N. 721 ORDINANZA (Atto di promovimento) 14 giugno 2000

Ordinanza  emessa il 14 giugno 2000 dal tribunale di Nocera Inferiore
nel procedimento penale a carico di Sicignano Emilio ed altri

Processo  penale - Dibattimento - Acquisizione delle prove - Esame di
persona  imputata  in procedimento connesso che abbia reso, nel corso
delle   indagini   preliminari,  dichiarazioni  su  fatti  implicanti
responsabilita' di altri Prevista facolta' di non rispondere - Omessa
previsione  di  sanzioni  penali  nel  caso  di  rifiuto dell'esame -
Irragionevolezza  -  Disparita' di trattamento tra imputati - Lesione
del principio del contraddittorio nella formazione della prova.
- Cod. proc. pen., art. 210.
- Costituzione, artt. 3 e 111.
(GU n.48 del 22-11-2000 )
                            IL TRIBUNALE

    Letti gli atti del procedimento n. 294/1999 r. trib., a carico di
  Sicignano Emilio + 11;
    Premesso:
        che  il processo e' pervenuto alla fase conclusiva ed avrebbe
  dovuto essere deciso in data odierna;
        che  all'udienza  del  7 aprile  2000,  sono state acquisite,
  senza  il  preventivo consenso dei difensori, le dichiarazioni rese
  nella  fase  investigativa  dalle  sorelle  Anna  e  Maria  Rosaria
  Orlandese,  imputate  in procedimento connesso e gia' giudicate con
  rito abbreviato;
        che  l'acquisizione  e'  avvenuta attraverso il sistema delle
  contestazioni  previsto dall'art. 513 c.p.p., come modificato dalla
  sentenza  della  Corte  cost.  n. 361/1998,  avendo  le interessate
  rifiutato di sottoporsi all'esame;
        che   la  procedura  seguita  dal  tribunale  deve  ritenersi
  erronea,  alla  luce  delle disposizioni introdotte con legge n. 35
  del  25 febbraio  2000, che ha convertito con modificazioni il d.l.
  n. 2    del    7 gennaio   2000,   attuativo   dell'art. 2,   legge
  Costituzionale 23 novembre 1999, n. 2;
        che,  infatti  la  norma,  per  i processi in corso alla data
  della   sua   entrata   in  vigore  (1o marzo  2000),  consente  la
  valutazione  delle  dichiarazioni  di chi si e' sottratto all'esame
  dell'imputato  o  del  suo  difensore  solo  "se  gia' acquisite al
  fascicolo del dibattimento";
        che,  dunque, un'acquisizione, come nella specie, successiva,
  ove non giustificata da condotte illecite attuate nei confronti del
  dichiarante   (comma   3   della   norma  predetta),  dal  consenso
  dell'imputato  o  da  sopravvenuta impossibilita' oggettiva (quinto
  comma, art. 111 Cost.), e' ora da considerarsi preclusa;
        che  dall'istruttoria dibattimentale espletata e' emerso come
  le    dichiarazioni   illegittimamente   acquisite   -   e   dunque
  inutilizzabili  -  siano  in  realta'  centrali nell'economia della
  decisione  che  il  tribunale  e'  chiamato  a  prendere, avendo le
  dichiaranti   complessivamente   ricostruito  l'attivita'  illecita
  oggetto del procedimento ed i rapporti tra gli imputati;
        che,  infatti,  proprio  sulla  base delle dichiarazioni rese
  nella  fase investigativa dalle sorelle Orlandese, e' stata emessa,
  nei  confronti  di  alcuni degli imputati, un'ordinanza di custodia
  cautelare in carcere tuttora in corso di esecuzione;
        che,   tuttavia,   il   tribunale,   pur   consapevole  della
  inutilizzabilita'  delle  dichiarazioni  in questione, dubita della
  legittimita'  costituzionale  dell'art. 210  c.p.p., nella parte in
  cui  garantisce il diritto al silenzio all'imputato in procedimento
  connesso che abbia gia' reso dichiarazioni erga alios;

