N. 742 ORDINANZA (Atto di promovimento) 14 settembre 2000
Ordinanza emessa il 14 settembre 2000 da giudice istruttore presso il tribunale di Velletri nel procedimento civile vertente tra Colarossi Nicolina ed altri e curatela del fallimento Edilmaria S.r.l. Fallimento - Opposizione allo stato passivo da parte dei creditori esclusi o ammessi con riserva - Devoluzione al giudice delegato al fallimento del potere funzionale di istruire la causa e, indirettamente, di partecipare alla decisione - Ingiustificata disparita' di trattamento in danno dei creditori opponenti - Lesione del diritto di difesa dei medesimi - Contrasto con la soggezione dei giudici solo alla legge, nonche' con l'autonomia e indipendenza della funzione giurisdizionale - Violazione del principio di terzieta' e imparzialita' del giudice - Richiamo alla sent. n. 387/1999 della Corte costituzionale. - R.d. 16 marzo 1942, n. 267, artt. 98 e 99. - Costituzione, artt. 3, 24, 101 e 104; legge costituzionale 23 novembre 1999, n. 2, art. 1, comma 2 (recte: art. 1, nella parte in cui modifica l'art. 111, comma secondo, Cost.).(GU n.49 del 29-11-2000 )
IL TRIBUNALE Sciogliendo la riserva assunta all'udienza del 14 aprile 2000; letti gli atti; Ritenuto in fatto Che con sentenza del 29 maggio 1997 questo tribunale dichiarava il fallimento della Edilmaria S.r.l., nominato questo giudice delegato alla procedura; Che lo stato passivo del fallimento era formato, depositato e reso esecutivo da questo giudice-persona fisica, nella predetta qualita'; Che con ricorso ex art. 98 legge fallimentare depositato il 10 aprile 1999 Colarossi Nicolina, Spirito Benedetto e Spirito Franco proponevano opposizione, dolendosi della mancata ammissione del credito da essi tempestivamente fatto valere, e disatteso, pari: a) a L. 190.000.000 quale somma dei corrispettivi di n. 2 atti di vendita immobiliare posti in essere a favore della societa' poi fallita il 18 settembre 1990 ed il 10 dicembre 1992, della quale era dedotto il mancato percepimento malgrado le contrarie dichiarazioni contenute nelle rispettive scritture di vendita (di averli gia' riscossi all'atto della stipula); b) a L. 1.303.795.100 che deducevano aver versato all'amministratore della societa' poi fallita, perche' fossero in essa conferita quale finanziamento soci in conto capitale, e che erano state invece personalmente incamerate dal Franceschini; c) L. 375.000.000, che deducevano di aver detenuto in libretti bancari vincolati sui quali, a richiesta del medesimo amministratore, avevano costituito un pegno a garanzia di debiti della societa', che era poi stato escusso dai creditori; Che la curatela del fallimento Edil Maria S.r.l., su autorizzazione di questo medesimo giudice-persona fisica nella medesima qualita' di cui sopra, si e' costituita in giudizio resistendo all'avversa pretesa; Che la causa e' stata assunta a riserva per le deliberazioni sulle richieste istruttorie, che si compendiano in una richiesta di prova testimoniale avanzata dagli opponenti, ed intesa a dimostrare per tal mezzo i fatti come sopra descritti; Ritenuto in diritto Che la Corte costituzionale, con sentenza n. 387 del 15 ottobre 1999, ha dichiarato non fondata, ma nei sensi di cui in motivazione, la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 51, n. 4, secondo comma, c.p.c., nella parte in cui non prevede incompatibilita' tra le funzioni del giudice che pronuncia decreto di repressione della condotta antisindacale ex art. 28, legge n. 300/1970, e quelle del giudice dell'opposizione a tale decreto; Che in particolare, il Giudice delle leggi, premesso che: il principio di imparzialita-terzieta' della giurisdizione ha pieno valore costituzionale in ogni tipo di processo; che questo non significa che detto valore debba essere preservato allo stesso modo in ogni tipo di processo, e che quindi possano estendersi al giudizio civile le regole costituzionali in materia di c.d. "prevenzione" formulate dalla stessa Corte in materia di processo penale "dovendosi ancora una volta ribadire la netta distinzione fra processo civile e processo penale: per la diversa posizione e i differenti poteri di impulso delle parti"; che "le (peraltro) insopprimibili esigenze di imparzialita' del giudice sono risolvibili nel processo civile - per le sue caratteristiche - attraverso gli istituti dell'astensione e della ricusazione ..."; che peraltro "sul piano