N. 689 ORDINANZA (Atto di promovimento) 5 luglio 2000

Ordinanza  emessa  il  5  luglio  2000  dal  tribunale di Palermo nel
procedimento penale a carico di Biondino Girolamo ed altro

Processo  penale  -  Disciplina transitoria a seguito delle modifiche
recate  dalla legge 16 dicembre 1999, n. 479 - Procedimenti per due o
piu'  delitti puniti con la pena dell'ergastolo oppure per un delitto
punito  con  l'ergastolo  ed  altri  puniti  con  la pena complessiva
superiore  a  cinque  anni  - Previsto accesso per l'imputato al rito
abbreviato  -  Conseguente  possibilita'  di  ottenere,  in  caso  di
condanna,  l'impunita'  per  i  delitti  concorrenti  - Disparita' di
trattamento  sotto  diversi  profili  -  Lesione  del principio della
finalita'  rieducativa  della  pena  -  Violazione  del  principio di
obbligatorieta' dell'azione penale.
- Legge 5 giugno 2000, n. 144, art. 4-ter, commi 2 e seguenti [recte:
  d.l.  7  aprile  2000, n. 82, (convertito, con modificazioni, nella
  legge 5 giugno 2000, n. 144), art. 4-ter, commi 2 e seguenti].
- Costituzione,  artt.  3,  27  e  112.  Processo penale - Disciplina
  transitoria  a  seguito  delle  modifiche  recate  dalla  legge  16
  dicembre 1999, n. 479 - Procedimenti per delitti puniti con la pena
  dell'ergastolo,  in  fase  avanzata  di istruzione dibattimentale -
  Previsto  accesso  al  rito abbreviato per l'imputato, su richiesta
  non    sindacabile    dal   giudice   -   Conseguente   impedimento
  dell'assunzione  di mezzi di prova chiesti dalle altre parti e gia'
  ammessi  -  Disparita'  di  trattamento  tra imputati sotto diversi
  profili  -  Lesione  del  diritto  di  difesa,  con riferimento, in
  particolare,  alla  posizione  delle  parti  civili  -  Lesione del
  principio  della  riserva  della  funzione  giurisdizionale  e  del
  principio  di  indipendenza  del giudice - Contrasto con i principi
  costituzionali  concernenti  la formazione della prova - Violazione
  del principio di obbligatorieta' dell'azione penale.
- Legge 5 giugno 2000, n. 144, art. 4-ter, commi 2 e seguenti [recte:
  d.l.  7  aprile  2000, n. 82, (convertito, con modificazioni, nella
  legge 5 giugno 2000, n. 144), art. 4-ter, commi 2 e seguenti].
- Costituzione,  artt.  3,  24,  97,  101,  secondo comma, 102, primo
  comma, 111, commi secondo, quarto e quinto, e 112.
(GU n.46 del 8-11-2000 )
                         LA CORTE DI ASSISE

    Ha emesso la seguente ordinanza in ordine alle richieste avanzate
  da  entrambi  gli  imputati  di  essere giudicati immediatamente ai
  sensi  dell'art. 4-ter,  comma  2  legge  5  giugno 2000, n. 144; e
  all'eccezione di inammissibilita' del rito abbreviato sollevata dal
  p.m., all'udienza del 28 giugno 2000; come da verbale in atti;
    Udite le parti; letti gli atti e sciogliendo la riserva;

                            O s s e r v a

    Le  richieste  avanzate  dagli imputati Biondino Girolamo e Spina
  Francesco  rientrano  nella previsione di cui all'art. 4-ter, comma
  2,  della  legge  n. 144/2000,  atteso  che  gli  imputati predetti
  rispondono  in  questo  processo anche del delitto di strage che e'
  punibile  con  la  pena  dell'ergastolo;  ne',  ad avviso di questa
  Corte,  puo'  condividersi  l'interpretazione proposta dal pubblico
  ministero,  secondo  cui  la  norma citata si riferirebbe solo alle
  ipotesi   in  cui  all'imputato,  in  caso  di  condanna,  potrebbe
  irrogarsi  la  pena dell'ergastolo; e non anche alle ipotesi in cui
  l'imputato  risponda  di  piu'  delitti  punibili  con l'ergastolo,
  ovvero,  come  nel  caso  di  specie,  di  un  delitto  punito  con
  l'ergastolo,  e  tale e' la strage in cui perirono il Vice-Questore
  di  P.S. Antonino Cassara' e l'Agente di P.S. Roberto Antiochia; ed
  altri  delitti  puniti  con pena detentiva superiore a cinque anni,
  come  quelli  di cui ai capi b) e c) della rubrica d'accusa e cioe'
  il  tentato  omicidio,  pluriaggravato,  dell'Agente di P.S. Natale
  Mondo  e  il  porto  e  la detenzione illegale di micidiali armi da
  guerra insieme ad altre armi comuni da sparo e relative munizioni):
  ipotesi  in  cui  alla  pena  dell'ergastolo  si  aggiungerebbe  la
  sanzione dell'isolamento diurno a norma dell'art. 72 c.p..
    In  tali  casi,  secondo  la  prospettazione  del  p.m.,  ove  si
  accedesse alla richiesta di rito abbreviato, il giudice, in caso di
  condanna,   si  troverebbe  costretto  a  scegliere  tra  soluzioni
  parimenti  impossibili  giuridicamente,  o  palesemente  viziate da
  incostituzionalita'  per  contrasto  con  principi fondamentali che
  regolano  la  potesta'  punitiva  e la funzione stessa del processo
  penale, e per le disparita' di trattamento che ne scaturirebbero.
    Infatti,  il  legislatore  ha previsto la sostituzione automatica
  della  pena  dell'ergastolo  con la pena detentiva temporanea della
  reclusione  per  la  durata di trent'anni; ma non ha previsto alcun
  meccanismo  di  riduzione  o di sostituzione rispetto all'eventuale
  ulteriore  sanzione  dell'isolamento  diurno, che, come insegna una
  pacifica   giurisprudenza  di  legittimita',  non  e'  affatto  una
  modalita'  di  esecuzione  della  pena,  bensi'  una vera e propria
  sanzione penale.
    Una  sanzione che si sostanzia in un inasprimento del trattamento
  afflittivo  corrispondente  alla  pena  a  vita,  solo  perche' non
  avrebbe  alcun  senso infliggere un'ulteriore pena detentiva che di
  fatto non aggiungerebbe nulla alla pena dell'ergastolo.
    Sicche'  il giudice dovrebbe: o "inventarsi" una sanzione che non
  e' prevista dalla legge, e cioe' l'isolamento diurno (eventualmente
  ridotto  a  sua  volta  nella  misura  di  un  terzo,  per  effetto
  dell'applicazione  della  diminuente  per  il rito), associato alla
  pena  dei  trent'anni  di  reclusione;  oppure,  lasciare i delitti
  ulteriori,   rispetto   a  quello  gia'  passibile  dell'ergastolo,
  praticamente impuniti perche' privi di qualsiasi sanzione.
    L'unica  via  per  restituire  un  minimo  di ragionevolezza alla
  disposizione  in  esame,  sottraendola  a  inevitabili  censure  di
  incostituzionalita',  sarebbe  allora  quella  di interpretarla nel
  senso  che  essa  troverebbe  applicazione solo nei confronti degli
  imputati  che rispondano di un solo delitto punito con l'ergastolo;
  ovvero  agli  imputati  che  rispondano  di  un  delitto punito con
  l'ergastolo  ed  altri  reati  minori  punibili  con pene detentive
  inferiori   ad   anni  cinque.  In  queste  ipotesi,  infatti,  non
  scatterebbe,   in   caso   di   condanna,   la  sanzione  ulteriore
  dell'isolamento diurno.
    Resterebbero  quindi  fuori della previsione normativa i processi
  per  stragi  o  nei  quali  si  contestano  piu'  omicidi parimenti
  aggravati  e  punibili  con l'ergastolo, come sono di regola quelli
  per omicidi commessi in contesti di criminalita' organizzata.
    Ad  avviso della Corte, l'interpretazione proposta dalla pubblica
  accusa  muove  da  due  premesse  sicuramente  fondate  in punto di
  diritto.
    La  prima  e'  che  la  riduzione di un terzo della pena previsto
  dalla   disciplina  transitoria  di  cui  all'art. 4-ter  a  favore
  dell'imputato  che  chieda di essere giudicato immediatamente ha la
  medesima   natura   della   speciale   diminuente   prevista  dalla
  corrispondente  disciplina (ordinaria) del giudizio, abbreviato, al
  cui  modello  sostanzialmente  si  riporta  anche  lo speciale rito
  disciplinato dai commi terzo e seguenti dello stesso art. 4-ter.
    Si   tratta   dunque   di  una  diminuente  che,  essendo  legata
  esclusivamente   al   rito   adottato,   ha   natura   processuale,
  prescindendo  da  qualsiasi valutazione in ordine alla gravita' del
  fatto  o  alla  personalita'  del  reo,  o  all'entita'  della pena
  complessiva da infliggere per i reati commessi.
    Conseguentemente,  la  sua  applicazione  si  traduce in una mera
  operazione  di  calcolo  aritmetico  che  va compiuto solo dopo che
  siano  state applicate le disposizioni di carattere sostanziale che
  regolano  la determinazione in concreto della pena da irrogare: ivi
  comprese,  nel  caso di concorso materiale o formale di piu' reati,
  quelle  concernenti  il  cumulo  (giuridico)  delle pene. (Cfr. per
  tutte,  Cass.  pen. sez.  I,  27 maggio 1994 n. 6217, Pusceddu: "la
  riduzione   della   pena   in   seguito   al  giudizio  abbreviato,
  risolvendosi   in  un'operazione  puramente  aritmetica  di  natura
  processuale   conseguente   alla   scelta   del   rito   ad   opera
  dell'imputato, logicamente e temporalmente deve essere eseguita dal
  giudice  dopo  la  determinazione  della  pena effettuata secondo i
  criteri  e  nel rispetto delle norme sostanziali". Ed ancora, Cass.
  pen. sez.  I,  22  gennaio  1994,  n. 4461, Massenza: "la riduzione
  premiale  prevista  per  il rito abbreviato va computata sulla pena
  risultante  all'esito di tutte le valutazioni dalla legge assegnate
  al  giudicante:  applicazione della disciplina della continuazione,
  riconoscimento    di    circostanze    attenuanti   e   diminuenti,
  riconoscimento di circostanze aggravanti, giudizio di bilanciamento
  ed applicazione di recidiva; e cio' perche' la riduzione di pena ex
  art. 442, secondo comma, c.p.p., per il summenzionato suo carattere
  premiale   ed   in   quanto   assolutamente   disancorata  da  ogni
  apprezzamento  che concerne il reato oppure il reo, non puo' essere
  ricondotta  ne'  alla categoria delle circostanze attenuanti, ne' a
  quella delle diminuenti in senso tecnico-giuridico".
