N. 484 ORDINANZA (Atto di promovimento) 18 marzo 2000

Ordinanza  emessa  18  marzo  2000  dal  tribunale di sorveglianza di
Caltanissetta  nel  procedimento  di  sorveglianza  nei  confronti di
Gambino Rosario

Ordinamento  penitenziario  -  Misure  alternative  alla detenzione -
Esecuzione  della  misura  (nella  specie,  da  parte  di  condannato
residente,  con  lavoro  stabile,  in Germania) nel territorio di uno
Stato  appartenente all'Unione europea - Mancata previsione - Lesione
del  principio  di  eguaglianza, quale garanzia di parita' lavorativa
tra i cittadini, e del diritto al lavoro - Incidenza sul diritto alla
libera  circolazione  -  Violazione  del  principio  della  finalita'
rieducativa della pena.
- Legge 26 luglio 1975, n. 354, e successive modificazioni, art. 47.
- Costituzione, artt. 3, 4, 16 e 27.
(GU n.39 del 20-9-2000 )
                            IL TRIBUNALE

    Riunito  in  camera  di  consiglio,  a scioglimento della riserva
  formulata   nell'apposita   udienza   ha  pronunciato  la  seguente
  ordinanza  nei  procedimenti  per affidamento al servizio sociale -
  detenzione  domiciliare - nei confronti di Gambino Rosario, nato il
  24  dicembre 1957 a Palma di Montechiaro, elettivamente domiciliato
  presso  lo  studio  legale  avv. G. Dacqui' - piazza Trento n. 49 -
  Caltanissetta.
    Letta  l'istanza,  viste  le  richieste del p.g. e le conclusioni
  della difesa
                            O s s e r v a
    Con  provvedimento  del  2  luglio  1998,  la procura generale di
  Caltanissetta  ordinava  sospendersi  l'esecuzione  dell'ordine  di
  carcerazione  21  novembre  1995, relativo alla pena complessiva di
  mesi  tre, giorni venti di reclusione e L. 700.000 di multa, di cui
  al provvedimento di unificazione di pene concorrenti n. 49/95 del 7
  ottobre 1995.
    Con  istanza  del 4 agosto 1998, Gambino Rosario, nato a Palma di
  Montechiaro  il  24  dicembre 1957 e in atto residente in Germania,
  tramite   il  suo  difensore  di  fiducia,  avv. Giuseppe  Dacqui',
  chiedeva il beneficio dell'affidamento in prova al servizio sociale
  ed, in subordine, quello della detenzione domiciliare, in relazione
  alla pena di cui al predetto ordine di sospensione.
    Dopo l'istruzione dell'istanza, all'udienza del 25 novembre 1993,
  il difensore depositava memoria con la quale sollevava la questione
  di  legittimita'  costituzionale  degli  artt. 47, 47-ter, legge 26
  luglio  1975, n. 354, e successive modifiche, per contrasto con gli
  artt. 3, 4, 16 e 27 della Costituzione.
    Dalla   istruzione  della  causa  si  accertava  che  il  Gambino
  risiedeva  in Germania, dove era emigrato dal 9 novembre 1990 (vedi
  nota  questura  di  Agrigento  10  novembre  1998,  precisamente in
  Antoniusstrasse   52-D52249   Schweiller,   e,   altresi',   veniva
  documentalmente  dimostrato  che  il  medesimo aveva trovato lavoro
  stabile  fin  dal  1o  giugno  1998  presso  una ditta di trasporti
  tedesca,  rispondente alla denominazione Jakobs-Spedition-Transport
  S.r.l.,   con   sede  in  Matthias-Zimmermann-Strasse,  13,  D52152
  Simmerath (vedi attestato di lavoro in atti), nonche' che lo stesso
  si era regolarmente sposato con prole.
    All'udienza  dell'8 marzo 2000 il difensore reiterava l'eccezione
  di illegittimita' costituzionale gia' avanzata.
    Di  essa  il  p.g.  d'udienza  chiedeva  il  rigetto,  in  quanto
  manifestamente  infondata,  e  poiche'  occorrerebbe tener presente
  eventuali  accordi  internazionali fra Italia e Germania. Lo stesso
  p.g.  chiedeva,  tuttavia,  nel merito, l'accoglimento della misura
  piu'  ampia,  richiesta cui il difensore, sia pure in subordine, si
  associava.