generale, presupposto imprescindibile, rispetto ad ogni tipo di processo, e' (solo) quello di evitare che lo stesso giudice, nel decidere, abbia a ripercorrere l'identico itinerario logico precedentemente seguito; sicche', condizione necessaria per dover ritenere un'incompatibilita' endoprocessuale e' la preesistenza di valutazioni che cadano sulla stessa reiudicanda"; che "nel processo civile, la previsione contenuta nell'art. 51, n. 4, c.p.c., secondo la quale il giudice ha l'obbligo di astenersi se ha conosciuto (della causa) come magistrato in altro grado del processo, trova fondamento nell'esigenza stessa di garanzia che sta alla base del concetto di revisio prioris istantiae, che postula l'alterita' del giudice dell'impugnazione"; che "la fattispecie (di cui all'art. 28 s.d.-l.) rientrava all'evidenza nell'ambito della previsione dell'art. 51, n. 4, c.p.c., avuto riguardo anche alla considerazione che il provvedimento ... aveva una funzione decisoria idonea di per se' a realizzare un assetto dei rapporti tra le parti, non meramente incidentale o strumentale e provvisorio ovvero interinale (fino alla decisione di merito), ma anzi suscettibile, in caso di mancata opposizione, di assumere valore di pronuncia definitiva, con effetti di giudicato tra le parti"; Che "Tale espressione (magistrato in altro grado del processo), deve, infatti, intendersi alla luce dei principi che si ricavano dalla Costituzione relativi al giusti processo, come espressione necessaria del diritto ad una tutela giurisdizionale mediante azione (art. 24 Cost.), avanti ad un giudice con le garanzie proprie della giurisdizione, cioe' con la connaturale imparzialita', senza la quale non avrebbe significato ne' la soggezione dei giudici solo alla legge (art. 101 Cost.), ne' la stessa autonomia della magistratura (art. 104, primo comma, Cost."; Che "in altri termini, l'espressione "altro grado , non puo' avere un ambito ristretto al solo diverso grado del processo, secondo l'ordine degli uffici giudiziari, come previsto dall'ordinamento giudiziario, ma deve ricomprendere - con un'interpretazione conforme alla Costituzione - anche la fase che, in un processo civile, si succede con carattere di autonomia, avente contenuto impugnatorio, caratterizzata (per la peculiarita' del giudizio di opposizione di cui si discute) da pronuncia che attiene al medesimo oggetto e alla stesse valutazioni decisorie sul merito dell'azione proposta nella prima fase, ancorche' avanti allo stesso organo giudiziario"; Ritenuto che, come immediatamente rilevato dalla dottrina, tali principi si attagliano fedelmente ai rapporti tra decreto di approvazione ed esecutivita' dello stato passivo nel fallimento e giudizio di opposizione allo stesso ex art. 98, legge fallimentare, atteso che: a) e' opinione comune e condivisa dal giudicante che il decreto di cui all'art. 97, legge fallimentare, ha natura giurisdizionale e contenuto decisorio riguardo all'esistenza del credito, alla sua opponibilita' alla massa dei creditori nel fallimento ed alla sua collocazione agli effetti del concorso, tanto che, in caso di mancata opposizione, gli si riconosce, in detti limiti (c.d. infrafallimentari) efficacia del giudicato formale e sostanziale (ex pluris, Cass. nn. 9220/1995, 404/1993, 3903/1988): esso non ha dunque valore provvisorio, ne' strumentale, ne' interinale, ne' cautelare; b) e' del pari opinione comune e da questo giudice condivisa che il giudizio di opposizione di cui all'art. 98, legge fallimentare, oltre ad essere meramente eventuale, ha natura impugnatoria (Cass. n. 845/1993), ed il suo oggetto coincide, nei limiti del devolutum (come in tutti i giudizi impugnatori tra i quali, per primo, l'appello), con quello individuato dalla domanda di insinuazione al passivo; c) nella specie, ed in concreto, questo giudice e' chiamato, quale giudice istruttore, non solo ad istruire personalmente la causa, ma a partecipare alla decisione della stessa in modo virtualmente attributivo in suo favore della posizione di relatore, malgrado il giudizio in questione lo chiami a riesaminare valutazioni gia' compiute sulla stessa reiudicanda nel merito, come risulta dalla motivazione della reiezione riportata dal curatore nella comunicazione di deposito dello stato passivo, nella quale si nega l'esistenza, in capo alla societa', dei debiti rivendicati dagli odierni opponenti; Ritenuto che, come e' comune opinione, le