N. 709 ORDINANZA (Atto di promovimento) 25 maggio 2000

Ordinanza  emessa  il  25  maggio  2000  dal tribunale amministrativo
regionale  della  Lombardia  sul  ricorso proposto da Rossi Francesco
contro  la  commissione  esaminatrice per l'iscrizione all'albo degli
avvocati ed altro

Avvocato  e procuratore - Esami di abilitazione per l'esercizio della
professione  -  Giudizio  espresso  esclusivamente mediante punteggio
numerico  -  Obbligo  di motivazione - Esclusione secondo l'indirizzo
interpretativo  del  Consiglio di Stato, non condiviso dal rimettente
ma costituente "diritto vivente" - Lamentata ingiustificata deroga al
principio    dell'obbligo    di    motivazione    dei   provvedimenti
amministrativi  previsto  dalla legge anche per i pubblici concorsi -
Incidenza   sui   principi   di   difesa   in   giudizio,  di  tutela
giurisdizionale, di imparzialita' e buon andamento della p.a., per la
difficolta' di conoscere e controllare le ragioni poste alla base del
giudizio  negativo  e  l'iter logico delle valutazioni compiute dalle
commissioni  esaminatrici  - Richiesta di valutazione chiarificatrice
alla Corte costituzionale.
- Legge 7 agosto 1990, n. 241, art. 3.
- Costituzione, artt. 3, 24, 97 e 113.
(GU n.48 del 22-11-2000 )
                IL TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE

    Ha  pronunciato  la  seguente  ordinanza sul ricorso n. 3585/1999
  proposto   dal   dott.  Rossi  Francesco,  rappresentato  e  difeso
  dall'avv.  Maurizio  Mengassini ed elettivamente domiciliato presso
  il suo studio in Milano, via Borgogna, 9;     Contro la commissione
  esaminatrice   per   l'iscrizione  all'albo  degli  avvocati  e  il
  Ministero  della giustizia, costituitisi in giudizio in persona del
  Ministro   in   carica,   rappresentati  e  difesi  dall'Avvocatura
  distrettuale  dello  Stato  di  Milano presso i cui uffici sono ope
  legis  domiciliati in via Freguglia n.1, per l'annullamento, previa
  sospensione,  del giudizio di non ammissione alle prove orali degli
  esami d'avvocato per la sessione 1998/1999,
    Visto il ricorso con i relativi allegati;
    Visto   l'atto   di   costituzione  in  giudizio  dell'Avvocatura
  distrettuale dello Stato;
    Viste  la memoria prodotta dall'Avvocatura dello Stato a sostegno
  delle proprie difese;
    Visti gli atti tutti della causa;
    Udito  alla pubblica udienza del 25 maggio 2000 il relatore dott.
  Francesco Mariuzzo;
    Uditi, altresi', i difensori delle parti;
    Ritenuto in fatto e in diritto quanto segue:

                              F a t t o

    Il  dott.  Francesco Rossi ha sostenuto presso la Corte d'appello
  di  Milano  le  prove  scritte  degli  esami  d'avvocato - sessione
  1998/1999,  sulle  quali  la  commissione  d'esame  ha  espresso un
  giudizio  negativo, che ha impedito al ricorrente di essere ammesso
  all'orale.
    Per  ottenere l'annullamento di tale valutazione l'interessato ha
  adito  questo  tribunale con il ricorso in epigrafe, deducendo vizi
  di violazione di legge e d'eccesso di potere.
    Si  e'  costituito  in  giudizio  il  Ministero  della giustizia,
  contestando   le  tesi  sostenute  nel  ricorso  e  chiedendone  la
  reiezione.
    In  occasione  della  camera di consiglio del 17 dicembre 1999 la
  sezione  rinviava  al  merito  l'esame  dell'istanza incidentale di
  sospensione del giudizio in questione.
    All'udienza del 25 maggio 2000 la causa e' passata in decisione.

