N. 696 ORDINANZA (Atto di promovimento) 21 giugno 2000
Ordinanza emessa il 21 giugno 2000 dal tribunale di Palermo nel procedimento penale a carico di Di Maggio Baldassarre ed altri Processo penale - Giudizio abbreviato - Disciplina transitoria a seguito delle modifiche recate dalla legge 16 dicembre 1999, n. 479 - Procedimenti per due o piu' delitti puniti con la pena dell'ergastolo - Possibilita' di accesso al rito abbreviato per l'imputato, su sua insindacabile richiesta - Disparita' di trattamento tra imputati - Lesione del principio della finalita' rieducativa della pena. - Legge 5 giugno 2000, n. 144, art. 4-ter, commi 2 e seguenti [recte: d.l. 7 aprile 2000, n. 82, (convertito, con modificazioni, nella legge 5 giugno 2000, n. 144), art. 4-ter, commi 2 e seguenti]. - Costituzione, artt. 3 e 27. Processo penale - Giudizio abbreviato - Disciplina transitoria a seguito delle modifiche recate dalla legge 16 dicembre 1999, n. 479 - Procedimenti per delitti puniti con la pena dell'ergastolo, in fase avanzata di istruzione dibattimentale - Previsto accesso al rito abbreviato per l'imputato, su richiesta non sindacabile dal giudice, in rapporto allo stato dell'istruzione ed alla necessita' di stralciare la posizione di chi abbia fatto richiesta da quella degli altri coimputati che non abbiano voluto o potuto avanzare analoga richiesta - Conseguente duplicazione del processo gia' unitariamente istruito - Disparita' di trattamento tra imputati sotto diversi profili - Lesione del diritto di difesa, con riferimento, in particolare, alla posizione delle parti civili - Violazione del principio di buon andamento della pubblica amministrazione. - Legge 5 giugno 2000, n. 144, art. 4-ter, commi 2 e seguenti [recte: d.l. 7 aprile 2000, n. 82, (convertito, con modificazioni, nella legge 5 giugno 2000, n. 144), art. 4-ter, commi 2 e seguenti]. - Costituzione, artt. 3, 24, 97 e 111. Processo penale - Giudizio abbreviato - Disciplina transitoria a seguito delle modifiche recate dalla legge 16 dicembre 1999, n. 479 - Procedimenti per delitti puniti con la pena dell'ergastolo, in fase avanzata di istruzione dibattimentale - Previsto accesso al rito abbreviato per l'imputato, su richiesta non sindacabile dal giudice - Conseguente impedimento dell'assunzione di mezzi di prova chiesti dalle altre parti e gia' ammessi - Disparita' di trattamento tra imputati sotto diversi profili - Lesione del diritto di difesa, con riferimento, in particolare, alla posizione delle parti civili - Lesione del principio della riserva della funzione giurisdizionale e del principio di indipendenza del giudice - Contrasto con i principi costituzionali concernenti la formazione della prova - Violazione del principio di obbligatorieta' dell'azione penale. - Legge 5 giugno 2000, n. 144, art. 4-ter, commi 2 e seguenti [recte: d.l. 7 aprile 2000, n. 82, (convertito, con modificazioni, nella legge 5 giugno 2000, n. 144), art. 4-ter, commi 2 e seguenti]. - Costituzione, artt. 3, 24, 101, secondo comma, 102, primo comma, 111, commi secondo, quarto e quinto, e 112.(GU n.48 del 22-11-2000 )
LA CORTE DI ASSISE Ha emesso la seguente ordinanza in ordine alle richieste avanzate da tutti gli imputati di essere giudicati immediatamente ai sensi dell'art. 4-ter comma 2, legge 5 giugno 2000 n. 144; Sentite la parti; O s s e r v a Le richieste avanzate dagli imputati Pirrone Angelo (cl. 61), Di Gregorio Giuseppe, Adelfio Serafino, Di Matteo Giuseppe, Di Maggio Salvatore, Di Matteo Mario Santo appaiono del tutto inammissibili poiche' esse non rientrano nella previsione di cui all'art. 4-ter, comma 2, della legge n. 144/2000, atteso che gli imputati predetti non rispondono in questo processo di delitti punibili con la pena dell'ergastolo; ne' ad avviso di questa Corte ricorrono i presupposti per l'applicazione della disciplina transitoria introdotta dal richiamato art. 4-ter, comma 1. Per quanto concerne, invece, le richieste avanzate dagli altri imputati che rispondono di delitti punibili con la pena dell'ergastolo, ritiene la Corte che sotto diversi profili la norma invocata pone questioni di legittimita' costituzionale che non appaiono manifestamente infondate e sono certamente rilevanti per la definizione del presente giudizio. Gia' la Corte costituzionale, con la nota sentenza n. 277 del 23 maggio 1990, nel motivare l'infondatezza della questione di costituzionalita' che era stata sollevata nei riguardi dell'art. 247 delle disp. di attuazione del codice di procedura penale - nella parte in cui precludeva la possibilita' di chiedere il giudizio abbreviato dopo il compimento delle formalita' di apertura del dibattimento nei procedimenti che proseguivano con l'applicazione delle norme dell'abrogato codice di rito - aveva sottolineato l'inscindibile unita' finalistica che la disposizione in quella sede impugnata poneva tra semplificazione del rito e riduzione della pena. Da cio' la Corte traeva la conseguenza che, divenuto impossibile, con l'apertura del dibattimento, raggiungere le finalita' che il legislatore si prefigge, "e' conseguentemente e razionalmente impossibile all'imputato realizzare il c.d. diritto alla riduzione della pena". In altri termini, poiche' lo scopo dell'istituto del giudizio abbreviato e' quello di consentire la sollecita definizione del giudizio, escludendo la fase dibattimentale, appariva del tutto razionale che, per i procedimenti in corso alla data di entrata in vigore del nuovo codice di procedura penale, tale istituto fosse applicabile soltanto quando il suo scopo era ancora interamente perseguibile ("e cioe' soltanto quando non si sia ancora giunti al dibattimento"). Ma nella citata sentenza la Corte e' andata oltre, rilevando che "irrazionale sarebbe stata un'applicazione del giudizio abbreviato oltre i suddetti limiti". Infatti, "se fosse possibile all'imputato chiedere il rito abbreviato anche nel caso che il dibattimento sia gia' iniziato, i benefici non sarebbero piu' giustificati ne' dallo scopo (ormai impossibile) di eliminare la fase dibattimentale, ne' dal rischio assunto dall'imputato, il quale invece si troverebbe nella comoda situazione di decidere dopo che il pubblico ministero ha gia' offerto le sue prove e comunque dopo aver potuto valutare l'andamento del dibattimento stesso". E aggiunge la Corte che, proprio per tale via, si sarebbe dato luogo ad "una situazione ingiustificata ed irrazionale". Non e' pertanto conducente "il confronto fra imputati per i quali il dibattimento sia stato o non sia stato ancora aperto, proprio perche' si tratta di situazioni oggettivamente diverse". La Corte concludeva la motivazione sul punto, ribadendo che l'intervenuta apertura del dibattimento "rende irrazionale l'applicabilita' del giudizio abbreviato". Nella medesima sentenza n. 277 del 1990 si osservava altresi' come neppure sarebbe invocabile, a sostegno della dedotta questione di illegittimita' costituzionale, il principio della applicazione della legge piu' favorevole all'imputato, giacche' tale principio - che peraltro e' sancito dall'art. 2 del codice penale, ma non ha affatto rango costituzionale - opera soltanto quando vi sia stato un mutamento, favorevole all'imputato, nella valutazione sociale del fatto tipico oggetto del giudizio, mentre nel caso del giudizio abbreviato non e' affatto mutata in melius la suddetta valutazione, dal momento che la