N. 487 SENTENZA 25 ottobre - 10 novembre 2000

Sentenza 25 ottobre-10 novembre 2000
Giudizio per conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato.

Conflitto  di  attribuzione  tra  poteri dello Stato - Presidente del
Consiglio dei Ministri, Procuratore della Repubblica e giudice per le
indagini  preliminari presso il tribunale di Bologna - Legittimazione
a  sollevare  conflitto  e a resistere - Sussistenza - Conferma della
prima e sommaria delibazione (ordinanze nn. 320 e 321 del 1999).
- Costituzione,  artt.1,  5, 52, 87, 94, 95, 102, 112 e 126; Legge 24
  ottobre  1977,  n. 801.  Conflitto di attribuzione tra poteri dello
  Stato - Requisito oggettivo - Sussistenza.
- Legge  11  marzo  1953, n. 87, art. 37. Segreto di Stato - Tutela -
  Atti coperti da segreto di Stato ritualmente opposto dal Presidente
  del  Consiglio  dei Ministri - Inutilizzabilita', a fini probatori,
  nel   processo   penale,  a  seguito  delle  sentenze  della  Corte
  costituzionale  n. 110  e  n. 410 del 1998 - Ricorso del Presidente
  del  Consiglio  dei  Ministri,  per  conflitto di attribuzione, nei
  confronti  del  pubblico  ministero  e  del giudice per le indagini
  preliminari   presso  il  tribunale  di  Bologna  -  Lesione  delle
  attribuzioni  costituzionali  del  ricorrente  -  Non  spettanza al
  predetto   pubblico   ministero   di   formulare  la  richiesta  di
  archiviazione  corredata  di  documenti  inutilizzabili  in  quanto
  coperti  dal  segreto  di  Stato  e non spettanza al giudice per le
  indagini preliminari dello stesso tribunale di fissare l'udienza in
  camera  di  consiglio  a  norma  dell'art.  409  cod.  proc. pen. -
  Annullamento  conseguente  della richiesta di archiviazione nonche'
  degli  atti  conseguenziali,  compreso  il  decreto  di  fissazione
  dell'udienza in camera di consiglio.
- Richiesta  del  pubblico  ministero  presentata il 3 maggio 1999 al
  giudice  per  le  indagini  preliminari  del  tribunale di Bologna;
  decreto del 31 maggio 1999 del giudice per le indagini preliminari.
- Costituzione, artt. 1, 5, 52, 87, 94, 95, 102 e 126.
(GU n.47 del 15-11-2000 )
                       LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
  Presidente: Cesare MIRABELLI;
  Giudici:  Francesco  GUIZZI,  Fernando  SANTOSUOSSO,  Massimo VARI,
Cesare  RUPERTO,  Riccardo  CHIEPPA,  Valerio ONIDA, Fernanda CONTRI,
Guido  NEPPI MODONA, Piero Alberto CAPOTOSTI, Annibale MARINI, Franco
BILE, Giovanni Maria FLICK;
ha pronunciato la seguente


                              Sentenza

nei  giudizi  per  conflitti  di  attribuzione tra poteri dello Stato
sorti   a   seguito  della  richiesta  al  giudice  per  le  indagini
preliminari  del  Tribunale  di Bologna in data 3 maggio 1999, di non
doversi  procedere  nei  confronti  di  funzionari  del SISDE e della
polizia per essere le fonti di prova incise da segreto di Stato e del
successivo  decreto  dello stesso giudice per le indagini preliminari
del 31 maggio 1999, promossi con ricorsi del Presidente del Consiglio
dei  Ministri notificati il 19 luglio 1999, depositati in cancelleria
il  27  successivo  ed iscritti ai nn. 23 e 24 del registro conflitti
1999.
    Visti gli atti di costituzione del Procuratore della Repubblica e
del giudice per le indagini preliminari del tribunale di Bologna;
    Udito  nell'udienza  del  10 ottobre  2000  il  giudice  relatore
Fernanda Contri;
    Udito   il  dott.  Paolo  Giovagnoli  per  il  Procuratore  della
Repubblica  del  tribunale  di  Bologna  nonche'  l'avv.  dello Stato
Ignazio  Francesco  Caramazza  per  il  Presidente  del Consiglio dei
Ministri.