                            D i r i t t o

    1.   -   L'illegittimita'  dell'impugnato  giudizio  negativo  e'
  denunciata  nel  ricorso  sia  sotto  il profilo dell'esiguita' del
  tempo  impiegato  dalla  commissione esaminatrice per la correzione
  degli  elaborati nella seduta del 21 aprile 1998 sia per difetto di
  motivazione;    si    sostiene   che   detto   giudizio,   espresso
  esclusivamente in forma numerica, attraverso voti, contrasta con il
  principio  generale  enunciato  dall'art. 3, comma 1, della legge 7
  agosto 1990, n. 241, a tenore del quale:

        "Ogni    provvedimento    amministrativo,   compresi   quelli
  concernenti  l'organizzazione  amministrativa,  lo  svolgimento dei
  pubblici  concorsi ed il personale, deve essere motivato, salvo che
  nelle  ipotesi previste dal comma 2. La motivazione deve indicare i
  presupposti  di fatto e le ragioni giuridiche che hanno determinato
  la  decisione  dell'amministrazione,  in  relazione alle risultanze
  dell'istruttoria".

    Sulla  questione dell'integrale applicabilita' della norma citata
  ai  giudizi  relativi  agli  esami  d'abilitazione professionale (e
  segnatamente  agli  esami per accedere alla professione d'avvocato)
  questa sezione si e' ripetutamente espressa in senso favorevole, da
  ultimo  con  le sentenze 3 giugno 1998, nn. 1154 e 1157 e 30 giugno
  1998,  n. 1521. Ad analoghe conclusioni sono recentemente pervenuti
  anche  il  Tribunale  amministrativo  regionale Puglia - sezione di
  Lecce,  I  sezione, nelle sentenze 25 marzo 1997, n. 207, 10 agosto
  1996,   n. 617   e   27   marzo   1996,  n. 119;  ed  il  Tribunale
  amministrativo  regionale  Lombardia  -  sezione  di  Brescia nella
  sentenza 19 ottobre 1996, n. 990.
    Il   consiglio   di  Stato  ha,  invece,  adottato  un  contrario
  orientamento che riconosce, nell'ambito che qui interessa, la piena
  legittimita' del giudizio espresso esclusivamente mediante un voto,
  cioe'  attraverso  un  mero punteggio numerico; e tale posizione e'
  giustificata  sostenendo,  da  un  lato,  che il voto sintetizza in
  forma numerica il giudizio e contiene in se la propria motivazione,
  dall'altro che l'art. 3 della legge sul procedimento amministrativo
  e'  applicabile  alla sola attivita' propriamente provvedimentale e
  non  anche  all'attivita'  di  giudizio  conseguente a valutazioni.
  Detto  consolidato  orientamento  e'  stato  seguito, tra le altre,
  nelle  decisioni  del  Consiglio  di Stato, VI sez. 27 maggio 1996,
  n. 747 e 15 ottobre 1993, n. 727; V sez. 19 settembre 1995, n. 1323
  (che  ribadisce  la  validita'  dell'orientamento  richiamato,  pur
