N. 607 ORDINANZA (Atto di promovimento) 9 maggio 2000

Ordinanza  emessa  il  9  maggio  2000  dal  tribunale di Firenze nel
procedimento penale a carico di Machuca Claudio Alejandro ed altri

Processo penale - Giudizio abbreviato - Modifiche normative - Diritto
del  pubblico  ministero  di  intervenire  sulla  richiesta  di  rito
abbreviato  formulata  dall'imputato  -  Mancata previsione - Mancata
previsione,   altresi',   del   potere   del   giudice   di  decidere
sull'ammissibilita' della richiesta medesima - Ingiustificata parita'
di   trattamento  tra  imputati  -  Contrasto  con  il  principio  di
imparzialita'  e  buon  andamento  della  pubblica  amministrazione -
Violazione  del  principio  di indipendenza del giudice - Lesione del
principio del contraddittorio.
- Cod. proc. pen., art. 438.
- Costituzione, artt. 3, 97, 101 e 111.
(GU n.44 del 25-10-2000 )
                            IL TRIBUNALE

    Sulla  questione  di  legittimita'  costituzionale  dell'art. 438
  c.p.p.  per  violazione dell'art 111. della Costituzione, sollevata
  dal p.m., sentiti i difensori;
                           O s s e r v a:
    Gli  imputati  Machuca  Claudio  Alejandro,  Natale Ciro, Labanti
  Stefano,  Di  Marco  Orazio  Antonio,  Peluso  Giovanni, hanno oggi
  richiesto,  ai  sensi  dell'art. 223  d.lgs n. 51\1998, il giudizio
  abbreviato.  Ha  eccepito  il p.m. la illegittimita' costituzionale
  dell'art. 438 c.p.p. in quanto, nella sua attuale formulazione, non
  consente  al  p.m.  stesso  di  intervenire al fine di esprimere il
  consenso o il dissenso in relazione alla richiesta medesima.
    Ritiene  il tribunale che l'art. 438 c.p.p. e' applicabile, nella
  attuale  formulazione,  anche  ai  giudizi per i quali l'abbreviato
  viene  richiesto  sulla  base de1l'art. 223 sopracitato, in quanto,
  trattandosi  di  norma  a prevalente carattere processuale, essa e'
  estensibile  a  tutti  i  procedimenti  pendenti,  e  quindi  anche
  all'attuale processo.
    Sulla  base  di  tale  presupposto,  deve  comunque  valutarsi la
  legittimita'  costituzionale  dell'impianto  normativo  che  regola
  l'attuale  giudizio  abbreviato  in relazione ad alcune norme della
  costituzione.
    Occore   innanzitutto   soffermarsi   sul  nuovo  art. 111  della
  Costituzione, evidenziandone principi fondamentali.
    Prevede dunque il medesimo art. 111 che la giurisdizione si attua
  mediante  il  giusto  processo  regolato  dalla  legge,  e che ogni
  processo  si  svolge in contraddittorio tra le parti, in condizione
  di parita', davanti a un giudice terzo e imparziale.
    Tale  isposizione, a parere del collegio, non puo' che riguardare
  qualsiasi  fase  processuale,  in  quanto  le  norme  contenute nei
  successivi   commi   4   e   5   regolano,   piu'   specificamente,
  l'applicazione  del principio del contraddittorio alle sole fasi in
  cui viene assunta la prova.
    Tale distinzione, evidente alla mera lettura della norma, implica
  che  i  principi  del  rispetto del contraddittorio e della parita'
  delle  parti  nel  processo  operano  sin  dall'inizio del processo
  medesimo,  e che quindi non vi e' alcuna fase svincolata dalla loro
  applicazione concreta.
    E'  quindi  conseguenziale  ritenere che non puo' verificarsi nel
  processo  penale  alcuna  situazione  giuridica che consenta il suo
  regolare   svolgimento   senza  che  a  ciascuna  delle  parti  sia
  riconosciuto il diritto ad interloquire.
    Tale diritto non puo' ovviamente essere inteso come mera facolta'
  formale  ad  esprimersi,  ma  deve manifestarsi in modo tale che ad
  esso  possa  conseguire  efficacia  giuridica. In caso contrario il
  diritto  a  contraddire  e  il  principio della parita' delle parti
  resterebbero   vuoti   di   contenuti  giuridici  concreti  con  la
  conseguenza   che  la  norma  dell'art. 111  resterebbe  del  tutto
  disattesa e quindi priva di efficacia precettiva.