riduzione della pena e' prevista soltanto al fine di incentivare, nei limiti della sua esperibilita', la richiesta da parte dell'imputato del procedimento speciale in questione. Orbene, le considerazioni sopra richiamate, ribadite dalla Corte costituzionale in successive pronunce, con le quali sono state dichiarate manifestamente infondate analoghe questioni in ordine alla ammissibilita' esclusivamente in limine litis cosi' del giudizio abbreviato come della applicazione della pena su richiesta delle parti (v. le ordinanze n. 320, 355 e 420 del 1990), sono state coerentemente riprese nelle numerose ordinanze con cui le Corti di merito di questo come di molti altri distretti giudiziari hanno dichiarato manifestamente infondata l'eccezione di illegittimita' costituzionale con la quale e' stata dedotta l'irrazionalita' della preclusione, coincidente con l'inizio dell'istruzione dibattimentale, che le norme impugnate (e cioe' l'art. 27 legge n. 479/1999 e l'art. 223 del decreto legislativo del 19 febbraio 1998, n. 51, nel testo modificato dall'art. 53 della legge del 16 dicembre 1999, n. 479, in relazione all'art. 442 del codice di procedura penale, come modificato dall'art. 30 della medesima legge, nella parte in cui non consente all'imputato di chiedere il giudizio abbreviato quando sia iniziata l'istruzione dibattimentale) stabilivano per la richiesta da parte dell'imputato di essere giudicato con il rito abbreviato. Ed invero, anche la ratio della disposizione contenuta nell'art. 223 del decreto legislativo n. 51 del 1998 consisteva nella finalita', che il legislatore delegato si prefiggeva, di evitare la fase dibattimentale nel maggior numero di processi in corso alla data di efficacia del decreto istitutivo del giudice unico di primo grado, e di assicurare, per tal via, la rapida definizione dei processi stessi. La suddetta finalita', da un lato, non poteva dirsi attenuata - e deve al contrario a maggior titolo affermarsi - in considerazione delle modifiche apportate dalla disposizione denunciata alla disciplina del giudizio abbreviato (con l'esclusione del necessario consenso del pubblico ministero e con il rendere il rito speciale applicabile pur quando il giudice, ritenendo di non potere decidere allo stato degli atti, debba procedere alla necessaria integrazione probatoria nelle forme spedite prevista dall'art. 422 del codice di procedura penale); dall'altro, non poteva ritenersi interamente realizzabile se si fosse consentita l'esperibilita' del giudizio abbreviato anche dopo l'inizio dell'istruzione dibattimentale. Si e' detto quindi (e si e' scritto nelle ordinanze predette), in conformita' alla persuasiva giurisprudenza della Corte costituzionale, che, contrario al canone della ragionevolezza, e quindi causa di una sostanziale e ingiustificata disparita' di trattamento, sarebbe piuttosto un trattamento normativo che ignorasse l'irriducibile diversita' delle situazioni processuali considerate, in rapporto alle finalita' dichiarate di un rito espressamente previsto come alternativo al dibattimento e funzionale ad una piu' sollecita e spedita definizione del giudizio, con un considerevole risparmio di mezzi e di attivita' processuali; e che paradossalmente consentisse ad alcuni imputati di far dipendere la scelta del rito alternativo proprio dall'andamento o addirittura dall'esito dell'istruzione dibattimentale. E si e' concluso altresi' che il differimento fino all'inizio dell'istruzione dibattimentale del termine utile per avanzare la richiesta di giudizio abbreviato rappresentava quindi, nella valutazione del legislatore, la massima concessione, compatibile con le finalita' di tale rito (e dei connessi benefici per l'imputato), alle ragioni di equita' che sollecitavano l'estensione agli imputati dei procedimenti in corso della possibilita' di avvalersi della nuova disciplina del giudizio abbreviato, nella parte in cui questo era reso accessibile (senza necessita' del consenso da parte del pubblico ministero e senza possibilita' che il giudice sindacasse l'ammissibilita' della richiesta) anche per gli imputati di delitti punibili con l'ergastolo. Ebbene, con l'inserimento nella legge di conversione del decreto-legge del 7 aprile 2000, n. 82 della disposizione di cui all'art. 4-ter, commi 2 e seguenti, il legislatore ha evidentemente mutato indirizzo. Egli ha ritenuto cioe' di doversi spingere oltre sulla via di un equo trattamento, estendendo la possibilita' di accedere ad un rito modellato sul nuovo giudizio abbreviato anche a quegli imputati (di reati puniti con la pena dell'ergastolo) che, in pratica, non erano stati nella condizione di poterne fruire per cause indipendenti dalla loro volonta': e cioe' per il fatto che "alla data di entrata in vigore della legge 16 dicembre 1999, n. 479, era scaduto il termine per la proposizione della richiesta di giudizio abbreviato", come recita testualmente il secondo comma del citato art. 4-ter. E' di tutta evidenza che si tratta di una norma transitoria, perche' applicabile solo ai processi (per reati puniti con l'ergastolo) "in corso alla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto"; ed applicabile una tantum, perche' l'imputato che voglia beneficiarne deve avanzare richiesta "nella prima udienza utile successiva alla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto". Occorre allora stabilire - tenendo presente pero' che al giudice di merito non compete una decisione nel merito di eventuali questioni di costituzionalita', ma solo una delibazione di manifesta o non manifesta infondatezza - se i predetti presupposti limitativi dell'applicabilita' di questa normativa transitoria valgano a fugare i dubbi di incostituzionalita' che si addensano nei riguardi di una soluzione normativa che sembra essersi inoltrata lungo una via che gia' la Corte costituzionale aveva virtualmente reputato impraticabile per manifesta irragionevolezza. La prima considerazione da fare e' che, salvo restando l'afflato equitativo che, nelle intenzioni del legislatore giustifica l'inserimento di queta norma transitoria, le finalita' della relativa disciplina non si discostano da quelle che sono connaturate alla logica e agli scopi essenziali del giudizio abbreviato: promuovere una sollecita definizione del giudizio, attraverso una semplificazione del rito che assicuri una rapida conclusione del processo, appunto in quanto la scelta del rito abbreviato comporta la rinunzia all'istruzione dibattimentale (in tutto o nella parte ancora da compiersi), con conseguente e congruo risparmio di attivita' processuale. Tali finalita' si rispecchiano pienamente nella soluzione adottata dalla disciplina ordinaria del giudizio abbreviato che pone come termine preclusivo per la proposizione della richiesta di essere giudicati con il rito abbreviato il momento della precisazione delle conclusioni all'udienza preliminare; e cosi' pure nella disciplina transitoria di cui al comma 1 dell'art. 4-ter che estende la possibilita' di scelta per l'imputato e il conseguente diritto alla riduzione della pena, sino all'inizio dell'istruzione dibattimentale, (con riferimento allo stato in cui versa il processo alla data di entrata in vigore della legge di conversione del decreto-legge n. 82/2000). Ma le medesime finalita' di economia processuale sono altresi' alla base della disciplina transitoria che, per ragioni