  riconoscendo  la  necessita'  di motivazione del punteggio negativo
  attribuito,  in  caso  d'unico  candidato di un pubblico concorso);
  C.G.A.R.S.  29  dicembre 1997, n. 583 e 29 luglio 1997, n. 309 (che
  superano  la  precedente, isolata decisione di segno opposto n. 228
  del  31  maggio  1995); ed anche in sede consultiva il Consiglio di
  Stato  si  e'  espresso  nel senso indicato allorche', nel parere 9
  novembre  1995,  n. 120  reso  dall'adunanza  generale, ha ritenuto
  opportuna  la  modifica  dell'art. 12, comma 1, del d.P.R. 9 agosto
  1994,  n. 487 in tema d'accesso ai pubblici impieghi, nel senso che
  i  criteri  di  valutazione nei concorsi devono essere stabiliti al
  fine  di  "assegnare"  e non di "motivare" i punteggi attribuiti ai
  candidati, essendo la graduazione numerica un modo di differenziare
  le valutazioni.
    Detta modifica, che sembra avere espunto dall'ordinamento la sola
  norma,  seppure  di  rango  secondario,  che si poneva in obiettivo
  contrasto  con  la  menzionata, riduttiva lettura dell'art. 3 della
  legge  n. 241/1990,  appare  di  tutto  rilievo  in  relazione alla
  particolare  autorevolezza  dell'organo  da cui promana: l'adunanza
  generale  del  Consiglio  di  Stato e', infatti, chiamata a rendere
  un'interpretazione  potenzialmente  vincolante  per ogni successiva
  lettura  della  norma,  deliberando  essa  con la partecipazione di
  tutti   i   componenti   delle   sezioni  consultive  e  di  quelle
  giurisdizionali  ex  art.  17  del  r.d.  26  giugno 1924, n. 1054.
  L'importanza  di  detto avviso emerge anche dal fatto che esso pare
  sottendere  non  solo  l'inequivoco  intento di difendere il previo
  indirizzo interpretativo, ma anche quello di dare coerente risposta
  all'avvertita   preoccupazione   per   le   difficolta'   ricadenti
  sull'amministrazione (e per essa sulle commissioni giudicatrici) in
  dipendenza  di  un altrimenti non derogabile obbligo di motivazione
  dei  giudizi  negativi  espressi  in  sede  di pubblici concorsi ed
  esami.
    In proposito non si puo' non sottolineare, tuttavia, che i valori
  costituzionali  che  presiedono  all'emissione  del suddetto avviso
  dell'adunanza   generale   sono   quelli   esclusivamente  indicati
  dall'art.  100,  primo comma, della Costituzione e che lo stesso e'
  dunque  diretta  espressione  della  funzione  primaria affidata da
  quest'ultima  norma al Consiglio di Stato, che e' quella di rendere
  allo  Stato  la consulenza giuridico-annninistrativa e di garantire
  la    tutela    della    giustizia   all'interno   della   pubblica
  amministrazione.