    Nel  caso  in  questione,  dalla  applicazione dei principi sopra
  enunciati discendono evidenti e dirette conseguenze.
    Non appare infatti conforme alla Costituzione non solo privare il
  p.m.  del diritto a contraddire, le richieste dell'imputato in tema
  di  giudizio  abbreviato,  ma  anche  non attribuire alle eventuali
  contrarie   deduzioni   dell'organo   dell'accusa,   una  qualsiasi
  efficacia  giuridica immediata, che nel sistema attuale della legge
  non e' dato riscontrare.
    L'impianto  normativo  in vigore evidenzia quindi chiari dubbi di
  legittimita'   costituzionale,   perche'  impedisce  sia  il  pieno
  dipiegarsi   del   contraddittorio   anche   nella   attuale   fase
  processuale,  sia  il  rispetto  del  principio della parita' delle
  parti, con ovvia e conseguente rilevanza nel processo in corso.
    Un  ulteriore  argomento  inteso  a  rafforzare  le  tesi sin qui
  esposte   si   rinviene   nell'insegnamento   della   stessa  Corte
  costituzionale,  contenuto  nella ordinanza 26 febbraio 1998 n. 33,
  secondo  cui  la  possibilita' di adottare il rito abbreviato sulla
  base  delle  sole  richieste  dell'imputato  in  funzione  dei suoi
  legittimi  interessi  di difesa, violerebbe i principi fondamentali
  che   regolano  il  processo  penale,  intesi  essenzialmente  alla
  realizzazione dei superiori interessi della giustizia.
    Occorre  peraltro  osservare  anche  in punto di rilevanza che la
  possibilita'  per  il p.m. di contraddire su un piano di parita' la
  richiesta  delle  parti,  conferendo  efficacia  giuridica alle sue
  osservazioni  eventualmente contrarie alla ammissibilita' del rito,
  dovrebbe comportare le seguenti conseguenze:
        1)  o  al dissenso motivato del p.m. consegue, se fondato, la
  prosecuzione   del   processo  con  il  rito  ordinario,  salva  la
  possibilita'  per il giudice di riconoscere al termine dello stesso
  la  non  congruita'  delle  motivazioni  medesime,  con conseguente
  attribuzione dello sconto di pena agli imputati, oppure:
        2)  dovrebbe  riconoscersi  al  giudice  la  possibilita'  di
  pronunciarsi  immediatamente,  ammettendo o rigettando la richiesta
  degli imputati.
    Cio'   comporterebbe   la  piena  attuazione  del  principio  del
  contraddittorio   nell'ambito   di  un  sistema  processuale,  come
  l'attuale, improntato anche al rispetto della piena parita', tra le
  parti,  che  si svolge davanti a un giudice terzo al quale non puo'
  essere  negata  la  attribuzione  del  potere  di  deliberare sulle
  questoni prospettate dalle parti in contraddittorio tra loro.
    Una  situazione normativa, come l'attuale, che esclude il giudice
  dall'assolvimento  di  indefettibili  compiti istituzionali che gli
  sono  propri,  viola  il  principio  della  giurisdizione  e quindi
  l'art. 101 della Costituzione.
    Occorre ancora considerare che il vigente assetto normativo sulla
  ammissibilita'  del  giudizio  abbreviato,  introduce  un singolare
  diritto soggettivo assoluto dell'imputato non tanto e non solo alla
  mera  scelta  del  rito, quanto addirittura al conseguimento di uno
  sconto di pena.
    Cio'  in  quanto  la mancata previsione della possibilita' per il
  p.m.  di  esprimere  il  proprio  dissenso motivato sulla richiesta
  nonche'  la mancata previsione del potere del giudice di respingere
  la  richiesta medesima, (salvo il limitato caso dell'art. 438 comma
  5),  unitamente  alla  impossibilita'  per  il  giudice  stesso  di
  sanzionare in qualche modo la mancanza dei naturali presupposti del
  rito  speciale,  trasformano  il  diritto processuale dell'imputato
  alla  scelta  del  rito  in  un sostanziale diritto del medesimo al
  conseguimento   automatico  e  irragionevole  del  beneficio  della
  riduzione di pena.
    Peraltro,  non  appare  incongruo  rispetto  alle  considerazioni
  appena  svolte,  notare  che  ai sensi dell'art. 443 c.p.p. al p.m.
  non e'  neppure  data  facolta'  di  impugnazione della sentenza di
  condanna,  salva la limitata eccezione prevista in caso di modifica
  del titolo del reato.
