N. 720 ORDINANZA (Atto di promovimento) 19 luglio 2000

Ordinanza  emessa  il  19  luglio 2000 dal g.i.p. presso il tribunale
militare  di  Torino  nel  procedimento  penale a carico di Marinosci
Marco

Reati  militari  -  Reati  di  ingiuria e di minaccia - Punibilita' a
richiesta del comandante di corpo e non anche a querela della persona
offesa  -  Disparita'  di  trattamento  rispetto  alla  disciplina di
diritto  comune  -  Lesione  del  diritto di difesa - Incidenza sullo
spirito  democratico  cui  e'  informato  l'ordinamento  delle  forze
armate.
- Cod.  pen. mil. di pace, artt. 226 e 229 (in relazione ad art. 260,
  stesso codice).
- Costituzione, artt. 3, 24 e 52, comma terzo.
(GU n.48 del 22-11-2000 )
               IL GIUDICE PER LE INDAGINI PRELIMINARI
    Nel  procedimento  penale  a  carico  di: Marinosci Marco, nato a
  Secugnago   (LO)   il  29 febbraio  1980,  ed  ivi  residente,  via
  Garibaldi,  51,  soldato  indagato  del reato di ingiuria (art. 226
  c.p.m.p.),  di  minaccia  (art.229,  comma 1 c.p.m.p.) e di lesione
  personale  pluriaggravata (artt. 223 224 e 225 c.p.m.p.) cosi' come
  commessi  il 6 ottobre 1999 in Legnano presso la caserma "Cadorna",
  in danno del soldato Consalter Francesco Paolo;
    A  seguito  di  richiesta di archiviazione del pubblico ministero
  dell'8 luglio  2000,  limitatamente  ai  reati  di  ingiuria  e  di
  minaccia,  dovendo  adottare  il  provvedimento di archiviazione ex
  art. 408   e   411   c.p.p.,   per   difetto  della  condizione  di
  procedibilita'  costituita  dalla  richiesta  di  procedimento  del
  Comandante  di  Corpo  ex  art. 260  c.p.m.p.,  ha  pronunciato  la
  seguente  ordinanza sulla questione di leggittimita' costituzionale
  degli  artt. 226  e 229 c.p.m.p. in relazione all'art. 260 c.p.m.p.
  in   riferimento   agli   artt. 3,   24  e  52  terzo  comma  della
  Costituzione;

                            O s s e r v a

    Con  atto  dell'8 luglio  2000  il  pubblico ministero chiedeva a
  questo giudice per le indagini preliminari decreto di archiviazione
  per  i  delitti  di  ingiuria  (art. 226  c.p.m.p.)  e  di minaccia
  (art. 229  c.p.m.p.)  ascritti  al  militare  di  cui alla rubrica,
  denunciati  con  atto  di  querela  dal soldato Consalter Francesco
  Paolo  che,  con  dovizia  di  particolari, aveva esposto di essere
  stato  il  6 ottobre  1999  reiteratamente ingiuriato, minacciato e
  colpito   con  danno  alla  propria  integrita'  morale  e  fisica.
  Limitatamente al delitto di lesione personale pluriaggravata invece
  il  pubblico  ministero  chiedeva la restituzione degli atti per il
  proseguo  delle  indagini. Dovendosi occupare preliminarmente della
  richiesta  di  archiviazione  si  ha  modo  di  verificare  che  la
  richiesta  dell'accusa  e' motivata esclusivamente sull'aspetto del
  difetto  della  richiesta  di  procedimento del comandante di Corpo
  dell'indagato   e,   cioe',   per   un  difetto  di  condizione  di
  procedibilita',  stante  il  fatto  che  i  delitti  di  ingiuria e
  minaccia  per  cui si procede, essendo puniti entrambi con pena non
  superiore nel massimo a sei mesi di reclusione militare, richiedono
  necessariamente  la proposizione della richiesta di procedimento di
  cui all'art. 260 c.p.m.p..
    Dall'atto  di  denuncia  e  di querela presentato e ratificato in
  termini  risulta  che  in  Legnano,  all'interno di luogo militare,
  l'indagato  in  rubrica  ebbe piu' volte ad ingiuriare e minacciare
  Consalter Francesco Paolo e a colpirlo piu' volte con pugni e calci
  ai  testicoli  cagionandogli  un  grave trauma al testicolo destro,
  malattia  che  ha  comportato  anche  ricovero  ospedaliero e lunga
  convalescenza.
