N. 487 ORDINANZA (Atto di promovimento) 29 maggio 2000

Ordinanza  emessa il 29 maggio 2000 dal g.i.p. presso il tribunale di
Trapani nel procedimento penale a carico di Accardo Giuseppe

Processo penale - Giudice che ha emesso il decreto penale di condanna
-  Incompatibilita'  a  giudicare,  a  seguito  di opposizione, sulle
richieste   di  giudizio  immediato,  di  giudizio  abbreviato  e  di
applicazione   della   pena   -   Mancata  previsione  -  Trattamento
pregiudizievole  per  l'imputato  -  Lesione  del diritto di difesa -
Violazione del principio del giudice naturale precostituito per legge
- Contrasto con il criterio di terzieta' ed imparzialita' del giudice
di cui all'art. 2 della legge di delegazione 16 febbraio 1987, n. 81.
- Cod. proc. pen., art. 461, terzo comma.
- Costituzione, artt. 3, 24, 25, 76 e 111.
Processo  penale  -  Procedimento per decreto - Requisiti del decreto
  penale  di  condanna  -  Enunciazione in forma chiara e precisa del
  fatto  e  delle  circostanze  -  Mancata previsione - Diversita' di
  disciplina  rispetto  alla  richiesta  di  rinvio  a  giudizio e al
  decreto  di  citazione a giudizio - Lesione del diritto di difesa -
  Violazione  del  principio  secondo  cui  la  legge assicura che la
  persona  accusata di un reato disponga del tempo e delle condizioni
  necessari per preparare la sua difesa.
- Cod. proc. pen., art. 460, primo comma, lett. b), in relazione agli
  artt.  464,  terzo  comma,  417,  primo comma, lett. b), 552, primo
  comma, lett. c).
- Costituzione, artt. 3, 24 e 111, terzo comma.
(GU n.39 del 20-9-2000 )
                            IL TRIBUNALE