sentenze interpretative di rigetto additano, seppur indirettamente, di illegittimita' costituzionale l'interpretazione della norma censurata offerta dal giudice remittente; e che quindi non sia piu' possibile oggi interpretare l'art. 51, n. 4, c.p.c., nel senso che l'incompatibilita' da esso prevista investa solo i rapporti tra diversi gradi orinamental-funzionali del giudizio; Ritenuto che, per converso, e come e' di comune opinione, l'interpretazione costituzionalmente conforme indicata dal giudice delle leggi non vincola il giudice del merito; ma che pur tuttavia non si vede come la disposizione in questione possa essere altrimenti interpretata, se non nel senso che il giudice che abbia partecipato ad una fase decisoria del giudizio, non possa partecipare a successiva fase decisoria dello stesso giudizio, che rivesta, rispetto alla prima, carattere eventuale ed impugnatorio; vieppiu' quando egli sia chiamato a ripensare, nell'ambito della medesima reiudicanda, valutazioni gia' esperite nella precedente fase del giudizio; Ritenuto, quindi, che questo giudice dovrebbe, in linea di massima, chiedere di essere autorizzato ad astenersi; Ritenuto, tuttavia, che cio' non sia possibile nel caso di specie, perche' e' qui la stessa legge che, per un caso speciale ma astratto (artt. 98 e 99 L.fall.) indica proprio nel giudice delegato al fallimento (nominato nella sentenza dichiarativa di fallimento ai sensi dell'art. 16, comma 2, n. 1 l. fall. e come tale funzionalmente destinato a formare e rendere esecutivo lo stato passivo del fallimento ai sensi degli artt. 95 e segg. l. fall.) il giudice funzionalmente destinato a ricevere il ricorso in opposizione, ad istruirlo, ed anche a partecipare alla sua decisione (art. 25 n. 1 l. fall.) in posizione di relatore; Ritenuto, pertanto, che alla stregua dei principi da ultimo enunciati dalla stessa Corte costituzionale, gli artt. 98 e 99 l. fall, non possano sottrarsi, nella parte in cui devolvono funzionalmente al giudice delegato al fallimento il potere-dovere di ricevere ed istruire (nonche' di concorrere a decidere) le opposizioni allo stato passivo del fallimento ex art. 98 l. fall., a rinnovati dubbi di legittimita' costituzionale con riferimento agli artt.: 3 della Costituzione, per l'ingiustificata disparita' di trattamento che si determina, in un caso che si ritiene ricadente nella previsione di cui all'art. 51, n. 4, c.p.c., tra gli opponenti allo stato passivo, che si trovano a dover coltivare le proprie pretese civili, in un giudizio funzionalmente retto, nel suo svolgimento (salve alcune particolarita' indifferenti alla questione dell'imparzialita' e terzieta' del giudice), dal normale rito contenzioso ordinario, di fronte ad un giudice che tali pretese ha gia' disattese in un provvedimento giurisdizionale di natura decisoria ed idoneo alla regiudicata; e la generalita' dei consociati, che quello stesso giudice avrebbero diritto a ricusare, o a vedere astenersi; 24 della Costituzione, perche' la necessita' legale che il giudizio si svolga dinanzi ad un giudice privo delle garanzie oggettive di terzieta' ed imparzialita' gia' giudicate "imprescindibili" dal Giudice delle leggi (giudice che peraltro dirige l'attivita' della controparte sostanziale: art. 25, comma 1, l. fall.; l'autorizza a stare in giudizio: art. 25, comma 6; e sorveglia l'attivita' del suo difensore: art. 25 n. 7) menoma il diritto di difesa dell'opponente; 101, della Costituzione, perche' la menomata condizione di terzieta-imparzialita' del giudice, che abbia gia' conosciuto, nei piu' volte segnalati termini, della stessa causa ancora a lui devoluta, incrina, sottoponendolo alle sue gia' compiute valutazioni decisorie sulla medesima regiudicanda, la sua soggezione alla sola legge; 104, comma 1, della Costituzione, perche' la sovraesposta condizione normativa incrina l'autonomia e l'indipendenza della finzione giurisdizionale; art. 2 della legge costituzionale 23 novembre 1999, n. 2, che afferma ormai espressamente il valore e la rilevanza costituzionale "in ogni processo" (e quindi anche in quello civile ed in quello fallimentare) del principio della terzieta' ed imparzialita' del giudice; Rappresentato che e' noto che la questione che oggi viene riproposta all'esame del Giudice delle leggi, o questioni ad essa analoghe, sono state ripetutamente gia' disattese dalla Corte, anche di recente (sent. 18 novembre 