    Con  l'atto  di querela si sottopongono al vaglio della autorita'
  giudiziaria  competente  anche  le  espressioni  gravemente  lesive
  dell'onore   e  decoro  e  le  reiterate  minacce  alla  integrita'
  psicofisica.
    Pur  tuttavia,  stante il diritto vigente, relativamente ai fatti
  denunciati  di  ingiuria  e  di minaccia non puo' essere esercitata
  l'azione  penale; e, nonostante la volonta' contraria della persona
  offesa  che nell'atto di querela presentato e ratificato in termini
  cosi'  anche  si  esprimeva: "dichiaro di presentare querela contro
  Marinosci  Marco  per il delitto di lesioni personali gravi, per il
  delitto  di  ingiurie  e  per  qualsivoglia altro reato che codesta
  procura  della  Repubblica vorra' ravvisare nei fatti oggetto della
  narrazione".
    Il  pubblico  ministero nella sua richiesta evidenziava che pero'
  per  i  delitti  di ingiuria e di minaccia l'azione penale non puo'
  essere  iniziata,  per  difetto della richiesta di procedimento del
  comandante di Corpo, necessaria condizione di procedibilita'.
    In  altri  termini,  il pubblico ministero osserva che secondo il
  diritto  vigente,  la  successiva  univoca  volonta'  della persona
  offesa  nulla  puo'  fare  per  permettere  l'esercizio dell'azione
  penale  e,  di  conseguenza  anche  la stessa costituzione di parte
  civile.  Sarebbe  ininfluente  nella codicistica penale militare il
  fatto  che  la  persona  offesa  manifesti  la volonta' di attivare
  l'esercizio  dell'azione penale ed agire in giudizio a salvaguardia
  dei  propri  diritti  ritenuti  lesi dalla condotta del commilitone
  pari grado.
    Anche  quando  come nel caso che ci occupa il comandante di Corpo
  nemmeno  abbia  denunciato  il  fatto  (non  risulta in atti alcuna
  comunicazione notizia di reato di colui che in ambito di caserma e'
  ufficiale di polizia giudiziaria militare).
    In effetti e' cosi'.
    Stante  l'attuale  situazione  normativa  questo giudice dovrebbe
  accogliere  la  richiesta  di  archiviazione del pubblico ministero
  essendo provato in atti che il comandante di Corpo, non ha avanzato
  la   richiesta   di   procedimento  penale  ex  art. 260  c.p.m.p.,
  necessaria   condizione  di  procedibilita';  cio',  nonostante  la
  circostanza  che  i  fatti  descritti  nella denuncia-querela siano
  dettagliati  e  circostanziati  e obiettivamente assai gravi per il
  pericolo recato anche alla disciplina militare.
    In  altri  termini,  visto  il diritto vigente questo giudice non
  puo'  riconoscere validita' alcuna alle manifestazioni univoche con
  cui  la  persona  offesa  ha  fatto  intendere  non  solo  di voler
  esercitare  il  diritto  di  agire  in  giudizio ma, anche di voler
  iniziare  immediatamente  l'azione  per  il  risarcimento del danno
  mediante  quell'atto  prodromico alla dichiarazione di costituzione
  di  parte civile che e' la querela (laddove come nel caso di specie
  i delitti non sono perseguibili d'ufficio).
    Questo giudice ritiene, pertanto, doversi promuovere questione di
  legittimita'  costituzionale del combinato disposto degli artt. 226
  e  229 e 260 c.p.m.p. ed in riferimento ai parametri costituzionali
  sopra  invocati  che  esprimono  i  criteri  fondamentali  cui deve
  attenersi  il  Legislatore  nella  sua  attivita':  il rispetto dei
  principi  di  uguaglianza e ragionevolezza, di tutela per tutti di
  agire    in    giudizio   a   difesa   dei   propri   diritti,   di
  permeabilizzazione dell'ordinamento delle Forze armate allo spirito
  e valori democratici dello Stato.