    Esaminati  gli atti relativi al procedimento sopra emarginato nei
  confronti di Accardo Giuseppe, nato a Castellammare del Golfo il 23
  maggio  1954,  residente  a  Erice,  Casa  Santa, via dei Pescatori
  n. 71,  elettivamente  domiciliato  in Trapani, via Nicolo' Fabrizi
  n. 48,  presso  l'ufficio della ditta individuale Accardo Giuseppe,
  difeso di fiducia dall'avv. Marco Siragusa;
                             D e d u c e
    La  illegittimita'  costituzionale  dell'art.  461,  terzo comma,
  c.p.p.,  nella  parte  in  cui  non prevede la incompatibilita' del
  giudice  che ha emesso il decreto penale di condanna a giudicare lo
  stesso  imputato  a  seguito  di  opposizione  sulla  richiesta  di
  giudizio immediato o sulla richiesta di giudizio abbreviato o sulla
  richiesta  di  applicazione  di pena, per violazione degli artt. 3,
  24, 25, 76 e 111 Cost.
    Questo  giudice  ha  emesso  nei  confronti  di  Accardo Giuseppe
  decreto penale di condanna in data 28 gennaio - 31 gennaio 2000 per
  il  reato  di cui all'art. 51, comma 2, d.lgs. n. 22 del 5 febbraio
  1997  e  per  il  reato  di  cui all'art. 221 del testo unico leggi
  sanitarie, comminando la pena di L. 4.000.000 di ammenda.
    Accardo  Giuseppe  ha  presentato opposizione avverso il predetto
  decreto  di  condanna  entro  i  termini  di legge con richiesta di
  giudizio immediato.
    Ai  sensi  dell'art.  461,  terzo  comma,  c.p.p.,  sempre questo
  giudice  e'  stato  investito  della  decisione  sulla richiesta di
  giudizio  immediato, essendo espressamente statuito che "con l'atto
  di opposizione l'imputato puo' chiedere al giudice che ha emesso il
  decreto  di  condanna  il  giudizio  immediato,  ovvero il giudizio
  abbreviato o l'applicazione della pena a norma dell'art. 444 ".
    La  previsione esplicita di compatibilita' sancita dall'art. 461,
  terzo comma, c.p.p., del giudice che ha emesso il decreto penale di
  condanna  a  giudicare  lo stesso imputato a seguito di opposizione
  sulla richiesta di giudizio immediato o sulla richiesta di giudizio
  abbreviato  o sulla richiesta di applicazione di pena, ad avviso di
  questo  rimettente,  violerebbe  l'art.  3 Cost. per il trattamento
  pregiudizievole  riservato all'imputato poiche' la sua posizione ha
  gia'  formato  oggetto  di  valutazione  da parte di questo giudice
  investito  della  richiesta di decreto penale di condanna, e quindi
  questo  stesso  giudice  si  troverebbe chiamato a giudicarlo sullo
  stesso  fatto  in sede di opposizione, e l'art. 24 Cost., in quanto
  in tal modo risulterebbe compromesso anche il diritto di difesa.
    Le  due  disposizioni  censurate  contrasterebbero inoltre con il
  principio  del giudice naturale sancito dall'art. 25 Cost., perche'
  sarebbe  alterato il criterio della terzieta' e della imparzialita'
  del  giudice,  di  cui  all'art.  2  della  legge di delegazione 16
  febbraio  1987,  n. 81,  in quanto compromesso dalla valutazione in
  ordine  alla configurabilita' del reato e alla sua riconducibilita'
  all'indagato,  gia'  espressa  nel  momento  in cui e' stato emesso
  decreto  penale di condanna, poiche' i possibili esiti del giudizio
  a  seguito dell'atto di opposizione, sono demandati alla competenza
  dello  stesso  soggetto processuale che vi ha dato impulso mediante
  l'emissione del decreto penale di condanna.
    E'  acquisito  alla giurisprudenza della Corte costituzionale che
  l'istituto   della   incompatibilita'   per   atti   compiuti   nel
  procedimento  penale  e'  preordinato  alla garanzia di un giudizio
  imparziale,   che  non  sia  ne'  possa  apparire  condizionato  da
  precedenti  valutazioni  sulla responsabilita' penale dell'imputato
  manifestate  dallo  stesso  giudice  in  altre  fasi  del  medesimo
  processo  e  tali  da  poter  pregiudicare  la  neutralita' del suo
  giudizio.  Il  principio del giusto processo, infatti, comporta che
  il giudizio si formi in base al razionale apprezzamento delle prove
  raccolte   ed  acquisite  e  non  abbia  a  subire  l'influenza  di
  valutazioni   sul   merito   dell'imputazione  gia'  in  precedenza
  espresse:
        non  vi  e'  dubbio che il procedimento per decreto penale di
  condanna  integra  gli  estremi  di  un  vero e proprio giudizio di
  merito,  in  quanto  presuppone l'accertamento giudiziale del fatto
  storico e della responsabilita' dell'imputato;
        tali  caratteri  sono presenti anche nell'attivita' decisoria
  con  cui  il giudice valuta la richiesta motivata di decreto penale
  formulata  dal  pubblico ministero; valutazione che, sia in caso di
  accoglimento  che  di  rigetto  della  richiesta, si sostanza in un
  esame di merito sulla responsabilita' dell'imputato.
        che  il controllo del giudice attenga non solo ai presupposti
  del  rito,  ma  anche al merito della richiesta, si ricava in primo
  luogo   dall'art.  459  comma  3  c.p.p.,  da  cui  emerge  che  la
  valutazione   del  giudice  puo'  sfociare  nell'emissione  di  una
  sentenza  di proscioglimento a norma dell'art. 129 c.p.p.. Inoltre,
  la  valutazione  di  merito  e' estesa alla congruita' della misura
  della pena indicata dal pubblico ministero, in quanto, alla stregua
  degli  artt. 459 comma 3, e 460 comma 2 c.p.p., il giudice, ove non
  ritenga  di  applicare  la  pena nella misura indicata dal pubblico
  ministero,  deve  rigettare  la  richiesta  e restituirgli gli atti
  (cfr.   sentenza  della  Corte  costituzionale  21  novembre  1997,
  n. 346).

