N. 603 ORDINANZA (Atto di promovimento) 4 maggio 2000

Ordinanza emessa il 4 maggio 2000 dal tribunale militare di La Spezia
nel procedimento penale a carico di Basso Marco.

Reati militari - Furto militare - Punibilita' a querela della persona
offesa  -  Mancata  previsione  -  Disparita' di trattamento rispetto
all'analogo reato comune.
- Cod. pen. mil. pace, art. 230, comma 1.
- Costituzione, art. 3.
(GU n.44 del 25-10-2000 )
                        IL TRIBUNALE MILITARE

    Ha  pronunciato  la  seguente  ordinanza  nella causa a carico di
  Basso Marco, nato a Feltre (Belluno) il 1o febbraio 1969, residente
  a Ravenna, presso il comando stazione C.C. di Filetto, carabiniere,
  imputato  del  reato  di  furto militare (art. c.p., 230, comma 1o,
  c.p.m.p.)  "perche' in data compresa tra il 10 ed il 13 marzo 1997,
  presso  gli  uffici dell'aliquota radiomobile del comando compagnia
  C.C.  di  Carpi  (Modena),  al  fine  di trarne profitto per se' od
  altri,  si  impossessava  del  giubbotto  del carabiniere scelto Di
  Pasquale  Damiano,  sottraendolo  a  quest'ultimo  che  lo deteneva
  all'interno del comando.
    Con l'aggravante del grado rivestito.
                           P r e m e s s o
    Prima  dell'apertura del dibattimento l'imputato, con il consenso
  dei  p.m. ha chiesto l'applicazione della pena nella misura di mesi
  uno   e   giorni   dieci   di  reclusione  militare,  subordinando,
  subordinandola  alla  concessione  della  sospensione  condizionale
  della pena.
    Il   tribunale,   acquisito   il  fascicolo  del  p.m.,  a  norma
  dell'art. 135  disp.  att.  c.p.p., non ha riscontrato elementi che
  consentano   di  pervenire  ad  un  immediato  prosciolglimento  ex
  art. 129   c.p.p.;   cosicche'   non   vi  sarebbe  alcun  ostacolo
  all'applicazione della pena, cosi' come concordata dalle parti.
    Il  tribunale  militare, tuttavia, eccepisce di ufficio questione
  di legittimita' costituzionale nei termini di seguito esposti.

                            O s s e r v a

    L'art 12 della legge 25 giugno 1999 n. 205 (Delega al Governo per
  la  depenalizzazione dei reati minori e modifiche al sistema penale
  e  tributario)  ha aggiunto all'art. 624 c.p. un comma che prevede:
  "Il  delitto  e' punibile a querela della persona offesa, salvo che
  ricorra una o piu' delle circostanze di cui agli articoli 61 numero
  7) e 625 c.p.".
    Per quanto riguarda i reati commessi prima dell'entrata in vigore
  della  legge citata, l'art. 19 del medesimo testo normativo dispone
  che,  se  la  persona  abbia  avuto in precedenza notizia del fatto
  costituente  reato, il termine per la proposizione della condizione
  di procedibilita' decorra dalla data in cui e' entrata in vigore la
  legge  n. 205/1999  (13  luglio  1999). Inoltre, tale norma prevede
  che, in pendenza del relativo procedimento penale, il giudice debba
  informare  la persona offesa dal reato della facolta' di esercitare
  il diritto di querela; in quest'ultimo caso, il termine decorre dal
  giorno in cui la persona e' stata informata.
    La  questione  appare rilevante, in primo luogo, per la specie di
  reato  attribuito  all'imputato.  in  ordine  al quale non figurano
  circostanze    aggravanti;   nonche'   dall'assenza   di   ostacoli
  all'applicazione  della  pena  richiesta  a norma dell'art. 444 ss.
  c.p.p.