    Appare  a  questo  punto  necessario  ricordare che i presupposti
  logico-giuridici  del  predetto rito abbreviato si rinvengono, come
  emerge  chiaramente  anche  dai  lavori  preparatori  del codice di
  procedura  vigente,  nella  abbreviazione  dei tempi processuali in
  conseguenza    del    mancato    svolgimento    della   istruttoria
  dibattimentale,  o  della intera fase dibattimentale: e' proprio al
  fine di realizzare tale esigenza che il legislatore ha riconosciuto
  uno sconto di pena al soggetto richiedente.
    Secondo  la  normativa attuale invece, tale rito rimane del tutto
  svincolato  dai  presupposti  sopra  indicati, in quanto qualora il
  giudice  ritiene  necessario  procedere ad una qualche integrazione
  probatoria (ove non ritenga di poter decidere allo stato degli atti
  ha comunque l'obbligo di applicare la diminuente del rito, malgrado
  risultino  evidentemente  disattese  le  ragioni  di  speditezza ed
  economia alla base dell'istituto.
    Sulla  scorta  di tali ultime osservazioni, deve ritenersi che la
  attuale  normativa sul giudizio abbreviato viola anche il principio
  enunciato dall'art. 97 della costituzione, dell'imparzialita' e del
  buon  andamento  della  pubblica  amministrazione (nella quale deve
  ovviamente ricomprendersi che quella giudiziaria), poiche' comporta
  la   attribuzione  agli  imputati  di  vantaggi  significativi,  ma
  ingiustificati, in quanto non sempre conseguenti alla realizzazione
  dei fini ai quali dovrebbero essere preordinati.
    Ne' puo' tacersi che l'attuale sistema prevede la attribuzione di
  tali  vantaggi  a  tutti gli imputati che fanno richiesta del rito,
  senza  che  sia  consentito  distinguere  tra  coloro  quali  hanno
  effettivamente  contribuito alla riduzione dei tempi processuali, e
  coloro  che  invece  hanno dato causa alla dilatazione degli stessi
  attraverso  attivita'  di integrazione probatoria resasi necessaria
  in  base  alle valutazioni del giudice. Tutto cio' sembra essere in
  contrasto anche con l'art. 3 della Cost.
    Inoltre   come  stabilito  dalla  Corte  nella  ordinanza  citata
  n. 33\98,   l'attuale   situazione   normativa  determina  evidenti
  disarmonie nel sistema processuale, posto che alla perdita del p.m.
  della  possibilita'  di  interloquire sulla scelta del rito, non si
  accompagna  neppure una nuova disciplina sull'esercizio del diritto
  alla  prova  (il  p.m.  non  ha  facolta'  di  chiedere integazioni
  probatorie  di  iniziativa), e neppure una modifica estensiva delle
  attuali limitazioni alla facolta' di impugnare.
    Tutto  cio'  implica  una  nuova  violazione  dell'art. 111 della
  Costituzione  sotto  il  profilo  del  rispetto  del  principio del
  contraddittorio  nonche'  di  quello  della  parita' delle parti in
  tutte le fasi processuali.
                              P. Q. M.
    Vista la legge 11 marzo 1953 n. 87;
    Ritenutane la rilevanza nel presente processo;
    Dichiara   non   manifestamente   infondata   la   questione   di
  legittimita' costituzionale dell'art. 438 c.p.p. nella parte in cui
  non  prevede  il diritto del p.m. di intervenire sulla richiesta di
  rito  abbreviato  formulata  dall'imputato,  esprimendo  consenso o
  dissenso motivato, e nella parte in cui non prevede autonomo potere
  del  giudice  di  decidere  sulla  ammissibilita'  della  richiesta
  medesima,  per  violazione  degli  articoli  3,  97, 101, 111 della
  Costituzione.
    Sospende  il  giudizio  in  corso  nei  confronti  degli imputati
  indicati   nella   epigrafe   della  presente  ordinanza  e  ordina
  trasmettersi gli atti alla Corte costituzionale in Roma.
    Manda  la  cancelleria  per gli adempimenti conseguenti, relativi
  alla  notifica della presente ordinanza al Presidente del Consiglio
  dei Ministri e ai Presidenti delle due Camere del Parlamento.
        Firenze, addi' 9 maggio 2000.
                       Il Presidente: Maradei
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