    Pertanto  "non  puo'  lo  stesso giudice che ha gia' compiuto una
  cosi'   incisiva   valutazione   in   ordine  alla  responsabilita'
  dell'imputato"  continuare a trattare del procedimento a seguito di
  opposizione, soprattutto allorquando si consideri l'opposizione con
  richiesta di giudizio abbreviato o con richiesta di applicazione di
  pena a norma dell'art. 444 c.p.p.
    La  pronuncia  del  giudice  sui  possibili  giudizi a seguito di
  opposizione,  e'  quindi  pregiudicata, con violazione dei principi
  del   giusto  processo  e  dell'imparzialita'  del  giudice,  dalla
  precedente  pronuncia del decreto di condanna da parte dello stesso
  giudice.
    La  questione  di legittimita' costituzionale sollevata d'ufficio
  appare   pertanto   risolutiva   nel   giudizio   in  corso  e  non
  manifestamente infondata.

    Il  difensore  di  Accardo  Giuseppe,  prospetta, a sua volta, la
  illegittimita'  costituzionale  dell'art. 460, primo comma, lettera
  b)  c.p.p.,  in relazione agli artt. 464, comma 3, n. 417, comma 1,
  lettera  b),  n. 552,  comma  1,  lettera c) c.p.p., per violazione
  degli artt. 3, 24 e 111, terzo comma, Cost. nella parte in cui esso
  non  prevede  che  il  decreto  penale  di  condanna deve contenere
  l'enunciazione  in  forma  chiara  e  precisa  del  fatto  e  delle
  circostanze.
    Infatti,  a  mente  degli  artt. 417, comma 1, lettera b), e 552,
  comma  1,  lettera  c)  c.p.p.,  l'enunciazione  in  forma chiara e
  precisa  del  fatto  e  delle  circostanze  sono requisiti formali,
  rispettivamente  della richiesta di rinvio a giudizio e del decreto
  di citazione a giudizio.
    Questo  nuovo  inciso  e'  stato introdotto dal legislatore della
  riforma  (legge  n. 479/1999) al chiaro scopo di vincolare l'organo
  della  pubblica  accusa  alla  formulazione  di  addebito  il  piu'
  possibile  specifico,  dettagliato e comprensibile, in modo che sia
  facilitata   la   funzione   giudicate   attivata  con  l'esercizio
  dell'azione    penale    e   consentita   apertamente   la   difesa
  dell'incolpato,  come  sancito  dall'art.  111,  terzo comma Cost.,
  nella  parte  in  cui  prevede  che  "...  la legge assicura che la
  persona  accusata di un reato disponga del tempo e delle condizioni
  necessari per preparare la sua difesa".
    E'  indubbia,  quindi,  la diversita' dei requisiti richiesti per
  l'esercizio  dell'azione  penale  a  seconda  che  si  proceda  con
  procedimento  per  decreto  o  altrimenti con richiesta di rinvio a
  giudizio  o  con  decreto  di citazione a giudizio, con conseguente
  disparita'  di trattamento dell'imputato nei confronti del quale si
  procede per decreto e in senso a lui pregiudizievole, atteso che la
  chiarezza  e  la  precisione dell'imputazione assicura una maggiore
  tutela dei diritti della difesa.
    La  questione  sollevata  dalla difesa di Accardo Giuseppe appare
  pertanto preclusiva del giudizio e non manifestamente infondata.
    Ravvisati,   quindi,  due  questioni  di  illegittimita'  che  e'
  necessario risolvere con l'intervento della Corte costituzionale.
                              P. Q. M.
    Visti gli artt. 23 e segg. legge 11 marzo 1953, n. 87;
    Dispone   l'immediata   trasmissione   degli   atti   alla  Corte
  costituzionale  e  segnatamente  di  tutti  gli  atti  formanti  il
  presente fascicolo nonche' la presente ordinanza;
    Sospende il giudizio in corso;
    Manda  alla  cancelleria  affinche'  la  presente  ordinanza  sia
  notificata  alle parti in causa e al pubblico ministero, nonche' al
  Presidente  del  Consiglio  dei  Ministri e ai Presidenti delle due
  Camere del Parlamento.
        Trapani, addi' 29 maggio 2000.
          Il giudice per le indagini preliminari: Ingoglia
00C0952