N. 529 ORDINANZA 15 - 22 novembre 2000

Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale.

Processo penale - Regressione del procedimento - Custodia cautelare -
Periodi  di  custodia  sofferti in fasi diverse - Computo dei termini
massimi  -  Lamentata, irragionevole, equiparazione di situazioni tra
loro  eterogenee  (in  particolare  tra le ipotesi di regressione del
procedimento  e  di  evasione  dell'imputato  )  nonche' incongruenza
sistematica  delle  norme  -  Erroneo  presupposto  interpretativo  -
Manifesta infondatezza della questione.
- Cod. proc. pen., art. 304, comma 6.
- Costituzione, art. 3.
(GU n.49 del 29-11-2000 )
                       LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
  Presidente: Francesco GUIZZI;
  Giudici:   Fernando  SANTOSUOSSO,  Massimo  VARI,  Cesare  RUPERTO,
Riccardo   CHIEPPA,   Gustavo   ZAGREBELSKY,   Valerio  ONIDA,  Carlo
MEZZANOTTE,  Fernanda  CONTRI,  Guido  NEPPI  MODONA,  Piero  Alberto
CAPOTOSTI, Annibale MARINI, Franco BILE, Giovanni Maria FLICK;
ha pronunciato la seguente


                              Ordinanza

nel  giudizio  di legittimita' costituzionale dell'art. 304, comma 6,
del  codice  di  procedura  penale,  promosso con ordinanza emessa il
23 febbraio  2000  dal  giudice per le indagini preliminari presso il
tribunale  di  Reggio  Calabria,  iscritta  al  n. 298  del  registro
ordinanze 2000 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica
n. 23, prima serie speciale, dell'anno 2000.
    Visto  l'atto  di  intervento  del  Presidente  del Consiglio dei
ministri;
    Udito  nella camera di consiglio del 27 settembre 2000 il giudice
relatore Carlo Mezzanotte.
    Ritenuto  che  il  giudice  per le indagini preliminari presso il
tribunale di Reggio Calabria, con ordinanza in data 23 febbraio 2000,
ha sollevato, in riferimento all'art. 3 della Costituzione, questione
di  legittimita' costituzionale dell'art. 304, comma 6, del codice di
procedura  penale,  "nella  parte  in  cui  prevede che il limite del
doppio  dei  termini  previsti  dall'art. 303,  comma  1,  cod. proc.
pen. sia   parimenti   applicabile   all'ipotesi   di   regresso  del
procedimento di cui all'art. 303, comma 2, cod. proc. pen., oltre che
all'ipotesi  di  evasione dell'interessato di cui all'art. 303, comma
3,  cod.  proc.  pen., con conseguente irragionevole equiparazione di
situazioni tra loro sostanzialmente eterogenee";
        che  il remittente riferisce che l'imputato nei confronti del
quale   si   procede,  catturato  dopo  un  periodo  di  latitanza  e
successivamente  all'emissione  del  decreto di citazione a giudizio,
aveva subito condanna in primo grado con sentenza poi annullata dalla
Corte  d'assise d'appello di Reggio Calabria per nullita' del decreto
che  ne  aveva  disposto  il  giudizio,  sicche'  il procedimento era
regredito alla fase delle indagini preliminari;
        che  nell'ordinanza  di  rimessione  si precisa che la difesa
dell'imputato  ha  dedotto  il  superamento  del  doppio  del termine
massimo  di  fase  previsto  per  le indagini preliminari, computando
l'intero  periodo  di  custodia cautelare dal momento della cattura a
quello della sentenza d'appello;
        che  il  giudice  a  quo  assume  che il limite finale di cui
all'art. 304, comma 6, cod. proc. pen., pari al doppio dei termini di
custodia cautelare previsti dall'art. 303, commi 1, 2 e 3, cod. proc.
pen.,  debba  essere calcolato tenendo conto soltanto dei segmenti di
custodia  cautelare  "omogenei",  relativi  cioe' alla medesima fase,
senza  computare  quelli  relativi  a  fasi  diverse  e  anteriori al
provvedimento che ha determinato la regressione del procedimento;
        che  su queste premesse il trattamento riservato all'imputato
in  caso  di  regressione  del  procedimento (art. 303, comma 2, cod.
proc.  pen.)  appare  al  remittente  irragionevolmente  equiparato a
quello  dell'evaso  (art. 303,  comma 3, cod. proc. pen.), in quanto,
mentre  il  primo  soggiace sine culpa all'evento ripristinatorio del
corso dei termini, il secondo vi ha dato illecitamente causa;
        che,  in  particolare,  l'equiparazione  delle due situazioni
(regressione   del   procedimento   ed   evasione),   ai  fini  della
operativita'  del  limite  massimo di cui all'art. 304, comma 6, cod.