1970 n.158; sent. 29 aprile 1975 n.94; ord. 18 luglio 1998 n. 304); Ritenuto, peraltro, che dall'ultima pronuncia, il valore costituzionale della terzieta' ed imparzialita' del giudice abbia ricevuto promozione ed ulteriore valorizzazione sia dal Legislatore costituzionale (che significativamente ha ritenuto di enunciarlo espressamente novellando l'art. 111 della Costituzione, malgrado il principio fosse gia' acquisito nella "costituzione vivente" e nella stessa giurisprudenza della Corte costituzionale); sia dalla citata sentenza n. 387/1999, la quale, a ben vedere, nell'escludere la conformita' al canone costituzionale di una interpretazione restrittiva dell'art. 51, n. 4 c.p.c. (mirante a limitare l'incompatibilita' del giudice dell'impugnazione ai soli rapporti tra gradi ordinamentali del giudizio), appare aver introdotto, nel quadro di una mutata ed accresciuta sensibilita' rispetto al valore costituzionale che qui si assume leso, un deciso superamento del primo argomento che fu portato dalla stessa Corte, nella sentenza n. 158/1970, (che ha indubbiamente svolto in materia la funzione di sentenza-stipite) che ebbe, infatti, in primo luogo ad affermare che l'art. 51, n. 4, c.p.c. non si applicava al caso del riesame della pronuncia pur decisoria resa in altra fase dello stesso grado del giudizio; Ritenuto che nella segnalata, incoraggiata ottica di una interpretazione piu' rigorosa del canone costituzionale, anche gli altri argomenti portati a difesa degli art. 98 e 99 l. fall. mostrino "il segno dei tempi", o comunque meritino una rinnovata meditazione; ed invero: a)la regola, che impregna di se' l'intero procedimento fallimentare, di concentrazione dei suoi "momenti", giurisdizionali e non, presso gli organi della procedura, non appare implicare imprescindibilmente (ne' a rischio della tenuta dell'intero impianto della legge fallimentare) che il giudizio di opposizione allo stato passivo debba essere "ricevuto", istruito e codeciso dal giudice delegato al fallimento, posto che il giudice della decisione sull'opposizione, ed in genere il "giudice del fallimento" e' il tribunale fallimentare in senso puramente funzionale, ordinamentale e logistico (e cioe' il tribunale-organo giurisdizionale che ha dichiarato il fallimento) sulla cui composizione in senso personale nulla, se si prescinde proprio dagli artt. 98 e 99 l. fall., e' prescritto dalla legge (salva la collegialita), e dei cui collegi, nei limiti delle disposizioni relative all'ordinamento interno, puo' far parte chiunque. Nel giudizio ex artt. 98 e segg. l. fall. il giudice delegato assume le vesti di un puro e semplice giudice istruttore individuato per legge invece che attraverso il normale meccanismo della designazione (art. 168-bis c.p.c.), che non si ha motivo di dubitare subentrerebbe automaticamente in caso di accoglimento della questione, a scongiurare lacune di sorta, e l'irrisolvibilita' della questione senza un intervento discrezionale del legislatore. b) nulla, ad avviso del giudicante, al di la' di discutibili suggestioni traibili proprio ed esclusivamente dall'attribuzione di competenza funzionale contestata, consente, negli articoli 98 e 99 L.Fall., di ritenere attribuiti al giudice delegato-istruttore poteri diversi da quelli spettanti a qualunque giudice istruttore in un giudizio civile contenzioso ordinario. Anche peraltro ad accedere alla tesi per cui la competenza funzionale attribuita al giudice delegato avrebbe la funzione di consentire l'esercizio di poteri inquisitori, la cui attivazione sarebbe favorita dalla conoscenza degli atti del fallimento che si presume versare in capo al medesimo, e che sarebbe opportuno esercitare per pervenire ad un accertamento "non falsato" circa il rapporto tra il creditore ed il fallito, non si vede come tale "opportunita'" (anch'essa destinata ad inquinare l'immagine di terzieta' ed imparzialita' del giudice) possa assumere rango costituzionale, e come tale essere portata, mediante un giudizio comparativo, a convalidazione di una disposizione che comunque fosse ritenuta in se' lesiva della Carta. Ne' per vero, si comprende il fondamento di tale presunta necessita', in un giudizio civile di parte a cognizione piena, nel quale v'e' gia' un soggetto (il curatore) legittimato e capace di rappresentare in giudizio i diritti e gli interessi della Massa, munito dei diritti processuali corrispondenti al massimo