    Secondariamente,  la  rilevanza della questione, deriva sia dalla
  necessita'  d'informare  la persona offesa dal reato della facolta'
  di  esercitare  il  diritto  di  querela,  secondo  quanto previsto
  dall'art. 19  della  legge  n. 205/1999;  sia dalla esigenza di una
  compiuta   valutazione   a   norma  del  combinato  disposto  degli
  artt. 444, comma secondo, e 129 c.p.p.
    Nel merito, questo giudice, preso atto che il richiamato articolo
  12  fa  esplicito riferimento unicamente al reato di furto previsto
  dall'art. 624   c.p.,   non   ritiene  che  la  nuova  disposizione
  legislativa  possa  essere  estesa  in  via interpretativa anche al
  reato di furto militare, previsto dall'art. 230 c.p.m.p..
    Al  riguardo,  militano  la natura tassativa del richiamo al solo
  reato  comune  e  ragioni di certezza giuridica; criteri che questa
  Corte  costituzionale  ha  indicato  con  la sentenza n. 272 del 25
  luglio  1997, a proposito dell'applicabilita' dell'ultima amnistia,
  oltre  che  al  reato  previsto dall'art. 640, secondo comma, c.p.,
  anche  al  corrispondente  reato  militare, previsto dall'art. 234,
  secondo comma, c.p.m.p..
    Nel  recente  passato,  l'omessa  estensione ai reati militari di
  modifiche  introdotte  per  le  fattispecie  penali  comuni ad essi
  corrispondenti  ha  gia'  determinato  situazioni  di  sopravvenuta
  illegittimita' costituzionale.
    Nella  sentenza  costituzionale  n. 2 dell'8 gennaio 1991, che ha
  interessato  il  reato  di  furto  militare  d'uso (art. 233, primo
  comma,  n. 1  c.p.m.p.),  in  relazione  al  reato  di  furto d'uso
  (art. 626,  primo  comma,  n. 1,  c.p.), si osserva che "... non si
  ravvisano  valide esigenze, proprie del consorzio militare, tali da
  rendere   razionalmente   giustificabile   la   cosi'  sopravvenuta
  diversificazione  di  disciplina del furto militare d'uso, rispetto
  al  furto  d'uso comune ..." e si evidenzia, piuttosto, l'identita'
  della condizione alla quale si ricollegano tali fattispecie.
    Questa Corte, con sentenza n. 448 del 4 dicembre 1991, comparando
  tra  loro  i  reati di peculato (art. 314 c.p.) e peculato militare
  (art. 215 c.p.m.p.), ne ha sottolineato "la sostanziale identita'";
  ritenendo  irrazionale  che  le  modifiche  introdotte per la norma
  penale  comune  non  fossero  state  estese  anche  a quella penale
  militare.
    Tale  orientamento  e'  stato  ribadito  anche con la gia' citata
  sentenza  costituzionale  n. 272  del  1997;  nonostante  sia stato
  sottolineato che, in materia di amnistia, spetta al legislatore una
  competenza    esclusiva    e   difficilmente   sindacabile,   circa
  l'individuazione  dei  criteri di scelta dei reati cui applicare la
  speciale causa estintiva.
    Ai  fini che qui interessano, la natura eccezionale dell'istituto
  dell'amnistia   rende  particolarmente  significativa  la  sentenza
  appena  indicata,  dove  i  reati previsti dagli artt. 640, secondo
  comma,   c.p.   e   234,  secondo  comma,  c.p.m.p.  sono  ritenuti
  "perfettamente  corrispondenti"  nonostante la loro differente pena
  edittale  e  malgrado  il  reato  militare sia caratterizzato dagli
  elementi  specializzanti  della  qualita'  di militare del soggetto
  attivo  e dell'amministrazione pubblica danneggiata. A proposito di
  questi  ultimi  due elementi, anzi, si e' precisato in sentenza che
  nessuno di essi avrebbe potuto fornire una coerente giustificazione
  alla disparita' di trattamento sottoposta al giudizio della Corte.
    La questione che le parti hanno prospettato al tribunale militare
  richiede  un  attento  confronto  tra  il  reato  comune  di  furto
  (art. 624  c.p.)  e  il  reato  di  furto militare (art. 230, primo
  comma, c.p.m.p.).
