N. 757 ORDINANZA (Atto di promovimento) 21 gennaio 2000

Ordinanza  emessa il 21 gennaio 2000 dal tribunale di sorveglianza di
L'Aquila sull'istanza proposta da Cristaldi Venerando

Ordinamento  penitenziario  -  Benefici  penitenziari  - Internato in
esecuzione  della  misura di sicurezza della casa di lavoro (inflitta
per  il  reato  di  cui  all'art. 416-bis  cod.  pen.)  -  Istanza di
ammissione  al  regime  di  semiliberta' - Preclusione in difetto del
requisito  della  collaborazione  con  la  giustizia  - Disparita' di
trattamento  tra  internati  -  Lesione del principio della finalita'
rieducativa della pena.
- Legge  26  luglio  1975, n. 354, art. 4-bis, introdotto dal d.l. 13
  maggio  1991,  n. 152,  convertito in legge 12 luglio 1991, n. 203,
  modificato  dal  d.l.  8 giugno 1992, n. 306, convertito in legge 7
  agosto 1992, n. 356.
- Costituzione, artt. 3 e 27, comma terzo.
(GU n.50 del 6-12-2000 )
                            IL TRIBUNALE

    Nel   procedimento  chiamato  all'udienza  del  21  gennaio  2000
  instaurato  ai  sensi  degli  artt. 677,  678  c.p.p. nei confronti
  dell'internato Cristaldi Venerando, nato il giorno 16 novembre 1952
  a  Catania,  ristretto  presso la casa di reclusione di Sulmona, in
  esecuzione  della misura di sicurezza della casa di lavoro per anni
  uno,  dichiarata  eseguibile  dal  magistrato  di  sorveglianza  di
  Catania  con  ordinanza  in  data  11  novembre  1994, ordinata con
  sentenza  della  Corte  di  assise  di  appello  di  Palermo del 10
  dicembre  1990,  con  termine  per  il  riesame  obbligatorio della
  pericolosita' fissato al 5 marzo 2000, avente per oggetto l'istanza
  di  ammissione ai regime di semiliberta' dallo stesso presentata, a
  scioglimento  della  riserva  formulata  nella suddetta udienza, ha
  pronunciato la seguente ordinanza.
    Con  istanza  depositata  dal  difensore  di  fiducia  in data 30
  novembre   1999   Cristaldi  Venerando,  internato  nella  casa  di
  reclusione  di  Sulmona  sez.  casa  di  lavoro,  ha  richiesto  la
  ammissione  al  regime  di semiliberta' in relazione alla misura di
  sicurezza   detentiva   in  epigrafe,  attualmente  in  esecuzione.
  L'istanza  non  e'  soggetta,  ai  sensi dell'art. 50 c.p.v., legge
  n. 354/1975,  a  limiti  temporali  di ammissibilita'. L'offerta di
  lavoro  prospettata  e'  stata  verificata  tramite la autorita' di
  p.s.,  che  ha  riscontrato  che  essa e' genuina ed attuale. Nelle
  informazioni fornite sempre dall'autorita' di p.s. non si riferisce
  alcunche'   in   merito   all'attualita'  di  collegamenti  con  la
  criminalita'  organizzata,  giacche'  ci  si  limita  ad elencare i
  trascorsi criminali del soggetto.
    Il  tribunale deve rilevare una condizione ostativa all'esame dei
  merito  dell'istanza,  che  sotto  ogni  altro  profilo si appalesa
  ammissibile.
    La  sentenza  con cui e' stata ordinata la misura di sicurezza in
  esecuzione  si  riferisce  ad  una  condanna  ad  anni  5 mesi 4 di
  reclusione  -  interamente  espiata  - inflitta per il reato di cui
  all'art.  416-bis  c.p.,  alla quale ha fatto seguito il riesame di
  pericolosita' da parte del competente magistrato di sorveglianza ex
  art.  679  c.p.p.  Deve  percio' trovare applicazione la disciplina
  restrittiva   contenuta   nell'art.   4-bis,   primo  comma,  legge
  n. 354/1975,  che  preclude  la  ammissione a misure alternative ai
  detenuti  ed  internati  condannati per determinati delitti che non
  abbiano prestato collaborazione con la giustizia ai sensi dell'art.