    La  seconda  premessa  esatta  e'  che l'isolamento diurno di cui
  all'art. 72,  commi primo e secondo, c.p. non e' una mera modalita'
  di  esecuzione  della  pena,  ma  costituisce  una  vera  e propria
  sanzione  penale  volta  proprio  a non lasciare impuniti i delitti
  commessi dallo stesso imputato riconosciuto colpevole di un delitto
  punito  gia'  con  la pena dell'ergastolo. Delitti che, oltretutto,
  potrebbero in ipotesi essere, singolarmente o nel loro insieme, non
  meno gravi di quello gia' punito con l'ergastolo.
    Cio'  vale  anche  nell'ipotesi di reato continuato o di concorso
  formale.  Anche  in questi casi, infatti, la maggiorazione prevista
  rispettivamente dal primo e dal secondo comma dell'art. 81 c.p. non
  viene  azzerata o assorbita dalla pena inflitta per il delitto piu'
  grave,  quando  la pena base sia gia' l'ergastolo; ma si traduce in
  un inasprimento del trattamento sanzionatorio a norma dell'art. 72,
  che  trova pacificamente applicazione anche nelle ipotesi predette.
  In  particolare una costante giurisprudenza di legittimita' insegna
  che,  nell'ipotesi  di  reato  punito con l'ergastolo e altri reati
  meno  gravi  avvinti  al  primo dal vincolo della continuazione, la
  misura  dell'isolamento  diurno trova applicazione appunto a titolo
  di  aumento per la continuazione (Cfr. Cass, pen. sez. I, 21 aprile
  1993  n. 1218,  Nistri:  "l'isolamento diurno previsto dall'art. 72
  c.p., costituisce una sanzione penale per i delitti concorrenti con
  quelli puniti con l'ergastolo, posto che esso afferisce alla genesi
  del  rapporto  esecutivo.  Ne deriva che, ricorrendo l'unicita' del
  disegno  criminoso, puo' applicarsi la continuazione tra piu' reati
  puniti con l'ergastolo ed altri con pene temporanee, utilizzando lo
  strumento dell'inasprimento della sanzione penale"
    Nella   fattispecie  il  S.C.  osservava  che,  con  la  sanzione
  dell'isolamento diurno, il legislatore ha previsto un meccanismo di
  cumulo  giuridico  anche  al  di  fuori  della  continuazione  e ha
  altresi'  rilevato  che,  applicando  quest'ultima,  l'inasprimento
  della  pena dell'ergastolo avra' luogo normalmente in misura minore
  venendo utilizzato non come pena da infliggere per i singoli reati,
  bensi' come aumento per la continuazione).
    Ma  pur  dovendosi  accedere  alle  richiamate premesse, non puo'
  altresi' condividersi la conclusione che ne trae il p.m.
    Al  di  la'  di qualsiasi considerazione sulla mens legis o sulle
  indicazioni   desumibili   dai   lavori   preparatori   che   hanno
  accompagnato l'inserimento della disposizione di cui all'art. 4-ter
  in  sede  di  conversione  del decreto legislativo 7 Aprile 2000, a
  confutare  quella  conclusione  sono  sia  il  dato letterale della
  norma;  sia l'argomento logico-sistematico che impone di leggere la
  disposizione  in oggetto alla luce della nuova disciplina ordinaria
  del   giudizio   abbreviato,   a   cui  la  disciplina  transitoria
  dell'art. 4-ter  sostanzialmente  si  riporta.  E  se  e'  vero che
  l'art. 438  c.p.p.  (come novellato dall'art. 27, legge 16 dicembre
  1999,   n. 479)   non   figura   tra   le  disposizioni  richiamate
  dall'art. 4-ter,   non   puo'   da  questo  omesso  richiamo  farsi
  discendere  una  distinzione-esclusione che la disciplina ordinaria
  del giudizio abbreviato assolutamente non prevede: quella cioe' tra
  imputati  di  un  solo  delitto  punibile  con l'ergastolo - che in
  ipotesi  avrebbero  facolta' di chiedere il giudizio abbreviato - e
  imputati  che,  invece,  quella  facolta'  non  avrebbero in quanto
  rispondono  di  piu'  delitti  passibili della pena dell'ergastolo,
  ovvero  di  piu' delitti passibili, in caso di condanna, della pena
  dell'ergastolo maggiorata della sanzione dell'isolamento diurno.
    Altrimenti  dovrebbe sostenersi che anche la disciplina ordinaria
  del    giudizio    abbreviato   implicitamente   contempla   quella
  distinzione-esclusione.  In  altri  termini,  se  la conclusione in
  esame  fosse  fondata, essa dovrebbe valere anche per la disciplina
  ordinaria   del  giudizio  abbreviato,  perche'  il  meccanismo  di
  riduzione  della  pena  previsto dall'art. 442 e' identico a quello
  dell'art. 4-ter,  che  infatti  si  limita  a  richiamarlo  ed anzi
  sottolinea  che la richiesta dell'imputato e' volta "ai fini di cui
  all'art. 442, secondo comma del codice di procedura penale". E tale
  meccanismo  prevede  semplicemente che "alla pena dell'ergastolo e'
  sostituita  quella  della  reclusione  di  anni trenta" (Sicche' si
  riproporrebbe  il  problema  applicativo prospettato dal p.m. per i
  casi  in  cui  la  pena  da  infliggere in concreto sia l'ergastolo
  aggravato dalla sanzione ulteriore dell'isolamento diurno).
    In  realta',  prima di pervenire ad una conclusione generalizzata
  all'intera  disciplina  del  giudizio  abbreviato, appare opportuno
  rammentare   che   la   misura  dell'isolamento  diurno,  associata
  all'ergastolo  a  norma  dell'art. 72  del  c.p.  e' si' una vera e
  propria  sanzione  penale,  ma  deve la sua peculiarita' anche alla
  duplice  natura  che  riveste:  essa infatti e' pena principale dal
  punto di vista della sua funzione sostanziale (che e' quella di non
  lasciare   impuniti  i  delitti  ulteriori  commessi  dall'imputato
  colpevole  di  un  delitto  gia'  punito  con  l'ergastolo);  ma al
  contempo   e'   una   sanzione   accessoria,  dal  punto  di  vista
  strutturale,   in   quanto   suo   presupposto   indefettibile   e'
  l'inflizione  in  concreto  della  pena  dell'ergastolo per uno dei
  delitti  in  concorso  o  in  continuazione.  Rispetto  ad una pena
  accessoria    in   senso   tecnico   e'   diverso   il   fondamento
  giustificativo:   la   pena   accessoria   propriamente   detta  e'
  conseguenza  automatica  della  condanna  ad  una pena di una certa
  entita' o della condanna per determinati titoli di reato.
    L'isolamento  diurno  a  norma  dell'art. 72  c.p.  invece mira a
  punire  un  delitto  diverso  da quello per cui e' inflitta la pena
  principale  e  del  quale lo stesso imputato sia stato riconosciuto
  colpevole.
    Tuttavia,  quando  il legislatore si riferisce a reati puniti con
  l'ergastolo,   o   quando   parla   di   sostituzione   della  pena
  dell'ergastolo  "con  quella  della  reclusione di anni trenta", il
  riferimento alla pena massima contemplata dall'ordinamento non puo'
  che  intendersi  come comprensivo non solo delle pene accessorie in
  senso  tecnico,  che  sempre e comunque conseguono ope juris ad una
  condanna  all'ergastolo;  ma  anche  di  qualsiasi  altra eventuale
  misura  o  sanzione  che  si  traduca  in  un mero inasprimento del
  relativo  trattamento  sanzionatorio,  e  in  quanto  tale privo di
  autonomia rispetto alla pena massima considerata.
    D'altra  parte,  l'art. 442 si limita a quantificare la riduzione
  sulla   pena   complessiva   conseguente   all'adozione   del  rito
  abbreviato;  e laddove la pena da ridurre sia l'ergastolo, non puo'
  che  seguirne  la  caducazione  di  tutte  le sanzioni accessorie a
  qualunque titolo irrogabili.
    Si  aggiunga  che  il riferimento ai (processi per) "reati puniti
  con   la   pena  dell'ergastolo",  e'  operato  per  determinare  e
  circoscrivere,  unitamente  al  riferimento temporale tipico di una
  disciplina  transitoria; la tipologia di processi e delle posizioni
  processuali  cui  la  stessa  disciplina transitoria si applica. La
  formulazione  letterale  dell'inciso dunque consente ed anzi impone
  di  ricomprendere  nella  previsione  normativa tutte e soltanto le
  posizioni  degli  imputati  (di  processi  "in  corso  alla data di
  entrata  in  vigore  ecc.")  che  rispondano  di  "reati puniti con
  l'ergastolo": e quindi, indifferentemente, di uno o piu' reati.
    E  in  definitiva,  delle  due l'una: o l'isolamento diurno e', a
  tutti  gli  effetti, una sanzione penale accessoria all'ergastolo e
  come  tale  non  suscettibile  di  considerazione  e  di  una sorte
  autonoma  dalla  pena base cui accede, e allora deve convenirsi che
  il  legislatore,  nel riferirsi ai reati puniti con l'ergastolo, vi
  ha  implicitamente  ricompreso anche le ipotesi di reati puniti con
  la pena dell'ergastolo, aggravata dall'isolamento diurno; oppure si
  tratta di una sanzione penale distinta ed autonoma, perche' diverso
  e'  il  reato (o i reati) per cui viene inflitta, rispetto a quello
  gia' punito con l'ergastolo.
    Ma  anche  in  questa  diversa  prospettiva,  dovrebbe ugualmente
  concludersi  che  la  disciplina  transitoria  ex art. 4-ter, comma
  secondo,  legge  n. 144/2000,  si applica anche all'ipotesi di piu'
  reati  puniti  con  l'ergastolo,  ovvero  di  un delitto punito con
  l'ergastolo  ed  uno  o  piu'  delitti  puniti  con  pena detentiva
  temporanea per un tempo complessivo superiore ai cinque anni.
    Infatti,  la  sanzione dell'isolamento diurna non e' inflitta per
  lo  stesso reato gia' punito con l'ergastolo, bensi' per il delitto
  o i delitti con quello concorrenti superiore ai cinque anni.
    Resta  pero'  impregiudicata  la questione del buco normativo cui
  allude  il  p.m.:  un  buco pero' che sarebbe stato aperto non gia'
  dalla  disciplina  transitoria  di cui all'art. 4-ter, bensi' dalla
  stessa disciplina ordinaria del giudizio abbreviato, come novellata
  dalla  legge  c.d.  Carotti,  in  quanto l'art. 442 capoverso, come
  modificato dall'art. 30,. legge 16 dicembre 1999, n. 479, non detta
  alcuna  norma  specifica per l'applicazione della diminuente per il
  rito  nel caso di condanna alla pena dell'ergastolo e all'ulteriore
  sanzione penale dell'isolamento diurno.
    Ad  avviso  della Corte, non esiste pero' una lacuna al riguardo.