    Si ritiene infatti, che la Carta fondamentale abbia comportato il
  superamento   della   logica   istituzionalistica  dell'ordinamento
  militare  per cui questo non deve piu' considerarsi autosufficiente
  a  tutela  di esigenze, beni e valori aprioristicamente considerati
  prevalenti  anche  sui diritti della persona, pur militare che sia.
  L'ordinamento  militare  va  ricondotto nell'alveo dell'ordinamento
  generale dello Stato, garante dei diritti sostanziali e processuali
  di tutti i cittadini, alle armi o non.
    Gia'  la  Corte  costituzionale in varie sentenze ha detto che il
  diritto penale militare di pace "non solo non puo' ritenersi avulso
  dal  sistema  generale  garantistico  dello  Stato,  ma non va piu'
  esaltato  come  posto a tutela di beni e valori di tale particolare
  importanza da superare, nella gerarchia dei valori garantiti, tutti
  gli altri" (vedi anche sent. n. 278 del 1987).
    E'   dato   incontrovertibile   per   cui   con  la  Costituzione
  repubblicana  nell'ordinamento  delle  Forze  armate  devono essere
  tenuti  costantemente  presenti  le  ispirazioni ultime del vigente
  ordinamento  democratico,  che  ha  il  suo  essenziale  quadro  di
  riferimento  nei  valori  dell'uomo:  riconoscimento e tutela della
  personalita'  e  dignita'  dell'uomo.  Anche il cittadino alle armi
  deve  godere  dei  diritti  civili,  sociali e politici che vengono
  riconosciuti  agli  altri cittadini, financo il diritto di agire in
  giudizio a tutela dei diritti soggettivi lesi dal reato.
    Detto  cio',  e'  illogico  ed  abnorme che sia demandato al solo
  comandante  di  Corpo  la valutazione circa l'esercizio dell'azione
  penale  per  i  delitti  per  cui oggi vi e' causa e, comunque, per
  tutte  le  fattispecie  che  prevedono  nel  massimo  edittale  una
  sanzione  non  superiore  a  mesi  sei di r.m. e, magari riguardo a
  delitti  identici  a  quelli  previsti  dal codice penale comune, e
  perseguibili  a  querela,  cioe'  mediante attivazione della stessa
  persona  offesa  e  non  di  soggetti,  pur pubblici, estranei alle
  valutazioni finalizzate alla tutela dei privati e personali valori.
  L'autorita'   militare,  come  e'  il  comandante  di  Corpo,  come
  riconosce  anche  la dottrina, nell'avanzare o meno la richiesta di
  procedimento ex art. 260 c.p.m.p. valuta esclusivamente l'interesse
  alla  tutela  dell'immagine  del reparto; opera secondo criterio di
  convenienza  o meno che un fatto, pur penalmente rilevante, rimanga
  circoscritto   intra   moenia   della   caserma   anziche',  essere
  pubblicizzato  all'autorita' giudiziaria, pur militare, considerata
  in  tale  logica  istituzionalistica  una  realta' estranea. Con la
  conseguente  compromissione di tutela delle esigenze, beni e valori
  incidenti sulla sfera della personalita' del cittadino alle armi.
    Ad  avviso  di  questo  giudice  le norme impugnate secondo cui i
  delitti  di  ingiuria  e di minaccia semplice siano punibili solo a
  richiesta  del  comandante  di  Corpo e non a querela della persona
  offesa  si  pongono  in  contrasto anche con gli artt. 3 e 24 della
  Costituzione. Cio' rileva in modo particolare nell'attuale contesto
  normativo  a  seguito  dell'entrata  in  vigore del nuovo codice di
  procedura  penale,  che in toto si applica anche nel rito militare,
  ed   in   coerenza   con  la  recente  giurisprudenza  della  Corte
  costituzionale che ha caducato tutte quelle norme del codice penale
  militare  di  pace  costituenti  le  ultime  deroghe alla procedura
  penale  comune. Si rappresenta infatti, che nell'ultimo decennio il
  giudice    delle    leggi    e'   intervenuto   a   dichiarare   la
  incostituzionalita'  degli  artt. 308,  377,  402,  365,  e 270 del
  c.p.m.p.