di equita' nei riguardi degli imputati che non avevano potuto fruire di questa possibilita' in quanto l'istruzione dibattimentale era gia' in corso alla data di entrata in vigore della disposizione transitoria di cui all'art. 223 del decreto legislativo n. 51 del 1998, ha esteso l'esperibilita' del rito abbreviato oltre il limite preclusivo segnato dall'effettivo inizio dell'istruzione dibattimentale (e sempre con riferimento allo stato in cui versa il processo alla data di entrata in vigore della legge di conversione del citato decreto-legge). Lo conferma del resto la scelta di consentire il rito abbreviato anche in grado di appello, ma solo qualora sia stata disposta la rinnovazione dell'istruzione dibattimentale e "prima della conclusione dell'istruzione stessa"; e persino nel giudizio di rinvio, ma solo "se ricorrono le condizioni di cui alle lettere a) e b", ossia se comunque l'istruzione dibattimentale e' in corso e non ancora chiusa. Conseguentemente, nessuna violazione del fondamentale canone di ragionevolezza puo' ravvisarsi nella scelta operata dal legislatore di precludere, agli imputati di processi che versino nella fase della discussione, la possibilita' di optare per il rito abbreviato, o, piu' esattamente, per lo speciale rito previsto dalla disciplina transitoria introdotta dall'art. 4-ter comma 2 della legge 30 maggio 2000 e regolato dai commi terzo e seguenti dello stesso art. 4-ter. Tale scelta infatti e' del tutto coerente e consona alle finalita' dichiarate del giudizio abbreviato di cui agli articoli n. 438 e segg, codice di procedura penale (come modificati dalla legge n. 479/1999) che sono anche quelle dello speciale rito introdotto dalla disciplina transitoria qui in esame. Ed e' evidente che nessun risparmio di attivita' processuale potrebbe derivare dalla scelta del rito abbreviato nell'ambito di processi che versino gia' in fase di discussione. D'altra parte, l'imputato non rinunzierebbe ad alcuna attivita' istruttoria e la scelta del rito abbreviato si risolverebbe per lui esclusivamente in un ingiustificato sconto di pena. Resta pero' da vedere se la soluzione adottata dal legislatore non sia manifestamente incongrua, rispetto alle pur dichiarate finalita' di economia processuale che pervadono anche la disciplina transitoria in esame. E se, nella prospettiva di un equo e razionale bilanciamento di valori costituzionali in conflitto, il vantaggio che puo' derivarne in termini di risparmio effettivo di attivita' processuali e sollecita definizione dei giudizi pendenti per i delitti piu' gravi, quali sono quelli puniti con l'ergastolo, non sia manifestamente irrisorio, avuto riguardo alla deroga a principi fondamentali e al sacrificio o alla compressione di valori e diritti costituzionalmente garantiti che sicuramente conseguono ad una soluzione che estende la possibilita' di accedere al rito abbreviato, a semplice richiesta dell'imputato, non sindacabile dal giudice, anche quando l'istruzione dibattimentale e' in pieno corso o addirittura ormai prossima a concludersi. E cio' con particolare riguardo all'esigenza di tenuta di principi come quello del contraddittorio, della parita' tra accusa e difesa, dell'oralita' e immediatezza intesi come canoni fondamentali del giudizio in fase dibattimentale; ma anche delle garanzie connesse ai principi di obbligatorieta' dell'azione penale e di indefettibilita' della giurisdizione (articoli 112, 101, secondo comma e 102, primo comma Cost); ed ancora con riferimento alla garanzia dello stesso diritto di difesa (art. 24) e alle disparita' di trattamento (art. 3) che inevitabilmente conseguono per chi accetti di essere giudicato secondo il rito abbreviato, e che appaiono tanto piu' manifeste tra imputati dello stesso reato, dei quali solo uno o solo alcuni optino per il rito abbreviato (questi ultimi, infatti saranno giudicati anche sulla base del materiale istruttorio contenuto nel fascicolo del pubblico ministero ed elevato ope iuris a dignita' di prova utilizzabile per la decisione). Sul punto relativo al sacrificio del diritto di difesa - che si verifica anche nella disciplina ordinaria del giudizio abbreviato perche' anche qui l'imputato rinunzia non solo all'assunzione delle prove a discarico, ma anche all'assunzione di quelle a carico con la garanzia del contraddittorio - e' appena il caso di segnalare che il beneficio della riduzione della pena e' un incentivo alla scelta del rito abbreviato, ma non costituisce certo il fondamento giustificativo della compressione che ne deriva al diritto di difesa, quasi che fosse ammissibile barattare un diritto fondamentale della persona (e in quanto tale indisponibile, relativamente almeno alle garanzie che lo assistono) con un beneficio individuale, seppur di rilevante entita'. In realta', a giustificare quell'obbiettiva compressione del diritto di difesa e' l'interesse pubblico alla semplificazione del rito come veicolo di accelerazione nella definizione dei processi; e il vantaggio che la complessiva efficienza del servizio giustizia puo' ricavare da un risparmio di attivita' processuale, in quanto questo si traduce in un risparmio di risorse, di tempi e di costi. Sotto questo profilo, ma anche in rapporto alla compressione del principio di obbligatorieta' dell'azione penale, del principio di indefettibilita' della giurisdizione e del principio del contraddittorio, le maggiori perplessita' nascono dal fatto che, in base alla disciplina transitoria - che riproduce pedissequamente sul punto la nuova disciplina del giudizio abbreviato - la richiesta dell'imputato non solo non necessita del consenso del pubblico ministero, ma non e' sindacabile dal giudice, neppure in relazione allo stato del processo: e segnatamente, all'istruzione dibattimentale gia' compiuta e a quella ancora da compiersi. Ora, non si vede quale risparmio di attivita' processuale possa derivare dalla scelta del rito abbreviato nell'ambito di un processo che versi gia' nella fase c.d. del "507": la fase cioe' in cui, terminata l'assunzione delle prove chieste dalle parti, il giudice dispone ulteriori attivita' istruttorie o di integrazione probatoria per acquisire elementi che reputi necessari per la decisione. E' di tutta evidenza che in questo caso la scelta del rito abbreviato non fara' venire meno la necessita' delle attivita' istruttorie gia' disposte d'ufficio in quanto ritenute (e dichiarate) indispensabili per la decisione. E infatti anche in base al rito modellato sul giudizio abbreviato, con espresso richiamo tra gli altri anche dell'art. 441 del codice di procedura penale, gli ulteriori accertamenti gia' disposti restano ammissibili a titolo di integrazione probatoria. La scelta del rito abbreviato non avra' allora altro effetto se non quello di realizzare a beneficio dell'imputato un ingiustificato sconto di pena: e non e' questo lo scopo perseguito dalla stessa disciplina transitoria. Ne segue anche la manifesta violazione degli articoli 3 e 27 della Costituzione. Viene meno infatti la correlazione tra il beneficio della riduzione della pena e la semplificazione del rito; e con essa quella residua giustificazione del beneficio concesso agli imputati dei processi che rientrano nella previsione di cui al comma 2 dell'art. 4-ter. E non si comprende piu' perche' tale beneficio debba essere negato agli imputati di processi che alla stessa data