                          Ritenuto in fatto


    1.  - Con ricorso del 5 luglio 1999 - depositato il 6 luglio 1999
e,  a  se'guito dell'ordinanza di ammissibilita' del conflitto n. 321
del  1999,  regolarmente  notificato il 19 e nuovamente depositato il
27 luglio  1999  -  il  Presidente  del  Consiglio  dei  Ministri  ha
sollevato,  previa  la  necessaria  deliberazione  del  Consiglio dei
Ministri,  assunta  in data 30 giugno 1999, conflitto di attribuzione
tra  poteri  dello  Stato  nei  confronti  del pubblico ministero, in
persona  del  Procuratore  della  Repubblica  presso  il Tribunale di
Bologna, in relazione alla richiesta, dal medesimo presentata in data
3 maggio 1999 al giudice per le indagini preliminari presso lo stesso
Tribunale, di "non doversi procedere" nei confronti di funzionari del
SISDE  e  di  funzionari di polizia che con essi avevano collaborato,
per  la  esistenza  di  un  segreto  di Stato ritualmente opposto dal
Presidente   del  Consiglio  dei  Ministri  ex  art. 12  della  legge
24 ottobre 1977, n. 801 (Istituzione e ordinamento dei servizi per le
informazioni  e  la  sicurezza  e  disciplina del segreto di Stato) e
"confermato  dalla Corte costituzionale con le sentenze nn. 110 e 410
del 1998".
    In relazione a tale attivita' del pubblico ministero, consistente
nella   richiesta   di  archiviazione  al  giudice  per  le  indagini
preliminari  per  l'esistenza  di  un segreto di Stato - deducendo la
violazione  degli  artt. 1,  5,  52,  87,  94,  95,  102  e 126 della
Costituzione,  in relazione agli artt. 12 e 16 della legge 24 ottobre
1977,  n. 801,  agli  artt. 202,  256  e  362 del codice di procedura
penale,  e con riferimento alle sentenze nn. 110 e 410 del 1998 della
Corte  costituzionale - il Presidente del Consiglio solleva l'odierno
conflitto,  ritenendo  la  motivazione  della  richiesta del pubblico
ministero  contraddittoria  e atta a provocare, da parte del giudice,
il  provvedimento  di fissazione dell'udienza in camera di consiglio,
ex  art. 409, comma 2, cod. proc. pen., ed altresi' lamentando che la
detta  richiesta e' stata corredata di tutta la documentazione, anche
segretata,  la quale accompagnava le precedenti richieste di rinvio a
giudizio,  rispettivamente  annullate da questa Corte con le sentenze
nn. 110 e 410 del 1998.
    Allo  scopo  di  inquadrare  il  presente  conflitto nel contesto
dell'intera  vicenda  in  cui  si inserisce, il ricorrente ripercorre
preliminarmente  i  fatti  dai  quali  hanno  tratto  occasione i due
conflitti  di attribuzione in precedenza sollevati dal Presidente del
Consiglio  dei  Ministri nei confronti della Procura della Repubblica
di  Bologna, definiti da questa Corte con le citate sentenze n. 110 e
n. 410 del 1998.
    Nel  presente giudizio, il ricorrente si duole che il Procuratore
della  Repubblica,  invece  di  restituire  i  documenti segretati ai
legittimi  detentori  e di avanzare richiesta di archiviazione, abbia
nuovamente  violato  il  segreto,  attentando  alle  prerogative  del
Presidente  del  Consiglio dei Ministri. In particolare, l'iniziativa
della  Procura  di porre nella disponibilita' del giudicante gli atti
segretati  non solo contrasterebbe con le statuizioni contenute nelle
citate sentenze della Corte costituzionale nn. 110 e 410 del 1998, ma
avrebbe  determinato anche l'ulteriore effetto di rendere conoscibile
al  giudice per le indagini preliminari, in sede di delibazione della
menzionata  richiesta  di archiviazione, emergenze documentali di cui
il  medesimo giudice non dovrebbe prendere cognizione e di offrire la
documentazione segreta alla pubblicita' dell'udienza.
    Il   Presidente   del  Consiglio,  deducendo  la  violazione  dei
menzionati  parametri  costituzionali, anche in relazione alle citate
sentenze  nn. 110 e 410 del 1998, chiede a questa Corte di dichiarare
che  non  spetta al pubblico ministero corredare una richiesta di non
doversi  procedere  per  l'esistenza  di  un  segreto  di  Stato  dei
documenti  che  da  quel  segreto  sono  coperti  e che non spetta al
pubblico ministero motivare tale richiesta in modo contraddittorio ed
atto,  comunque,  a  provocare  da  parte del giudice per le indagini
preliminari  una  richiesta  di  ulteriori indagini o una imputazione
coatta,   con   il   conseguente   annullamento  della  richiesta  di
archiviazione  del  3 maggio  1999 e con l'ordine di restituzione dei
documenti coperti da segreto di Stato ai loro legittimi detentori.

    2.  - Con l'ordinanza n. 321 del 1999, questa Corte ha dichiarato
ammissibile  questo  nuovo  conflitto  proposto  dal  Presidente  del
Consiglio  dei  Ministri  nei  confronti  del  pubblico ministero, in
persona  del  Procuratore  della  Repubblica  presso  il Tribunale di
Bologna.

    3.  -  Nel  giudizio  davanti  a  questa Corte quest'ultimo si e'
costituito,  per  argomentare l'inammissibilita' e l'infondatezza del
ricorso del Presidente del Consiglio.
    In  primo  luogo,  il pubblico ministero obietta che "non sarebbe
stato  possibile  tecnicamente  espungere materialmente dal fascicolo
processuale  la  documentazione  sia perche' ne e' parte integrante",
sia  perche', proprio la Corte costituzionale, con la sentenza n. 145
del   1991,   ha  affermato,  si  legge  nell'atto  di  costituzione,
"l'obbligo   inderogabile   dell'integrale  trasmissione  degli  atti
processuali,  comunque compiuti, al g.i.p. per le sue valutazioni". A
questo riguardo, il resistente aggiunge che "nessuna norma del codice
autorizza,   se   pure   indirettamente   e   per  qualunque  motivo,
l'eliminazione  di  atti  e  documenti  dai  fascicoli  processuali".
Inoltre,  si  afferma  nell'atto  di  costituzione,  "la stessa Corte
[costituzionale]  non  ha  mai  ritenuto  di indicare espressamente e
specificamente   i   documenti   colpiti   dalla  ricordata  sanzione
processuale".
    In secondo luogo, il resistente asserisce la propria incompetenza
a decidere sulla inutilizzabilita' degli atti e dei documenti coperti
da  segreto  di Stato, spettando esclusivamente al giudice "applicare
la sanzione dell'inutilizzabilita'".