  Se  cosi'  fosse,  non potrebbe neppure profilarsi una questione di
  costituzionalita'  nei  termini  cennati  dal  p.m.,  in  quanto si
  solleciterebbe   (dalla   Corte   costituzionale)   una   soluzione
  fatalmente invasiva della discrezionalita' del legislatore.
    Invece,  piu'  semplicemente,  la  legge  Carotti e, per quel che
  rileva  ai fini del presente giudizio, la disciplina transitoria di
  cui  all'art. 4-ter,  comma 2, legge n. 144/2000, producono (non e'
  dato sapere con quale grado di consapevolezza da parte dello stesso
  legislatore)  il  risultato  paventato  dal  p.m. nel suo sforzo di
  pervenire  ad  un  diverso  esito interpretativo e a tale risultato
  sono oggettivamente orientate: la pena dell'isolamento diurno resta
  assorbita  dalla  sostituzione  automatica  dell'ergastolo  con  la
  reclusione di anni trenta, poiche' tale sostituzione fa venire meno
  il  presupposto  indefettibile per l'applicazione della sanzione di
  cui all'art. 72 c.p.
    Conseguentemente,  deve  concludersi  e  ribadirsi  che  anche  i
  processi  a  carico  di  imputati  che  rispondono  di piu' delitti
  complessivamente  passibili  della  pena  dell'ergastolo  aggravato
  dalla  misura  dell'isolamento diurno rientrano nella previsione di
  cui  all'art. 4-ter,  comma  2,  legge 5 giugno 2000, n. 144. Ma al
  contempo si pongono, sotto il profilo del trattamento sanzionatorio
  irrogabile  in  caso  di  condanna  le  incongruenze  e i rischi di
  incostituzionalita' paventati dal p.m.
    Ritiene  peraltro la Corte che anche sotto altri profili la norma
  invocata  ponga  questioni  di  legittimita' costituzionale che non
  appaiano  manifestamente  infondate e sono certamente rilevanti per
  la definizione del presente giudizio.
    Gia'  la Corte costituzionale, con la nota sentenza n. 277 del 23
  maggio   1990,  nel  motivare  l'infondatezza  della  questione  di
  costituzionalita'    che   era   stata   sollevata   nei   riguardi
  dell'art. 247  delle  disposizioni  di  attuazione  del  codice  di
  procedura  penale  nella parte in cui precludeva la possibilita' di
  chiedere il giudizio abbreviato dopo il compimento delle formalita'
  di  apertura del dibattimento nei procedimenti che proseguivano con
  l'applicazione  delle  norme  dell'abrogato  codice di rito - aveva
  sottolineato  l'inscindibile unita' finalistica che la disposizione
  in  quella  sede  impugnata  poneva  tra semplificazione del rito e
  riduzione della pena.
    Da cio' la Corte traeva la conseguenza che, divenuto impossibile,
  con  l'apertura  del  dibattimento, raggiungere le finalita' che il
  legislatore  si  prefigge,  "e'  conseguentemente  e  razionalmente
  impossibile  all'imputato realizzare il c.d. diritto alla riduzione
  della pena".
    In  altri  termini,  poiche'  lo scopo dell'istituto del giudizio
  abbreviato  e'  quello  di  consentire la sollecita definizione del
  giudizio,  escludendo  la  fase  dibattimentale, appariva del tutto
  razionale  che, per i procedimenti in corso alla data di entrata in
  vigore  del  nuovo  codice di procedura penale, tale istituto fosse
  applicabile  soltanto  quando  il  suo scopo era ancora interamente
  perseguibile  "e  cioe' soltanto quando non si sia ancora giunti al
  dibattimento".  Ma  nella citata sentenza la Corte e' andata oltre,
  rilevando   che  "irrazionale  sarebbe  stata  un'applicazione  del
  giudizio  abbreviato  oltre  i suddetti limiti". Infatti, "se fosse
  possibile  all'imputato  chiedere il rito abbreviato anche nel caso
  che  il  dibattimento  sia  gia' iniziato, i benefici non sarebbero
  piu'  giustificati ne' dallo scopo (ormai impossibile) di eliminare
  la  fase  dibattimentale, ne' dal rischio assunto dall'imputato, il
  quale invece si troverebbe nella comoda situazione di decidere dopo
  che  il  pubblico ministero ha gia' offerto le sue prove e comunque
  dopo aver potuto valutare l'andamento del dibattimento stesso".
    E  aggiunge  la  Corte che, proprio per tale via, si sarebbe dato
  luogo  ad  "una  situazione  ingiustificata ed irrazionale". Non e'
  pertanto  conducente  "il  confronto  fra  imputati  per i quali il
  dibattimento  sia  stato  o  non  sia  stato ancora aperto, proprio
  perche' si tratta di situazioni oggettivamente diverse".
LaCorte   concludeva   la   motivazione  sul  punto,  ribadendo  che
  l'intervenuta   apertura   del   dibattimento   "rende  irrazionale
  l'applicabilita' del giudizio abbreviato".
    Nella  medesima  sentenza  n. 277 del 1990, si osservava altresi'
  come neppure sarebbe invocabile, a sostegno della dedotta questione
  di  illegittimita'  costituzionale, il principio della applicazione
  della legge piu' favorevole all'imputato, giacche' tale principio -
  che  peraltro  e'  sancito dall'art. 2 del codice penale, ma non ha
  affatto  rango  costituzionale - opera soltanto quando vi sia stato
  un  mutamento,  favorevole  all'imputato, nella valutazione sociale
  del fatto tipico oggetto del giudizio, mentre nel caso del giudizio
  abbreviato non e' affatto mutata in melius la suddetta valutazione,
  dal  momento  che  la  riduzione della pena e' prevista soltanto al
  fine  di  incentivare,  nei  limiti  della  sua  esperibilita',  la
  richiesta  da  parte  dell'imputato  del  procedimento  speciale in
  questione.
    Orbene,  le considerazioni sopra richiamate, ribadite dalla Corte
  costituzionale  in  successive  pronunce,  con  le quali sono state
  dichiarate  manifestamente  infondate  analoghe questioni in ordine
  alla  ammissibilita'  esclusivamente  in  limine  litis  cosi'  del
  giudizio abbreviato come della applicazione della pena su richiesta
  delle  parti  (v.  le  ordinanze  n. 320, 355 e 420 del 1990), sono
  state  coerentemente  riprese  nelle  numerose ordinanze con cui le
  corti  di merito di questo come di molti altri distretti giudiziari
  hanno    dichiarato   manifestamente   infondata   l'eccezione   di
  illegittimita'   costituzionale  con  la  quale  e'  stata  dedotta
  l'irrazionalita'   della   preclusione,  coincidente  con  l'inizio
  dell'istruzione  dibattimentale,  che  le  norme impugnate (e cioe'
  l'art. 27 legge n. 479/1999 e l'art. 223 del decreto legislativo 19
  febbraio 1998, n. 51, nel testo modificato dall'art. 53 della legge
  16  dicembre  1999,  n. 479, in relazione all'art. 442 c.p.p., come
  modificato  dall'art.  30  della medesima legge, nella parte in cui
  non consente all'imputato di chiedere il giudizio abbreviato quando
  sia   iniziata  l'istruzione  dibattimentale,  stabilivano  per  la
  richiesta  da  parte  dell'imputato di essere giudicato con il rito
  abbreviato.
    Ed   invero,   anche   la   ratio  della  disposizione  contenuta
  nell'art. 223  del  decreto  legislativo  n. 51 del 1998 consisteva
  nella  finalita',  che  il  legislatore  delegato si prefiggeva, di
  evitare  la  fase  dibattimentale nel maggior numero di processi in
  corso  alla  data  di  efficacia del decreto istitutivo del giudice
  unico  di  primo  grado,  e  di  assicurare, per tal via, la rapida
  definizione dei processi stessi.
    La suddetta finalita', da un lato, non poteva dirsi attenuata - e
  deve  al  contrario a maggior titolo affermarsi - in considerazione
  delle   modifiche  apportate  dalla  disposizione  denunciata  alla
  disciplina del giudizio abbreviato (con l'esclusione del necessario
  consenso del p.m. e con il rendere il rito speciale applicabile pur
  quando  il  giudice,  ritenendo  di  non potere decidere allo stato
  degli atti, debba procedere alla necessaria integrazione probatoria
  nelle  forme spedite prevista dall'art. 422 del codice di procedura
  penale);  dall'altro, non poteva ritenersi interamente realizzabile
  se  si  fosse  consentita  l'esperibilita'  del giudizio abbreviato
  anche dopo l'inizio dell'istruzione dibattimentale.
    Si e' detto quindi (e si e' scritto nelle ordinanze predette), in
  conformita'    alle    persuasiva    giurisprudenza   della   Corte
  costituzionale,  che,  contrario  al canone della ragionevolezza, e
  quindi  causa  di  una  sostanziale  e ingiustificata disparita' di
  trattamento,   sarebbe   piuttosto  un  trattamento  normativo  che
  ignorasse  l'irriducibile  diversita'  delle situazioni processuali
  considerate,  in  rapporto  alle  finalita'  dichiarate  di un rito
  espressamente   previsto   come   alternativo   al  dibattimento  e
  funzionale   ad  una  piu'  sollecita  e  spedita  definizione  del
  giudizio,  con  un  considerevole risparmio di mezzi e di attivita'
  processuali;  e  che paradossalmente consentisse ad alcuni imputati
  di   far   dipendere   la   scelta  del  rito  alternativo  proprio
  dall'andamento    o    addirittura    dall'esito    dell'istruzione
  dibattimentale.
    E  si  e'  concluso  altresi' che il differimento fino all'inizio
  dell'istruzione  dibattimentale  del  termine utile per avanzare la
  richiesta   di  giudizio  abbreviato  rappresentava  quindi,  nella
  valutazione  del  legislatore,  la massima concessione, compatibile
  con  le  finalita'  di  tale  rito  (e  dei  connessi  benefici per
  l'imputato), alle ragioni di equita' che sollecitavano l'estensione
  agli  imputati  dei  procedimenti  in  corso  della possibilita' di
  avvalersi  della  nuova  disciplina  del giudizio abbreviato, nella
  parte  in  cui  questo  era  reso accessibile (senza necessita' del
  consenso  da  parte  del  p.m.  e senza possibilita' che il giudice
  sindacasse l'ammissibilita' della richiesta) anche per gli imputati
  di delitti punibili con l'ergastolo.
    Ebbene  con  l'inserimento nella legge di conversione del decreto
  legislativo  7  aprile  2000,  n. 82,  della  disposizione  di  cui
  all'art. 4-ter,   commi  secondo  e  seguenti,  il  legislatore  ha
  evidententemente  mutato  indirizzo.  Egli  ha  ritenuto  cioe'  di
  doversi spingere oltre sulla via di un equo trattamento, estendendo
  la possibilita' di accedere ad un rito modellato sul nuovo giudizio
  abbreviato  anche  a  quegli  imputati (di reati puniti con la pena
  dell'ergastolo)  che,  in pratica, non erano stati nella condizione
  di  poterne  fruire  per  cause indipendenti dalla loro volonta': e
  cioe'  per il fatto che "alla data di entrata in vigore della legge
  16   dicembre   1999,   n. 479,  era  scaduto  il  termine  per  la
  proposizione  della  richiesta di giudizio abbreviato", come recita
  testualmente il secondo comma del citato art. 4-ter.