versino in fase di discussione. Ne' si comprende per quale ragione il legislatore abbia mantenuto fermo, nella norma transitoria di cui al primo comma del medesimo art. 4-ter il limite invalicabile dell'inizio dell'istruzione dibattimentale. Ma a conclusioni analoghe deve pervenirsi anche quando l'istruzione dibattimentale di un processo con decine e decine di imputati sia formalmente aperta, ma in realta' gia' chiusa di fatto per molti imputati e rispetto a tutti i reati di cui essi sono chiamati a rispondere. Ed appare piu' che fondato il dubbio che manifestamente inisorio sia il risparmio di attivita' processuale conseguente alla scelta del rito abbreviato nell'ambito di un processo la cui istruzione - che magari si era protratta per anni - e' assai prossima a concludersi, in quanto resta da assumere un solo teste o poco piu'. (Piu' in generale va rilevato che in tutti i casi in cui l'istruzione dibattimentale e' prossima a concludersi, le prove non ancora assunte e sulle quali le parti richiedenti insistano, sono verosimilmente prove necessarie per la decisione, poiche', in caso contrario, il giudice le revocherebbe. E quindi esse potranno e dovranno ugualmente assumersi a titolo di integrazione probatoria). Le finalita' di economia processuale appaiono ugualmente smentite, ed anzi il contrasto diviene eclatante, nei processi in cui solo alcuni degli imputati optino per il rito abbreviato: in questi casi, infatti, il processo originariamente unico si sdoppiera', perche' un troncone proseguira' con il rito ordinario, con possibile duplicazione anche delle attivita' istruttorie che appaiono comunque indispensabili per la decisione. Inoltre, per non incorrere in una situazione di incompatibilita', il giudice dovra' spogliarsi di uno dei due tronconi, verosimilmente quello che prosegue con il rito ordinario, che dovra' essere deciso da altro giudice, previa rinnovazione del dibattimento: in altri termini, il processo, sottratto al giudice naturale per effetto di una scelta unilaterale e non sindacabile di un imputato o di alcuni imputati, ripartira' dall'inizio. E' proprio questo il caso del presente processo che, nel caso di adozione del rito abbreviato, si frantumerebbe in due tronconi, uno dei quali proseguirebbe con le forme del rito ordinario investendo la posizione di ben nove imputati su diciannove. I nove imputati in questione (Pirrone Angelo cl. 61, Di Gregorio Giuseppe, Adelfio Serafino, Di Matteo Giuseppe, Di Maggio Salvatore, Di Matteo Mario Santo, Genovese Salvatore, Migliore Stefano e Migliore Baldassare) rispondono - taluni - degli stessi reati c.d. "minori" contestati anche agli altri dieci imputati che avrebbero diritto al rito abbreviato e tutti, comunque, di reati strettamente connessi ai piu' gravi delitti ascritti agli stessi dieci imputati. Il contrasto con le finalita' di economia e celerita' processuale appare tanto piu' evidente nella misura in cui lo stralcio delle posizioni processuali darebbe luogo ad inevitabili incompatibilita' del collegio giudicante. Esiste altresi' un profilo generale e assorbente di contrasto con gli articoli 3 e 27 della Costituzione che riguarda tutti i casi che rientrano nella disciplina transitoria in esame, lambendo peraltro la stessa disciplina ordinaria del giudizio abbreviato come innovata dalla legge c.d. "Carotti". Al riguardo va premesso quanto segue. La definizione in concreto della pena rientra nel potere discrezionale del giudice ex art. 132 del codice penale, ma poiche' e' un atto indefettibilmente giurisdizionale esso assume rilevanza costituzionale ai sensi dell'art. 102 Cost. A sua volta, l'art. 27 Cost., nella parte in cui afferma che la responsabilita' e' personale, sembra esigere anche che la pena sia in concreto ragguagliata alla gravita' del fatto e alla capacita' a delinquere del colpevole. Pertanto, il principio della discrezionalita' del giudice nella determinazione in concreto della pena, previsto dall'art. 132 del codice penale, trova un sicuro fondamento in alcuni principi costituzionali, e segnatamente nel principio della responsabilita' personale (art. 27); e nel principio di eguaglianza (art. 3), che impone parita' di trattamento per situazioni uguali; ma impone di trattare in modo differente situazioni obbiettivamente diverse, avuto riguardo alla ratio della norma da applicare. Il principio generale di proporzionalita' della pena rappresenta poi un limite logico, prima che equitativo, alla potesta' punitiva dello Stato (almeno in uno Stato di diritto) ed e' insito nel concetto retributivo di pena non meno che nella sua funzione rieducativa, a norma dell'art. 27, terzo comma Cost. Orbene, non e' in discussione la scelta del legislatore di consentire agli imputati (compresi quelli chiamati a rispondere dei delitti puniti con le massime pene) di ottenere, a loro semplice richiesta, non sindacabile dal giudice sotto il profilo della congruita' del trattamento sanzionatorio finale, una riduzione nella misura fissa di un terzo della pena determinata in concreto dal giudice. La deroga ai principi anzidetti e' attenuata proprio dal fatto che la riduzione e' predeterminata per legge in una misura fissa, finendo cosi' per rispettare una certa proporzionalita' rispetto alla pena determinata dal giudice. Ne soffre la funzione rieducativa della pena, perche' se e' considerata rieducativa la pena fissata in una certa misura, in relazione ad un determinato reato commesso da un determinato imputato, parrebbe non essere piu' rieducativa la stessa pena diminuita ex lege di un terzo; e d'altra parte se questa fosse nondimeno ritenuta congrua, non lo sarebbe piu' (per quel reato e per quell'imputato) una pena maggiorata di un terzo in conseguenza del rito ordinario. Ma qui e' troncante la considerazione che la riduzione correlata alla scelta del rito alternativo non e' un'attenuante, ma una diminuente di carattere squisitamente processuale, che non involge la valutazione di merito del, giudice in ordine alla gravita' del fatto o alla congruita' della pena. Ed e' voluta dal legislatore come mero incentivo alla deflazione dei processi che pervengono alla fase dibattimentale. Il problema posto dalla nuova legge e aggravato dalla disciplina transitoria qui in esame e', pero', un altro. L'art. 30 lettera B) della legge n. 479 del 16 dicembre 1999 ha modificato l'art. 442 del codice di procedura penale introducendo nel comma 2 il seguente periodo: "alla pena dell'ergastolo e' sostituita quella della reclusione di anni trenta". E' stata cosi' ripristinata una previsione inserita nell'originario testo dell'art. 442 del codice di procedura penale e dichiarata costituzionalmente illegittima, per eccesso di delega, dalla Corte costituzionale con sentenza n. 176 del 23 aprile 1991. Tale recente modifica normativa si colloca all'interno di una piu' generale riforma che ha rimesso alla semplice scelta dell'imputato la possibilita' di procedere con il rito abbreviato, escludendo la necessita' del consenso del pubblico ministero e stabilendo che, in presenza di una richiesta dell'imputato non subordinata ad una integrazione probatoria, necessariamente "il giudice provvede con ordinanza con la quale dispone il giudizio abbreviato". II giudice, quindi, deve applicare la riduzione di pena conseguente al giudizio abbreviato anche qualora ritenga che la pena cosi' irrogata sia