    2. - Il diverso orientamento seguito da questa sezione rispetto a
  quanto  espresso  dall'adunanza  generale  e  dalle decisioni delle
  sezioni  giurisdizionali rese antecedentemente e successivamente al
  ricordato parere, trova fondamento sul fatto:

        che  l'affermazione  secondo  cui il voto sarebbe espressione
  sintetica,   ma  completa  del  giudizio,  recante  in  se  la  sua
  motivazione,   e'   tanto  perentoria  quanto  insoddisfacente;  se
  significa   che,   ad   esempio,  un  esame  da  "5"  e'  un  esame
  insufficiente,  essa  si risolve in una mera tautologia; in realta'
  il  voto  e'  un  giudizio di cui sfugge la motivazione, perche' le
  ragioni  di  una  valutazione negativa (e la graduazione di questa)
  possono essere le piu' diverse: errori concettuali e/o ortografici,
  superficiale   o   confusa   conoscenza   della  materia  trattata,
  inadeguatezza   dell'esposizione,  mancata  comprensione  del  tema
  proposto,  incapacita'  di analisi e/o di sintesi, ed altre ancora;
  ed una specifica, ancorche' sintetica enunciazione delle ragioni di
  un  giudizio  non positivo corrisponde al generalissimo precetto di
  clare  loqui, consentendo al candidato un adeguato riscontro tra il
  contenuto  della prova svolta e la sua negativa valutazione: il che
  puo'  alternativamente condurre ad una consapevole reazione in sede
  giurisdizionale  ovvero all'accettazione del risultato, visto anche
  in funzione di aiuto e di indirizzo per le scelte future;
        che  l'esigenza  di  conoscere  il  "perche'" di un voto puo'
  essere  soddisfatta solo quando esso e' accompagnato da un giudizio
  sintetico  o  trova illustrazione nella simbologia utilizzata nelle
  correzioni  apportate  ad  un'eventuale  prova  scritta  o, ancora,
  quando  puo' essere spiegato attraverso il raffronto con criteri di
  valutazione   predeterminati   in   modo   puntuale   e  pressoche'
  matematico;  in  mancanza  di tali elementi di raffronto l'esigenza
  predetta resta insoddisfatta;
        che il detto orientamento del Consiglio di Stato sembra anche
  in   contraddizione  con  i  criteri  che  presiedono  ad  analoghe
  valutazioni  al  termine  del  ciclo della scuola media inferiore e
  superiore, ove gli articolati giudizi emessi dai consigli di classe
  o  dalle  commissioni  d'esame  di  Stato rendono palesi le ragioni
  dell'attribuzione  dei  voti  e  della  pronunciata maturita' o non
  maturita' dei candidati;
        che   l'interpretazione  dell'adunanza  generale  pare  cosi'
  contrastare   con   l'esigenza   di   decifrabilita'  e  dunque  di
  trasparenza  delle valutazioni negative formulate dalle commissioni
  esaminatrici  negli esami di abilitazione, come parrebbe dimostrato
  dalla  loro  totale  insondabilita'  sul  piano della giurisdizione
  generale  di  legittimita':  il  che sembra nella specie tanto piu'
  inaccettabile  a  fronte del dubbio avanzato nell'atto introduttivo
  che il tempo dedicato alla correzione degli elaborati non sia stato
  sufficiente a consentirne un equilibrato e maturo giudizio;
        che   la   lettura   dell'art.   3  della  legge  n. 241/1990
  siffattamente emergente pare risolversi dunque in strumento diretto
  a perseguire m via esclusiva l'interesse alla sollecita conclusione
  delle  procedure  di  valutazione, eppero' all'elevato costo di una
  sensibile  compromissione  del grado di tutela apprestato sul piano
  giurisdizionale  dagli  artt.  24  e  113  della  Costituzione, che
  fondano  nel  nostro  ordinamento  la  stessa  essenziale  garanzia
  dell'effettivita'  della  tutela  giurisdizionale sia per i diritti
  soggettivi  sia  per  gli interessi legittimi (Corte costituzionale
  18 giugno 1997, n. 183);
        che  il  valore  costituzionale espresso dall'art. 100, primo
  comma,  della  Costituzione, cosi' come rettamente interpretato dal
  massimo  organo di consulenza giuridico-amministrativa dello Stato,
  sembra  essersi,  quindi,  sovrapposto  per la forza che deriva dal
  parere  di  un organo costituito dalla totalita' dei Consiglieri di
  Stato  a  quello ricavabile invece dai ridetti artt. 24 e 113, come
  di  fatto  emerge  dall'orientamento  conforme e da reputarsi ormai
  consolidato   delle   sezioni  giurisdizionali,  registratosi  dopo
  l'emissione del richiamato avviso dell'adunanza generale;
        che   l'apprezzamento   di   tutti   gli  interessi  pubblici
  coinvolti, gia' discrezionalmente ed insindacabilmente compiuto dal
  legislatore nell'esercizio della massima espressione dell'indirizzo
  politico   con  l'approvazione  di  norme  di  principio,  qual  e'
  sicuramente  l'art.  3  della legge n. 241/1990, pare dunque essere
  stato   reiterato   nell'esercizio   di   una  funzione  ausiliaria
  dell'attivita'   di   governo   e  per  tale  via  surrettiziamente
  modificato  da  quest'ultimo  tramite  il  concorso  del richiamato
  avviso  dell'adunanza  generale,  come  paleserebbe la sopravvenuta
  diversa  riformulazione  dell'art.  12  del  d.P.R.  9 agosto 1994,
  n. 487.