    E'  di  tutta  evidenza  che  si tratta di una norma transitoria,
  perche'   applicabile  solo  ai  processi  (per  reati  puniti  con
  l'ergastolo)  "in  corso alla data di entrata in vigore della legge
  di  conversione  del  presente decreto"; ed applicabile una tantum,
  perche'  l'imputato che voglia beneficiarne deve avanzare richiesta
  "nella  prima  udienza  utile  successiva  alla  data di entrata in
  vigore della legge di conversione del presente decreto".
    Occorre  allora stabilire - tenendo presente pero' che al giudice
  di  merito  non  compete  una  decisione  nel  merito  di eventuali
  questioni   di   costituzionalita',  ma  solo  una  delibazione  di
  manifesta  o non manifesta infondatezza - se i predetti presupposti
  limitativi  dell'applicabilita'  di  questa  normativa  transitoria
  valgano  a  fugare  i dubbi di incostituzionalita' che si addensano
  nei   riguardi  di  una  soluzione  normativa  che  sembra  essersi
  inoltrata  lungo  una  via  che  gia' la Corte costituzionale aveva
  virtualmente reputato impraticabile per manifesta irragionevolezza.
    La  prima considerazione da fare e' che, salvo restando l'afflato
  equitativo  che, nelle intenzioni del legislatore, giustificherebbe
  l'inserimento  di  questa  norma  transitoria,  le  finalita' della
  relativa   disciplina   non   si  discostano  da  quelle  che  sono
  connaturate  alla  logica  e  agli  scopi  essenziali  del giudizio
  abbreviato:  promuovere  una  sollecita  definizione  del giudizio,
  attraverso  una  semplificazione  del  rito che assicuri una rapida
  conclusione  del  processo,  appunto  in  quanto la scelta del rito
  abbreviato  comporta  la rinunzia all'istruzione dibattimentale (in
  tutto o nella parte ancora da compiersi), con conseguente e congruo
  risparmio di attivita' processuale.
    Tali   finalita'   si  rispecchiano  pienamente  nella  soluzione
  adottata  dalla  disciplina  ordinaria  del giudizio abbreviato che
  pone come termine preclusivo per la proposizione della richiesta di
  essere   giudicati   con   il  rito  abbreviato  il  momento  della
  precisazione  della  conclusioni  all'udienza  preliminare; e cosi'
  pure   nella   disciplina   transitoria   di  cui  al  primo  comma
  dell'art. 4-ter,   che   estende  la  possibilita'  di  scelta  per
  l'imputato e il conseguente diritto alla riduzione della pena, sino
  all'inizio  dell'istruzione  dibattimentale,  (con riferimento allo
  stato in cui versa il processo alla data di entrata in vigore della
  legge di conversione del decreto legislativo n. 85/2000.
    Ma  le  medesime  finalita' di economia processuale sono altresi'
  alla  base della disciplina transitoria che, per ragioni di equita'
  nei riguardi degli imputati che non avevano potuto fruire di questa
  possibilita'  in  quanto  l'istruzione  dibattimentale  era gia' in
  corso alla data di entrata in vigore della disposizione transitoria
  di  cui  all'art. 223  del  decreto  legislativo n. 51 del 1998, ha
  esteso   l'esperibilita'   del  rito  abbreviato  oltre  il  limite
  preclusivo    segnato    dall'effettivo    inizio   dell'istruzione
  dibattimentale (e sempre con riferimento allo stato in cui versa il
  processo  alla data di entrata in vigore della legge di conversione
  del citato decreto legislativo).
    Lo  conferma del resto la scelta di consentire il rito abbreviato
  anche  in  grado  di appello, ma solo qualora sia stata disposta la
  rinnovazione   dell'istruzione   dibattimentale   e   "prima  della
  conclusione  dell'istruzione  stessa";  e  persino  nel giudizio di
  rinvio,  ma solo "se ricorrono le condizioni di cui alle 1ett. a) e
  b), ossia se comunque l'istruzione dibattimentale e' in corso e non
  ancora chiusa.
    Conseguentemente,  nessuna  violazione del fondamentale canone di
  ragionevolezza puo' ravvisarsi nella scelta operata dal legislatore
  di  precludere,  agli  imputati  di processi che versino nella fase
  della   discussione,   la   possibilita'  di  optare  per  il  rito
  abbreviato,  o,  piu'  esattamente,  per  lo speciale rito previsto
  dalla  disciplina  transitoria  introdotta  dall'art.  4-ter, comma
  secondo,  della  legge 30 maggio 2000, e regolato dai commi terzo e
  seguenti dello stesso art. 4-ter.
    Tale  scelta  infatti  e'  del  tutto  coerente  e  consona  alle
  finalita'   dichiarate   del   giudizio   abbreviato  di  cui  agli
  articoli 438   e   segg.   c.p.p.   (come  modificati  dalla  legge
  n. 479/1999)  che  sono anche quelle dello speciale rito introdotto
  dalla  disciplina  transitoria  qui  in  esame.  Ed e' evidente che
  nessun  risparmio  di attivita' processuale potrebbe derivare dalla
  scelta del rito abbreviato nell'ambito di processi che versino gia'
  in fase di discussione. D'altra parte, l'imputato non rinunzierebbe
  ad  alcuna attivita' istruttoria e la scelta del rito abbreviato si
  risolverebbe  per lui esclusivamente in un ingiustificato sconto di
  pena.
    Resta  pero'  da  vedere se la soluzione adottata dal legislatore
  non  sia  manifestamente  incongrua,  rispetto  alle pur dichiarate
  finalita' di economia processuale che pervadono anche la disciplina
  transitoria  in  esame.  E  se,  nella  prospettiva  di  un  equo e
  razionale  bilanciamento  di valori costituzionali in conflitto, il
  vantaggio  che  puo' derivarne in termini di risparmio effettivo di
  attivita'  processuali e sollecita definizione dei giudizi pendenti
  per i delitti piu' gravi, quali sono quelli puniti con l'ergastolo,
  non  sia  manifestamente  irrisorio,  avuto  riguardo alla deroga a
  principi fondamentali e al sacrificio o alla compressione di valori
  e  diritti  costituzionalmente garantiti che sicuramente conseguono
  ad  una  soluzione  che estende la possibilita' di accedere al rito
  abbreviato, a semplice richiesta dell'imputato, non sindacabile dal
  giudice, anche quando l'istruzione dibattimentale e' in pieno corso
  o  addirittura ormai prossima a concludersi. E cio' con particolare
  riguardo  all'esigenza  di  tenuta  di  principi  come  quello  del
  contraddittorio, della parita' tra accusa e difesa, dell'oralita' e
  immediatezza  intesi  come canoni fondamentali del giudizio in fase
  dibattimentale;  ma  anche  delle  garanzie connesse ai principi di
  obbligatorieta'  dell'azione  penale  e  di  indefettibilita' della
  giurisdizione  (articoli 112; 101, secondo comma e 102, primo comma
  Cost.);  ed  ancora  con  riferimento  alla  garanzia  dello stesso
  diritto  di  difesa  (art.  24)  e  alle  disparita' di trattamento
  (art. 3)  che  inevitabilmente conseguono per chi accetti di essere
  giudicato  secondo  il  rito  abbreviato, e che appaiono tanto piu'
  manifeste  tra  imputati  dello  stesso reato, dei quali solo uno o
  solo  alcuni  optino per il rito abbreviato (questi ultimi, infatti
  saranno  giudicati  anche  sulla  base  del  materiale  istruttorio
  contenuto nel fascicolo del p.m. ed elevato ope iuris a dignita' di
  prova utilizzabile per la decisione).
    Ne'  puo' tacitarsi ogni dubbio (di costituzionalita') sulla base
  della  semplice  considerazione  che  si  tratta  di una disciplina
  transitoria e quindi per definizione eccezionale.
    E'  bensi'  vero che piu' volte la stessa Corte costituzionale ha
  statuito   che  "rientra  nella  discrezionalita'  del  legislatore
  regolare, in ordine ai fini che intende perseguire, il passaggio da
  una  vecchia  ad  una  nuova  disciplina  (salvo  il divieto di cui
  all'art.  25,  secondo  comma,  della Costituzione), dettando norme
  transitorie   intese   a  mantenere  ferme  tutte  o  alcune  delle
  disposizioni  nuove  e,  in  particolare,  a stabilire la sorte dei
  processi  in  corso  a  tale data e i limiti dell'applicabilita' ad
  essi  delle sopravvenute norme processuali" (Cfr. Corte cost. 18-29
  marzo 1991, n. 136).
    Ma  non e' men vero che in questo caso non si puo' parlare di una
  estensione  delle  sopravvenute  norme  processuali  ai processi in
  corso,  perche'  l'eccezionalita'  della disciplina transitoria sta
  nel  derogare ai limiti preclusi della facolta' di accedere al rito
  abbreviato   che  sono  previsti  proprio  dalla  nuova  disciplina
  (ordinaria)  del  giudizio  abbreviato  e che sono connaturati alle
  finalita' di tale istituto.
    E la stessa Corte costituzionale, nella citata sentenza 31 maggio
  1990,  n. 277,  aveva  gia'  chiarito  che  l'intento  delle  norme
  transitorie e' quello di consentire la definizione dei procedimenti
  pendenti per i soli casi in cui "gli istituti stessi siano in grado
  di mantenere la loro fisionomia e finalita'".
    Ebbene,  sul  punto  relativo al sacrificio del diritto di difesa
  che  si  verifica  anche  nella  disciplina  ordinaria del giudizio
  abbreviato   perche'   anche   qui  l'imputato  rinunzia  non  solo
  all'assunzione  delle prove a discarico, ma anche all'assunzione di
  quelle  a carico con la garanzia del contraddittorio - e' appena il
  caso di segnalare che il beneficio della riduzione della pena e' un
  incentivo alla scelta del rito abbreviato, ma non costituisce certo
  il  fondamento  giustificativo  della compressione che ne deriva al
  diritto di difesa, quasi che fosse ammissibile barattare un diritto
  fondamentale   della  persona  (e  in  quanto  tale  indisponibile,
  relativamente  almeno  alle  garanzie  che  lo  assistono)  con  un
  beneficio individuale, seppur di rilevante entita'.
    In  realta',  a  giustificare  quell'obbiettiva  compressione del
  diritto  di difesa e' l'interesse pubblico alla semplificazione del
  rito  come veicolo di accelerazione nella definizione dei processi;
  e il vantaggio che la complessiva efficienza del servizio giustizia
  puo'  ricavare  da un risparmio di attivita' processuale, in quanto
  questo si traduce in un risparmio di risorse, di tempi e di costi.