inadeguata rispetto alla gravita' del fatto (diversamente da quanto avviene nell'ipotesi del "patteggiamento", in cui il giudice ha il potere di respingere la richiesta delle parti se ritiene incongrua la pena da loro indicata). Qualora in sede di giudizio abbreviato l'imputato sia ritenuto responsabile di piu' reati per ciascuno dei quali sarebbe astrattamente irrogabile la pena dell'ergastolo, la pena massima complessiva che puo' essere applicata rimarra' sempre quella di anni 30 (suscettibile di ridursi ad anni 24 in virtu' della liberazione anticipata): infatti la riduzione prevista dall'art. 442 del codice di procedura penale si applica sulla pena unica determinata dal giudice ai sensi dell'art. 73 codice penale. Si vanifica in tal modo la ratio dell'art. 73, comma secondo, codice penale, volta ad "evitare che possano le pene piu' alte costituire pel condannato una specie di viatico alla delinquenza reiterata" (secondo quanto si specificava nella Relazione al Codice Rocco). L'art. 4-ter del decreto-legge 7 aprile 2000 n. 82, come modificato dalla legge di conversione 5 giugno 2000 n. 144, stabilisce che: 1. Salvo quanto previsto dai commi seguenti, le disposizioni di cui agli articoli 438 e seguenti del codice di procedura penale come modificate o sostituite dalla legge 16 dicembre 1999, n. 479, si applicano ai processi nei quali, ancorche' sia scaduto il termine per la proposizione della richiesta di giudizio abbreviato, non sia ancora iniziata l'istruzione dibattimentale alla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto. 2. Nei processi penali per reati puniti con la pena dell'ergastolo, in corso alla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto e nei quali prima della data di entrata in vigore della legge 16 dicembre 1999, n. 479, era scaduto il termine per la proposizione della richiesta di giudizio abbreviato, l'imputato, nella prima udienza utile successiva alla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto, puo' chiedere che il processo, ai fini di cui all'art. 442, comma secondo, del codice di procedura penale, sia immediatamente definito, anche sulla base degli atti contenuti nel fascicolo di cui all'art. 416, comma, del medesimo codice. 3. La richiesta di cui al comma secondo e' ammessa se e' presentata: a) nel giudizio di primo grado prima della conclusione dell'istruzione dibattimentale; b) nel giudizio di appello, qualora sia stata disposta la rinnovazione dell'istruzione ai sensi dell'art. 603 del codice di procedura penale, prima della conclusione della istruzione stessa; c) nel giudizio di rinvio, se ricorrono le condizioni di cui alle lettere a)e b). 4. La volonta' dell'imputato e' espressa personalmente o per mezzo di procuratore speciale e la sottoscrizione e' autenticata nelle forme previste dall'art. 583, comma 3, del codice di procedura penale. 5. Sulla richiesta il giudice provvede con ordinanza, disponendo l'acquisizione del fascicolo di cui all'art. 416, comma 2, del codice di procedura penale. 6. Ai fini della deliberazione, il giudice utilizza, oltre agli atti contenuti nel fascicolo di cui al comma 5, le prove assunte in precedenza. 7. Per quanto non previsto nel presente articolo, si applicano le disposizioni di cui agli articoli 441, escluso il comma 3, e 442 del codice di procedura penale, nonche' l'articolo 443 del medesimo codice se la sentenza e' pronunciata nel giudizio di primo grado. La liberazione anticipata, che (secondo il disposto dell'art. 4-bis dell'ordinamento penitenziario) puo' trovare applicazione anche nei confronti dei detenuti per delitti commessi avvalendosi delle condizioni previste dall'art. 416-bis del codice penale ovvero al fine di agevolare l'attivita' delle associazioni di tipo mafioso, e' disciplinata dall'art. 54 dell'ordinamento penitenziario. Quest'ultima norma prevede che "al condannato a pena detentiva che ha dato prova di partecipare all'opera di rieducazione e' concessa, quale riconoscimento di tale partecipazione, e ai fini del suo piu' efficace reinserimento nella societa', una detrazione di 45 giorni per ogni singolo semestre di pena scontata". Tale disposizione rimane priva di significativa rilevanza pratica per i soggetti condannati all'ergastolo per i delitti commessi avvalendosi delle condizioni previste dall'art. 416-bis del codice penale ovvero al fine di agevolare l'attivita' delle associazioni di tipo mafioso, poiche' costoro sono soggetti ad una pena perpetua. La medesima disposizione, invece, vale a ridurre (nella misura di tre mesi per ogni anno di detenzione) la durata della pena temporanea inflitta per i suddetti delitti in sede di giudizio abbreviato. Cio' posto, la possibilita' di beneficiare di un'ulteriore riduzione della pena, attraverso il meccanismo della liberazione anticipata, e di scendere cosi' al di sotto del limite dei trent'anni (fino a 24 anni), anche in favore di soggetti condannati in primo grado all'ergastolo per stragi o per aver commesso decine di omicidi, non puo' non riproporre in termini eclatanti il problema della congruita' della pena, ovvero della sindacabilita' sotto questo profilo specifico, della richiesta dell'imputato di essere giudicato ai sensi dell'art. 4-ter, comma 2, e seguenti. Troppo stridente appare la forbice tra l'effetto di sostanziale vanificazione della funzione rieducativa della pena effettiva che residua all'esito dei benefici cumulabili dall'imputato che abbia optato per il rito abbreviato; nonche' l'evidente disparita' di trattamento che sotto questo profilo ne consegue rispetto ai condannati per reati anche meno efferati; e l'effetto davvero modesto o addirittura irrisorio di semplificazione delle attivita' processuali conseguente alla scelta del rito abbreviato. Ma si adombrano ulteriori e ancora piu' stringenti profili di incostituzionalita' della normativa transitoria sempre per contrasto con gli articoli 3 e 27 Cost. Infatti, quando la legge sostituisce automaticamente alla pena dell'ergastolo quella della reclusione nella misura fissa e predeterminata di 30 anni, implicitamente statuisce che tale misura costituisce un limite inderogabile, ossia la pena finale al di sotto della quale non si puo' scendere, per i delitti che dovrebbero essere (altrimenti) puniti con l'ergastolo, anche all'esito dell'applicazione del beneficio correlato alla scelta del rito abbreviato. Ma che dire dei casi in cui l'imputato che opta per il rito abbreviato sia riconosciuto colpevole di piu' omicidi, ovvero di stragi e omicidi? Ove tra i delitti per cui e' condanna si ravvisi il vincolo della continuazione, dovra' procedersi, in conformita' ad una pacifica giurisprudenza di legittimita', all'applicazione della diminuente per il rito solo dopo l'applicazione dell'aumento per la continuazione, calcolato sul delitto piu' grave. Ma se la pena base per il computo della pena da infliggere per il reato continuato sia gia' quella dell'ergastolo, l'aumento della continuazione si tradurra' in un inasprimento del trattamento sanzionatorio ai sensi dell'art. 72 del codice penale: la pena detentiva resta l'ergastolo, aggravato pero' dalla misura dell'isolamento diurna, da applicarsi appunto a titolo di aumento per la continuazione. Su questo trattamento sanzionatorio andra' pero' ad incidere la diminuente per il rito che si traduce nella sostituzione automatica della pena detentiva di trent'anni, senza