N. 374 SENTENZA 12 - 27 luglio 2000

Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale.

Impiego pubblico - Amministrazione penitenziaria - Personale civile -
Trattamento  economico riconosciuto con sentenza passata in giudicato
(non ancora corrisposto) - Divieto di corrispondere le relative somme
-  Incidenza diretta ed esplicita della norma censurata sul giudicato
-  Conseguente  lesione  dei principî relativi ai rapporti tra potere
legislativo  e potere giurisdizionale e di tutela giurisdizionale dei
diritti - Illegittimita' costituzionale in parte qua.
- Legge 27 dicembre 1997, n. 449, art. 41, comma 5.
- Costituzione, artt. 24, 25, 103 e 113.
(GU n.32 del 2-8-2000 )
                       LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
Presidente: Cesare MIRABELLI;
  Giudici:   Fernando  SANTOSUOSSO,  Massimo  VARI,  Cesare  RUPERTO,
Riccardo   CHIEPPA,   Gustavo   ZAGREBELSKY,   Valerio  ONIDA,  Carlo
MEZZANOTTE,   Fernanda  CONTRI,  Piero  Alberto  CAPOTOSTI,  Annibale
MARINI, Franco BILE, Giovanni Maria FLICK;
ha pronunciato la seguente


                              Sentenza

nel  giudizio  di  legittimita' costituzionale dell'art. 41, comma 5,
terzo  periodo,  della  legge 27 dicembre 1997, n. 449 (Misure per la
stabilizzazione  della  finanza  pubblica),  promosso  con  ordinanza
emessa  il  15  ottobre  1999  dal Tribunale amministrativo regionale
della  Lombardia,  sezione III, nel ricorso proposto da A.S. ed altro
contro  il  Ministero della Giustizia, iscritta al n. 60 del registro
ordinanze 2000 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica
- n. 9 - prima serie speciale, dell'anno 2000.
    Visto  l'atto  di  intervento  del  Presidente  del Consiglio dei
Ministri;
    Udito  nella  camera  di  consiglio  del 5 aprile 2000 il giudice
relatore Piero Alberto Capotosti.

                          Ritenuto in fatto


    1.  -  Il  Tribunale  amministrativo  regionale  della Lombardia,
sezione  III, con ordinanza emessa il 15 ottobre 1999, in un giudizio
avente  ad  oggetto  l'ottemperanza  ad una sentenza con cui e' stato
accertato   il  diritto  di  alcuni  dipendenti  dell'Amministrazione
penitenziaria all'attribuzione del trattamento economico spettante al
primo    dirigente,    ha   sollevato   questione   di   legittimita'
costituzionale  dell'art. 41,  comma 5, terzo periodo, della legge 27
dicembre  1997,  n. 449  (Misure per la stabilizzazione della finanza
pubblica),  nella  parte  in  cui  vieta di attribuire il trattamento
economico   riconosciuto   con  sentenza  passata  in  giudicato,  in
riferimento agli artt. 24, 103 e 113 della Costituzione.
    1.1.  -  Premesso  che  il  rifiuto  dell'amministrazione di dare
esecuzione  al  giudicato  trova fondamento nella norma censurata, la
quale,  dopo  aver  disposto  al  comma  4  che  nell'art. 4-bis  del
decreto-legge  28 agosto 1987, n. 356, convertito, con modificazioni,
dalla  legge  27  ottobre  1987,  n. 436,  le parole "impiegati della
carriera  direttiva"  si interpretano come riferite esclusivamente al
personale  del  ruolo  ad  esaurimento  e delle qualifiche funzionali
dalla VII alla IX, alle quali ha avuto accesso a seguito di concorso,
al  comma  5  dispone  che  per  il  personale  cui non si applica la
predetta  disposizione,  al quale, con sentenza passata in giudicato,
sia    stato    attribuito    il   trattamento   economico   previsto
dall'art. 4-bis  non  si  fa  luogo  alla corresponsione del relativo
trattamento,  il  giudice  rimettente  sostiene  che  tale disciplina
sarebbe   lesiva   della   garanzia   costituzionale   della   tutela
giurisdizionale  dei diritti e degli interessi, nonche' del principio
della  separazione dei poteri, in quanto non si limiterebbe a dettare
una  regola  astratta alla quale dovrebbe attenersi l'esercizio della
potesta'   giurisdizionale,   ma  costituirebbe  espressione  di  una
funzione  provvedimentale  concreta,  volta ad incidere sugli effetti
gia' prodotti dall'esercizio della funzione giurisdizionale, non gia'
al  fine  di  evitare  sperequazioni  tra  i  dipendenti,  bensi'  di
escludere qualsiasi effetto del giudicato.