    3.  -  Con riguardo, invece, alla tesi secondo cui l'art. 3 della
  legge    n. 241/1990,    riferendosi    ad    "ogni   provvedimento
  amministrativo"  e  ricollegando  la  motivazione  "alle risultanze
  dell'istruttoria",   farebbe  esclusivo  riferimento  all'attivita'
  propriamente  provvedimentale  e  non  anche  a quella di giudizio,
  conseguente  a valutazione, essa appare egualmente confliggente con
  lo  spirito  della norma; in una legge di principi sul procedimento
  amministrativo,  volta a garantire la trasparenza e l'imparzialita'
  dell'attivita'  amministrativa,  il generale obbligo di motivazione
  di   "ogni"   provvedimento  puo'  essere  escluso  solo  nei  casi
  espressamente  previsti  e cioe' solo "per gli atti normativi e per
  quelli  a  contenuto  generale", a cui puntualmente si riferisce il
  comma  2  della  norma citata; e d'altra parte il comma 1, utilizza
  una  terminologia  varia, collegando l'obbligo di motivazione prima
  al    "provvedimento    amministrativo",    poi   alla   "decisione
  dell'amministrazione":  il  che appare espressivo della volonta' di
  attribuire alla disposizione la piu' ampia portata.
    Il  collegio  ritiene  tuttora  valide  le  argomentazioni appena
  richiamate, che appaiono pertinenti al caso di specie, tenuto conto
  che   il   giudizio   contestato   e'   stato   espresso  in  forma
  esclusivamente  numerica,  che  gli  elaborati  del  ricorrente non
  presentano   alcuna  correzione  e  che  i  criteri  di  correzione
  enunciati   nella   relativa  seduta  della  commissione  risultano
  generali  ed  astratti.  Tuttavia  non puo' trascurare il fatto che
  anche  le piu' recenti decisioni adottate dal Consiglio di Stato in
  sede  di  merito  (cfr.  sez.  IV  9  aprile  1999,  n. 538, che ha
  annullato la sentenza di questa Sezione n. 1726 dell'8 ottobre 1997
  pronunciata  su un caso analogo a quello di cui qui si controverte)
  e   cautelare   sono  conformi  al  suo  consolidato  orientamento,
  contrario  a  quello  di questa sezione. Si deve dunque riconoscere
  che,  secondo  il  "diritto  vivente" quale risulta dalle decisioni
  emesse  in  sede  d'appello, l'art. 3 della legge n. 241/1990 (alla
  luce  del  quale  vanno  interpretate le disposizioni sull'esame da
  avvocato   contenute   nel   r.d.  22 gennaio  1934,  n. 37  e,  in
  particolare, quelle di cui agli artt. 17-bis e 23 che utilizzano il
  termine "punteggio") esclude dall'obbligo di puntuale motivazione i
  giudizi espressi in sede di valutazione degli esami di abilitazione
  professionale.

    4.  -  In  tali  condizioni  questo collegio ritiene di non poter
  definire il ricorso semplicemente insistendo nel riproporre le tesi
  della  sezione,  senza  farsi carico dell'evidente contrasto con il
  "diritto   vivente"   in   materia,   quale   emerge  dal  pacifico
  orientamento  del  Consiglio di Stato, tenuto conto del rilievo che
  esso presenta sotto il profilo nomofilattico.
    L'indubbio  vincolo costituito, di fatto, dal richiamato "diritto
  vivente"  non  appare  tuttavia  sufficiente  ad  imporre  a questo
  giudice  di  adeguarsi  all'indirizzo  sinora avversato, atteso che
  l'interpretazione   dell'art.   3  citato  seguita  sul  punto  dal
  Consiglio   di   Stato   appare   al   collegio   sospettabile   di
  illegittimita'  costituzionale.  Non  resta  allora che prospettare
  tali  dubbi  alla  Corte  costituzionale per averne una valutazione
  chiarificatrice.  E  che  il  giudice di merito, quando si trova di
  fronte  ad  indirizzi  giurisprudenziali  consolidati  da  lui  non
  condivisi  sul  piano  costituzionale,  possa rivolgersi al giudice
  delle  leggi e' stato ripetutamente riconosciuto dalla stessa Corte
  costituzionale,  da ultimo nelle sentenze 21 novembre 1997, n. 350,
  21  luglio  1995,  n. 345, 6 aprile 1995, n. 110, 24 febbraio 1995,
  n. 58.
    Nel  caso  in  esame  il  collegio  dubita  della  conformita'  a
  determinate   norme  costituzionali  dell'indirizzo  interpretativo
  dell'art.  3  della  legge  n. 241/1990  uniformemente  seguito dal
  Consiglio  di Stato in rapporto alla formulazione e motivazione dei
  giudizi  relativi  ad  esami  di  abilitazione  professionale  (con
  specifico  riguardo  agli  esami  per  accedere alla professione di
  avvocato). In particolare tali dubbi si prospettano:

        a)  in  relazione  all'art.  3 della Costituzione perche' non
  appare  ragionevole una disposizione normativa inserita nella legge
  generale  sul  procedimento  amministrativo che, mentre consacra il
  generale principio dell'obbligo di motivazione, tra l'altro facendo
  specifico  riferimento a "lo svolgimento dei pubblici concorsi", ne
  esclude  l'applicazione a categorie di atti (nella specie i giudizi
  sugli  esami  d'abilitazione)  rispetto  ai  quali  l'esigenza  dei
  destinatari  di  conoscere,  attraverso  un'idonea  motivazione, le
  concrete  ragioni  poste  a  fondamento  della loro adozione non e'
  diversa,  ne'  minore di quella dei soggetti interessati agli altri
  atti  amministrativi, se del caso egualmente esprimenti valutazioni
  di  natura  tecnica,  sicuramente  vincolati  all'osservanza  della
  norma;
        b)  in  relazione  agli  artt.  24  e 113 della Costituzione,
  perche'  la  non  soggezione all'obbligo di motivazione dei giudizi
  d'esame  di cui si discute, traducendosi nell'impossibilita' per il
  singolo  candidato  bocciato  di conoscere e controllare le ragioni
  poste  a base del giudizio negativo, interdice ogni concreta tutela
  nella gia' assai limitata sede della giurisdizione di legittimita',
  in  cui  al  giudice amministrativo e' consentito il solo riscontro
  dell'iter   logico  delle  valutazioni  di  merito  compiute  dalle
  commissioni esaminatrici; quando, al contrario, anche tale limitato
  sindacato e' precluso di fronte al mero dato numerico del voto, non
  illustrato,  cioe'  spiegato  da una almeno sintetica, ma concreta,
  motivazione,  la tutela cosi' consentita dall'ordinamento si riduce
  al  solo  riscontro  di  profili estrinseci e formali, quali quelli
  inerenti  al  rispetto  delle  garanzie connesse alla collegialita'
  dell'organo  giudicante  ed  alla sua composizione con una cospicua
  riduzione del tasso di effettivita' dei giudizi nella sede generale
  della legittimita';
        c)  in  relazione  all'art.  97 della Costituzione perche' la
  sottrazione  di  una  categoria  di atti all'obbligo di motivazione
  appare   confliggente   sia   con  il  principio  di  imparzialita'
  (evidentemente meno garantito da un giudizio espresso in forma solo
  numerica),    sia    con    il    principio   di   buon   andamento
  dell'amministrazione,    che   in   un   ordinamento   modernamente
  democratico  si  traduce  anche nella piena trasparenza dell'azione
  amministrativa;  ne'  le  esigenze  di  snellezza  e speditezza del
  procedimento,  pure  riconducibii al principio di buon andamento ex
  art. 97  della  Costituzione  e che sono pianamente percepibili nel
  gia'   ricordato  avviso  dell'adunanza  generale,  possono  essere
  ritenute   prevalenti   rispetto   all'inderogabile  necessita'  di
  assicurare    il   piu'   corretto   rapporto   tra   cittadino   e
  amministrazione  pubblica,  essendo  invece diversamente tutelabili
  attraverso    un'applicazione   del   principio   dell'obbligo   di
  motivazione  ragionevole e proporzionato ai richiamati obiettivi di
  trasparenza e di tutela.

    5.  -  In  subordine,  ove  si ritenga conforme al dato normativo
  l'interpretazione dell'art. 3 della legge n. 241/1990 quale risulta
  dal  "diritto vivente" formatosi sul punto che riguarda il presente
  giudizio,  il Collegio prospetta l'illegittimita' del medesimo art.
  3,  in rapporto ai parametri costituzionali piu' sopra richiamati e
  per le ragioni gia' illustrate.

    6.   -   Le   questioni  prospettate  appaiono  al  collegio  non
  manifestamente  infondate  e  sono  sicuramente  rilevanti, perche'
  dalla  loro  risoluzione  dipende l'accoglimento o meno del ricorso
  sotto il denunciato profilo del difetto di motivazione.
                              P. Q. M.
    Ritenuta  la  rilevanza  e  la  non  manifesta infondatezza delle
  questioni di legittimita' costituzionale sopra illustrate, sospende
  il  giudizio  sul  ricorso  n. 3585  del  1999 e ordina l'immediata
  trasmissione degli atti alla Corte costituzionale.
    Dispone  che,  a cura della segreteria, la presente ordinanza sia
  notificata  alle  parti in causa ed al Presidente del Consiglio dei
  Ministri  e  sia  comunicata  ai  Presidenti  delle  due Camere del
  Parlamento.
        Cosi'  deciso  in  Milano  nella  camera  di consiglio del 25
  maggio 2000.
                  Il presidente estensore: Mariuzzo
00C1216