che residui alcuno spazio per l'aumento che doveva essere applicato a titolo di continuazione. Non e' corretto parlare di assorbimento dell'aumento, perche' anche quando la pena per il reato continuato venga ridotta in applicazione di una diminuente per il rito (come nelle altre ipotesi di giudizi abbreviato o in quelle di patteggiamento), la riduzione opera proporzionalmente sulla pena finale e complessiva determinata per il reato continuato, comprensiva dell'aumento per la continuazione, che quindi non resta irrilevante, ne' subisce alcun assorbimento (Neppure l'art. 78 del codice penale, che in caso di cumulo di pene detentive temporanee fissa il tetto massimo di trent'anni di reclusione e che e' pacificamente ritenuto applicabile anche nell'ipotesi di reato continuato, determina un integrale assorbimento dell'aumento dovuto ex art. 81, comma secondo del codice penale: l'osservanza del principio enucleabile dall'art. 78 postula piuttosto che l'aumento per la continuazione sia contenuto e non assorbito entro il limite dei trent'anni). Se cosi' non fosse, i reati satelliti, o comunque considerati tali ai fini del computo della pena, resterebbero del tutto impuniti e questo e' un effetto inammissibile. Ma proprio questo effetto si verifica attraverso il meccanismo di riduzione ope iuris innescato dalla richiesta unilaterale e insindacabile dell'imputato che si avvalga dell'opportunita' concessagli dalla disciplina transitoria di cui all'art. 4-ter. E si tratta a ben vedere di un effetto che esula dalle finalita' di quella disciplina o addirittura si pone in contrasto con essa, se e' vero che, sia pure implicitamente, il legislatore ha inteso porre i trent'anni come limite di pena inderogabile in luogo dell'ergastolo, e all'esito, dell' applicazione del beneficio concesso all'imputato effettivamente reo di un delitto punito con l'ergastolo. Ancora piu' eclatante appare il contrasto con gli articoli, 3 e 27 della Costituzione nell'ipotesi di concorso materiale di piu' reati puniti con l'ergastolo. Anche qui, si procedera' nel caso di condanna inflitta nell'ambito del medesimo processo, all'applicazione della diminuente per il rito solo dopo che il giudice avra' applicato tutte le norme di diritto sostanziale che regolano la determinazione della pena, ivi comprese quelle che disciplinano il cumulo (delle pene da infliggere con la medesima sentenza). Si applichera' dunque l'art. 72 codice penale e solo successivamente la diminuente per il rito, che, sostituendo all'ergastolo la pena di trent'anni di reclusione, finisce per azzerare anche l'inasprimento del trattamento sanzionatorio previsto dall'art. 72 appunto nel caso di concorso di delitti parimenti puniti con l'ergastolo. Pertanto, l'imputato che abbia commesso un solo omicidio soggiacera' alla stessa pena e allo stesso trattamento sanzionatorio complessivo inflitto a chi abbia commesso decine di omicidi, oppure piu' omicidi e stragi. E l'imputato che abbia commesso decine di omicidi ovvero piu' omicidi e stragi rispondera' in pratica di uno solo di tali delitti, restando gli altri del tutto impuniti. Effetto palesemente contrario, come gia' rilevato, alla ratio che ispira la disposizione di cui all'art. 73, comma secondo. Non solo, ma chi risponda di due omicidi, per nessuno di quali siano contestate aggravanti che lo rendano passibile della pena dell'ergastolo, e sia riconosciuto colpevole di entrambi, non potendo fruire (per cause ovviamente indipendenti dalla sua volonta') della speciale normativa transitoria di cui all'art. 4-ter, dovra' essere condannato all'ergastolo, in applicazione delle norme sul cumulo di pena, ove non riporti, per almeno uno dei due omicidi, una pena inferiore a 24 anni. Ma c'e' di piu'. L'applicazione della norma di cui all'art. 73, comma secondo, sostanzialmente inibita o comunque vanificata dal meccanismo di operativita' della diminuente per il rito - nel senso che questa si applica una sola volta per ciascun imputato, e dopo che si e' determinata la pena complessiva da infiggergli per tutti i delitti per cui e' condanna - continua invece a trovare applicazione in sede di esecuzione, con ulteriore e ingiustificata disparita' di trattamento tra gli imputati che siano stati giudicati e riconosciuti colpevoli di piu' delitti puniti con l'ergastolo, nell'ambito del medesimo processo; e gli imputati riconosciuti colpevoli dei medesimi reati, ma in separati processi (che, a differenza dei primi, non potranno sfuggire all'applicazione dell'art. 73, comma secondo, pur avendo beneficiato, come loro, della diminuente per il rito). Possono dunque riassumersi come segue i profili di contrasto che la normativa in esame pone, ad avviso di questa Corte rispetto ai parametri costituzionali. Art. 112 Cost., nella parte in cui impone all'organo della pubblica accusa di dare impulso alla formazione della prova per verificare la sussistenza dei presupposti sostanziali della pretesa punitiva dello Stato: il contrasto e' evidente laddove la disciplina transitoria consente all'imputato, con una sua unilaterale manifestazione di volonta' e senza alcuna possibilita' di sindacato da parte del giudice, di espungere dal novero del materiale utilizzabile per la decisione le prove gia' ammesse su richiesta del pubblico ministero e non ancora assunte. Articoli 101, comma secondo, e 102, comma primo Cost., nella parte in cui sanciscono che la funzione giurisdizionale e' esercitata dai giudici ordinari, che sono soggetti soltanto alla legge: il disposto costituzionale implicitamente postula l'illegittimita' di qualunque forma, anche mediata, di interferenza e di condizionamento da parte di soggetti diversi. Ebbene, il contrasto si delinea quando, come nel caso di specie, si consente all'imputato, con una propria decisione unilaterale - che la legge pudicamente definisce richiesta - di modificare il rito di un giudizio che si era gia' instaurato nelle forme del rito ordinario, optando per il giudizio abbreviato; e senza alcuna possibilita' per il giudice di valutare la congruita' del rito richiesto (rectius, imposto dall'imputato), sia rispetto agli interessi delle altre parti in causa, sia rispetto all'esigenza di un armonico esercizio della giurisdizione. Infatti, il controllo del processo (e sul processo) da parte del giudice, e' un elemento essenziale e inderogabile della funzione giurisdizionale, a garanzia di tutte le parti (comprese le parti civili). E una volta che il giudizio si sia instaurato nelle forme del rito ordinario, con la conseguente attivazione di quel potere di controllo, esso non appare compatibile con il conferimento ad una sola delle parti di un cosi' rilevante potere sulla forma e sulle modalita' di definizione del processo (tanto piu' che dalla scelta insindacabile di una sola parte dipendono conseguenze tanto rilevanti anche su piano del trattamento sanzionatorio). Ne segue che e' violato anche il principio di uguaglianza, per l'irragionevole privilegio accordato nei termini suesposti ad una sola delle parti del processo. Articoli 102, 3 e 24 della Costituzione: corollario del principio del controllo deputato al giudice sul processo, a sua volta connaturato all'esercizio della funzione giurisdizionale ex art. 102 Cost., e' anche il principio di indisponibilita' delle fonti di prova, che, una volta ammesse, non possono essere sottratte per decisione