    Sotto  questo profilo, ma anche in rapporto alla compressione del
  principio  di  obbligatorieta' dell'azione penale, del principio di
  indefettibilita'   della   giurisdizione   e   del   principio  del
  contraddittorio, le maggiori perplessita' nascono dal fatto che, in
  base  alla  disciplina  transitoria - che riproduce pedissequamente
  sul  punto  la  nuova  disciplina  del  giudizio  abbreviato  -  la
  richiesta  dell'imputato  non  solo  non necessita del consenso del
  p.m.  ma  non e' sindacabile dal giudice, neppure in relazione allo
  stato  del  processo: e segnatamente, all'istruzione dibattimentale
  gia' compiuta e a quella ancora da compiersi.
    Ora,  non  si vede quale risparmio di attivita' processuale possa
  derivare  dalla  scelta  del  rito  abbreviato  nell'ambito  di  un
  processo che versi gia' nella fase c.d. del "507": la fase cioe' in
  cui,  terminata  l'assunzione  delle  prove chieste dalle parti, il
  giudice  dispone  ulteriori attivita' istruttorie o di integrazione
  probatoria  per  acquisire  elementi  che  reputi  necessari per la
  decisione.
    E'  di  tutta  evidenza  che  in  questo  caso la scelta del rito
  abbreviato  non  fara'  venire  meno  la necessita' delle attivita'
  istruttorie   gia'   disposte   d'ufficio  in  guanto  ritenute  (e
  dichiarate) indispensabili per la decisione.
    E'   infatti  anche  in  base  al  rito  modellato  sul  giudizio
  abbreviato, con espresso richiamo tra gli altri anche dell'art. 441
  c.p.,  gli ulteriori accertamenti gia' disposti restano ammissibili
  a  titolo di integrazione probatoria. La scelta del rito abbreviato
  non  avra'  allora  altro  effetto  se  non  quello di realizzare a
  beneficio  dell'imputato un ingiustificato sconto di pena: e non e'
  questo lo scopo perseguito dalla stessa disciplina transitoria.
    Ne  segue  anche  la  manifesta  violazione degli articoli 3 e 27
  della  Costituzione.  Viene  meno  infatti  la  correlazione tra il
  beneficio della riduzione della pena e la semplificazione del rito;
  e  con  essa  quella residua giustificazione del beneficio concesso
  agli imputati dei processi che rientrano nella previsione di cui al
  secondo comma dell'art. 4-ter. E non si comprende piu' perche' tale
  benefico  debba  essere  negato  agli imputati di processi che alla
  stessa  data  versino  in fase di discussione. Ne' si comprende per
  quale  ragione  il  legislatore  abbia mantenuto fermo, nella norma
  transitoria  di  cui  al  primo  comma  del medesimo art. 4-ter, il
  limite invalicabile dell'inizio dell'istruzione dibattimentale.
    Ma   a   conclusioni   analoghe   deve  pervenirsi  anche  quando
  l'istruzione  dibattimentale  e'  assai  prossima a concludersi, in
  quanto  restano  da  assumere  pochi  testi  o  imputati  di  reato
  connessi, tanto piu' se, come nel caso di specie, la loro audizione
  appare  comunque  indispensabile  ai fini della decisione. (Piu' in
  generale  va  rilevato  che  in  tutti  i  casi in cui l'istruzione
  dibattimentale  e'  prossima  a  concludersi,  le  prove non ancora
  assunte   e  sulle  quali  le  parti  richiedenti  insistano,  sono
  verosimilmente  prove necessarie per la decisione, poiche', in caso
  contrario,  il  giudice  le  revocherebbe. E quindi esse potranno e
  dovranno  ugualmente assumersi a titolo di integrazione probatoria,
  ex  art.  441, comma quinto, disposizione applicabile anche a norma
  dell'art. 4-ter, comma 7, legge n. 144/2000).
    Ed  invero,  in  questo processo, il p.m. ha formalizzato proprio
  all'inizio  del  suo  intervento  all'ultima udienza, la rinunzia a
  sette  dei  nove  collaboratori  di  giustizia  che dovevano ancora
  essere  esaminati  (e  cioe'  La  Marca  Francesco, Mutolo Gaspare,
  Marchese  Giuseppe,  Drago  Giovanni, Cangemi Salvatore, Di Filippo
  Emanuele  e  Di Filippo Pasquale), con il sostanziale assenso delle
  altre parti (in particolare, la difesa di Biondino Girolamo gia' in
  sede   di   ammissione  delle  prove  aveva  eccepito  l'inutilita'
  dell'audizione  dei  sunnominati  collaboratori  di Giustizia fatta
  eccezione  per  La  Marca  Francesco, che ha indicato nella propria
  lista,  attesa  l'acquisizione  dei  verbali delle deposizioni rese
  dagli  stessi  in  altri dibattimenti: cfr. verbale di trascrizione
  dell'udienza del 2 novembre 1999, pag, 7 e segg.).
    Restano  dunque da esaminare solo due imputati di reato connesso,
  e   cioe'  Ganci  Calogero  e  Ferrante  GiovanBattista,  alla  cui
  audizione  dovrebbe procedersi comunque, anche nell'eventualita' in
  cui  venisse  adottato, in accoglimento delle richieste avanzate da
  entrambi gli imputati, il rito abbreviato.
    Infatti, proprio sulle dichiarazioni di Anzelmo Francesco Paolo -
  che  e'  stato gia' esaminato in questo processo all'udienza del 15
  marzo  2000  -  e su quelle degli altri due collaboratori predetti,
  rese   dinanzi   alla   Corte  d'appello  di  Palermo  in  sede  di
  impugnazione  avverso  la  sentenza  di  proscioglimento emessa nei
  confronti  degli  odierni  imputati  dal  g.u.p.  del  tribunale di
  Palermo  in data 2 luglio 1997, si fonda la decisione di rinviare a
  giudizio  il  Biondino  e  lo  Spina,  in  riforma  della  sentenza
  predetta: decisione da cui e' scaturito il presente processo.
    Pertanto,  l'esame di Ganci e Ferrante andrebbe comunque disposto
  a   titolo  di  integrazione  probatoria,  per  acquisire  elementi
  indispensabili ai fini della decisione.
    Resterebbero  altresi' da esaminare, per quanto concerne la lista
  testi  del  p.m.,  gli Ufficiali di p.g. Luigi Bruno, Luigi Savina,
  Gianfranco  Firinu,  Salvatore  Bonferraro,  Domenico Di Petrillo e
  Mauro Obinu: in tutto sei testi che debbono essere sentiti tutti su
  circostanze   afferenti  all'attendibilita'  dei  collaboratori  di
  giustizia  le cui dichiarazioni compendiano il materiale probatorio
  di  questo  processo  (E  tra  loro proprio Ganci Calogero, Anzelmo
  Francesco Paolo e Ferrante Giovanbattista).
    Invece,  per quanto concerne gli imputati, la Difesa di Spina non
  ha  presentato lista testi, mentre per Biondino e' stato ammesso un
  solo teste (sui due indicati in lista).
    Ma esiste anche un profilo generale e assorbente di contrasto con
  gli  artt. 3 e 27 della Costituzione, che riguarda tutti i casi che
  rientrano  nella disciplina transitoria in esame, lambendo peraltro
  la   stessa  disciplina  ordinaria  del  giudizio  abbreviato  come
  innovata  dalla  legge  c.d.  "Carotti". Ed e' quello adombrato dal
  p.m.,   nell'argomentare   l'eccezione   di   inammissibilita'  del
  rito-abbreviato in questo processo.
    Al riguardo va premesso quanto segue.
    La   definizione  in  concreto  della  pena  rientra  nel  potere
  discrezionale  del  giudice ex art. 132 c.p., ma poiche' e' un atto
  indefettibilimente    giurisdizionale    esso    assume   rilevanza
  costituzionale ai sensi dell'art. 102 della Costituzione.
    A  sua  volta,  l'art. 27  della Costituzione, nella parte in cui
  afferma  che  la responsabilita' e' personale, sembra esigere anche
  che  la pena sia in concreto ragguagliata alla gravita' del fatto e
  alla capacita' a delinquere del colpevole.
    Pertanto,  il  principio della discrezionalita' del giudice nella
  determinazione in concreto della pena, previsto dall'art. 132 c.p.,
  trova  un  sicuro  fondamento  in alcuni principi costituzionali, e
  segnatamente   nel   principio   della   responsabilita'  personale
  (art. 27);  e  nel  principio  di  eguaglianza (art. 3), che impone
  parita' di trattamento per situazioni uguali; ma impone di trattare
  in   modo  differente  situazioni  obbiettivamente  diverse,  avuto
  riguardo alla ratio della norma da applicare.
    Il  principio generale di proporzionalita' della pena rappresenta
  poi  un limite logico, prima che equitativo, alla potesta' punitiva
  dello  Stato  (almeno  in  uno  Stato  di diritto) ed e' insito nel
  concetto  retributivo  di  pena  non  meno  che  nella sua funzione
  rieducativa, a norma dell'art. 27, terzo comma della Costituzione.
    Orbene,  non  e'  in  discussione  la  scelta  del legislatore di
  consentire agli imputati (compresi quelli chiamati a rispondere dei
  delitti  puniti  con  le massime pene) di ottenere, a loro semplice
  richiesta,  non  sindacabile  dal  giudice  sotto  il profilo della
  congruita'  del  trattamento  sanzionatorio  finale,  una riduzione
  nella  misura  fissa di un terzo della pena determinata in concreto
  dal giudice.
    La  deroga  ai  principi anzidetti e' attenuata proprio dal fatto
  che  la  riduzione e' predeterminata per legge in una misura fissa,
  finendo  cosi'  per  rispettare una certa proporzionalita' rispetto
  alla   pena   determinata   dal  giudice.  Ne  soffre  la  funzione
  rieducativa  della  pena,  perche' se e' considerata rieducativa la
  pena  fissata  in  una certa misura, in relazione ad un determinato
  reato commesso da un determinato imputato, parrebbe non essere piu'
  rieducativa la stessa pena diminuita ex lege di un terzo; e d'altra
  parte  se  questa  fosse nondimeno ritenuta congrua, non lo sarebbe
  piu'  (per  quel reato e per quell'imputato) una pena maggiorata di
  un terzo in conseguenza del rito ordinario.
    Ma  qui e' troncante la considerazione che la riduzione correlata
  alla  scelta  del  rito  alternativo  non  e' un'attenuante, ma una
  diminuente  di carattere squisitamente processuale, che non involge
  la  valutazione  di  merito del giudice in ordine alla gravita' del
  fatto  o  alla  congruita' della pena. Ed e' voluta dal legislatore
  come  mero  incentivo  alla  deflazione dei processi che pervengono
  alla fase dibattimentale.
    Il  problema posto dalla nuova legge e aggravato dalla disciplina
  transitoria qui in esame e', pero', un altro.