    4.  -  In  prossimita'  della  data  fissata  per  l'udienza,  il
ricorrente  ha  depositato  una  memoria  illustrativa, per insistere
nell'accoglimento  del  ricorso e per sviluppare ulteriormente quanto
gia' dedotto in sede di promovimento del presente giudizio.
    Nella  memoria  -  che  nell'identico testo, data "la sostanziale
identita'  della linea difensiva avversa in entrambi i conflitti", e'
stata   depositata  anche  in  vista  dell'udienza  prevista  per  la
trattazione  del conflitto n. 24 - il ricorrente richiama l'ordinanza
di  questa  Corte n. 344 del 2000, che ha dichiarato, escludendone il
carattere   pregiudiziale,   la   manifesta   inammissibilita'  della
questione  di legittimita' costituzionale - sollevata, in riferimento
all'art. 3,  secondo  (recte: primo) comma, 101, secondo comma, e 112
della Costituzione, dal giudice per le indagini preliminari presso il
Tribunale  di  Bologna, nel corso del procedimento instaurato a norma
dell'art. 409,   comma   2,  cod.  proc.  pen. con  il  provvedimento
all'origine  del  conflitto  n. 24  -  dell'art. 256 cod. proc. pen.,
"nella  parte in cui consente di opporre il segreto di Stato anche in
relazione ad atti privi del connotato della segretezza in quanto gia'
contenuti  ed  acquisiti al fascicolo processuale, o comunque ad atti
che,  venendo  contestualmente  trasmessi  alla a.g., perdono le loro
caratteristiche  di  segretezza,  ovvero  laddove  non prevede che il
segreto  in  precedenza  ritualmente  e correttamente opposto diventi
inefficace  nel caso in cui l'atto da esso coperto abbia perso il suo
carattere di segretezza".
    Il  ricorrente  contesta  poi l'affermazione del resistente circa
"la  pretesa giuridica impossibilita' di espungere dal fascicolo atti
ancorche'  coperti da segreto", osservando che sebbene "nessuna norma
di   legge   preveda   esplicitamente   tale   espungibilita',   cio'
rientrerebbe  nella  generale regola di comune buon senso che nessuna
espressa   previsione  normativa  e'  necessaria  per  legittimare  i
comportamenti  leciti che non solo rientrano nella logica del sistema
ma il cui compimento e' addirittura doveroso in quanto necessario per
evitare  conseguenze  gravissime  o  addirittura  la  commissione  di
reati".   Diversamente   opinando,   conclude   la  difesa  erariale,
"accettando la logica della controparte, un p.m. ed un g.i.p. nei cui
incarti  processuali  fosse  stato  per  avventura  versato  l'elenco
completo  degli  agenti  ed  informatori  di SISDE e SISMI dovrebbero
comunque   offrire  tale  elenco  alla  pubblicita'  del  processo  e
sufficiente  garanzia  del  bene  pubblico  e  del pubblico interesse
sarebbe solo l'inutilizzabilita' dell'elenco ai fini del decidere".
    Quanto alla lamentata impossibilita' di individuare con esattezza
gli  atti  e  i  documenti  coperti  da  segreto,  il  Presidente del
Consiglio   osserva   che   "una  semplice  lettura  degli  atti  del
procedimento  di  segretazione  (segnatamente della motivazione della
conferma)  effettuata  in  spirito  di  leale collaborazione, sarebbe
stata  sufficiente,  a  tacer  d'altro, per intendere quali documenti
fossero coperti da segreto di Stato".

    5.  - Con ricorso del 5 luglio 1999 - depositato il 6 luglio 1999
e,  a  se'guito dell'ordinanza di ammissibilita' del conflitto n. 321
del  1999,  regolarmente  notificato il 19 e nuovamente depositato il
27 luglio  1999  -  il  Presidente  del  Consiglio  dei  Ministri  ha
sollevato,  previa  la  necessaria  deliberazione  del  Consiglio dei
Ministri,  assunta  in data 30 giugno 1999, conflitto di attribuzione
tra  poteri  dello  Stato  nei  confronti del giudice per le indagini
preliminari  presso  il Tribunale di Bologna in relazione al decreto,
emesso ai sensi dell'art. 409, secondo comma, cod. proc. pen. in data
31 maggio  1999,  con  il  quale  e'  stata fissata al 14 luglio 1999
l'udienza  in  camera  di  consiglio,  a se'guito della richiesta del
Procuratore  della  Repubblica  presso il Tribunale di Bologna di non
doversi procedere nei confronti di funzionari del SISDE e di polizia,
per  essere  le fonti di prova incise da segreto di Stato ritualmente
opposto   dal   Presidente   del  Consiglio  dei  Ministri  ai  sensi
dell'art. 12  della  legge  24 ottobre  1977,  n. 801  (Istituzione e
ordinamento  dei  servizi  per  le  informazioni  e  la  sicurezza  e
disciplina del segreto di Stato).
    Il  ricorrente  lamenta  che  il  provvedimento  all'origine  del
conflitto   sarebbe   stato   adottato   sulla   base   di  tutta  la
documentazione,   compresa  quella  segretata,  che  accompagnava  le
precedenti  richieste  di  rinvio  a  giudizio  proposte dal pubblico
ministero   riguardo   ai  medesimi  fatti,  e  costituirebbe  quindi
esercizio  di  attivita'  giurisdizionale  in  materie sottratte alla
competenza  dell'autorita' giudiziaria, con conseguente lesione delle
proprie  attribuzioni costituzionali, come definite dagli artt. 1, 5,
52,  87,  94,  95,  102  e  126 della Costituzione, in relazione agli
artt. 12  e  16  della legge 24 ottobre 1977, n. 801, agli artt. 202,
256  e  362 cod. proc. pen. e con riferimento alle sentenze nn. 110 e
410 del 1998 della Corte costituzionale.
    Allo  scopo  di  inquadrare  il  presente  conflitto nel contesto
dell'intera  vicenda  in  cui  si  inserisce, il ricorrente, anche in
questo  secondo ricorso, ripercorre preliminarmente i fatti dai quali
hanno  tratto occasione i due conflitti di attribuzione in precedenza
sollevati  dal  Presidente  del  Consiglio dei Ministri nei confronti
della  Procura  della Repubblica di Bologna, definiti da questa Corte
con le citate sentenze n. 110 e n. 410 del 1998.
    Nell'atto  introduttivo  del  presente giudizio, il ricorrente si
riporta  a quanto affermato da questa Corte nelle menzionate sentenze
nn. 110 e 410 del 1998, ed in particolare ai principi secondo i quali
i  rapporti  tra  Governo  ed  autorita'  giudiziaria  debbono essere
ispirati  a  correttezza  e  lealta',  e l'opposizione del segreto di
Stato  non  comporta  alcuna  immunita'  sostanziale  e non impedisce
l'esercizio   dell'azione   penale,   ma   ha  l'effetto  di  inibire
all'autorita' giudiziaria l'acquisizione, in via diretta o indiretta,
degli  elementi  di conoscenza e di prova coperti dal segreto al fine
di fondare su di essi l'esercizio dell'azione penale, che puo' essere
esercitata  solo  qualora  vi  siano  elementi  indizianti  del tutto
autonomi ed indipendenti.
    Secondo   il   ricorrente,  l'iniziativa  del  Procuratore  della
Repubblica  di porre nella disponibilita' del giudice per le indagini
preliminari,  con  la richiesta di archiviazione, gli atti segretati,
da  un  lato,  si e' posta in contrasto con quanto statuito da questa
Corte con le sentenze nn. 110 e 410 del 1998; dall'altro, ha posto il
giudice  nella  posizione  di  delibare detta richiesta sulla base di
emergenze documentali di cui non avrebbe dovuto prendere cognizione.
    Il  Presidente  del  Consiglio dei Ministri ritiene quindi che il
provvedimento  del  giudice per le indagini preliminari di fissazione
dell'udienza   in   camera   di   consiglio,   pronunciato  ai  sensi
dell'art. 409,  secondo  comma,  cod.  proc.  pen.,  abbia violato le
prerogative  del  Governo  nella  materia  del  segreto di Stato, dal
momento che e' stato adottato sulla base di documenti coperti da tale
segreto  e  quindi non conoscibili dal giudice; che esso e' idoneo ad
offrire  la  documentazione  segreta alla pubblicita' dell'udienza; e
ancora  che esso e' prodromico ad ulteriori attivita' giurisdizionali
-  l'ordinanza  con  la  quale  si  indica la necessita' di ulteriori
indagini,  o  l'ordinanza  con  la  quale  si dispone che il pubblico
ministero  formuli  l'imputazione  - che restano precluse dal segreto
opposto.
    Il  Presidente  del  Consiglio dei Ministri ha proposto conflitto
per  sentir  dichiarare  che  non  spetta  al giudice per le indagini
preliminari  presso  il  Tribunale  di  Bologna,  ne'  acquisire, ne'
utilizzare sotto alcun profilo, direttamente o indirettamente, atti o
documenti  sui  quali  e'  stato  legalmente opposto e confermato dal
Presidente  del  Consiglio  dei Ministri il segreto di Stato; che non
spetta  allo  stesso  giudice, a fronte di una richiesta del pubblico
ministero  di  non doversi procedere per l'esistenza di un segreto di
Stato,  corredata  dei  documenti  che  da quel segreto di Stato sono
coperti,  prendere  cognizione  degli stessi e, su tale base, fissare
l'udienza  in  camera  di  consiglio  prevista dall'art. 409, secondo
comma,   cod.   proc.   pen.,  cosi'  offrendo  tali  documenti  alla
pubblicita'  ed  in particolare alla conoscenza della persona offesa.
Il   ricorrente   chiede   altresi'   che   questa   Corte   disponga
l'annullamento  del  decreto  di fissazione dell'udienza in camera di
consiglio del 31 maggio 1999, ordinando la restituzione dei documenti
coperti dal segreto di Stato ai legittimi detentori.