    Assai  rilevante  per  il caso che ci occupa e' la sentenza n. 60
  del   22 febbraio   1996   che   ha   comportato   la  declaratoria
  d'incostituzionalita'   dell'art. 270  c.p.m.p.  secondo  cui  "nei
  procedimenti  di  competenza  del giudice militare, l'azione civile
  per le restituzioni e per il risarcimento del danno non puo' essere
  proposta davanti ai tribunali militari".
    Attualmente,  e nonostante quest'ultimo intervento di caducazione
  costituzionale,  la  persona  offesa  e  danneggiata  dal reato nel
  processo   penale  militare  ha  ancora  un  trattamento  deteriore
  rispetto  alla  medesima persona offesa e danneggiata dal reato nel
  processo penale comune. Ed ancor piu' cio' rileva, come nel caso di
  specie,  ponendo  a raffronto le norme oggi impugnate con quelle di
  cui  agli  artt. 594  e  612  che  presuppongono la possibilita' di
  rimettere  all'offeso  la  scelta  di  adire  in giudizio, mediante
  l'esercizio  del diritto di querela. Esercizio di diritto che unico
  permette    di   usufruire   degli   ulteriori   spazi   consentiti
  dall'ordinamento financo quello di costituzione parte civile; anzi,
  atto  necessario  e  propedeutico alla costituzione di parte civile
  laddove,  come  nei delitti contro la persona, e' rimessa alla sola
  volonta' dell'offeso la punibilita' del reato.
    Di  fatto,  la  circostanza  che  il  legislatore  del 1941 per i
  delitti  di ingiuria e di minaccia semplice, commesso da militare a
  danno  di  altro  militare, non abbia introdotta come condizione di
  procedibilita'  l'istituto  della  querela  (quantomeno in aggiunta
  alla richiesta di procedimento del comandante di Corpo), cosi' come
  previsto  nel  1931 per i paralleli delitti di cui agli artt. 594 e
  612  c.p.,  pone seri problemi alla ragionevolezza ed equita' della
  sistematica normativa.
    Devesi,  infatti,  chiarire  che  di  fatto  ancora, e nonostante
  l'intervento   del   giudice  delle  leggi  di  cui  alla  sentenza
  n. 60/1996,  viene  impedito alla persona offesa dal reato militare
  di  partecipare  all'accertamento  del fatto storico che e' fonte e
  presupposto  del  suo  diritto  al  riconoscimento  dei  danni, non
  potendo  concorrere  ne', portare il suo contributo di conoscenza e
  di  prove  alla  formazione del convincimento del giudice in ordine
  alla  responsabilita'  dell'imputato.  E,  tutto  cio' perche', per
  quanto   attiene   al  delitto  che  ci  occupa,  difettando  quale
  condizione  di  procedibilita'  la querela, viene impedita in nuoce
  alla persona offesa l'estrinsecazione di quelle facolta' e diritti,
  quale la recente possibilita' introdotta anche per il rito militare
  di  costituirsi  parte civile, volte alla tutela della personalita'
  umana.
    Tutto  e'  ancora  piu'  irragionevole,  financo assurdo, poiche'
  introdotta  per  la  persona  offesa  nel  rito  penale militare la
  possibilita'  di  costituzione  di  parte  civile ex artt. 78 e ss.
  c.p.p.  e'  impedito di fatto tale esercizio laddove, come nel caso
  che ci occupa, e sempre in ambito di delitti contro la persona, non
  e' previsto il diritto di querela e diversamente dal corrispondente
  delitto  comune. Con le ovvie conseguenze per cui, come nel caso di
  specie,  che  il  militare  che  ha  denunciato  e  querelato altro
  militare per ingiuria e minaccia semplice, non puo' successivamente
  costituirsi parte civile (possibilita' riconosciutagli a seguito di
  intervento  della  Consulta),  e  laddove,  per fatto accidentale e
  comunque  non  rimesso  alla  sua volonta' il comandante di Corpo,
  unico  depositario  dell'unica  condizione di procedibilita', abbia
  scelto di mantenere "segretato" l'illecito in ambito di caserma ed,
  anzi,  non  lo abbia per niente segnalato all'autorita' giudiziaria
  militare.