    In  primo  luogo,  da un punto di vista meramente sistematico, si
  nota che entrambi i reati sono classificati, nei rispettivi codici,
  tra i reati contro il patrimonio. Tale comune inquadramento e' gia'
  un  sintomo  dell'identita' dei beni giuridici tutelati dalle norme
  in  raffronto;  caratteristica, quest'ultima, che non e' propria di
  ogni  relazione  che  intercorre  tra  i  reati  non esclusivamente
  militari   (privi,  cioe',  dei  requisiti  indicati  dall'art. 37,
  secondo comma, c.p.m.p.) e i reati comuni ad essi corrispondenti.
    Passando   alla   comparazione   dei   precetti   normativi,   si
  individuano,  quali  elementi  specializzanti  del  reato  di furto
  militare,  la  qualita'  militare del soggetto attivo, del soggetto
  passivo e del luogo in cui il delitto e' stato commesso.
    Per  quanto riguarda le prime due peculiarita' del reato di furto
  militare,  la  richiamata giurisprudenza costituzionale ha mostrato
  di non ritenerle cosi' significative da determinare una sostanziale
  diversita'  tra la norma penale militare e la speculare fattispecie
  comune.   Inoltre,  poiche'  puo'  essere  qualificato  come  furto
  militare  soltanto  il  fatto che presenti tutti e tre gli elementi
  specializzanti  anzidetti,  ne  deriva  che  lo status militare del
  soggetto  attivo e del titolare del bene giuridico protetto risulta
  addirittura irrilevante, qualora il reato non sia stato commesso in
  luogo militare.
    L'elemento  costitutivo del "luogo militare", dunque, rappresenta
  una piu' marcata caratterizzazione del reato previsto dall'art. 230
  c.p.m.p.;  il  cui  ultimo  comma,  del resto, indica la nozione di
  luogo militare agli effetti della legge penale militare.
    Occorre  stabilire,  tuttavia, se il requisito del luogo militare
  assuma  una  tale  importanza  da giustificare rilevanti divergenze
  dalla normativa penale comune che, nel caso posto all'attenzione di
  questo  giudice,  si sostanzierebbero nella costante procedibilita'
  di ufficio per il reato di furto militare.
    Un  primo rilievo, complementare a quelli gia' svolti a proposito
  della  qualita'  militare  dei  soggetti del reato, mostra come, in
  luogo  militare,  possano essere commessi reati di furto riferibili
  all'art. 624  c.p.,  ogniqualvolta  difetti la qualita' di militare
  nel  soggetto  attivo,  o nel soggetto passivo oppure in entrambi i
  soggetti.  Di  conseguenza,  la  natura militare del locus commissi
  delicti,  richiesta  dal  reato  previsto  dall'art. 230  c.p.m.p.,
  anziche'  esprimere  una  particolare  esigenza  di  tutela  sembra
  rivolta,  piuttosto,  a delimitare l'ambito di applicabilita' della
  norma penale speciale.
    Il  luogo militare, del resto, e' un elemento costitutivo proprio
  anche  del reato di furto (militare) d'uso, previsto dall'art. 233,
  primo  comma,  n. 1,  c.p.m.p., in quanto tale reato trae parte dei
  propri   elementi   costitutivi   proprio  dall'art. 230  c.p.m.p.;
  tuttavia  tale  circostanza  non e' stata ritenuta di ostacolo alla
  pronuncia  della citata sentenza costituzionale n. 2 del 1991, dove
  la  fattispecie  comune  e quella militare sono state valutate come
  sostanzialmente corrispondenti.
    Passando  ad  esaminare  il  profilo sanzionatorio delle norme in
  esame, si rileva che il reato di cui all'art. 624, primo comma c.p.
  e'  punito con la reclusione fino a tre anni e con la multa da lire
  sessantamila  a un milione; mentre la pena edittale per il reato di
  furto  militare  previsto  dall'art. 230,  primo comma, c.p.m.p. e'
  costituita dalla sola reclusione militare da due mesi a due anni.