del solo imputato (o del pubblico ministero) all'assunzione ad iniziativa delle parti che vi abbiano interesse. Anche sotto questo profilo si delinea il contrasto con l'art. 102, ma anche con gli articoli, 3 e 24 Cost., soprattutto con riferimento alla posizione delle parti civili. Inibendosi il diritto alla prova di queste ultime, infatti, se ne vanifica di fatto la partecipazione al giudizio penale e il diritto a ottenere tutela per i propri diritti in quella sede. Art. 111 Cost., nella parte in cui ammette che la formazione della prova possa non aver luogo in contraddittorio, per consenso dell'imputato. Ed invero, non sembra proprio che la previsione costituzionale si spinga fino al punto di tollerare che l'imputato, con propria richiesta unilaterale e non soggetta ad alcuna verifica da parte del giudice, possa impedire l'assunzione delle prove gia' ammesse. Infatti, l'art. 111 si limita a stabilire che la formazione della prova puo', se l'imputato lo consenta, non avvenire nel rispetto del principio del contraddittorio, e cio' nei casi all'uopo regolati con legge ordinaria. Ma nulla dispone in ordine alle prove che sono state gia' ammesse e debbono ancora essere assunte. E se e' ancora tollerabile che l'imputato interessato al rito abbreviato possa rinunziare alle prove che lui stesso aveva chiesto di assumere, non si vede come possa altresi' impedire alle altre parti di assumere le prove gia' ammesse su loro richiesta, senza con cio' violare il disposto dell'art. 111 Cost. - nella parte in cui la norma eleva il contraddittorio a strumento privilegiato di accertamento della verita' processuale, oltre che indefettibile garanzia per i diritti della difesa - e senza determinare al contempo un'ingiustificata disparita' di trattamento nei riguardi delle altre parti (pubblico ministero e parti civili). In realta', l'art. 111, comma quinto Cost., guarda proprio ai riti alternativi nella loro disciplina "ordinaria", che non prevede in effetti alcuna commistione tra rito ordinario e rito speciale, mentre la disciplina introdotta dal secondo comma dell'art. 4-ter della legge di conv. del decreto-legge del 7 aprile 2000, n. 82, crea una sorta di ibrido tra le forme del rito ordinario e quelle dello speciale rito proprio del giudizio abbreviato. Motivo di piu' per dubitare della compatibilita' di tale normativa con l'art. 111 Cost., commi quarto e quinto. Art. 111 Cost., nella parte in cui stabilisce che "il processo penale e' regolato dal principio del contraddittorio nella formazione della prova". Il nuovo art. 111 assume invero tale principio nella sua duplice valenza: da un lato, come istituto fondamentale di garanzia per i diritti della difesa; dall'altro strumento altrettanto essenziale per garantire un giusto ed efficace accertamento della verita'. Infatti, accertamento della verita' e giusto processo sono due facce della stessa medaglia, nel senso che, affinche' vi sia una giusta decisione, il giudice deve essere posto nelle condizioni di poter pervenire alla piena conoscenza per quanto possibile) del fatto oggetto del giudizio; e la via migliore per garantire (per quanto possibile) una piena cognizione dei fatti, e' quella assumere le prove nel contraddittorio delle parti, e cioe' attraverso il dialettico confronto delle rispettive ragioni e difese. La scelta del rito abbreviato comporta quindi un sacrificio che non puo' essere bilanciato e reso legittimo solo dal consenso dell'imputato, poiche' e' in gioco un interesse indisponibile qual e' quello di pervenire all'accertamento della verita', che resta uno degli scopi fondamentali del processo. E infatti, nella logica dell'istituto, e tra le sue finalita' dichiarate, spicca proprio l'interesse pubblico ad una sollecita definizione del procedimento, attraverso l'adozione di un rito semplificato che implica la rinunzia alla fase dell'istruzione dibattimentale, e fatta salva la possibilita' di una limitata integrazione probatoria (limitata cioe' all'acquisizione degli elementi che il giudice reputi indispensabili per la decisione); e fatta salva altresi' l'ipotesi, contemplata dalla disciplina ordinaria del giudizio abbreviato, di una richiesta condizionata all'assunzione di talune prove: ma in questo caso il richiedente si espone al rischio di vedere rigettata la richiesta, appunto in quanto incompatibile con le peculiarita' del rito richiesto. Ma questa finalita' di economia processuale appare contraddetta o vanificata nei processi che versano gia' in fase avanzata di istruzione dibattimentale. Richiamando quanto precedentemente osservato in ordine alle complicazioni che scaturirebbero da un frazionamento del processo, riflettentisi negativamente sulla economicita' e celerita' della sua definizione, va anche segnalato che in questi casi il vantaggio che dovrebbe discendere dall'adozione del rito abbreviato ai fini di una sollecita definizione del procedimento e' pressocche' nullo, tenuto conto, oltretutto, della possibilita' (o necessita') che il giudice disponga d'ufficio un'attivita' di integrazione probatoria che, per la sua complessita', potrebbe risultare assai poco compatibile con l'obbiettivo di una rapida conclusione del processo. Ne' va trascurata, per la sua negativa incidenza sull'economia processuale, la necessita' che l'intero collegio giudicante (composto, per quanto concerne le Corti d'assise, anche da almeno sei giudici popolari) proceda all'esame di tutti gli atti precedentemente non portati alla sua cognizione (ossia tutti quelli contenuti nel fascicolo del pubblico ministero); con la possibilita' che si ravvisi proprio all'esito di tale esame, la necessita' di procedere ad una congrua integrazione probatoria. Si aggiunga poi che quando il processo e' in fase avanzata di istruzione dibattimentale, le prove gia' ammesse, ma ancora da assumersi, sono presumibilmente necessarie ai fini della decisione (con la conseguenza che andrebbero indefettibilmente assunte a titolo di integrazione probatoria anche in caso di rito abbreviato); ovvero, se superflue, il giudice ne potrebbe revocare l'ammissione. Infatti, quando l'istruzione e' in fase avanzata, il giudice possiede ormai gli elementi necessari per una valutazione in ordine alla rilevanza o meno delle prove da assumere molto piu' penetrante rispetto a quella che egli poteva operare all'inizio dell'istruzione stessa. Di conseguenza, l'adozione del rito abbreviato, almeno teoricamente, non si tradurrebbe in un risparmio apprezzabile di attivita' processuale. Articoli 3, 24 e 97 Cost. Di contro, si profila un elevato rischio di ingolfamento nella definizione dei procedimenti, almeno nell'ipotesi in cui taluno o piu' degli imputati di uno stesso processo non opti per il giudizio abbreviato (il che puo' accadere anche perche' l'imputato o gli imputati non siano chiamati a rispondere, in quel processo, di delitti puniti con la pena dell'ergastolo, ma di reati connessi a quelli ascritti agli altri coimputati). In tal caso, se ne dovra' stralciare la posizione, ovvero si dovra' stralciare la posizione di quanti hanno invece optato per il rito abbreviato, E per gli imputati che non abbiano optato per l'abbreviato, il giudizio proseguira' nelle forme del rito ordinario, con conseguente duplicazione di una parte almeno delle attivita' processuali (in particolare, quelle che dovranno disporsi, anche nell'ambito del