proc. pen., sarebbe in contrasto con l'art. 3 della Costituzione, che
impone  trattamenti  identici  per  situazioni  omogenee e discipline
ragionevolmente differenziate per situazioni diverse;
        che,  secondo  il  giudice  a  quo  la disposizione censurata
violerebbe  l'art. 3  della  Costituzione  anche  per "l'incongruenza
sistematica"    e   "l'irrazionalita'   complessiva   dell'istituto",
derivanti  dal  fatto  che "il doppio del termine massimo di una fase
non  puo'  mai  verificarsi  prima del compimento del termine massimo
semplice",  sicche'  la  estensione della regola di cui all'art. 304,
comma  6,  cod.  proc. pen. ai casi di cui all'art. 303, commi 2 e 3,
dello  stesso  codice potrebbe operare soltanto "nelle ipotesi in cui
si siano verificate piu' regressioni del procedimento o piu' evasioni
e  conseguenti  catture,  ovvero  un  regresso  od  una evasione, con
successiva cattura, indefettibilmente contrappuntati pero' da vicende
di sospensione del decorso dei termini massimi di custodia cautelare,
a norma dell'art. 304 cod. proc. pen";
        che  in  giudizio  e' intervenuto il Presidente del Consiglio
dei  ministri,  rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello
Stato,  e  ha chiesto che la questione sia dichiarata inammissibile e
comunque infondata.
    Considerato  che il giudice per le indagini preliminari presso il
tribunale   di   Reggio   Calabria,   nel   promuovere  questione  di
legittimita'   costituzionale,   in   riferimento  all'art.  3  della
Costituzione, dell'art. 304, comma 6, del codice di procedura penale,
muove  dal  presupposto interpretativo che questa disposizione, nella
parte  in  cui  prevede  che la custodia cautelare non possa comunque
superare  il  doppio dei termini di cui all'art. 303, commi 1, 2 e 3,
cod.  proc.  pen., si riferisca esclusivamente ai periodi di custodia
cautelare tra loro omogenei, relativi cioe' ad una stessa fase, e non
debbano  percio'  essere  calcolati,  ai  fini del raggiungimento del
termine  massimo,  periodi  di  custodia  cautelare  sofferti in fasi
diverse;
        che,  posta questa interpretazione, la disposizione censurata
gli appare in contrasto con l'art. 3 della Costituzione, poiche', nel
prevedere   che   il   limite   del   doppio   dei  termini  previsti
dall'art. 303,  comma  1,  cod.  proc. pen. sia parimenti applicabile
nell'ipotesi  di regresso del procedimento di cui all'art. 303, comma
2, cod. proc. pen. e in quella di evasione di cui all'art. 303, comma
3, cod. proc. pen., determinerebbe una irragionevole equiparazione di
situazioni tra loro sostanzialmente eterogenee, in quanto nel caso di
regressione   del   procedimento   l'imputato   soggiace  sine  culpa
all'evento  ripristinatorio del corso dei termini di fase, mentre nel
caso di evasione vi ha dato illecitamente causa;
        che un'ulteriore censura e' avanzata dal remittente sempre in
riferimento    all'art. 3   della   Costituzione,   a   causa   della
irrazionalita'   e  della  incongruenza  sul  piano  sistematico  che
deriverebbero  proprio dall'interpretazione che egli ritiene di poter
dare  dell'art. 304,  comma  6,  riferendo  il doppio dei termini ivi
previsto  soltanto  alle  fasi  omogenee:  in tal modo - argomenta il
giudice  a  quo  -  la  disciplina  dei  termini  massimi di custodia
cautelare,  sia nel caso di regressione del procedimento ex art. 303,
comma  2,  sia in quello di evasione dell'imputato ex art. 303, comma
3,  avrebbe  un limitatissimo ambito di applicazione (le sole ipotesi
di  piu'  evasioni o piu' regressioni del procedimento), giacche' ben
prima  dello spirare del termine massimo verrebbe sempre raggiunto il
termine di fase;
        che  entrambi  i  profili  di  censura  muovono  dall'erroneo
presupposto  interpretativo  che  ai  fini del termine massimo di cui
all'art. 304,  comma  6,  vadano  calcolati  soltanto  i  periodi  di
custodia cautelare subiti dall'imputato in fasi omogenee;
        che  a  un  simile  errore  non  puo'  certo avere indotto la
sentenza  n. 292 del 1998 di questa Corte, giacche', contrariamente a
quanto  ha  ritenuto  la  stessa  Corte di cassazione a sezione unite
(19 gennaio   2000,   n. 4),   in  quella  sentenza,  come  risultava
chiaramente  dalla  stessa  esposizione  dei  fatti,  si  trattava di
imputato che aveva visto regredire il suo procedimento e aveva subito