  58-ter  della stessa legge. Si deve aggiungere che l'istante non ha
  prospettato  alcuna  delle  situazioni  che,  in base alle sentenze
  della Corte costituzionale relative al citato art. 4-bis (decisioni
  nn.   357/94  e  68/95),  consentono  di  superare  la  preclusione
  normativa   a   causa   dell'irrilevanza   o  impossibilita'  della
  collaborazione,  vale  a  dire l'integrale accertamento dei fatti e
  delle  responsabilita'  operato  con  sentenza  irrevocabile  o  la
  limitata   partecipazione   al  fatto  criminoso  risultante  dalla
  sentenza di condanna.
    In  proposito  il  tribunale  ritiene  di  doversi  uniformare  a
  quell'orientamento  della giurisprudenza di legittimita' che pone a
  carico   dell'istante   un   onere  di  allegazione  delle  ragioni
  dell'impossibilita'   di  un'utile  collaborazione,  rimettendo  al
  giudicante la verifica di quanto affermato (Cass. la sez. penale 19
  maggio 1998 n. 2923).
    Il  collegio  ritiene  che  la  sussistenza  di  tale  onere  sia
  direttamente    conseguente    al    carattere    volontario    che
  necessariamente  connota  l'attivita'  collaborativa, sicche' sotto
  questo profilo si stabilisce una piena equiparazione fra chi presta
  una  collaborazione avente i requisiti di cui all'art. 58-ter e chi
  di  propria  iniziativa  fornisce gli elementi in proprio possesso,
  per inutili o irrilevanti o gia' noti che siano.
    Il   tribunale,   rilevata   la   sussistenza   della   causa  di
  inammissibilita'   dell'istanza   di  misura  alternativa  prevista
  dall'art.  4-bis,  primo  comma,  prima  parte,  ritiene  di dovere
  sollevare  d'ufficio la questione di legittimita' costituzionale di
  questa  norma,  nella parte in cui essa si riferisce all'istanza di
  semiliberta'   proposta   da  persone  sottoposte  alla  misura  di
  sicurezza  detentiva  della  casa  di  lavoro, per contrasto con il
  principio   di   uguaglianza  e  con  il  principio  del  finalismo
  rieducativo  della pena e di ogni sanzione penale di cui agli artt.
  3 e 27, terzo comma della Costituzione.
    Si  deve evidenziare in primo luogo come la disciplina della casa
  di  lavoro  preveda,  oltre  alla  semiliberta', una vasta gamma di
  aperture  all'esterno,  sia  pure  non riconducibili alla categoria
  delle  misure  alternative.  Agli internati possono essere concesse
  una  licenza  di  durata  non  superiore a giorni trenta, una volta
  l'anno,  al  fine  di  favorirne  il  riadattamento  sociale ed una
  licenza  di  sei  mesi  nel  periodo  precedente  alla scadenza del
  termine   fissato   per   il  riesame  di  pericolosita'  (art.  53
  dell'ordinamento  penitenziario),  benefici  questi  che  non  sono
  interessati dalla norma censurata.
    Inoltre  e' possibile, in ogni momento, d'ufficio o su istanza di
  parte,  che  abbia  luogo il riesame anticipato della pericolosita'
  sociale,  al  quale puo' conseguire la sostituzione della misura di
  sicurezza  detentiva  con  la  liberta' vigilata (art. 230, secondo
  comma  c.p).  In  questo  quadro  la esclusione nei confronti degli
  autori di determinati reati dell'unica misura alternativa prevista,
  la   semiliberta',   appare  di  difficile  giustificazione,  nella
  prospettiva  della necessita' dell'uguale trattamento di situazioni
  analoghe.
    Infatti,  i  benefici  che rimangono ammissibili nei confronti di
  tutti   gli   internati,   quali   le  licenze  appena  menzionate,
  concretamente  implicano una limitazione della liberta' personale e
  possibilita'  di  controllo  di  gran lunga inferiori rispetto alla
  semiliberta',  che  non  interrompe  il  legame  con  l'istituzione
  penitenziaria e richiede un preciso supporto esterno.
    La licenza prevista dal primo comma dell'art. 53 a tali caratteri
  unisce  la  assenza di un termine finale diverso dal termine per il
  riesame   d'ufficio,   sicche'  risulta  sotto  ogni  aspetto  piu'
  favorevole  della  semiliberta', pur non essendo soggetta ad alcuna
  preclusione.
    Considerazioni  analoghe  possono  essere formulate rispetto alla
  sostituzione  della  misura  detentiva con la liberta' vigilata. Il
  dubbio  di  legittimita'  costituzionale concerne in primo luogo la
  ragionevolezza  di  una  preclusione  che, mentre sembra inidonea a
  realizzare   compiutamente  la  finalita'  restrittiva  che  le  e'
  propria,   comunque   comprime   le  opportunita'  trattamentali  e
  rieducative previste per gli internati.