    L'art. 30  lett. b)  della  legge  n. 479 del 16 dicembre 1999 ha
  modificato  l'art. 442  c.p.p. introducendo nel comma 2 il seguente
  periodo:  "alla  pena  dell'ergastolo  e'  sostituita  quella della
  reclusione  di  anni  trenta".  E'  stata  cosi'  ripristinata  una
  previsione  inserita  nell'originario  testo dell'art. 442 c.p.p. e
  dichiarata  costituzionalmente  illegittima, per eccesso di delega,
  dalla Corte costituzionale con sentenza n. 176 del 23 aprile 1991.
    Tale  recente  modifica  normativa  si colloca all'interno di una
  piu'   generale   riforma  che  ha  rimesso  alla  semplice  scelta
  dell'imputato  la possibilita' di procedere con il rito abbreviato,
  escludendo la necessita' del consenso del p.m. e stabilendo che, in
  presenza  di  una  richiesta  dell'imputato  non subordinata ad una
  integrazione  probatoria,  necessariamente "il giudice provvede con
  ordinanza con la quale dispone il giudizio abbreviato". Il giudice,
  quindi, deve applicare la riduzione di pena conseguente al giudizio
  abbreviato  anche  qualora  ritenga  che la pena cosi' irrogata sia
  inadeguata rispetto alla gravita' del fatto (diversamente da quanto
  avviene  nell'ipotesi  del "patteggiamento" in cui il giudice ha il
  potere  di respingere la richiesta delle parti se ritiene incongrua
  la pena da loro indicata).
    Qualora  in  sede  di giudizio abbreviato l'imputato sia ritenuto
  responsabile   di   piu'  reati  per  ciascuno  dei  quali  sarebbe
  astrattamente  irrogabile  la  pena dell'ergastolo, la pena massima
  complessiva  che  puo'  essere  applicata rimarra' sempre quella di
  anni trenta (suscettibile di ridursi ad anni ventiquattro in virtu'
  della   liberazione  anticipata):  infatti  la  riduzione  prevista
  dall'art. 442  c.p.p.  si  applica sulla pena unica determinata dal
  giudice ai sensi dell'art. 73 c.p. Si vanifica in tal modo la ratio
  dell'art. 73,  comma  2 c.p., volta ad "evitare che possano le pene
  piu'  alte  costituire  pel  condannato  una specie di viatico alla
  delinquenza   reiterata"   (secondo  quanto  si  specificava  nella
  Relazione al Codice Rocco).
    L'art. 4-ter  del  decreto  legge  7  aprile  2000,  n. 82,  come
  modificato  dalla  legge  di  conversione  5  giugno  2000, n. 144,
  stabilisce che:

    1. - Salvo  quanto previsto dai commi seguenti le disposizioni di
  cui  agli  articoli  438  e seguenti del codice di procedura penale
  come  modificate o sostituite dalla legge 16 dicembre 1999, n. 479,
  si  applicano  ai  processi  nei  quali,  ancorche'  sia scaduto il
  termine per la proposizione della richiesta di giudizio abbreviato,
  non  sia  ancora  iniziata l'istruzione dibattimentale alla data di
  entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto.

    2. - Nei   processi   penali   per   reati  puniti  con  la  pena
  dell'ergastolo, in corso alla data di entrata in vigore della legge
  di conversione del presente decreto e nei quali prima della data di
  entrata in vigore della legge 16 dicembre 1999, n. 479, era scaduto
  il   termine  per  la  proposizione  della  richiesta  di  giudizio
  abbreviato,  l'imputato,  nella prima udienza utile successiva alla
  data  di  entrata in vigore della legge di conversione del presente
  decreto,  puo'  chiedere  che  il  processo,  ai  fini  di  cui all
  `articolo  442,  comma  2,  del  codice  di  procedura  penale, sia
  immediatamente  definito, anche sulla base degli atti contenuti nel
  fascicolo di cui all'articolo 416, comma 2, del medesimo codice.
    3. La richiesta di cui al comma 2 e' ammessa se e' presentata:
      a)   nel  giudizio  di  primo  grado  prima  della  conclusione
  dell'istruzione dibattimentale;
      b)  nel  giudizio  di  appello,  qualora  sia stata disposta la
  rinnovazione  dell'istruzione  ai sensi dell'art. 603 del codice di
  procedura penale, prima della conclusione della istruzione stessa;
      c)  nel  giudizio  di rinvio, se ricorrono le condizioni di cui
  alle lettere a) e b).

    4. - La  volonta'  dell'imputato  e' espressa personalmente o per
  mezzo  di  procuratore  speciale e la sottoscrizione e' autenticata
  nelle  forme  previste  dall'articolo  583,  comma 3, del codice di
  procedura penale.

    5. - Sulla   richiesta   il   giudice   provvede  con  ordinanza,
  disponendo  l'acquisizione  del  fascicolo di cui all'articolo 416,
  comma 2, del codice di procedura penale.
    6. - Ai fini della deliberazione, il giudice utilizza, oltre agli
  atti contenuti nel fascicolo di cui al comma 5, le prove assunte in
  precedenza.

    7. - Per  quanto non previsto nel presente articolo, si applicano
  le disposizioni di cui agli articoli 441, escluso il comma 3, e 442
  del codice di procedura penale, nonche' l'articolo 443 del medesimo
  codice se la sentenza e' pronunciata nel giudizio di primo grado.
    La    liberazione    anticipata,   che   (secondo   il   disposto
  dell'art. 4-bis   dell'Ordinarnento   Penitenziario)  puo'  trovare
  applicazione  anche nei confronti dei detenuti per delitti commessi
  avvalendosi delle condizioni previste dall'art. 416-bis c.p. ovvero
  al  fine  di  agevolare  l'attivita'  delle  associazioni  di  tipo
  mafioso,     e'    disciplinata    dall'art. 54    dell'Ordinamento
  penitenziario.
    Quest'ultima  norma  prevede  che "al condannato a pena detentiva
  che  ha  dato  prova  di  partecipare  all'opera di rieducazione e'
  concessa, quale riconoscimento di tale partecipazione e ai fini del
  suo  piu'  efficace reinserimento nella societa', una detrazione di
  quarantacinque giorni per ogni singolo semestre di pena scontata".
    Tale disposizione rimane priva di significativa rilevanza pratica
  per  i  soggetti  condannati  all'ergastolo  per i delitti commessi
  avvalendosi delle condizioni previste dall'art. 416-bis c.p. ovvero
  al  fine  di  agevolare  l'attivita'  delle  associazioni  di  tipo
  mafioso,  poiche'  costoro  sono  soggetti ad una pena perpetua. La
  medesima  disposizione, invece, vale a ridurre (nella misura di tre
  mesi  per  ogni anno di detenzione) la durata della pena temporanea
  inflitta per i suddetti delitti in sede di giudizio abbreviato.
    Cio'  posto,  la  possibilita'  di  beneficiare  di  un'ulteriore
  riduzione  della  pena,  attraverso il meccanismo della liberazione
  anticipata,  e  di  scendere  cosi'  al  di  sotto  del  limite dei
  trent'anni (fino a 24 anni), anche in favore di soggetti condannati
  in  primo  grado  all'ergastolo per stragi o per aver commesso piu'
  omicidi,  non  puo' non riproporre in termini eclatanti il problema
  della  congruita'  della  pena,  ovvero  della sindacabilita' sotto
  questo  profilo  specifico, della richiesta dell'imputato di essere
  giudicato ai sensi dell'art. 4-ter, comma secondo e seguenti.
    Troppo  stridente  appare la forbice tra l'effetto di sostanziale
  vanificazione  della  funzione rieducativa della pena effettiva che
  residua  all'esito  dei benefici cumulabili dall'imputato che abbia
  optato  per  il  rito  abbreviato; nonche' l'evidente disparita' di
  trattamento  che  sotto  questo  profilo  ne  consegue  rispetto ai
  condannati  per  reati  anche  meno  efferati;  e l'effetto davvero
  modesto  o addirittura irrisorio di semplificazione delle attivita'
  processuali conseguente alla scelta del rito abbreviato.
    Ma  si  adombrano  ulteriori  e ancora piu' stringenti profili di
  incostituzionalita'   della   normativa   transitoria   sempre  per
  contrasto con gli artt. 3 e 27 della Costituzione.
    Infatti,  quando  la  legge sostituisce automaticamente alla pena
  dell'ergastolo   quella  della  reclusione  nella  misura  fissa  e
  predeterminata  di  trenta  anni, implicitamente statuisce che tale
  misura  costituisce un limite inderogabile, ossia la pena finale al
  di  sotto  della  quale  non  si  puo'  scendere, per i delitti che
  dovrebbero   essere  (altrimenti)  puniti  con  l'ergastolo,  anche
  all'esito dell'applicazione del beneficio correlato alla scelta del
  rito abbreviato.
    Ma  che  dire  dei  casi  in  cui l'imputato che opta per il rito
  abbreviato  dovesse  essere riconosciuto colpevole di piu' omicidi,
  ovvero di strage e tentato omicidio?
    Ove tra i delitti per cui e' condanna si ravvisi il vincolo della
  continuazione,  dovra'  procedersi,  in conformita' ad una pacifica
  giurisprudenza  di  legittimita', all'applicazione della diminuente
  per   il   rito   solo  dopo  l'applicazione  dell'aumento  per  la
  continuazione, calcolato sul delitto piu' grave. Ma se la pena base
  per il computo della pena da infliggere per il reato continuato sia
  gia'   quella  dell'ergastolo,  l'aumento  della  continuazione  si
  tradurra' in un inasprimento del trattamento sanzionatorio ai sensi
  dell'art. 72  c.p.:  la pena detentiva resta l'ergastolo, aggravato
  pero'  dalla misura dell'isolamento diurno, da applicarsi appunto a
  titolo  di  aumento  per  la  continuazione.  Su questo trattamento
  sanzionatorio  andra'  pero'  ad incidere la diminuente per il rito
  che  si  traduce nella sostituzione automatica della pena detentiva
  di  trent'anni,  senza  che residui alcuno spazio per l'aumento che
  doveva  essere applicato a titolo di continuazione. Non e' corretto
  parlare  di assorbimento dell'aumento, perche' anche quando la pena
  per  il  reato  continuato  venga  ridotta  in  applicazione di una
  diminuente  per  il  rito  (come  nelle  altre  ipotesi  di giudizi
  abbreviato  o  in  quelle  di  patteggiamento),  la riduzione opera
  proporzionalmente  sulla  pena finale e complessiva determinata per
  il reato continuato, comprensiva dell'aumento per la continuazione,
  che  quindi  non  resta irrilevante, ne' subisce alcun assorbimento
  (Neppure  l'art. 78  c.p.,  che in caso di cumulo di pene detentive
  temporanee fissa il tetto massimo di trent'anni di reclusione e che
  e'  pacificamente  ritenuto applicabile anche nell'ipotesi di reato
  continuato, determina un integrale assorbimento dell'aumento dovuto
  ex   art. 81,   comma  secondo  c.p.:  l'osservanza  del  principio
  enucleabile  dall'art. 78  postula  piuttosto  che l'aumento per la
  continuazione  sia  contenuto  e  non assorbito entro il limite dei
  trent'anni).