    2.  -  Nel giudizio dinanzi alla Corte, ha spiegato intervento il
Presidente   del   Consiglio   dei   Ministri,   con   il  patrocinio
dell'Avvocatura    generale    dello    Stato,    ed    ha   eccepito
l'inammissibilita'  e  l'infondatezza della questione, sostenendo che
al legislatore non e' interdetta l'emanazione di disposizioni volte a
modificare  in  senso  sfavorevole  ai  destinatari la disciplina dei
rapporti  di  durata,  anche  qualora  incidano su diritti soggettivi
perfetti,  in quanto la Costituzione non pone limiti alla potesta' di
emanare  norme  retroattive,  con  la  sola  eccezione  della materia
penale,  ed  il rispetto del giudicato si pone su di un piano di mera
opportunita' politica.

                       Considerato in diritto


    1. -   La  questione di legittimita' costituzionale sollevata con
l'ordinanza  indicata  in  epigrafe ha ad oggetto l'art. 41, comma 5,
terzo periodo, della legge 27 dicembre 1997, n. 449, che prevede che,
per   il  personale  civile  dell'amministrazione  penitenziaria  non
rientrante  nelle  disposizioni  di  cui  al  comma  4  del  medesimo
articolo,  al  quale, a seguito di sentenza passata in giudicato, sia
stato  attribuito  il trattamento economico di cui all'art. 4-bis del
decreto-legge   28   agosto  1987,  n. 356,  non  si  fa  luogo  alla
corresponsione del relativo trattamento.
    Secondo   il   giudice   rimettente   la  disposizione  in  esame
contrasterebbe,   nella  parte  in  cui  esclude  l'attribuzione  del
trattamento economico riconosciuto con sentenza passata in giudicato,
con  gli  artt. 24,  103  e 113 della Costituzione, in quanto "non si
limita  a  dettare  una  regola  astratta  cui  debba attenersi anche
l'esercizio  della potesta' giurisdizionale, ma esercita una funzione
provvedimentale  concreta,  volta  ad  incidere  sugli  effetti  gia'
prodotti  dall'esercizio  della  funzione giurisdizionale", impedendo
l'esecuzione del giudicato gia' formatosi.