    6.  - Con l'ordinanza n. 320 del 1999, questa Corte ha dichiarato
ammissibile  il  conflitto sollevato dal Presidente del Consiglio dei
Ministri nei confronti del giudice per le indagini preliminari presso
il Tribunale di Bologna.

    7.  -  Nel  giudizio  davanti  a  questa Corte quest'ultimo si e'
costituito,  per chiedere che il ricorso del Presidente del Consiglio
sia dichiarato infondato.
    Dopo  aver  ricordato  -  come  il ricorrente - i diversi momenti
dell'intera  vicenda che ha portato al presente conflitto, il giudice
per le indagini preliminari del Tribunale di Bologna afferma, innanzi
tutto,  che "la conoscibilita' degli atti processuali, nei modi e nei
tempi  previsti,  da  parte  dei  soggetti  interessati e delle parti
processuali  e'  elemento  cardine  del nostro sistema processuale" e
che,  da un lato, "il diritto della p.o. di prendere cognizione degli
atti  del  procedimento  prescinde  totalmente  dalla  adozione della
procedura  di  cui  all'art. 409  c.p.p.,  essendo  il venir meno del
segreto sugli atti processuali collegato al momento in cui l'imputato
puo'  averne  conoscenza,  o  comunque  "alla chiusura delle indagini
preliminari    (art. 329,   c.   1,   c.p.p.),   evenienze   entrambe
verificatesi";  dall'altro,  che  anche  qualora il g.i.p., "aderendo
alla  richiesta del p.m., avesse archiviato de plano il procedimento,
comunque  la  p.o.  avrebbe  avuto,  anche  "dopo  la definizione del
procedimento   ,   diritto   di  avere  copia  degli  atti  ai  sensi
dell'art. 116 c.p.p.".
    Da   quanto   precede,   ed   altresi'  in  considerazione  della
circostanza che "detti documenti erano gia' ampiamente nella sfera di
conoscibilita'  della  p.o.,  con  pieno  diritto  di  estrarne copia
(art. 131  c.p.p.)",  il  resistente deduce che "in alcun modo ... il
provvedimento di fissazione della udienza ex art. 409 c.p.p. potrebbe
di  per  se'  ledere le attribuzioni del Presidente del Consiglio dei
Ministri".
    Dopo  aver  censurato alcuni comportamenti, ritenuti non conformi
al  dovere  di lealta', tenuti dalla Questura di Bologna nei rapporti
con  l'autorita'  giudiziaria,  il  g.i.p.  sottolinea  il  carattere
obbligato,   in  presenza  dei  presupposti  richiesti  dall'art. 409
c.p.p.,   del  provvedimento  di  fissazione  dell'udienza;  "pur  in
presenza   di   atti  ritenuti  inutilizzabili  perche'  ottenuti  in
violazione  del  segreto  di  Stato", aggiunge il resistente, "rimane
fermo  ed  ineludibile  il  ruolo  della magistratura giudicante come
espressamente  affermato  dalla  Corte  [costituzionale] nella citata
sent.  110", in ordine alla dichiarazione di "non doversi procedere".
Ne'  puo'  affermarsi, ad avviso del resistente, che vi sia stata una
utilizzazione  degli  atti  coperti  da  segreto,  cio'  che  sarebbe
dimostrato  proprio dalla sollevazione, da parte dello stesso g.i.p.,
nell'a'mbito  del  medesimo  procedimento  ex  409  c.p.p.  di cui si
tratta,   di  una  questione  di  legittimita'  costituzionale  della
disciplina concernente la inutilizzabilita' di tali atti.
    Sul  punto  della  mancata  restituzione dei documenti coperti da
segreto,   per  altro  non  addebitata  al  g.i.p.  nel  ricorso,  il
resistente  lamenta,  da un lato, la mancata indicazione, da parte di
questa  Corte,  dei documenti illegittimamente acquisiti; dall'altro,
la  mancata  richiesta di restituzione, da parte dell'amministrazione
interessata.