livello di tutela contemplato al riguardo dall'ordinamento, che opera comunque per legge sotto la vigilanza del giudice delegato, che lo autorizza ad agire e resistere e sorveglia l'operato suo e del suo difensore, e che comunque e' un pubblico ufficiale, un soggetto qualificato ed un fiduciario dell'ufficio, la cui limitata autonomia processuale non sembra, anche se non assistita inquisitoriamente dal giudice, poter rappresentare un pericolo qualificato di falsificazione degli accertamenti giurisdizionali in materia; c) ancora, nella prospettiva generale gia' individuata, non appare idoneo a destituire di fondamento la questione il rilievo che il giudice delegato, come istruttore, si limiterebbe a raccogliere ad uso del collegio (la cui composizione collegiale farebbe comunque salva l'imparzialita' della decisione finale) il materiale probatorio necessario, e a dirigere e a dare impulso al procedimento. La necessita' costituzionale qui implicata e' infatti in via generale assolta dagli artt. 51, n. 4, e 178, disp. att. c.p.c., mediante la previsione di un obbligo di astensione immediato, e non limitato alla fase decisoria. L'attivita' istruttoria, d'altronde, si esplica essa stessa mediante l'assunzione di "decisioni" (in senso ampio) aventi natura giurisdizionale, che pur ampiamente (ma non totalitariamente: si pensi a mero titolo di esempio alle ordinanze di cui agli artt. 270, secondo comma, 295, 307, ultimo comma, c.p.c.) soggette al sindacato del Collegio, non sono punto irrilevanti nell'economia della decisione della causa, e non paiono poter essere degradate al livello di una sorta di attivita' materiale; d) non appare, infine, confutabile che il potere-dovere del giudice delegato-istruttore di "staccarsi" moralmente ed intellettualmente dagli atteggiamenti e dalle decisioni assunte in sede di verifica del passivo non possa valere, di per se', a destituire di fondamento la questione: tale dovere vale sempre per il giudice. Cio' nulla sembra poter togliere al rilievo che spetta alla legge garantire l'indipendenza della funzione giurisdizionale, mettendo il giudice nella condizione di poter svolgere le proprie funzioni in modo da non dover subire, e da non potersi vedere oppone a fondamento delle pretese di una parte proprie medesime valutazioni decisorie nella medesima regiudicanda, e, soprattutto, di potersi presentare alle parti come giudice davvero terzo ed imparziale; Ritenuto che, per quanto precede, non e' manifestamente infondata la questione di legittimita' costituzionale degli artt. 98 e 99 della legge fallimentare, con riferimento agli artt. 3, 24, 101 e 104 della Costituzione, nonche' dell'art. 1, comma 2, della legge costituzionale n. 2, del 1999, nella parte in cui designano funzionalmente il giudice delegato a ricevere, ad istruire, ed a partecipare alla decisione dei giudizi di opposizione allo stato passivo, anche quando questo sia stato da lui stesso reso esecutivo (il che peraltro e' del tutto naturale); Ritenuto che la questione e' rilevante nel presente giudizio, perche', in caso di suo accoglimento, questo giudice non potrebbe continuare ad istruire il presente giudizio, ed in particolare pronunciare sulle richieste istruttorie delle parti; dovrebbe e potrebbe chiedere di astenersi per essere sostituito; Ritenuto, conseguenzialmente, che la sollevazione della questione e' pregiudiziale rispetto ad ogni altra istanza pendente;
P. Q. M. Visti gli artt. 134 della Costituzione e 23 della legge 11 marzo 1953 n. 87; Dichiara, d'ufficio, rilevante nel presente giudizio e non manifestamente infondata, in relazione agli artt. 3, 24, 101 e 104 della Costituzione, nonche' all'art. 1, comma 2, della legge costituzionale 23 novembre 1999, n. 2, la questione di legittimita' costituzionale degli artt. 98 e 99 del r.d. 16 marzo 1942, n. 267 (legge fallimentare) nella parte in cui designano il giudice delegato al fallimento a ricevere ed istruire i ricorsi previsti e disciplinati dalle medesime disposizioni, nonche', indirettamente, a partecipare alla loro decisione; Sospende il presente giudizio; Ordina la trasmissione degli atti alla Consulta; Manda alla cancelleria per la notificazione della presente ordinanza alle parti, al Presidente del Consiglio dei ministri, al Presidente del senato ed al Presidente della Camera dei deputati. Velletri, addi' 14 settembre 2000. Il giudice delegato-istruttore: Conte 00C1308