    2. - La questione e' fondata nei limiti di seguito precisati.
    La  disposizione  in  esame,  relativa al rapporto di impiego del
personale  dipendente  dall'Amministrazione penitenziaria, diverso da
quello  appartenente al Corpo degli agenti di custodia - ora Corpo di
polizia  penitenziaria  -,  va  esaminata nel contesto di una vicenda
normativa   che   rientra   nell'ambito   del  consolidato  indirizzo
legislativo   di  abrogazione  degli  automatismi  stipendiali  e  di
riconduzione   della   progressione  economica  dei  trattamenti  del
personale  contrattualizzato  al principio della contrattazione, come
risulta   chiaramente,   nella   specie,  dalla  disposta  cessazione
dell'efficacia dell'art. 4-bis del decreto-legge n. 356 del 1987 e di
altre   disposizioni   che   estendevano   al   personale  dipendente
dell'Amministrazione  penitenziaria il trattamento economico previsto
per   il   personale   dirigente  e  direttivo  delle  corrispondenti
qualifiche  della  Polizia  di Stato (art. 40 della legge 15 dicembre
1990, n. 395; art. 3, comma 4, della legge 28 marzo 1997, n. 85).
    La  norma impugnata dell'art. 41, comma 5, della legge n. 449 del
1997,   e'   appunto   mirata   a   limitare   l'ambito   applicativo
dell'art. 4-bis  del  decreto-legge  n. 356  del  1987, quale risulta
dall'interpretazione    che   ne   ha   fornito   la   giurisprudenza
amministrativa.  Ed  invero,  il  predetto art. 4-bis originariamente
diretto  -  come  si  ricava  dai  lavori  preparatori  - ad offrire,
attraverso  la  previsione  di  un  nuovo  livello  stipendiale,  una
gratificazione  economica alla categoria dei direttori degli istituti
di  pena,  priva  di  sviluppi di carriera, e' stato interpretato nel
senso  che  l'espressione  "impiegati  della  carriera  direttiva" si
riferisse    non    soltanto    al   personale   dell'Amministrazione
penitenziaria  che,  nell'ordinamento  del pubblico impiego anteriore
alla   legge  11  luglio  1980,  n. 312,  apparteneva  alla  carriera
direttiva,  ma  anche  al  personale  proveniente  dalla  carriera di
concetto  che,  a seguito dell'introduzione del sistema di qualifiche
funzionali   operata   dalla   stessa  legge  n. 312  del  1980,  era
transitato, ai sensi dell'art. 4 di quest'ultima, nella VII qualifica
funzionale e in quelle superiori.
    Il comma 4 dell'art. 41 della legge in esame n. 449 interpreta la
predetta espressione nel senso del riferimento esclusivo al personale
del  ruolo  ad  esaurimento  ed  a quello inquadrato nelle qualifiche
funzionali  dalla VII alla IX a seguito di concorso, escludendo cosi'
tutti    gli    altri    dipendenti,    eccettuato    il    personale
dell'Amministrazione  penitenziaria,  transitato nella VII qualifica,
appartenente  a  specifici  profili  professionali  e con determinati
requisiti  di  servizio,  al  quale  viene corrisposto il trattamento
economico,  di  cui all'art. 4-bis "a decorrere dal 1o gennaio 1998 e
sino al primo rinnovo contrattuale".
    In  conformita'  a  quanto  appunto  stabilito  dal  comma  4, il
denunziato  comma  5  dello  stesso  art. 41,  dopo  aver disposto la
cessazione  dell'efficacia "dalla data di entrata in vigore del primo
rinnovo   contrattuale"   del  citato  art. 4-bis,  prevede,  per  il
personale  escluso  dal  predetto  trattamento economico ai sensi del
comma 4, sostanzialmente due ipotesi. Qualora il predetto trattamento
stipendiale  sia stato riconosciuto con sentenza passata in giudicato
e sia stato gia' corrisposto, esso e' destinato ad essere riassorbito
dai  successivi incrementi retributivi. Qualora invece - e proprio su
questa  ipotesi  si  incentra  la  censura del giudice rimettente- lo
stesso trattamento stipendiale, pur riconosciuto con sentenza passata
in   giudicato,   non   sia  stato  ancora  corrisposto  (al  momento
dell'entrata  in  vigore  della  legge)  non  si  fa  piu' luogo alla
relativa corresponsione.