    8.  -  In  prossimita'  della  data  fissata  per  l'udienza,  il
ricorrente  ha  depositato  una  memoria  illustrativa, per insistere
nell'accoglimento  del  ricorso e per sviluppare ulteriormente quanto
gia' dedotto in sede di promovimento del presente giudizio.
    Il testo della memoria, come si e' detto, in considerazione della
"sostanziale  identita'  della  linea difensiva avversa in entrambi i
conflitti",   e'   identico   a   quello   della  memoria  presentata
nell'imminenza dell'udienza prevista per la trattazione del conflitto
n. 23, il cui contenuto e' gia' stato illustrato.

                       Considerato in diritto


    1.  - Con il primo dei due ricorsi in epigrafe, il Presidente del
Consiglio  dei  Ministri  ha  sollevato conflitto di attribuzione tra
poteri  dello  Stato nei confronti del pubblico ministero, in persona
del  Procuratore  della Repubblica presso il Tribunale di Bologna, in
relazione  alla  richiesta,  dal medesimo presentata in data 3 maggio
1999  al  giudice  per  le  indagini  preliminari  presso  lo  stesso
Tribunale, di "non doversi procedere" nei confronti di funzionari del
SISDE  e  di  funzionari di polizia che con essi avevano collaborato,
per  la  esistenza  di  un  segreto  di Stato ritualmente opposto dal
Presidente   del  Consiglio  dei  Ministri  ex  art. 12  della  legge
24 ottobre  1977, n. 801 e "confermato dalla Corte costituzionale con
le sentenze nn. 110 e 410 del 1998".
    Il   ricorrente   lamenta  la  lesione  della  propria  sfera  di
attribuzioni,  come determinata dagli artt. 1, 5, 52, 87, 94, 95, 102
e  126  della  Costituzione,  e  dagli  artt. 12  e  16  della  legge
24 ottobre  1977,  n. 801,  nonche'  dagli  artt. 202,  256 e 362 del
codice  di  procedura  penale,  anche in riferimento alle sentenze di
questa Corte nn. 110 e 410 del 1998, e chiede che venga dichiarata la
non spettanza al pubblico ministero, in persona del Procuratore della
Repubblica  presso  il Tribunale di Bologna, del potere di presentare
al  giudice per le indagini preliminari presso lo stesso Tribunale la
menzionata   richiesta   di  archiviazione  in  data  3 maggio  1999,
corredandola  della  documentazione  "segretata"  e  premettendo alla
stessa  richiesta una motivazione contraddittoria e atta a provocare,
da  parte del giudice, il provvedimento di fissazione dell'udienza in
camera   di  consiglio,  ex  art. 409,  comma  2,  cod.  proc.  pen.,
prodromico rispetto all'eventuale adozione di ulteriori provvedimenti
(in  particolare:  invito  al  p.m., ex art. 409, comma 4, cod. proc.
pen.,   a   compiere  ulteriori  indagini;  "imputazione  coatta"  ex
art. 409,  comma  5,  cod.  proc. pen.) suscettibili di provocare una
ulteriore divulgazione dei documenti coperti da segreto.
    Il  ricorrente  chiede altresi' l'annullamento della richiesta in
data  3 maggio  1999  del  Procuratore  della  Repubblica  presso  il
Tribunale  di  Bologna,  "con  l'ordine di restituzione dei documenti
coperti da segreto di Stato ai loro legittimi detentori".

    2.  -  Con  il secondo dei due ricorsi in epigrafe, il Presidente
del Consiglio dei Ministri ha sollevato conflitto di attribuzione tra
poteri  dello  Stato  nei  confronti  del  giudice  per  le  indagini
preliminari  presso  il Tribunale di Bologna in relazione al decreto,
emesso ai sensi dell'art. 409, secondo comma, cod. proc. pen. in data
31 maggio  1999,  con  il  quale  e'  stata fissata al 14 luglio 1999
l'udienza  in  camera  di  consiglio,  a se'guito della richiesta del
Procuratore  della  Repubblica  presso il Tribunale di Bologna di non
doversi procedere nei confronti di funzionari del SISDE e di polizia,
per  essere  le fonti di prova incise da segreto di Stato ritualmente
opposto   dal   Presidente   del  Consiglio  dei  Ministri  ai  sensi
dell'art. 12 della legge 24 ottobre 1977, n. 801.
    Il   ricorrente   lamenta  la  lesione  della  propria  sfera  di
attribuzioni,  come determinata dagli artt. 1, 5, 52, 87, 94, 95, 102
e 126 della Costituzione e dagli artt. 12 e 16 della legge 24 ottobre
1977,  n. 801,  nonche'  dagli  artt. 202,  256  e  362 del codice di
procedura  penale,  anche  in riferimento alle sentenze nn. 110 e 410
del  1998  di  questa  Corte,  e  chiede  che venga dichiarata la non
spettanza  al  giudice  per  le  indagini  preliminari resistente nel
presente  conflitto  -  a fronte della richiesta di archiviazione del
pubblico  ministero  in  data  3 maggio 1999, corredata dei documenti
coperti da segreto di Stato - del potere di prendere cognizione degli
stessi  e,  su  tale  base,  fissare, ai sensi dell'art. 409, secondo
comma,  cod.  proc.  pen.,  con  il  decreto  in data 31 maggio 1999,
l'udienza  in  camera  di  consiglio il 14 luglio 1999, offrendo tali
documenti  alla  pubblicita'  dell'udienza  ed  in  particolare  alla
conoscenza  della persona offesa, e ponendo le premesse per ulteriori
attivita'  giurisdizionali  -  l'ordinanza  con la quale si indica la
necessita'  di  ulteriori  indagini,  o  l'ordinanza  con la quale si
dispone  che il pubblico ministero formuli l'imputazione - che devono
ritenersi precluse dal segreto di Stato opposto.
    Il   ricorrente   chiede   altresi'  che  questa  Corte  disponga
l'annullamento  del  decreto  di fissazione dell'udienza in camera di
consiglio   del   31 maggio  1999,  "ordinando  la  restituzione  dei
documenti coperti dal segreto di Stato ai legittimi detentori".