custodia cautelare in fasi non omogenee, e proprio in ragione di cio'
la  relativa  questione  era  stata  ritenuta  rilevante e decisa nel
merito  mediante una soluzione interpretativa coerente con i principi
di  proporzionalita'  della  pena  e di inviolabilita' della liberta'
personale;
        che  va  qui  ribadito  quanto gia' affermato da questa Corte
nella  anzidetta  sentenza  e  nelle successive ordinanze nn. 429 del
1999  e  214  del  2000,  e  cioe' che l'uso dell'avverbio "comunque"
nell'art. 304,  comma  6,  cod.  proc.  pen. esprime  in tutta la sua
pregnanza  l'idea  del  carattere  assoluto  e non condizionato della
imposizione  di  un  termine  finale  alla custodia cautelare, con la
conseguenza  che deve essere ritenuta costituzionalmente obbligata in
forza   del   valore   espresso   dall'art. 13   della  Costituzione,
l'interpretazione  secondo  cui la custodia cautelare perde efficacia
allorquando  la  sua  durata abbia superato un periodo pari al doppio
del  termine  stabilito per la fase presa in considerazione, anche se
quel termine sia stato sospeso, prorogato o sia cominciato nuovamente
a decorrere a seguito della regressione del processo;
        che  la  scelta del legislatore e' stata quella di introdurre
uno sbarramento finale, ragguagliato anche alla durata dei termini di
fase  comunque  modulata  (sentenza  n. 292 del 1998), e destinato ad
operare  oggettivamente ed in ogni caso come limite assoluto, sicche'
non  appare affatto irragionevole che tale sbarramento riguardi anche
l'ipotesi  di  evasione  dell'imputato  di cui all'art. 303, comma 3,
cod. proc. pen;
        che,   infatti,  una  volta  stabilito  che  l'art. 13  della
Costituzione  impone  di  "individuare il limite estremo, superato il
quale  il  permanere  dello  stato  coercitivo  si  presuppone essere
"sproporzionato"   in   quanto   eccedente   gli   stessi  limiti  di
tollerabilita'  del  sistema"  (sentenza  n. 292 del 1998), non vi e'
luogo  ad  introdurre  distinzioni  riferite  alle  ragioni che hanno
determinato  il  nuovo  corso del termine, come del resto risulta dal
testo  dell'art. 304,  comma  6,  cod. proc. pen., che esplicitamente
richiama i primi tre commi dell'art. 303;
        che   i   profili   di   "incongruenza   sistematica"   e  di
"irrazionalita'  complessiva dell'istituto", anch'essi denunciati dal
giudice   a   quo   derivano   proprio  dall'erronea  interpretazione
dell'art. 304,  comma 6, cod. proc. pen., dalla quale prende le mosse
l'ordinanza di rimessione;
        che, infatti, se si include nel calcolo del termine finale di
cui   all'art. 304,  comma  6,  cod.  proc.  pen. anche  la  custodia
cautelare subita dall'imputato in fasi diverse - seguendo l'indirizzo
reiteratamente  espresso da questa Corte e oggi ribadito come il solo
coerente con l'art. 13 della Costituzione, che impone di privilegiare
la  soluzione interpretativa che riduca al minimo il sacrificio della
liberta'  personale  -  la disposizione censurata mantiene integra la
sua  naturale  sfera  di  applicazione  e  non  resta  limitata, come
ipotizza il remittente, ai casi eccezionali di molteplici regressioni
del procedimento o di pluralita' di evasioni;
        che,  pertanto,  la  questione di legittimita' costituzionale
deve essere dichiarata manifestamente infondata.
    Visti  gli  artt. 26,  secondo  comma, della legge 11 marzo 1953,
n. 87,  e  9,  secondo  comma,  delle norme integrative per i giudizi
davanti alla Corte costituzionale.
                          Per questi motivi

                       LA CORTE COSTITUZIONALE
    Dichiara   la   manifesta   infondatezza   della   questione   di
legittimita'  costituzionale  dell'art.  304,  comma 6, del codice di
procedura   penale,   sollevata,  in  riferimento  all'art.  3  della
Costituzione,  dal  giudice  per  le  indagini  preliminari presso il
tribunale di Reggio Calabria, con l'ordinanza in epigrafe.
    Cosi'  deciso  in  Roma,  nella  sede della Corte costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 15 novembre 2000.
                        Il Presidente: Guizzi
                      Il redattore: Mezzanotte
                      Il cancelliere: Di Paola
    Depositata in cancelleria il 22 novembre 2000.
              Il direttore della cancelleria: Di Paola
00C1344