    3. - Cosi'  ricostruito  il  quadro  normativo  sottostante  alla
proposta   questione   di  legittimita'  costituzionale,  non  appare
necessario  accertare  se  l'art. 41, comma 5, della legge n. 449 del
1997  abbia  carattere  interpretativo  o innovativo della disciplina
dettata  dall'art. 4-bis  del decreto-legge n. 356 del 1987, poiche',
secondo  la  consolidata  giurisprudenza costituzionale, il carattere
retroattivo  della  legge, purche' non violi il disposto dell'art. 25
della  Costituzione in materia penale e non si ponga in contrasto con
il  principio  di  ragionevolezza  o  con  altri  valori ed interessi
costituzionali  specificamente  protetti  (da ultimo, sentenza n. 229
del   1999),  non  costituisce,  di  per  se'  solo,  un  profilo  di
illegittimita'   della  legge  stessa,  neppure  quando,  come  nella
fattispecie in esame, vada ad incidere su diritti di natura economica
connessi  al  rapporto di pubblico impiego (sentenze n. 432 del 1997,
n. 153 e n. 6 del 1994).
    Cio'  posto,  in  linea  generale  e'  da  escludere,  secondo il
consolidato  indirizzo  di  questa  Corte,  che  possa  integrare una
violazione  delle  attribuzioni  spettanti  al potere giudiziario una
disposizione   di   legge   che   appaia   finalizzata   ad   imporre
all'interprete  un  determinato  significato  normativo, in quanto la
stessa,  operando  sul  piano  delle  fonti, non tocca la potesta' di
giudicare,  ma  precisa  solo  la  regola  astratta  ed il modello di
decisione  cui l'esercizio della potesta' di giudicare deve attenersi
(sentenze n. 321 del 1998, n. 432 del 1997, n. 386 del 1996).
    In  questo  quadro  giurisprudenziale  si puo' dire quindi che la
norma   del  denunciato  art. 41,  comma  5,  non  lede  la  funzione
giurisdizionale, solo ove risulti che l'intento legislativo non e' la
"correzione" concreta dell'attivita' giurisdizionale, ma piuttosto la
creazione di una regola astratta. Il legislatore pero', nella specie,
oltre   a   creare  una  regola  astratta,  prende  espressamente  in
considerazione   anche   le   sentenze   passate   in  giudicato  che
attribuiscono  un  determinato trattamento economico al personale, il
quale,  a  seguito  della  disposta  interpretazione  autentica,  non
rientra  piu'  nell'ambito  delle  disposizioni  indicate nel comma 4
dell'articolo  censurato,  precludendo  sostanzialmente la esecuzione
delle   sentenze   stesse.   Proprio  questa  incidenza,  diretta  ed
esplicita,  sul  giudicato  esclude  che la disposizione in questione
operi   soltanto   sul   piano  normativo,  poiche'  rivela  in  modo
incontestabile  il  preciso intento legislativo di interferire -senza
che  vi sia un rapporto di conseguenzialita' necessaria tra creazione
della  norma  e  incidenza  sui  giudicati-  su  questioni coperte da
giudicato,   non  rispettando,  in  modo  arbitrario,  la  differente
condizione di chi abbia avuto il riconoscimento giudiziale definitivo
di  un  certo  trattamento  economico  riguardo  a  chi  non lo abbia
ottenuto  (sentenza  n. 15  del  1995). Sotto questo profilo sussiste
quindi  la  prospettata lesione dei principi relativi ai rapporti tra
potere   legislativo   e   potere   giurisdizionale,   nonche'  delle
disposizioni relative alla tutela giurisdizionale dei diritti e degli
interessi legittimi.
    Va  peraltro  precisato che, incentrandosi la censura del giudice
rimettente su quella parte della disposizione denunciata, che pone il
divieto  di  attribuire  al  personale  in  questione  il trattamento
economico riconosciuto con sentenza passata in giudicato, la relativa
dichiarazione di illegittimita' della norma censurata produce effetti
temporalmente  limitati.  E'  infatti  evidente  che  alle  somme che
debbono essere corrisposte proprio in forza della presente decisione,
sara'  comunque  applicata,  (successivamente alla data di entrata in
vigore   della   legge   in   esame),   la   stessa   disciplina  del
"riassorbimento"  nei  futuri  incrementi  retributivi  prevista  dal
medesimo  comma  5  in  riferimento all'ipotesi di somme gia' versate
allo  stesso titolo, anteriormente all'entrata in vigore della stessa
legge. Non e' infatti precluso al legislatore, eventualmente anche in
sede  di interpretazione autentica, di modificare sfavorevolmente per
i  beneficiari,  purche'  non  in  modo  irrazionale o arbitrario, la
disciplina   di   determinati  trattamenti  economici  in  precedenza
garantiti,  anche  a  causa,  come  si e' verificato nella specie, di
inderogabili  esigenze di contenimento della spesa pubblica (sentenze
n. 417 del 1996, n. 390 del 1995).
                          Per questi motivi

                       LA CORTE COSTITUZIONALE
    Dichiara  l'illegittimita'  costituzionale dell'art. 41, comma 5,
della  legge  27 dicembre 1997, n. 449 (Misure per la stabilizzazione
della   finanza   pubblica)   nella   parte  in  cui  fa  divieto  di
corrispondere  al  personale non rientrante nelle disposizioni di cui
al  comma 4, al quale, a seguito di sentenza passata in giudicato sia
stato  attribuito  il trattamento economico di cui all'art. 4-bis del
decreto-legge  28  agosto  1987, n. 356, convertito con modificazioni
dalla legge 27 ottobre 1987, n. 436, le relative somme.
    Cosi'  deciso  in  Roma,  nella  sede della Corte costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 12 luglio 2000.
                      Il Presidente: Mirabelli
                       Il redattore: Capotosti
                      Il cancelliere: Di Paola
    Depositata in cancelleria il 27 luglio 2000.
              Il direttore della cancelleria: Di Paola
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