    3.  -  Con  i  ricorsi  indicati  in  epigrafe, il Presidente del
Consiglio dei Ministri lamenta, in riferimento ai medesimi parametri,
la  lesione  della propria sfera di attribuzioni in materia di tutela
del segreto di Stato ad opera del Procuratore della Repubblica presso
il  Tribunale  di  Bologna  e del giudice per le indagini preliminari
dello  stesso  Tribunale,  in relazione ad atti dei rispettivi uffici
fra  loro  intimamente  connessi, sia sotto il profilo della sequenza
procedurale,  sia per l'unicita' della vicenda storica all'origine di
entrambi  i  conflitti sollevati. In considerazione di tale stretta e
duplice  connessione,  i  relativi  giudizi  possono essere riuniti e
decisi con un'unica sentenza.

    4.  -  Occorre,  innanzitutto,  confermare  l'ammissibilita'  dei
conflitti  di  attribuzione  in  questione,  che questa Corte ha gia'
dichiarato,  in  linea  di  prima  e  sommaria  delibazione,  con  le
ordinanze nn. 320 e 321 del 1999.
    4.1.  -  Sotto il profilo soggettivo, il Presidente del Consiglio
dei Ministri e' legittimato a sollevare conflitto di attribuzione tra
poteri   dello  Stato,  in  quanto  organo  competente  a  dichiarare
definitivamente  la volonta' del potere cui appartiene in ordine alla
tutela, apposizione, opposizione e conferma del segreto di Stato, non
solo  in  base  alla  legge  24 ottobre 1977, n. 801, ma, come questa
Corte  ha  gia' avuto occasione di chiarire, anche alla stregua delle
norme  costituzionali  che  ne  delimitano  le attribuzioni (sentenze
nn. 410 e 110 del 1998; 86 del 1977; ordinanze nn. 266 del 1998 e 426
del 1997).
    Sotto   il   medesimo   profilo,   anche  la  legittimazione  del
Procuratore  della  Repubblica  presso  il  Tribunale  di  Bologna  a
resistere  nel  conflitto  deve  essere ribadita, in conformita' alla
giurisprudenza di questa Corte che riconosce al pubblico ministero la
legittimazione  ad  essere  parte  di  conflitti  di attribuzione tra
poteri   dello   Stato,  in  quanto,  ai  sensi  dell'art. 112  della
Costituzione,  e'  il titolare diretto ed esclusivo dell'attivita' di
indagine  finalizzata  all'esercizio  obbligatorio dell'azione penale
(sentenze  nn. 410  e  110 del 1998; ordinanze nn. 266 del 1998 e 426
del 1997).
    Quanto al profilo oggettivo, il conflitto n. 23 del 1999 riguarda
attribuzioni   costituzionalmente  garantite  inerenti  all'esercizio
dell'azione   penale   da   parte  del  pubblico  ministero  ed  alla
salvaguardia   della   sicurezza  dello  Stato  anche  attraverso  lo
strumento del segreto, la cui tutela, attraverso la sua opposizione e
conferma,  e'  attribuita  alla  responsabilita'  del  Presidente del
Consiglio dei Ministri, sotto il controllo del Parlamento.
    4.2.  - Anche per quanto riguarda il conflitto n. 24 del 1999, il
Presidente  del  Consiglio  dei  Ministri e' legittimato dal punto di
vista attivo in quanto organo competente a dichiarare definitivamente
la  volonta'  del  potere  cui  appartiene  in  ordine  alla  tutela,
apposizione, opposizione e conferma del segreto di Stato in base alle
citate disposizioni costituzionali e legislative.
    La  legittimazione del giudice per le indagini preliminari presso
il  Tribunale  di  Bologna  a  resistere  nel  conflitto  deve essere
ribadita,  in  conformita'  alla  giurisprudenza di questa Corte, che
riconosce  ai  singoli  organi  giurisdizionali  la legittimazione ad
essere  parti di conflitti di attribuzione tra poteri dello Stato, in
quanto,   in   posizione   di   piena  indipendenza  garantita  dalla
Costituzione, competenti a dichiarare definitivamente, nell'esercizio
delle  relative funzioni, la volonta' del potere cui appartengono (ex
plurimis  sentenze  nn. 50  e  35  del  1999; 375 del 1997; ordinanze
nn. 471, 261 e 250 del 1998; 269 del 1996).
    Quanto al profilo oggettivo, il conflitto n. 24 del 1999 riguarda
attribuzioni   costituzionalmente  garantite  inerenti  all'esercizio
della  funzione  giurisdizionale da parte del giudice per le indagini
preliminari  ed  alla  salvaguardia della sicurezza dello Stato anche
attraverso lo strumento del segreto, la cui tutela, attraverso la sua
opposizione  e  conferma,  e'  attribuita  alla  responsabilita'  del
Presidente  del  Consiglio  dei  Ministri,  sotto  il  controllo  del
Parlamento.

    5.  -  Nel  merito,  il  ricorso  presentato  dal  Presidente del
Consiglio dei Ministri nei confronti del Procuratore della Repubblica
presso il Tribunale di Bologna e' fondato.

