N. 509 ORDINANZA (Atto di promovimento) 6 aprile 2000

Ordinanza  emessa  il  6  aprile  2000  dal  tribunale di Sciacca nel
procedimento penale a carico di Pilo Saverio

Processo  penale - Applicazione della pena su richiesta delle parti -
Modifiche  normative  recate  dalla  legge 16 dicembre 1999, n. 479 -
Procedimenti  a  carico  di  soggetti rinviati a giudizio nel periodo
compreso  tra  il  2  giugno  1999  e il 2 gennaio 2000 - Facolta' di
formulare   la   richiesta  di  applicazione  della  pena  fino  alla
dichiarazione di apertura del dibattimento - Preclusione - Difetto di
disciplina  transitoria  -  Disparita'  di trattamento tra imputati -
Lesione del diritto di difesa.
- Legge 16 dicembre 1999, n. 479, art. 33.
- Costituzione, artt. 3 e 24.
(GU n.40 del 27-9-2000 )
                            IL TRIBUNALE

    Alla  pubblica  udienza  del  6  aprile  2000  ha  pronunciato la
  seguente  ordinanza  nel procedimento n. 20/2000 RG. trib. a carico
  di Pilo Saverio, nato in Menfi il 2 aprile 1954.
    Visti  gli  atti  del processo a carico di Pilo Saverio, imputato
  del  delitto  di cui agli artt. 609-bis, 609-septies, quarto comma,
  ipotesi  n. 2,  61  n. 5  c.p.,  nonche'  del  reato  di  cui  agli
  artt. 572, 61 n. 11 c.p., commessi in Menfi sino al maggio 1998;
    Rilevato  che  all'udienza  del  17 febbraio 2000, immediatamente
  dopo   l'accertamento  della  regolare  costituzione  delle  parti,
  l'imputato  ha  avanzato,  ai  sensi  degli artt. 444 e ss. c.p.p.,
  richiesta  di  applicazione  della pena condizionalmente sospesa di
  anni  uno,  mesi due e giorni venti di reclusione, cosi' calcolata:
  pena base = anni sei, diminuita di due terzi per la minore gravita'
  del  fatto  ex  art  609-bis  u.c.  c.p.=  anni  due,  diminuita ex
  art. 62-bis  c.p.  ad anni uno e mesi otto di reclusione, aumentata
  ex art. 81 cpv. c.p. ad anni uno e mesi dieci, diminuita come sopra
  per il rito;
    Rilevato  che  in  merito a tale richiesta il p.m. ha espresso il
  proprio consenso;