    L'esame  comparato  dell'astratta  entita'  di tali pene, dunque,
  mostra  che  per  il  reato  comune  di  furto e' stabilita la pena
  pecuniaria  e la pena detentiva massima piu' elevata; mentre per il
  reato di furto militare e' fissato il minimo di pena detentiva piu'
  elevato. Si puo' affermare, quindi, che gli elementi specializzanti
  propri  del reato di furto militare non abbiano comportato una pena
  piu'  severa,  rispetto  alla  fattispecie comune. Anzi, estendendo
  l'esame  anche  agli  artt. 625  c.p.  e  231  c.p.m.p., rispettive
  circostanze  aggravanti  per i reati di furto in argomento, si puo'
  constatare  che  la  norma penale comune contempla sempre pene piu'
  elevate rispetto a quella militare.
    A  questo  punto,  si ritiene utile ricercare nella relazione per
  l'approvazione  del codice penale militare di pace le ragioni delle
  richiamate scelte legislative.
    La  inclusione  nel codice penale militare di reati che hanno per
  oggetto la lesione di un interesse gia' tutelato dalla legge penale
  comune  e' stata motivata (1/2 115 Rel. c.p.m.p.) con l'esigenza di
  rendere  inapplicabili le pene stabilite dal codice penale; questo,
  sia   perche'   esse   comprendono   pene  pecuniarie,  considerate
  incompatibili con l'indole del reato militare, sia perche' ritenute
  non  "adeguate  alla entita' effettiva del fatto, avuto riguardo al
  suo  movente  e  alle  condizioni  di  persona  o di ambiente", ne'
  "proporzionate all'entita' dei reati".
    In verita', il tenore letterale di tali espressioni non chiarisce
  se  la  paventata  inadeguatezza delle pene comuni sia stata intesa
  per  eccesso  o  per  difetto. L'operato del legislatore, tuttavia,
  chiarisce  in  modo inequivocabile che le pene previste per i reati
  comuni  furono  considerate  sproporzionate  per  eccesso;  a  tale
  conclusione  si  perviene  confrontando  le sanzioni previste per i
  reati  militari  di  cui  agli artt. da 215 a 237 c.p.m.p. e quelle
  relative ai corrispondenti reati comuni.
    L'esame  della  relazione  al codice penale militare, nella parte
  specificamente riguardante l'art. 230 c.p.m.p. (1/2 121), chiarisce
  la  genesi  del  minimo  di  pena fissato in due mesi di reclusione
  militare  per  la  fattispecie disciplinata dal primo comma di tale
  norma;  si legge, infatti, che: "e' stato mantenuto il minimo della
  pena  nella misura stabilita dai codici penali militari del 1869, i
  quali  consentivano  di infliggere", per l'appunto, "la pena di due
  mesi  di  carcere  militare". Pertanto, le ragioni del piu' elevato
  minimo  edittale,  caratteristico  del  furto  militare,  non  sono
  ricollegabili  ad  una ritenuta maggiore gravita' della fattispecie
  speciale;   ma,  piuttosto,  ad  esigenze  di  continuita'  con  la
  codificazione militare previgente.
    La  minor  gravita'  del  furto  militare,  giustificabile con la
  particolare  situazione  di  convivenza cui i militari sono tenuti,
  trova  riscontro  anche  nella vigente normativa processuale che, a
  differenza  del  furto  previsto  dall'art. 624 c.p., espressamente
  richiamato  dall'art. 381,  secondo  comma, lettera g), c.p.p., non
  consente  in  ogni  caso  l'arresto  in  flagranza  per  tale reato
  militare.
    Secondo  l'art. 12 della legge 25 giugno 1999, n. 205, come si e'
  visto,  la  punibilita'  a querela del reato previsto dall'art. 624
  c.p.  e' esclusa quando ricorra una o piu' delle circostanze di cui
  agli  articoli 61 numero 7) e 625 c.p.; occorre verificare, dunque,
  la  possibile  incidenza  di  tali circostanze rispetto al reato di
  furto militare.