    6.  -  Prima di esporre le ragioni dell'accoglimento del ricorso,
e'  necessario ricordare ancora una volta, per sommi capi, le vicende
che  hanno  dato origine ai conflitti di cui e' causa ed i precedenti
costituiti dalle sentenze n. 110 e 410 del 1998.
    Con  la  prima  pronuncia,  la Corte costituzionale accoglieva il
ricorso  con  il quale il Presidente del Consiglio dei Ministri aveva
sollevato  conflitto  di  attribuzione  tra  poteri  dello  Stato nei
confronti  del  pubblico  ministero, in persona del Procuratore della
Repubblica  presso il Tribunale di Bologna, in relazione ad attivita'
istruttoria  svolta  nei  confronti  di  funzionari  del  SISDE  e di
polizia, e diretta ad acquisire elementi di conoscenza su circostanze
incise  dal  segreto di Stato opposto e confermato dal Presidente del
Consiglio dei Ministri, ex art. 12 della legge n. 801 del 1977.
    La Corte, dopo aver dichiarato l'ammissibilita' del conflitto con
ordinanza  n. 426  del  1997,  dichiarava, con la menzionata sentenza
n. 110  del  1998, non spettare al pubblico ministero, in persona del
Procuratore  della  Repubblica  presso  il  Tribunale di Bologna, ne'
acquisire,  ne'  utilizzare,  sotto  alcun  profilo,  direttamente  o
indirettamente,  atti  o  documenti  sui  quali  era stato legalmente
opposto  e  confermato  dal  Presidente del Consiglio dei Ministri il
segreto  di  Stato, ne' trarne comunque occasione di indagine ai fini
del  promovimento dell'azione penale, annullando conseguentemente gli
atti  di  indagine  compiuti sulla base di fonti di prova coperte dal
segreto  di  Stato,  nonche'  la  sopravvenuta  richiesta di rinvio a
giudizio.
    A  se'guito  di  tale  sentenza,  il Procuratore della Repubblica
presso  il  Tribunale  di  Bologna,  al  quale  gli  atti erano stati
restituiti  dal  giudice  per  le  indagini preliminari, reiterava la
richiesta di rinvio a giudizio, eliminando da questa i riferimenti ai
documenti trasmessi dalla Questura di Bologna.
    Con  ricorso del 10 luglio 1998, depositato il 14 luglio 1998, il
Presidente del Consiglio dei Ministri sollevava un nuovo conflitto di
attribuzione nei confronti del Procuratore della Repubblica presso il
Tribunale  di  Bologna,  in  relazione  alla  richiesta  di  rinvio a
giudizio  formulata in data 5 maggio 1998 nei confronti di funzionari
del  SISDE  e  di  funzionari  di  polizia  che  con  i primi avevano
collaborato,  e  che  si assumeva nuovamente basata su fonti di prova
incise  dal segreto di Stato opposto dal Presidente del Consiglio dei
Ministri ex art. 12 della legge 24 ottobre 1977, n. 801.
    In accoglimento del secondo ricorso del Presidente del Consiglio,
la  Corte costituzionale, con sentenza n. 410 del 1998, ha dichiarato
non  spettare al pubblico ministero, in persona del Procuratore della
Repubblica  presso il Tribunale di Bologna, rinnovare la richiesta di
rinvio  a giudizio utilizzando fonti di prova acquisite in violazione
del  segreto  di  Stato  gia'  accertata  con  sentenza  della  Corte
costituzionale  e  ha  annullato la richiesta di rinvio a giudizio in
data 5 maggio 1998.
    In se'guito a tale decisione, il pubblico ministero resistente ha
formulato  la  richiesta  di  archiviazione  ritenuta  dal ricorrente
lesiva della proprie attribuzioni costituzionalmente garantite.

    7.  -  L'obbligo del pubblico ministero di trasmettere al giudice
per   le  indagini  preliminari  l'intero  fascicolo  delle  indagini
preliminari,  previsto  dall'art. 408,  comma  1, cod. proc. pen., e'
stato  ribadito  da  questa  Corte  con  la sentenza n. 145 del 1991,
invocata  dal  resistente,  che  ne  ha  sottolineato  la funzione di
garantire "che nessuna indebita limitazione possa essere apposta alla
cognizione   del   giudice   per  le  indagini  preliminari  ai  fini
dell'adozione  delle  determinazioni ad esso spettanti". Senonche', a
quest'ultimo, rispetto alla valutazione circa l'inutilizzabilita' dei
documenti  di cui si tratta non compete, in questo caso, alcun potere
decisorio  in  ordine  alla  adozione  di  determinazioni ulteriori e
diverse   dal  rilievo  d'ufficio  della  inutilizzabilita'  di  tali
documenti,  a norma dell'art. 191, comma 2, cod. proc. pen., cio' che
questa  Corte  ha  gia'  avuto modo di chiarire con l'ord. n. 344 del
2000, in termini del tutto espliciti.
    Quest'ultima   pronuncia,   che   ha   dichiarato   la  manifesta
inammissibilita'   della  questione  di  legittimita'  costituzionale
dell'art. 256  cod.  proc. pen. sollevata dal giudice per le indagini
preliminari del Tribunale di Bologna, ha nuovamente ribadito che, con
la  sentenza  n. 410 del 1998, questa Corte ha gia' inoppugnabilmente
definito  la  controversia in merito all'utilizzabilita' degli stessi
atti,  sui  quali  e' stato opposto e confermato il segreto di Stato,
cui fa riferimento il giudice a quo statuendo in via definitiva sulla
non  spettanza  al  pubblico  ministero  del potere di utilizzarli ed
annullando  la richiesta di rinvio a giudizio basata sugli stessi. In
tale occasione, si e' anche chiarito che, derivando in via definitiva
la  sanzione  dell'inutilizzabilita' degli atti di cui si tratta, non
gia'  dall'art. 256  cod.  proc.  pen., bensi' direttamente dalle due
citate  sentenze  della Corte costituzionale - pronunciate sulla base
di  parametri costituzionali e sottratte dall'art. 137, ultimo comma,
della  Costituzione,  a qualsiasi forma, anche indiretta o impropria,
di impugnazione - il giudice a quo avrebbe dovuto rilevarla d'ufficio
a  norma  dell'art. 191, comma 2, cod. proc. pen., non residuando nel
procedimento  penale  a  quo  alcuno spazio per fare applicazione, ai
fini  dell'identificazione degli atti non utilizzabili, dell'art. 256
cod.  proc.  pen. (ne',  quindi,  per dubitare della sua legittimita'
costituzionale).
    La  circostanza, anzi, che il divieto di utilizzazione degli atti
di  cui  si  tratta deriva inequivocabilmente e in via definitiva non
dall'art. 256 cod. proc. pen., bensi' dalle citate sentenze di questa
Corte nn. 110 e 410 del 1998, priva di valore processuale i documenti
in  questione  e ne rende indebita e del tutto impropria l'inclusione
nel fascicolo processuale.
    Dalle   citate   decisioni  costituzionali,  nel  rispetto  della
correttezza  che deve ispirare i rapporti tra autorita' giudiziaria e
potere  esecutivo  nella  materia  della tutela del segreto di Stato,
deriva  un  obbligo  di  restituzione  dei  documenti coperti da tale
segreto,  indipendentemente  da una richiesta da parte dell'autorita'
responsabile della loro custodia.
    Il  sistema  delle  norme  disciplinanti  il processo penale, del
resto, conosce piu' di un caso di obbligatoria restituzione di cose e
documenti  inutilizzabili  a  fini  probatori,  non solo da parte del
giudice,  ma  anche  direttamente  da  parte  del  pubblico ministero
(artt. 262, comma 1; 263, comma 4; 254, comma 3, cod. proc. pen.).
    Non  e'  forse inutile ricordare poi che il comma 3 dell'art. 271
cod.  proc. pen. dispone la distruzione, "salvo che costituisca corpo
del   reato",   della   documentazione   delle   intercettazioni   di
conversazioni  o comunicazioni non utilizzabili a norma dei primi due
commi.
    Al  pubblico ministero non spetta pertanto corredare la richiesta
di  archiviazione  in data 3 maggio 1999 di documenti che, a se'guito
delle  sentenze  di questa Corte nn. 110 e 410 del 1998, non doveva e
non   poteva   ne'   acquisire,   ne'   utilizzare,   direttamente  o
indirettamente,   e   che  avrebbe  dovuto  restituire  all'autorita'
responsabile della tutela del segreto di Stato.
    La  permanenza  materiale  nel fascicolo processuale di documenti
non  utilizzabili  perche'  coperti  da  segreto di Stato ritualmente
opposto  e  confermato  dal  Presidente del Consiglio dei Ministri ex
art. 12  della  legge  24 ottobre 1977, n. 801, successivamente, e in
modo  irretrattabile, ritenuti inutilizzabili con le sentenze nn. 110
e   410   del  1998  di  questa  Corte,  concreta  la  lesione  delle
attribuzioni costituzionali del ricorrente.
    L'impugnata  richiesta  di  archiviazione  del  Procuratore della
Repubblica   presso  il  Tribunale  di  Bologna,  corredata  di  tali
documenti, deve pertanto essere annullata.
    Quanto precede impone a questa Corte di dichiarare che non spetta
al pubblico ministero formulare la richiesta di archiviazione in data
3 maggio  1999, corredandola di documenti che, anche a se'guito delle
sentenze  di  questa  Corte  nn. 110 e 410 del 1998, non doveva e non
poteva ne' acquisire ne' utilizzare, direttamente o indirettamente, e
che avrebbe dovuto restituire all'autorita' responsabile della tutela
del  segreto  di  Stato,  e  di annullare la richiesta presentata dal
resistente   in  data  3 maggio  1999  al  giudice  per  le  indagini
preliminari presso il Tribunale di Bologna.