giudizio abbreviato, a titolo di integrazione probatoria). Ma soprattutto, si innesca una situazione di incompatibilita' nei riguardi del giudice originario, che dovra' spogliarsi del troncone di processo destinato a proseguire nelle forme del rito ordinario: questo sara' quindi definito da altro giudice, ma previa rinnovazione del dibattimento. Si profila dunque, in questi casi, una sorta di partenogenesi processuale per cui l'originario unico procedimento si scinde in due distinti tronconi. Con l'ulteriore aggravante che due imputati che rispondano dello stesso fatto potrebbero trovarsi ad essere giudicati da due giudici diversi (con sottrazione peraltro di uno degli imputati alla giurisdizione del suo giudice naturale; cosa che non si verifica invece nella disciplina ordinaria del giudizio abbreviato) e sulla base di un materiale probatorio oggettivamente diverso e diversamente formato. Non e' difficile prevedere a quale aggravio di tempi di costi energie e risorse il servizio Giustizia possa andare incontro per processi del genere di quelli trattati dalle Corti d'assise di questo distretto, che hanno spesso ad oggetto decine e decine di imputazioni per delitti in materia di criminalita' organizzata, con la necessita' di esaminare imputati collaboratori di giustizia o imputati di reato connesso di regola in video conferenza; e disponendo di un numero esiguo di aule attrezzate per questo servizio. Da qui il sospetto di incostituzionalita' per contrasto con gli articoli 3 e 24; ma anche 97 della Costituzione. Tale contrasto sarebbe tollerabile solo se ne derivasse, come e' peraltro nella disciplina ordinaria del giudizio abbreviato, un apprezzabile vantaggio in termini di economia processuale: vantaggio che invece e' di fatto inesistente nei casi sopra esaminati. Art. 3 Cost.: violazione del principio di uguaglianza. Si profila un'ingiustificata disparita' di trattamento nei riguardi degli imputati che soggiacciono, quanto ai limiti di esperibilita' del rito abbreviato, alla disciplina di cui all'art. 438 del codice di procedura penale, e a quella transitoria di cui all'art. 4-ter, comma primo. Si procura infatti un vantaggio del tutto ingiustificato, o la cui giustificazione appare manifestamente incongrua: il vantaggio consiste nel poter optare per il rito abbreviato in base alla conoscenza di quello che e' stato fino ad allora l'andamento dell'istruzione dibattimentale o addirittura in base al prevedibile esito delle prove ancora da assumere (e la cui assunzione sarebbe inibita o preclusa dalla volonta' unilaterale dell'imputato, anche quando si tratti di prove chieste dal pubblico ministero o dalle parti civili, o da altri imputati che abbiano una posizione di contrasto). E la valutazione di non congruita' della giustificazione in termini di economia processuale e' implicita nella stessa legge, laddove mantiene come limite invalicabile per la proposizione della richiesta di rito abbreviato l'inizio dell'istruzione dibattimentale, o addirittura, nella disciplina ordinaria del giudizio abbreviato, il momento della precisazione delle conclusioni all'udienza preliminare. Ed invero delle due l'una: o l'adozione del rito abbreviato in qualsiasi momento dell'istruzione dibattimentale conserva un apprezzabile interesse pubblico sotto il profilo dell'economia processuale che puo' discenderne; oppure, questo tipo di vantaggio non e' apprezzabile, o almeno non fino al punto da giustificare la deroga a principi fondamentali e la compressione o il sacrificio di valori e diritti costituzionalmente garantiti. Nel primo caso, non si vede perche' non si debba generalizzare questa facolta' di scelta a tutti gli imputati di processi che non versino gia' in fase di discussione. Nel secondo caso, invece, il beneficio accordato agli imputati dei processi che rientrano nella previsione di cui al secondo comma dell'art. 4-ter della legge 5 giugno 2000 si risolverebbe in un privilegio tanto piu' ingiustificato perche' contrario alle finalita' (di economia processuale) perseguite dalla stessa legge. La violazione del principio di uguaglianza si profila anche nei riguardi degli imputati di processi che pendano in fase di discussione, alla data di entrata in vigore della legge di conversione del decreto-legge n. 82/2000. Tutte le volte che il beneficio della riduzione di pena (con conseguente sostituzione della reclusione temporanea alla pena dell'ergastolo) sia sganciato da un'effettiva correlazione funzionale con un concreto risparmio di attivita' processuale, non si vede perche' lo stesso beneficio dovrebbe negarsi agli imputati che, per ragioni del tutto accidentali, hanno visto chiudersi l'istruzione dibattimentale dei processi a loro carico appena poco prima della data predetta. In realta', e' del tutto ragionevole, perche' coerente e consono sia alla disciplina ordinaria del giudizio abbreviato che alle finalita' dichiarate anche del piu' recente intervento legislativo in materia, negare il beneficio agli imputati dei processi che versino gia' in fase di discussione. Irragionevole e', semmai, estenderlo agli imputati dei processi in fase di istruzione dibattimentale gia' in corso. Alla luce delle considerazioni che precedono, va sollevata di ufficio la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 4-ter commi 2 e seguenti della legge n. 144/2000 con conseguente sospensione del processo nelle more della definizione della questione da parte della Corte costituzionale cui, ex art. 23 legge 11 marzo 1953, n. 87, vanno trasmessi gli atti.
P. Q. M. Solleva d'ufficio questione di legittimita' costituzionale dell'art. 4-ter commi 2 e seguenti legge n. 144/2000 per: a) contrasto con gli articoli 3 e 27 della Costituzione nella parte in cui consente, anche all'imputato di due o piu' delitti puniti con la pena dell'ergastolo, di accedere al rito abbreviato a sua insindacabile richiesta; b) contrasto con gli articoli 3, 24, 97 e 111 Cost., nella parte in cui consente all'imputato di delitti puniti con la pena dell'ergastolo, in un processo in fase avanzata di istruzione dibattimentale, di accedere al rito abbreviato a sua richiesta non sindacabile dal giudice in rapporto allo stato dell'istruzione stessa ed alla necessita' di stralciare la posizione dell'imputato (o degli imputati) che abbiano chiesto il rito speciale ex art. 4-ter comma 2 legge n. 144/2000 da quella degli altri coimputati che non abbiano potuto o voluto avanzare analoga richiesta, con la conseguente duplicazione del processo gia' unitariamente istruito; c) contrasto con gli articoli 3, 24, 101 comma secondo, 102 comma primo, 111 commi secondo, quarto e quinto e 112 Cost., nella parte in cui consente all'imputato di accedere allo speciale rito ex art. 4-ter comma 2 legge n. 144/2000 a sua semplice richiesta non sindacabile da parte del giudice in rapporto alle esigenze istruttorie ed alla loro compatibilita' con il rito richiesto e con l'effetto di inibire l'assunzione di mezzi di prova chiesti dalle altre parti e gia' ammessi. Sospende il giudizio in corso. Ordina che a cura della cancelleria la presente ordinanza di trasmissione degli atti alla Corte costituzionale sia notificata al Presidente del Consiglio dei Ministri, nonche' comunicata ai Presidenti delle due Camere del Parlamento. Palermo, 21 giugno 2000. Il Presidente estensore: Grillo Il giudice estensore: Pellino 00C1203