    Lo  stesso  organo  di autogoverno della magistratura militare in
  una  recente  delibera  del  21 luglio  1999  (con cui invitava per
  l'ennesima volta i Ministri responsabili ad una legislazione penale
  militare adeguata ai tempi) ha asserito che "una tale previsione di
  indifferenza  per  la  volonta' della persona offesa in ordine alla
  punibilita' dei reati contro la persona commessi in ambito militare
  appare  in  contrasto, oltre che con i principi costituzionali, con
  l'attuale  tendenza  della  legislazione ordinaria di accentuare il
  ruolo  della  stessa persona offesa... Alla luce delle affermazioni
  della  Corte  appare paradossale che il militare (persona offesa di
  reato   contro   l'incolumita'  individuale,  la  liberta'  morale,
  l'onore)   al   quale   dopo  l'inizio  della  azione  penale  sono
  riconosciuti  diritti  incisivi, corrispondenti a quelli del comune
  cittadino,  non  abbia  la  possibilita' di determinare l'esercizio
  della azione penale per tali reati, ma sia al riguardo esposto alla
  insindacabile  decisione  del  comandante  di  Corpo, relativa alla
  proposizione della richiesta di procedimento".
    Inoltre,  una irragionevole disparita' di trattamento esiste solo
  anche  se  si  ponga  mente,  come  gia'  detto, alla disciplina di
  diritto  comune  che esprime un principio del tutto opposto in base
  al   quale   il  danneggiato  dal  reato  puo'  determinare,  senza
  rimessione  ad  altri, l'esercizio dell'azione penale per le stesse
  fattispecie  di  reati  contro  la  persona  a tutela di beni quali
  l'incolumita' individuale e la liberta' morale e l'onore.
    Del  resto, non esistono ragioni per cui altri interessi o valori
  debbano  considerarsi  preminenti  rispetto  ai beni e valori quali
  quelli che sono tutelati dalla previsione dei delitti di ingiuria e
  minaccia.   Si  deve  rilevare,  poi,  che  la  salvaguardia  della
  posizione  del  danneggiato costituisce uno specifico obiettivo del
  nuovo  codice  di procedura penale (che integralmente si applica al
  rito  militare  senza  alcuna  eccezione), previsto dal legislatore
  nella legge di delega 16 febbraio 1987 n. 81.
    In  conclusione,  la  denunciata  preclusione per il militare che
  abbia  denunciato  e  querelato  altro  militare  di  ingiuria e di
  minaccia  di  poter  determinare  l'esercizio  della  azione penale
  comprime  illegittimamente  il  diritto del danneggiato di agire in
  giudizio a tutela delle proprie ragioni.
    Le   questioni  prospettate  sembrano  tutte  non  manifestamente
  infondate   ed   anche  rilevanti  giacche',  in  applicazione  del
  combinato  disposto  degli  artt. 226  e  229  c.p.m.p. si dovrebbe
  emettere  decreto di archiviazione esclusivamente per difetto della
  condizione   di   procedibilita'   costituita  dalla  richiesta  di
  procedimento del comandante di Corpo, ed anche se la persona offesa
  ha presentato querela.
                              P. Q. M.
    Visto  1'  art. 23,  legge  11 marzo  1953,  n. 87,  ritenute  le
  questioni esaminate rilevanti e non manifestamente infondate;
    Solleva  per violazione degli artt. 3, 24, 52, terzo comma, della
  Costituzione,  questione di costituzionalita' degli artt. 226 e 229
  c.p.m.p.  in  relazione all'art. 260 c.p.m.p. laddove non prevedono
  che  i  suddetti  reati  siano puniti anche a querela della persona
  offesa dai medesimi;
    Dispone   l'immediata   trasmissione   degli   atti   alla  Corte
  costituzionale;
    Sospende  il processo fino all'esito del giudizio di legittimita'
  costituzionale;
    Ordina  che  la  presente  ordinanza sia notificata, a cura della
  cancelleria,  alle  parti,  alla  persona offesa, al Presidente del
  Consiglio dei Ministri, e comunicata al Presidente del Senato della
  Repubblica ed al Presidente della Camera dei deputati.
        Cosi' deciso in Torino, addi' 19 luglio 2000.
           Il giudice per le indagini preliminari: Roberti
00C1278