                            O s s e r v a

    La  questione  che  il  tribunale  intende sollevare d'ufficio e'
  innanzitutto  rilevante  nell'ambito del presente processo; poiche'
  non  e'  lecito  presumere,  da parte delle dichiaranti, una scelta
  processuale  contra  ius,  occorre  ritenere  che,  ove mai il loro
  silenzio  non  fosse stato tutelato, ma anzi penalmente sanzionato,
  come avviene per i testimoni, esse non avrebbero rifiutato l'esame.
    Per  altro  verso,  la  questione  e'  anche  non  manifestamente
  infondata.
    L'art. 111  Cost., come novellato, ha travolto la possibilita' di
  recuperare  al  patrimonio  di  conoscenze processuali, mediante il
  meccanismo  delle contestazioni come ampliato dalla citata sentenza
  della  Corte  costituzionale,  le  dichiarazioni  rese  nella  fase
  investigativa di chi abbia poi rifiutato l'esame al dibattimento.
    Fissando  il principio secondo cui la "colpevolezza dell'imputato
  non puo' essere provata sulla base di dichiarazioni rese da chi per
  libera    scelta    si    e'   sempre   volontariamente   sottratto
  all'interrogatorio  da parte dell'imputato o del suo difensore", la
  norma  costituzionale  ha  reso  non  solo  illegittima,  ma  anche
  inutile,  in quanto inutilizzabile, qualsiasi acquisizione avvenuta
  in violazione del principio medesimo.
    In  linea  generale  sono  evidenti  i valori a cui la novella si
  ispira:  sembra  al  tribunale  che  la  tutela  costituzionale sia
  rivolta  non  tanto, o non soltanto, all'inviolabilita' del diritto
  di  difesa, gia' espressamente garantito dall'art. 24 Cost., quanto
  piuttosto alla salvaguardia di un metodo.
    Premesso  infatti  che non puo' ritenersi modificato il principio
  generale   secondo   il  quale  il  processo  penale  deve  tendere
  all'accertamento   della   verita'  materiale  (v.  sentenze  Corte
  costituzionale  nn. 254  e 255 del 1992), la novella costituzionale
  impone   il  metodo  dialettico  come  strumento  di  elezione  nel
  perseguimento  di  quel  fine, rendendo esplicita la scelta secondo
  cui il contraddittorio tra le parti e' da considerarsi come il solo
  metodo probatorio idoneo ad eruendarm veritatem.
    Se cosi' e', peraltro, non sono compatibili con la scelta operata
  regole    che   limitino   la   pienezza   e   l'effettivita'   del
  contraddittorio,  laddove si tratti di limitazioni non giustificate
  da  principi  a loro volta di rango costituzionale; in particolare,
  non  ha  alcuna  ragionevole  legittimazione il diritto al silenzio
  dell'imputato   in   procedimento  connesso  che  abbia  gia'  reso
  dichiarazioni   in  rapporto  alle  posizioni  processuali  altrui,
  proprio  in quanto suscettivo di impedire la formazione della prova
  in  modo  dialettico  e non giustificato da principi di pari valore
  costituzionale.
    E'   pur   vero  che  l'obiettivo  cui  tende  l'art. 210  c.p.p.
  nell'attuale  formulazione  si  identifica  nel  diritto  di difesa
  dell'imputato   in   procedimento  connesso,  che  potrebbe  essere
  pregiudicato  anche  dall'obbligo  di  deporre su posizioni altrui,
  quando inscindibilmente connesse con quella del dichiarante.
    Tuttavia,  il  fatto  che l'art. 513, comma 1, c.p.p., tuttora in
  vigore  e  non  in  contrasto  con  l'art. 111  Cost.,  consenta di
  acquisire   ed   utilizzare  in  dibattimento  dichiarazioni  anche
  autoaccusatorie   rese   dall'imputato  nella  fase  investigativa,
  dimostra  che  il diritto di difesa non si estende fino al punto da
  impedire  la  valutazione  delle  dichiarazioni  provenienti da chi
  abbia volontariamente scelto di non avvalersi della facolta' di non
  rispondere nella fase investigativa.
    In  un  sistema processuale cosi' strutturato, non puo' ritenersi
  legittima  ne'  ragionevole la indiscriminata tutela del diritto al
  silenzio  di colui che, avendo gia' reso dichiarazioni nel processo
  che lo riguarda, ha anche subito, grazie al meccanismo previsto dal
  richiamato  art. 513,  una  compressione  del  proprio  diritto  di
  difesa,  diritto che non puo' essere dunque invocato per garantirne
  il silenzio nel procedimento connesso.
    In  definitiva,  sembra dunque al tribunale che l'art. 210 c.p.p,
  sia in contrasto con l'art 111 e con l'art. 3 Cost., nella parte in
  cui garantisce il diritto al silenzio dell'imputato in procedimento
  connesso  che  abbia  gia'  reso  dichiarazioni  nella  fase  delle
  indagini,  e  non  prevede  che  il rifiuto dell'esame, quanto alle
  dichiarazioni  eteroaccusatorie, sia penalmente sanzionato, al pari
  del rifiuto opposto dal testimone.
                              P. Q. M.
        Visto  l'art. 23,  legge n. 87/1953, dichiara rilevante e non
  manifestamente    infondata    la    questione    di   legittimita'
  costituzionale   dell'art. 210   c.p.p.,   nei   sensi  di  cui  in
  motivazione, per violazione degli artt. 111 e 3 Cost.
        Sospende  di  conseguenza  il giudizio ed ordina trasmettersi
  gli atti alla Corte costituzionale.
        Dispone  che, a cura della cancelleria, la presente ordinanza
  sia   notificata   al  Presidente  del  Consiglio  dei  Ministri  e
  comunicata ai Presidenti dei due rami del Parlamento.
    Nocera Inferiore, addi' 14 giugno 2000
                   Il Presidente: Del Luca Musella
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