    Infatti  la  magistratura  di  sorveglianza, nella scelta e nella
  applicazione  dei  benefici,  e  nella gradazione della restrizione
  della   liberta'   personale,   fermo   restando   il  giudizio  di
  pericolosita'  sociale (dovendosi altrimenti disporre la revoca) e'
  chiamata  a  realizzare  le  finalita' della misura di sicurezza in
  maniera  individualizzata  e  compatibile  col  concreto  grado  di
  pericolosita'    del    soggetto    e   con   le   prospettive   di
  risocializzazione dello stesso.
    La  Corte  costituzionale, in diverse occasioni, ha affermato che
  il  legislatore,  nell'esercizio della propria discrezionalita', e'
  libero  di  apprestare discipline diverse per benefici penitenziari
  legati   a   presupposti   di  fatto  diversi  e  dalla  differente
  configurazione  normativa  (sentenza  n. 100  del  1997,  ordinanza
  n. 375  del 1999). Il collegio dubita che questi precedenti, che si
  riferiscono  alla  concorrenza  di  diverse  misure  alternative in
  materia  di  pene  detentive,  esprimano  una ratio suscettibile di
  trovare applicazione anche alla presente questione.
    Infatti,   il  vigente  sistema  delle  misure  di  sicurezza  e'
  informato  all'esigenza della verifica della concreta pericolosita'
  sociale  del  soggetto, nei distinti momenti in cui la misura viene
  ordinata,  si deve dare corso alla sua esecuzione, e' gia' in atto.
  La  discrezionalita'  legislativa che la Corte ha inteso fare salva
  appare  al  collegio  il  riflesso  del  potere  del legislatore di
  articolare  le modalita' di esecuzione della pena in relazione alle
  sue  diverse  funzioni  di rilievo costituzionale, fra le quali non
  puo'  stabilirsi  a  priori  una  gerarchia statica ed assoluta che
  valga  una  volta  per tutte ed in ogni condizione (sentenze n. 282
  del 1989 e n. 306 del 1993).
    La  specifica  natura  della misura di sicurezza per converso non
  pare  consentire  valutazioni  estranee  al  giudizio  sull'attuale
  pericolosita'  sociale del soggetto; sicche' il legislatore, libero
  di delineare gli istituti mediante i quali si articola l'esecuzione
  della  misura di sicurezza ed essa viene graduata in funzione delle
  finalita'  specialpreventive e risocializzanti che le sono proprie,
  nel  quadro normativo cosi' definito non dovrebbe potere introdurre
  norme  di  sfavore  in  funzione della natura del reato commesso, e
  quindi con finalita' di prevenzione generale.
    Norme  siffatte  si  traducono  in  una  presunzione  assoluta di
  inidoneita' dell'internato alla fruizione di determinati benefici e
  si possono accostare alle presunzioni di pericolosita' sociale, non
  consentite.  Su questi aspetti si richiamano quelle decisioni della
  Corte   costituzionale   che   hanno   segnato   tappe   importanti
  nell'evoluzione verso il sistema vigente, le quali evidenziano come
  la  diversita'  ontologica  della misura di sicurezza rispetto alla
  pena   assuma   rilievo   costituzionale   definendo   i  caratteri
  indefettibili   della   stessa  (sentenza  n. 110  del  1974  sulla
  necessita'  della  possibilita'  del  riesame  anticipato; sentenze
  n. 249 del 1983 e n. 1102 del 1988).
    Su  un  piano  piu'  generale  si  deve  osservare  che la scelta
  legislativa  di  inibire  l'accesso  alle  misure  alternative alla
  detenzione  ai  condannati  per  determinati  gravi  reati e' stata
  ritenuta  dalla  Corte  non consona ai principi di proporzione e di
  individualizzazione  della  pena  che caratterizzano il trattamento
  penitenziario,  e  che  essa  ha giudicato preoccupante la tendenza
  alla configurazione normativa di "tipi di autore" nei cui confronti
  l'opera di rieducazione non sarebbe possibile o non dovrebbe essere
  perseguita  (sentenza  n. 306  cit.). Si ricorda a questo proposito
  che  la Corte, in caso di concorso di condanne per reati "ostativi"
  e  per  reati "comuni", ha interpretato l'art. 4-bis O.P. nel senso
  che  si  debba procedere allo scioglimento del cumulo e considerare
  espiata   per  prima  la  pena  inflitta  per  il  reato  ostativo,
  evidenziando   l'incostituzionalita'  dell'opposta  interpretazione
  (sentenza n. 361 del 1994). La norma della cui costituzionalita' si
  dubita,  nel  dare  rilievo  durante  l'esecuzione  della misura di
  sicurezza  a  finalita' di prevenzione generale e di difesa sociale
  che  si  riconnettono  alla  natura del reato commesso, si spinge a
  superare  la  durata dell'afflittivita' insita nella pena detentiva
  determinata con la sentenza di condanna.