    Cio'   premesso   il   tribuna1e  ritiene  che  la  questione  di
  legittimita'  costituzionale,  sollevata dal difensore in relazione
  all'art. 47  della  legge  26  luglio  1975,  n. 354,  e successive
  modifiche,  sia  rilevante  e  non  manifestamente  infondata,  per
  contrasto  con  gli  artt. 3,  4,  16 e 27 della Costituzione. Essa
  appare   rilevante   in   quanto  da  una  eventuale  pronunzia  di
  illegittimita' costituzionale delle norme soprarichiamate, comunque
  possa   essere   motivata,   deriva  direttamente  l'individuazione
  dell'ambito  operativo  all'interno del quale soltanto quelle norme
  possono  trovare  efficacia,  in  relazione  alla concessione della
  misura  alternativa  invocata, sia sotto il profilo dei presupposti
  di  questa, sia sotto il profilo delle modalita' concrete della sua
  attuazione.
    La  questione  appare inoltre non manifestamente infondata per le
  seguenti considerazioni.
    E'  pur  vero che la Corte di cassazione, chiamata a pronunziarsi
  sul  punto  (sez. I, 29 gennaio 1997) ha escluso la possibilita' di
  concedere l'affidamento in prova al condannato residente all'estero
  nella  considerazione  che la misura alternativa non puo' svolgersi
  in una nazione diversa in quella in cui deve essere espiata la pena
  e  rilevando,  anche, che non e' ammissibile l'affidamento in prova
  presso  il  consolato  italiano all'estero in quanto destinatari di
  detto  affidamento  possono  essere  soltanto  i centri di servizio
  sociale dipendenti dalla amministrazione penitenziaria.
    E'  altrettanto  vero  che  il  D.A.P.,  preoccupato dei problemi
  pratici  che  ne  potrebbero  derivare, ha escluso che il beneficio
  dell'affidamento  in  prova  possa avere esecuzione al di fuori del
  territorio  nazionale (vedi circolare 18 settembre 1998, protocollo
  n. 561557)  dal  momento  che  il centro di servizio sociale non ha
  all'estero  alcuna  competenza, e dal momento che non si saprebbe a
  chi  addossare  le  spese  necessarie  per  tenere  i  contatti con
  operatori   stranieri  (per  esempio  corrispondenza  epistolare  o
  telefonica).
    In  altri  termini  e chiaro che la macchina amministrativa delle
  istituzioni  non  e' pronta o predisposta per dar corso ad una tale
  forma di esecuzione al di fuori del territorio nazionale.
    E'  tuttavia  indubitabile  che,  nell'ambito  di  una  eventuale
  divergenza  fra  un  principio di diritto, da un lato, e una prassi
  amministrativa,  o operativa, dall'altro, e' sempre questa che deve
  cedere  a  quello  e  non viceversa: il che non solo e' conforme ai
  principi  di  uno  Stato di diritto, ma e' cio' che puntualmente e'
  sempre  accaduto nel nostro sistema. Opinando in senso contrario, a
  titolo  di esempio, si dovrebbe giungere a dichiarare inammissibile
  una proposta, pur legittima, di referendum popolare abrogativo, sol
  perche'  in caso di effettiva abrogazione delle norme impugnate si'
  creerebbero   delle   pur   gravi   difficolta'  organizzative  e/o
  amministrative.
    Nell'ambito della questione in esame, delle due, l'una: o la pena
  ha  uno  scopo puramente afflittivo; oppure, come recita l'art. 27,
  terzo   comma,   della   Costituzione,   essa  persegue  uno  scopo
  rieducativo.
    Nel   primo  caso,  nulla  questio.  Anzi,  escludere  la  misura
  alternativa  per  il  solo  fatto che l'istante risiede all'estero,
  dove  pure  ha  trovato  lavoro,  e  pure  in  presenza degli altri
  presupposti   che   ne   legittimino  la  concessione,  equivale  a
  massimizzare l'afflizione in quantocche' allo stesso si richiedera'
  di  rientrare  nel  territorio  nazionale,  ove  egli non ha alcuna
  possibilita'  occupazionale,  di  scontare  la  pena  in vinculis e
  probabilmente  di  perdere  l'occupazione precedente nel territorio
  straniero.