    8.  -  Le ragioni che hanno condotto all'accoglimento del ricorso
presentato  dal  Presidente  del Consiglio dei Ministri nei confronti
del  Procuratore  della  Repubblica  presso il Tribunale di Bologna e
all'annullamento  della  richiesta  di  archiviazione all'origine del
primo  conflitto  impongono  di  accogliere  anche il secondo ricorso
epigrafato,  proposto  dallo  stesso  ricorrente  nei  confronti  del
giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Bologna.
    La rilevata assenza di valore processuale dei documenti dei quali
questa  Corte,  con le sentenze nn. 110 e 410 del 1998, ha accertato,
in  via  definitiva  e  sulla  scorta  dei  parametri  costituzionali
applicati    per    la    risoluzione   dei   rispettivi   conflitti,
l'inutilizzabilita'  nel procedimento de quo, impone l'espunzione dal
fascicolo  processuale  dei  documenti  coperti  da  segreto di Stato
legittimamente  opposto  e  confermato  dal Presidente del Consiglio,
sottratti a qualsiasi valutazione da parte del resistente.
    Da  cio'  consegue  che  non  spetta  al  giudice per le indagini
preliminari  del  Tribunale  di  Bologna  utilizzare  in  alcun modo,
direttamente  o  indirettamente,  gli  atti  e i documenti coperti da
segreto  di  Stato, la cui inutilizzabilita' e' stata definitivamente
accertata  con  le  sentenze  di questa Corte nn. 110 e 410 del 1998,
neppure  ai  fini dei provvedimenti conseguenziali alla richiesta del
pubblico  ministero  presentata  in  data  3 maggio  1999  e  fissare
l'udienza  in  camera  di  consiglio  prevista dall'art. 409, secondo
comma, cod. proc. pen.
    Sia  l'accoglimento dei due ricorsi presentati dal Presidente del
Consiglio   dei  Ministri,  sia  l'annullamento  della  richiesta  di
archiviazione  all'origine del primo conflitto impongono di annullare
tutti   gli  atti  successivi  e  conseguenziali  alla  richiesta  di
archiviazione,  compreso  il  decreto, emesso ai sensi dell'art. 409,
secondo  comma,  cod. proc. pen. in data 31 maggio 1999, con il quale
e'  stata fissata al 14 luglio 1999 l'udienza in camera di consiglio,
a se'guito della richiesta del Procuratore della Repubblica presso il
Tribunale di Bologna presentata in data 3 maggio 1999.
                          Per questi motivi

                       LA CORTE COSTITUZIONALE
    Riuniti i giudizi,
    Dichiara  che  non  spetta  al  pubblico  ministero presentare al
giudice   per  le  indagini  preliminari  richiesta  di  non  doversi
procedere,  corredata di documenti coperti da segreto di Stato che, a
se'guito  delle  sentenze di questa Corte nn. 110 e 410 del 1998, non
puo'  in alcun modo, ne' direttamente ne' indirettamente, utilizzare,
ne'  conservare nel fascicolo processuale, e conseguentemente annulla
la  richiesta  di non doversi procedere, presentata dal resistente in
data  3 maggio  1999  al  giudice  per  le  indagini preliminari dell
Tribunale di Bologna;
    Dichiara  che  non  spetta al giudice per le indagini preliminari
del  Tribunale  di  Bologna  utilizzare in alcun modo, direttamente o
indirettamente,  gli  atti e i documenti coperti da segreto di Stato,
la  cui  inutilizzabilita'  e' stata definitivamente accertata con le
sentenze  di  questa  Corte  nn. 110  e 410 del 1998, neppure ai fini
dell'adozione  del  decreto  in  data  31 maggio  1999  di fissazione
dell'udienza  in  camera  di consiglio a norma dell'art. 409, secondo
comma,  cod. proc. pen., e conseguentemente annulla il citato decreto
in  data  31 maggio  1999, con il quale e' stata fissata al 14 luglio
1999 l'udienza in camera di consiglio.
    Cosi'  deciso  in  Roma,  nella  sede della Corte costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 25 ottobre 2000.
                      Il Presidente: Mirabelli
                        Il redattore: Contri
                      Il cancelliere: Di Paola
    Depositata in cancelleria il 10 novembre 2000.
              Il direttore della cancelleria: Di Paola
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