    Tale  surplus  di  afllittivita'  non  risulta giustificato nella
  logica   propria   della   misura   di   sicurezza,  determina  una
  discriminazione  fra  gli  internati  secondo  che  abbiano o no in
  precedenza espiato pene per reati ostativi, in contrasto con l'art.
  3  della  Costituzione,  e  finisce  col  fare  pesare sine die sui
  soggetti  colpe  gia'  per  intero  pagate,  negando  la  finalita'
  rieducativa  che deve connotare ogni sanzione penale. E' il caso di
  rilevare  che, paradossalmente, la assenza di un termine finale per
  la preclusione non implica indefettibilita' e continuita' della sua
  applicazione:   essendo  l'esecuzione  della  misura  di  sicurezza
  posposta  a quella della pena (art. 212 c.p.) puo' darsi il caso di
  detenuti   sottoposti   al  regime  comune  in  materia  di  misure
  alternative,  per  avere  espiato  i  reati  "ostativi", ma nei cui
  confronti  la  preclusione rivive dal momento in cui viene eseguita
  la  misura  di  sicurezza della casa di lavoro.     Da questo
  punto di vista e' evidente l'intrinseca irrazionalita' della norma,
  anche  in  una  prospettiva  meramente restrittiva. Al tempo stesso
  tale  risultato appare in stridente contrasto col principio per cui
  non e' consentita la regressione del trattamento del condannato che
  abbia  avviato  un  processo  di  risocializzazione  ed  abbia gia'
  beneficiato di misure alternative, se non in presenza di ragioni di
  demerito  da  parte dello stesso (sentenze n. 306 del 1993 e n. 504
  del 1995).
    Se  le  preclusioni  alle misure alternative alla pena dipendenti
  dal  titolo di reato non possono avere durata indeterminata, a piu'
  forte  ragione  non sembra consentito fondare sul titolo del reato,
  in  materia  di misure di sicurezza, alcuna limitazione all'accesso
  di  benefici  penitenziari,  non  solo  per  l'estraneita'  di tali
  limitazioni   alle   finalita'  della  misura  di  sicurezza,  gia'
  rilevata,  ma anche per la indeterminatezza temporale che in questo
  caso  esse  assumono,  in mancanza di una scadenza prefissata della
  restrizione del soggetto.
    Una  preclusione  siffatta e' espressiva non di esigenze attuali,
  ma  di  un  pregiudizio negativo ed insuperabile, a prescindere dal
  tempo  trascorso, legato ai precedenti del soggetto, che si traduce
  nella   configurazione   normativa  di  una  categoria  di  reclusi
  presuntivamente  ad  alto grado di pericolosita' e percio' ritenuti
  inidonei  a determinati benefici, il che contrasta con il finalismo
  rieducativo che deve connotare ogni sanzione penale.
                              P. Q. M.
    Dichiara rilevante e non manifestamente infondata la questione di
  legittimita'    costituzionale   relativa   all'art. 4-bis,   legge
  n. 354/1975,  introdotto  dal  d.l. n. 152 del 1991, convertito con
  legge  n. 203  del  1991,  modficato  dal  d.l.  n. 306  del  1992,
  convertito   con  legge  n. 306  del  1992,  ai  sensi  di  cui  in
  motivazione,  con  riferimento agli artt. 3 e 27, terzo comma della
  Costituzione;
    Sospende  il  procedimento di sorveglianza di cui in intestazione
  relativo   all'istanza   di   semiliberta'  proposta  da  Cristaldi
  Venerando;
    Dispone  la trasmissione degli atti alla Corte costituzionale per
  la decisione in merito alla questione sollevata;
    Manda  alla  cancelleria per le comunicazioni, le notificazioni e
  le  forme di pubblicita' previste dall'art 23, legge 11 marzo 1957,
  n. 87.
    Cosi' deciso in L'Aquila nella camera di consiglio del 21 gennaio
  2000.
                       Il Presidente: Palumbo
                Il magistrato estensore: Carlomagno
00C1370