    Per  quanto  concerne  l'art. 61, n. 7 c.p., esso e' direttamente
  applicabile alla legge penale militare in virtu' dell'art. 16 c.p.;
  l'art. 625   c.p.,   invece,  essendo  una  circostanza  aggravante
  speciale  e',  evidentemente,  applicabile  al  solo reato previsto
  dall'art. 624 c.p..
    Occorre  rilevare, tuttavia, che tra l'art. 625 c.p. e l'art. 231
  c.p.m.p.  esiste  uno  stretto  legame, reso esplicito dalla stessa
  relazione  al codice penale militare di pace (citato 1/2 121), dove
  si  afferma:  "l'art. 231  riproduce  le circostanze aggravanti dei
  numeri  2o,  3o,  4o e 5o dell'art. 625 del codice penale; le sole,
  cioe',  di  cui  puo'  ricorrere  l'applicazione  in  tema di furto
  militare".
    Nei  casi  richiamati  dalla  relazione,  in  effetti, l'art. 231
  c.p.m.p.   coincide   esattamente  con  l'art. 625  c.p.;  inoltre,
  rispetto  ad essi, non presenta ulteriori o diverse circostanze. Si
  puo'  affermare,  quindi, che l'art. 625 racchiude in se' tutti gli
  elementi  indicati  dall'art. 231  c.p.m.p.,  e  che  le  ulteriori
  circostanze   contenute   nella   norma   comune  sono  logicamente
  incompatibili con il reato di furto militare.
    In   base   a  queste  considerazioni,  appare  rispettosa  della
  discrezionalita'  del  legislatore  una  pronuncia  che adegui alla
  Costituzione  l'art. 12  della legge 25 giugno 1999, n. 205 tale da
  sostituire, in relazione al reato di furto militare, il riferimento
  all'art. 625    c.p.   con   l'art. 231   c.p.m.p.;   ovvero   che,
  semplicemente,   rimandi   alle   concrete   circostanze   elencate
  nell'art. 625 c.p..
    L'istituto  della querela trae origine dall'interesse dello Stato
  a   stabilire   una   graduatoria  dei  valori  sociali,  ai  quali
  ricollegare  una  tutela  differenziata  in relazione alla qualita'
  degli interessi violati.
    Ogni reato, infatti, anche qualora incida sulla sfera del singolo
  individuo,  lede  comunque  interessi pubblici; cosicche' la scelta
  operata  dal  legislatore  con la legge n. 205 del 1999 esprime una
  valutazione  di  minore  interesse  sociale  per il reato di furto,
  tanto   da   condizionare   alla   proposizione  della  querela  la
  possibilita' di esercitare l'azione penale per tale reato.
    Si   e'  gia'  visto  come  il  trattamento  riservato  alle  due
  fattispecie  di furto, tanto sul piano sostanziale che processuale,
  riveli  un minor rigore nei confronti del reato di furto militare e
  come,   in   origine,  entrambi  i  reati  fossero  invariabilmente
  perseguibili d'ufficio.
    La  valutazione  di  un  attenuato  interesse sociale per il solo
  reato  previsto  dall'art. 624  c.p.,  insita  nella  citata  legge
  n. 205,  sembra  aver alterato il preesistente equilibrio tra i due
  tipi  di  furto, tanto da far apparire irragionevole, a causa della
  minore  gravita' del reato e della sua sostanziale identita' con la
  corrispondente  fattispecie  comune, la persistente perseguibilita'
  di ufficio per il reato furto militare.
    Per  quanto  riguarda  le condizioni di procedibilita', il codice
  penale  militare  di  pace prevede la richiesta di procedimento del
  Ministro (art. 260, primo comma) e la richiesta di procedimento del
  comandante  di  Corpo  o  di altro ente superiore (art. 960 secondo
  comma);  in  effetti,  allo  stato  della normativa vigente, nessun
  reato   militare   figura   sottoposto   ad   una   condizione   di
  procedibilita' diversa da quelle appena indicate. Tale circostanza,
  tuttavia,  non induce questo tribunale a ritenere che la condizione
  della  querela  sia,  di  per  se', incompatibile con l'ordinamento
  penale militare.