                            O s s e r v a

    Del  procedimento  a  carico  del  Pilo  il  tribunale  si  trova
  investito  a  seguito di decreto pronunziato dal g.u.p. in sede, ai
  sensi dell'art. 429 c.p.p., in data 22 giugno 1999.
    Lo  stesso  procedimento  e',  pertanto,  pervenuto alla fase del
  giudizio in epoca successiva alla data del 2 giugno 1999.
    Non   rileva,  in  conseguenza,  nella  fattispecie  concreta  la
  speciale  disposizione  transitoria contenuta nell'art. 224 decreto
  legislativo  19  febbraio  1998  n. 51  (il cui testo originario e'
  ancor oggi immutato), la cui portata applicativa e' circoscritta ai
  "giudizi  di  primo  grado  in  corso  alla data d'efficacia" dello
  stesso  decreto,  che,  secondo l'art. 247, primo comma, cosi' come
  modificato  dall'art. 1  della  legge  16  giugno  1998  n. 188, e'
  certamente  quella  sopra  menzionata  del 2 giugno 1999 e non gia'
  quella  del  2 gennaio 2000, per come del resto conferma il rilievo
  che  in  tale  intervallo  di  tempo  numerosi  processi sono stati
  definiti  in questa e in altre sedi giudiziarie proprio per effetto
  della   eccezionale   facolta'  riconosciuta  agli  imputati  nella
  predetta disposizione transitoria.
    L'istanza  proposta  dal  Pilo  va, dunque, valutata alla stregua
  delle    norme    ordinarie   che   disciplinano   l'istituto   del
  patteggiamento.
    Orbene,  l'art. 446  c.p.p.,  nel  testo  introdotto dall'art. 33
  legge  16  dicembre  1999  n. 479,  prevede  che  nei  processi che
  transitano  per  l'udienza  preliminare la richiesta d'applicazione
  della  pena  deve  essere avanzata non oltre la presentazione delle
  conclusioni  di  cui  agli  artt. 421 terzo comma e 422 terzo comma
  c.p.p..
    Si  e',  dunque, profondamente innovato il precedente sistema che
  anche   in   quei  processi  consentiva,  invece,  all'imputato  di
  formulare   la   richiesta  in  discorso  fino  alla  dichiarazione
  d'apertura del dibattimento di primo grado.
    La  disposizione  che  ha  modificato l'art. 446 c.p.p, in quanto
  disposizione  di  natura  processuale, e' d'immediata applicazione,
  si'  da  operare  anche  in relazione ai procedimenti in corso alla
  data d'entrata in vigore di essa.
    Se ne trae che, a tenore della legge di riforma, che non contiene
  alcuna  norma  di  diritto intertemporale, anche chi, come il Pilo,
  sia stato rinviato a giudizio sotto il vigore del precedente regime
  (e  successivamente alla data del 2 giugno 1999) non e' legittimato
  a  formulare per la prima volta innanzi al giudice del dibattimento
  la richiesta d'applicazione della pena.
    Una   richiesta   di  tal  genere  che  venga,  cio'  nonostante,
  presentata  non  puo'  non  condurre,  finche' sopravviva l'attuale
  apparato  normativo, ad una pronunzia d'inammissibilita' o comunque
  di rigetto.
    Eppero', il citato art. 33 legge n. 479/1999, nella misura in cui
  ha  precluso  ai  soggetti gia' rinviati a giudizio con decreto del
  g.u.p.  alla  data  del 2 gennaio 2000 (ma in epoca successiva al 2
  giugno   1999)   la   facolta'   di   avvalersi  dell'istituto  del
  patteggiamento, pur in processi con dibattimento non ancora aperto,
  contrasta,    ad    avviso    del   tribunale,   con   i   principi
  costituzionalmente    garantiti    della    eguaglianza   e   della
  inviolabilita'  del  diritto  di  difesa  (artt. 3 primo comma e 24
  secondo comma cost.).
    La   disposizione   in   parola,   infatti,  crea  anzitutto  una
  discriminazione  -  inammissibile,  perche'  irragionevole  - fra i
  soggetti  che,  rinviati  a  giudizio nel periodo compreso fra il 2
  giugno  1999  e il 2 gennaio 2000, sono comparsi innanzi al giudice
  del  dibattimento  prima  di tale ultima data e hanno potuto, se lo
  hanno  ritenuto conveniente, patteggiare la pena, e i soggetti che,
  rinviati  a  giudizio  nel  medesimo  periodo, si sono vista invece
  fissare  l'udienza  dibattimentale in epoca successiva al 2 gennaio
  2000,  cosi'  incorrendo,  per  ragioni  del  tutto  contingenti ed
  accidentali,  comunque  indipendenti  dalla  loro  volonta',  nella
  preclusione creata dalla nuova legge, che ha finito improvvisamente
  col   sottrarre   loro   una  facolta'  sino  a  ieri  riconosciuta
  dall'ordinamento.
    Ma  viene,  per  tale  via,  profondamente  inciso per i medesimi
  soggetti  anche  il  diritto di difesa, che si esprime non solo nel
  complesso  di garanzie che sono riconosciute all'imputato, ma anche
  nell'insieme  delle facolta' che, a tutela della sua posizione, gli
  sono  attribuite  nell'ambito del processo e, di conseguenza, nella
  possibilita'  di liberamente operare le proprie scelte in relazione
  a ciascuna di tali facolta'.
    E' di palmare evidenza che qualunque scelta operata dall'imputato
  nel  processo e' indissolubilmente legata alla valutazione di tutte
  le altre opzioni che gli sono offerte dall'ordinamento, sicche' se,
  nel  far  ricorso  ad  una certa strategia, egli abbia tenuto conto
  della  possibilita'  di  esercitare  in  prosieguo  una determinata
  facolta',  della quale sia successivamente privato dalla legge, non
  pare  dubbio  che  vengano  per tale via decisamente pregiudicati i
  suoi diritti difensivi intesi come sopra.
    Il  che  e',  appunto, quanto avviene nell'ipotesi in esame nella
  quale   l'imputato,  nel  momento  dell'udienza  preliminare,  puo'
  essersi   ben   determinato   nel  senso  di  non  far  ricorso  al
  patteggiamento,  ragionevolmente  confidando  di poter invocare poi
  l'applicazione  della  pena  in  dibattimento, nell'esercizio di un
  diritto   in  quel  momento  riconosciutogli  dalla  legge  e  solo
  successivamente invece negatogli.
    Le considerazioni che precedono inducono il tribunale a sollevare
  d'ufficio,  in quanto non manifestamente infondata, la questione di
  legittimita'   costituzionale  dell'art. 33  legge  n. 479/1999  in
  relazione  ai  profili meglio sopra precisati, trattandosi peraltro
  di  questione certamente rilevante, stante che il Pilo ha formulato
  -  come si e' visto - espressa richiesta d'applicazione della pena,
  con  riguardo alla quale e' per di piu' intervenuto il consenso del
  rappresentante  della  pubblica  accusa,  e  stante  inoltre che la
  richiesta in parola, ad una prima sommaria delibazione condotta con
  riguardo ai criteri previsti nel secondo comma dell'art. 444 c.p.p.
  non  sarebbe  suscettibile di rigetto nel merito, mentre certamente
  non  e'  dato  ravvisare la ricorrenza in concreto delle condizioni
  per  l'eventuale  pronunzia  di una sentenza ai sensi dell'art. 129
  c.p.p.
                              P. Q. M.
    Visto l'art. 23 legge 11 marzo 1953 n. 87;
    Dichiara  rilevante  e non manifestamente infondata, in relazione
  agli  artt. 3 primo comma e 24 secondo comma della Costituzione, la
  questione  di  legittimita'  costituzionale  dell'art. 33  legge 16
  dicembre 1999 n. 479, nella parte in cui non prevede che i soggetti
  rinviati   a   giudizio   in   processi  transitati  per  l'udienza
  preliminare  nel  periodo  compreso  fra  il  2 giugno 1999 ed il 2
  gennaio  2000  possano  avvalersi  della facolta' di patteggiare la
  pena sino all'apertura del dibattimento;
    Ordina  la  sospensione  del  presente  giudizio,  mandando  alla
  cancelleria di trasmettere gli atti alla Corte costituzionale;
      Dispone  che, a cura della stessa cancelleria, questa ordinanza
  sia   notificata   al  Presidente  del  Consiglio  dei  Ministri  e
  comunicata   al  Presidente  del  Senato  della  Repubblica  ed  al
  Presidente della Camera dei deputati.
        Sciacca, addi' 6 aprile 2000.
                   Il Presidente estensore: Bellet
00C0967