    Se  cosi'  non  fosse,  i reati satelliti, o comunque considerati
  tali  ai  fini  del  computo  della  pena,  resterebbero  del tutto
  impuniti e questo e' un effetto inammissibile.
    Ma  proprio  questo effetto - come gia' si e' visto - si verifica
  attraverso  il  meccanismo  di  riduzione ope iuris innescato dalla
  richiesta  utilaterale e insindacabile dell'imputato che si avvalga
  dell'opportunita'  concessagli  dalla disciplina transitoria di cui
  all'art. 4-ter.  E  si  tratta a ben vedere di un effetto che esula
  dalle  finalita'  di  quella  disciplina  o  addirittura si pone in
  contrasto  con  essa,  se  e' vero che, sia pure implicitamente, il
  legislatore  ha  inteso  porre  i  trent'anni  come  limite di pena
  inderogabile in luogo dell'ergastolo, e all'esito dell'applicazione
  del  beneficio  concesso  all'imputato  effettivamente  reo  di  un
  delitto punito con l'ergastolo.
    Nella  fattispecie, in caso di condanna, resterebbero impuniti il
  tentato  omicidio ai danni dell'Ag. Mondo e i delitti in materia di
  armi gia' richiamati: cosi' vanificandosi di fatto la tutela penale
  di beni supremi, e costituzionalmente garantiti, quali sono la vita
  e  l'integrita'  fisica  della  persona e l'incolumita' e sicurezza
  pubblica.
    Ancora  piu'  eclatante  appare il contrasto con gli artt. 3 e 27
  della Costituzione nell'ipotesi di concorso materiali di piu' reati
  puniti  con  l'ergastolo.  Anche  qui,  si  procedera'  nel caso di
  condanna    inflitta    nell'ambito    del    medesimo    processo,
  all'applicazione  della  diminuente  per  il  rito solo dopo che il
  giudice  avra'  applicato tutte le norme di diritto sostanziale che
  regolano  la  determinazione  della  pena,  ivi comprese quelle che
  disciplinano  il  cumulo  (delle pene da infliggere con la medesima
  sentenza).
    Si   applichera'   dunque   l'art. 72   codice   penale   e  solo
  successivamente   la  diminuente  per  il  rito,  che,  sostituendo
  all'ergastolo  la  pena  di  trent'anni  di reclusione, finisce per
  azzerare   anche   l'inasprimento   del  trattamento  sanzionatorio
  previsto  dall'art. 72  appunto  nel  caso  di  concorso di delitti
  parimenti  puniti  con  l'ergastolo. Pertanto, l'imputato che abbia
  commesso  un  solo  omicidio  soggiacera'  alla  stessa pena e allo
  stesso  trattamento  sanzionatorio complessivo inflitto a chi abbia
  commesso decine di omicidi, oppure piu' omicidi e stragi.
    E  l'imputato  che  abbia  commesso decine di omicidi ovvero piu'
  omicidi  e  stragi  rispondera'  in  pratica  di  uno  solo di tali
  delitti, restando gli altri del tutto impuniti. Effetto palesemente
  contrario,   come   gia'   rilevato,   alla  ratio  che  ispira  la
  disposizione  di  cui  all'art. 73, comma secondo. Non solo, ma chi
  risponda  di  due  omicidi,  per  nessuno di quali siano contestate
  aggravanti che lo rendano passibile della pena dell'ergastolo e sia
  riconosciuto  colpevole  di entrambi, non potendo fruire (per cause
  ovviamente   indipendenti   dalla   sua  volonta')  della  speciale
  normativa   transitoria   di   cui  all'art. 4-ter,  dovra'  essere
  condannato all'ergastolo, in applicazione delle norme sul cumulo di
  pena,  ove  non  riporti,  per almeno uno dei due omicidi, una pena
  inferiore a ventiquattro anni.
    Ma  c'e'  di piu'. L'applicazione della norma di cui all'art. 73,
  comma  secondo,  sostanzialmente  inibita o comunque vanificata dal
  meccanismo di operativita' della diminuente per il rito - nel senso
  che  questa  si applica una sola volta per ciascun imputato, e dopo
  che  si e' determinata la pena complessiva da infiggergli per tutti
  i  delitti  per  cui  e'  condanna  -  continua  invece  a  trovare
  applicazione  in sede di esecuzione, con ulteriore e ingiustificata
  disparita'   di  trattamento  tra  gli  imputati  che  siano  stati
  giudicati  e  riconosciuti  colpevoli  di  piu'  delitti puniti con
  l'ergastolo,  nell'ambito  del  medesimo  processo;  e gli imputati
  riconosciuti  colpevoli dei medesimi reati, ma in separati processi
  (che,    a    differenza   dei   primi;   non   potranno   sfuggire
  all'applicazione    dell'art. 73,   comma   secondo,   pur   avendo
  beneficiato, come loro, della diminuente per il rito).
    Possono  dunque riassumersi come segue i profili di contrasto che
  la  normativa  in esame pone, ad avviso di questa Corte rispetto ai
  parametri costituzionali.
    Art. 112  della Costituzione nella parte in cui impone all'organo
  della  pubblica  accusa di dare impulso alla formazione della prova
  per  verificare  la  sussistenza  dei presupposti sostanziali della
  pretesa  punitiva  dello Stato: il contrasto e' evidente laddove la
  disciplina   transitoria   consente   all'imputato,   con  una  sua
  unilaterale  manifestazione di volonta' e senza alcuna possibilita'
  di  sindacato  da  parte  del  giudice, di espungere dal novero del
  materiale  utilizzabile  per  la decisione le prove gia' ammesse su
  richiesta  del  p.m.  e  non  ancora assunte (oltre alle risultanze
  dell'eventuale  attivita'  integrativa  espletata  nelle  more  del
  dibattimento, e la cui documentazione non sia ancora transitata nel
  fascicolo  del  p.m.:  il che avviene, a norma dell'art. 433, comma
  terzo  c.p.p.  solo "quando di essa le parti si sono servite per la
  formulazione   di   richieste   al   giudice   del  dibattimento  e
  quest'ultimo le ha accolte").
    Art. 101,  comma secondo e 102, primo comma Cost., nella parte in
  cui  sanciscono  che  la funzione giurisdizionale e' esercitata dai
  giudici  ordinari,  che  sono  soggetti  soltanto  alla  legge:  il
  disposto  costituzionale implicitamente postula l'illegittimita' di
  qualunque    forma,   anche   mediata,   di   interferenza   e   di
  condizionamento da parte di soggetti diversi.
    Ebbene,  il contrasto si delinea quando, come nel caso di specie,
  si  consente  all'imputato, con una propria decisione unilaterale -
  che  la  legge  pudicamente  definisce richiesta - di modificare il
  rito di un giudizio che si era gia' instaurato nelle forme del rito
  ordinario,  optando  per  il  giudizio  abbreviato;  e senza alcuna
  possibilita'  per  il  giudice  di  valutare la congruita' del rito
  richiesto  (rectius,  imposto  dall'imputato),  sia  rispetto  agli
  interessi  delle altre parti in causa, sia rispetto all'esigenza di
  un armonico esercizio della giurisdizione.
    Infatti,  il controllo del processo (e sul processo) da parte del
  giudice,  e'  un  elemento essenziale e inderogabile della funzione
  giurisdizionale,  a  garanzia  di tutte le parti (comprese le parti
  civili).  E una volta che il giudizio si sia instaurato nelle forme
  del  rito  ordinario, con la conseguente attivazione di quel potere
  di  controllo,  esso  non appare compatibile con il conferimento ad
  una  sola  delle  parti  di un cosi' rilevante potere sulla forma e
  sulle  modalita'  di definizione del processo (tanto piu' che dalla
  scelta  insindacabile di una sola parte dipendono conseguenze tanto
  rilevanti anche sul piano del trattamento sanzionatorio).
    Ne  segue  che  e' violato anche il principio di uguaglianza, per
  l'irragionevole  privilegio  accordato nei termini suesposti ad una
  sola delle parti del processo.
    Artt. 102,  3  e  24 della Costituzione: corollario del principio
  del  controllo  deputato  al  giudice  sul  processo,  a  sua volta
  connaturato   all'esercizio   della   funzione  giurisdizionale  ex
  art. 102   della   Costituzione,   e'   anche   il   principio   di
  indisponibilita'  delle fonti di prova, che, una volta ammesse, non
  possono  essere  sottratte  per  decisione del solo imputato (o del
  p.m.)  all'assunzione  ad  iniziativa  delle  parti  che vi abbiano
  interesse.  Anche  sotto questo profilo si delinea il contrasto con
  l'art. 102,  ma  anche  con  gli  artt. 3  e 24 della Costituzione,
  soprattutto  con  riferimento  alla  posizione  delle parti civili.
  Inibendosi  il  diritto alla prova di queste ultime, infatti, se ne
  vanifica di fatto la partecipazione al giudizio penale e il diritto
  a ottenere tutela per i propri diritti in quella sede.
    Art. 111  della  Costituzione,  nella parte in cui ammette che la
  formazione della prova possa non aver luogo in contraddittorio, per
  consenso dell'imputato.
    Ed invero, non sembra proprio che la previsione costituzionale si
  spinga  fino  al  punto  di  tollerare  che l'imputato, con propria
  richiesta  unilaterale  e  non soggetta ad alcuna verifica da parte
  del  giudice, possa impedire l'assunzione delle prove gia' ammesse.
  Infatti,  l'art. 111  si limita a stabilire che la formazione della
  prova  puo',  se  l'imputato lo consenta, non avvenire nel rispetto
  del  principio  del  contraddittorio,  e  cio'  nei  casi  all'uopo
  regolati con legge ordinaria. Ma nulla dispone in ordine alle prove
  che  sono  state gia' ammesse e debbono ancora essere assunte. E se
  e' ancora tollerabile che l'imputato interessato al rito abbreviato
  possa  rinunziare  alle  prove  che  lui  stesso  aveva  chiesto di
  assumere, non si vede come possa altresi' impedire alle altre parti
  di assumere le prove gia' ammesse su loro richiesta, senza con cio'
  violare il disposto dell'art. 111 della Costituzione nella parte in
  cui  la  norma eleva il contraddittorio a strumento privilegiato di
  accertamento  della  verita'  processuale,  oltre che indefettibile
  garanzia  per  i  diritti  della  difesa  -  e senza determinare al
  contempo  un'ingiustificata  disparita' di trattamento nei riguardi
  delle altre parti (p.m. e parti civili).