    In  primo  luogo,  si  osserva  che l'art. 269 c.p.m.p., dedicato
  all'officialita'  dell'azione  penale,  stabilisce:  "Per  i  reati
  soggetti  alla giurisdizione militare, l'azione penale e' pubblica,
  e, quando non sia necessaria la richiesta o la querela, e' iniziata
  d'ufficio...".  Al riguardo, la relazione al codice penale militare
  (  1/2  138  ) spiega "che si e' fatto richiamo anche alla querela,
  tenendo presente il caso in cui un reato comune, punibile a querela
  della  persona offesa, sia soggetto alla giurisdizione militare per
  ragione di connessione".
    Tale  intendimento, per il vero, e' stato vanificato dai rigorosi
  limiti che l'art. 103, terzo comma, della Costituzione ha assegnato
  alla  giurisdizione  dei tribunali militari per il tempo di pace e,
  comunque,  implicherebbe  l'inapplicabilita' della querela ai reati
  militari.
    Si  ritiene, tuttavia, preferibile un approccio interpretativo di
  tipo oggettivo che, attribuendo alla legge un significato autonomo,
  desumibile  dal  suo  contenuto,  non  obliteri  il dato normativo;
  diversamente, secondo la teoria soggettiva dell'interpretazione, si
  perverrebbe  a risultati caratterizzati da immobilita' e inadeguati
  al  mutato contesto in cui la norma e' chiamata a dispiegare e suoi
  effetti.  Di  conseguenza,  si  reputa tuttora operante il richiamo
  della querela, contenuto nell'art. 269 c.p.m.p..
    Per   quanto   riguarda,   poi,  le  disposizioni  sostanziali  e
  processuali    che   disciplinano   la   querela   esse   risultano
  astrattamente applicabili in ambito penale militare in virtu' deali
  artt. 16 c.p. e 261 c.p.m.p..
    Per  tutte  le  considerazioni  svolte, questo giudice a quo, pur
  consapevole dell'ampio margine di discrezionalita' che caratterizza
  le  scelte  legislative  in  materia  di condizioni procedibilita',
  ipotizza  una  violazione  dell'art. 3 della Costituzione, sotto il
  profilo  della  irragionevole  disparita' di trattamento che deriva
  dalla  perseguibilita' di ufficio del furto militare anche nei casi
  in  cui il corrispondente reato comune di furto risulti procedibile
  a querela.
    Il tribunale militare, di conseguenza, ritiene non manifestamente
  infondata  e  rilevante la questione di legittimita' costituzionale
  dell'art. 230,  primo  comma,  c.p.m.p.,  nella  parte  in  cui non
  prevede  che  il  delitto  di furto militare sia punibile a querela
  della   persona   offesa,  salvo  che  ricorra  una  o  piu'  delle
  circostanze di cui agli articoli 61, numero 7), e 231 c.p.m.p..
                              P. Q. M.
    Visti  gli artt. 23 e ss. primo 11 marzo 1953, n. 87 dichiara, in
  relazione   all'art.   3   della   Costituzione   rilevante  e  non
  manifestamente    infondata    la    questione    di   legittimita'
  costituzionale dell'art. 230, primo comma, c.p.m.p., nella parte in
  cui  non  prevede  che  il delitto di furto militare sia punibile a
  querela  della  persona  offesa, salvo che ricorra una o piu' delle
  circostanze di cui agli articoli 61, numero 7), e 231 c.p.m.p.;
    Dispone la sospensione del presente processo;
    Ordina trasmettersi gli atti alla Corte costituzionale;
    Dispone,  altresi',  che  la presente ordinanza sia notificata al
  Presidente  del  Consiglio  dei Ministri e comunicata ai Presidenti
  del Senato della Repubblica e della Camera dei deputati.
    Cosi' deciso nella Spezia il giorno 4 maggio 2000.
                        Il Presidente: Rosin
                     Il giudice estensore:Bacci
00c1070