    Ma  se,  al contrario, si crede - cosi' come detta la logica piu'
  genuina  del  principio  costituzionale  richiamato  e  dell'intero
  sistema delle misure alternative previste dalle norme vigenti - che
  la  pena  debba innanzitutto svolgere una funzione rieducativa, sul
  piano  personale  e  di  reinserimento  sociale,  allora la persona
  condannata  dovra'  esser  posta  dall'ordinamento nelle condizioni
  tali   da  rendere  operativi  quei  principi.  Cosi'  come  dovra'
  assicurarsi   la   tutela  del  principio  di  eguaglianza  fissato
  dall'art. 3   della   Costituzione,   quale   garanzia  di  parita'
  lavorativa  fra tutti i cittadini, a prescindere dal fatto che essi
  risiedano o meno nello Stato e, nel contempo, dovra' assicurarsi la
  tutela  del principio costituzionale del diritto al lavoro, sancito
  dall'art. 4   della   Costituzione,  per  cui  e'  riconosciuto  al
  cittadino,  sia  il  diritto  al  lavoro,  che  la promozione delle
  condizioni che lo rendano effettivo.
    Daltronde  essendo  assicurata  ad  ogni  cittadino,  dall'art 16
  ultimo   comma  della  Costituzione,  la  liberta'  di  uscire  dal
  territorio nazionale e quella di rientrarvi, dovra' necessariamente
  assicurarsi   che   questa   liberta'  -  ove  esercitata  ai  fini
  dell'espletamento  di  attivita'  lavorativa  -  non venga di fatto
  vanificata dalla impossibilita' di svolgere lavoro all'estero.
    Al  riguardo  vale la pena di osservare come gia da anni si parli
  di  "spazio giuridico europeo"; come gli accordi di Shengen abbiano
  gia  da  anni rinsaldato e cementato la cooperazione internazionale
  in  tema  di  sicurezza  e di collaborazione penale, come sia stata
  gia'  resa  operativa  la  c.d.  "cittadinanza  europea"  sotto  il
  triplice profilo del diritto di ogni cittadino comunitario di avere
  liberamente  accesso  in  un  paese della Unione europea (senza che
  occorra   esibire  passaporto),  di  risiedervi,  ove  ritenga,  di
  intraprendervi  un'attivita'  lavorativa libera o dipendente, senza
  che occorrano permessi o autorizzazioni di sorta.
    In  questa  prospettiva di ormai consolidata cittadinanza europea
  davvero  singolare  e'  antistorico sarebbe escludere un beneficio,
  come   quello  richiesto,  e  a  cui  si  protrebbe  legittimamente
  aspirare, sol perche' i centri di servizio sociale non godono, allo
  stato,  di  competenze normativamente stabilite che permettano loro
  di coordinarsi con i consolati italiani all'estero o con paritetici
  organismi che all'estero siano operanti.
    Ogni   contraria  obiezione,  fondata  su  ragioni  di  carattere
  normativo/organizzativo,    appare    percio'    inconsistente    e
  giuridicamente  irrilevante.  Come  gia'  e'  accaduto  in  passato
  saranno  l'organizzazione  o  la  prassi  amministrativa  a doversi
  adeguare al principio di diritto.
    Nella  specie,  posto  che  il  Gambino si trova nelle menzionate
  condizioni soggettive, atte alla concessione del beneficio, il solo
  fatto  che  egli  risieda  e  lavori  in  Germania  non puo' essere
  considerato  motivo  giuridicamente  rilevante  per  escluderlo dal
  beneficio;
                               P. Q. M
    Visto  l'art. 1 della legge costituzionale 9 febbraio 1948, n. 1,
  e l'art. 23 della legge 11 marzo 1953, n. 87;
    Dichiara rilevante e non manifestamente infondata la questiore di
  legittimita'  costituzionale  dell'art.  47,  legge 26 luglio 1975,
  n. 354, e successive modifiche, per violazione degli artt. 3, 4, 16
  e  27  della Costituzione nella parte in cui la norma impugnata non
  prevede  che  l'esecuzione  della misura possa aver luogo anche nel
  territorio dello stato della Unione Europea;
    Rimette gli atti alla Corte costituzionale;
    Sospende il presente procedimento fino alla decisione della Corte
  medesima;
    Ordina  che  la presente ordinanza, a cura della cancelleria, sia
  notificata  al  Gambino Rosario e al pubblico ministero, nonche' al
  Presidente  del  Consiglio dei Ministri e che essa venga comunicata
  anche ai Presidenti delle Camere del Parlamento.
    Cosi' deciso in Caltanissetta l'8 marzo 2000.
                        Il Presidente: Caruso
Il magistrato di sorveglianza estensore: Vitale
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