo comma, della Costituzione, dal Tribunale di Vallo della
Lucania, con l'ordinanza in epigrafe.
    Cosi'  deciso  in  Roma,  nella  sede della Corte costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 12 luglio 2000.
                      Il Presidente: Mirabelli
                       Il redattore: Capotosti
                      Il cancelliere: Di Paola
    Depositata in cancelleria il 26 luglio 2000.
              Il direttore della cancelleria: Di Paola
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