    In  realta', l'art. 111 quinto comma Costituzione, guarda proprio
  ai  riti  alternativi  nella  loro  disciplina "ordinaria", che non
  prevede  in  effetti  alcuna  commissione tra rito ordinario e rito
  speciale,   mentre  la  disciplina  introdotta  dal  secondo  comma
  dell'art. 4-ter  della  legge  di  conversione  del decreto-legge 7
  aprile  2000,  n. 82 crea una sorta di ibrido tra le forme del rito
  ordinario  e  quelle  dello  speciale  rito  proprio  del  giudizio
  abbreviato.  Motivo  di  piu'  per dubitare della compatibilita' di
  tale  normativa  con  l'art. 111 della Costituzione quarto e quinto
  comma.
    Art. 111  della  Costituzione,  nella parte in cui stabilisce che
  "il  processo  penale  e' regolato dal principio del contradditorio
  nella formazione della prova".
    Il  nuovo art. 111 assume invero tale principio nella sua duplice
  valenza:  da  un lato, come istituto fondamentale di garanzia per i
  diritti  della  difesa; dall'altro strumento altrettanto essenziale
  per garantire un giusto ed efficace accertamento della verita'.
    Infatti,  accertamento  della  verita' e giusto processo sono due
  facce  della  stessa  medaglia, nel senso che, affinche' vi sia una
  giusta  decisione, il giudice deve essere posto nelle condizioni di
  poter  pervenire  alla  piena conoscenza (per quanto possibile) del
  fatto  oggetto  del  giudizio; e la via migliore per garantire (per
  quanto  possibile)  una  piena  cognizione  dei fatti, e' quella di
  assumere   le  prove  nel  contraddittorio  delle  parti,  e  cioe'
  attraverso  il  dialettico  confronto  delle  rispettive  ragioni e
  difese.
    La  scelta  del rito abbreviato comporta quindi un sacrificio che
  non  puo'  essere  bilanciato  e  reso  legittimo solo dal consenso
  dell'imputato, poiche' e' in gioco un interesse indisponibile quale
  e'  quello  di  pervenire all'accertamento della verita', che resta
  uno degli scopi fondamentali del processo.
    E  infatti,  nella  logica  dell'istituto, e tra le sue finalita'
  dichiarate,  spicca  proprio  l'interesse pubblico ad una sollecita
  definizione  del  procedimento,  attraverso  l'adozione  di un rito
  semplificato  che  implica  la  rinunzia  alla fase dell'istruzione
  dibattimentale,  e  fatta  salva  la  possibilita'  di una limitata
  integrazione  probatoria  (limitata  cioe'  all'acquisizione  degli
  elementi  che il giudice reputi indispensabili per la decisione); e
  fatta   salva  altresi'  l'ipotesi,  contemplata  dalla  disciplina
  ordinaria  del  giudizio  abbreviato, di una richiesta condizionata
  all'assunzione di talune prove: ma in questo caso il richiedente si
  espone  al  rischio  di  vedere  rigettata la richiesta, appunto in
  quanto incompatibile con le peculiarita' del rito richiesto.
    Ma questa finalita' di economia processuale appare contraddetta o
  vanificata  nei  processi  che  versano  gia'  in  fase avanzata di
  istruzione dibattimentale.
    In questi casi il vantaggio che dovrebbe discendere dall'adozione
  del  rito  abbreviato  ai  fini  di  una  sollecita definizione del
  procedimento  e' pressocche' nullo, tenuto conto, oltretutto, della
  possibilita'  (o  necessita')  che  il  giudice  disponga d'ufficio
  un'attivita'   di   integrazione   probatoria   che,   per  la  sua
  complessita',   potrebbe   risultare  assai  poco  compatibile  con
  l'obbiettivo di una rapida conclusione del processo.
    Ne'  va  trascurata,  per la sua negativa incidenza sull'economia
  processuale,   la   necessita'  che  l'intero  collegio  giudicante
  (composto,  per  quanto concerne le Corti d'assise, anche da almeno
  sei   giudici   popolari)  proceda  all'esame  di  tutti  gli  atti
  precedentemente non portati alla sua cognizione (ossia tutti quelli
  contenuti  nel  fascicolo  del  p.m.);  con  la possibilita' che si
  ravvisi proprio all'esito di tale esame, la necessita' di procedere
  ad una congrua integrazione probatoria.
    Si  aggiunga  poi  che  quando il processo e' in fase avanzata di
  istruzione  dibattimentale,  le  prove  gia'  ammesse, ma ancora da
  assumersi,  sono presumibilmente necessarie ai fini della decisione
  (con  la  conseguenza  che  andrebbero  indefettibilmente assunte a
  titolo   di   integrazione   probatoria   anche  in  caso  di  rito
  abbreviato);  ovvero, se superflue, il giudice ne potrebbe revocare
  l'ammissione.  Infatti, quando l'istruzione e' in fase avanzata, il
  giudice  possiede  ormai gli elementi necessari per una valutazione
  in  ordine alla rilevanza o meno delle prove da assumere molto piu'
  penetrante  rispetto  a  quella  che egli poteva operare all'inizio
  dell'istruzione stessa.
    Di   conseguenza,   l'adozione   del   rito   abbreviato,  almeno
  teoricamente,  non  si  tradurrebbe in un risparmio apprezzabile di
  attivita' processuale.
    Art.   3   della   Costituzione:   violazione  del  principio  di
  uguaglianza.
    Si   profila  un'ingiustificata  disparita'  di  trattamento  nei
  riguardi  degli  imputati  che  soggiacciono,  quanto  ai limiti di
  esperibilita'   del   rito   abbreviato,  alla  disciplina  di  cui
  all'art. 438  c.p.p.  e a quella transitoria di cui all'art. 4-ter,
  comma primo.
    Si  procura  infatti  un vantaggio del tutto ingiustificato, o la
  cui  giustificazione  appare manifestamente incongrua: il vantaggio
  consiste  nel  poter  optare  per  il  rito abbreviato in base alla
  conoscenza  di  quello  che  e'  stato  fino  ad allora l'andanento
  dell'istruzione dibattimentale o addirittura in base al prevedibile
  esito  delle  prove ancora da assumere (e la cui assunzione sarebbe
  inibita  o preclusa dalla volonta' unilaterale dell'imputato, anche
  quando  si tratti di prove chieste dal p.m. o dalle parti civili, o
  da  altri  imputati  che  abbiano una posizione di contrasto). E la
  valutazione  di  non congruita' della giustificazione in termini di
  economia  processuale  e'  implicita  nella  stessa  legge, laddove
  mantiene   come  limite  invalicabile  per  la  proposiziome  della
  richiesta    di    rito    abbreviato    l'inizio   dell'istruzione
  dibattimentale,  o  addirittura,  nella  disciplina  ordinaria  del
  giudizio   abbreviato,   il   momento   della   precisazione  delle
  conclusioni all'udienza preliminare.
    Ed  invero  delle  due l'una: o l'adozione del rito abbreviato in
  qualsiasi   momento   dell'istruzione  dibattimentale  conserva  un
  apprezzabile  interesse  pubblico  sotto  il  profilo dell'economia
  processuale  che puo' discenderne; oppure, questo tipo di vantaggio
  non  e' apprezzabile, o almeno non fino al punto da giustificare la
  deroga a principi fondamentali e la compressione o il sacrificio di
  valori e diritti costituzionalmente garantiti.
    Nel  primo  caso,  non si vede perche' non si debba generalizzare
  questa  facolta' di scelta a tutti gli imputati di processi che non
  versino  gia'  in fase di discussione. Nel secondo caso, invece, il
  beneficio  accordato agli imputati dei processi che rientrano nella
  previsione  di  cui  al secondo comma dell'art. 4-ter della legge 5
  giugno   2000,   si   risolverebbe  in  un  privilegio  tanto  piu'
  ingiustificato   perche'  contrario  alle  finalita'  (di  economia
  processuale) perseguite dalla stessa legge.
    La  violazione  del principio di uguaglianza si profila anche nei
  riguardi  degli  imputati  di  processi  che  pendano  in  fase  di
  discussione,  alla  data  di  entrata  in  vigore  della  legge  di
  conversione del d.l. n. 82/2000.
    Tutte  le  volte  che  il  beneficio della riduzione di pena (con
  conseguente  sostituzione  della  reclusione  temporanea  alla pena
  dell'ergastolo)   sia   sganciato   da   un'effettiva  correlazione
  funzionale  con un concreto risparmio di attivita' processuale, non
  si  vede perche' lo stesso beneficio dovrebbe negarsi agli imputati
  che,  per  ragioni  del  tutto  accidentali,  hanno visto chiudersi
  l'istruzione  dibattimentale dei processi a loro carico appena poco
  prima della data predetta.
    In  realta', e' del tutto ragionevole, perche' coerente e consono
  sia  alla  disciplina  ordinaria  del  giudizio abbreviato che alle
  finalita'  dichiarate anche del piu' recente intervento legislativo
  in  materia,  negare  il  beneficio  agli imputati dei processi che
  versino  gia'  in  fase  di  discussione. Irragionevole e', semmai,
  estenderlo  agli  imputati  dei  processi  in  fase  di  istruzione
  dibattimentale gia' in corso.
    Alla  luce  delle  considerazioni  che precedono, va sollevata di
  ufficio la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 4-ter
  commi   2  e  seguenti  della  legge  n. 144/2000  con  conseguente
  sospensione   del  processo  nelle  more  della  definizione  della
  questione da parte della Corte costituzionale cui, ex art. 23 legge
  11 marzo 1953, vanno trasmessi gli atti.
                              P. Q. M.
    Solleva   d'ufficio   questione  di  legittimita'  costituzionale
  dell'art. 4-ter commi 2 e seguenti L. 144/2000 per:
      a) contrasto con gli artt. 3, 27 e 112 della Costituzione nella
  parte  in  cui  consente,  anche all'imputato di due o piu' delitti
  puniti  con la pena dell'ergastolo, oppure di un delitto punito con
  l'ergastolo  ed altri delitti puniti con pena complessiva superiore
  a  cinque anni, di accedere al rito abbreviato e cosi' ottenere, in
  caso di condanna, l'impunita' per i delitti concorrenti;
      b)  contrasto  con  gli artt. 3, 24, 97, 101 secondo comma, 102
  primo  comma,  111 secondo quarto e quinto comma e 112 Cost., nella
  parte  in  cui  consente all'imputato di delitti puniti con la pena
  dell'ergastolo,  in  un  processo  in  fase  avanzata di istruzione
  dibattimentale,  di accedere al rito abbreviato a sua richiesta non
  sindacabile  dal  giudice  in  rapporto  allo stato dell'istruzione
  stessa, alle esigenze probatorie ed alla loro compatibilita' con il
  rito richiesto; e con l'effetto di inibire l'assunzione di mezzi di
  prova chiesti dalle altre parti e gia' ammessi.
    Sospende il giudizio in corso.
    Ordina  che  a  cura  della  cancelleria la presente ordinanza di
  trasmissione degli atti alla Corte costituzionale sia notificata al
  Presidente  del  Consiglio  dei  Ministri,  nonche'  comunicata  ai
  Presidenti delle due Camere del Parlamento.
      Palermo, 5 luglio 2000.
                  Il presidente estensore: Pellino
00C1196