N. 791 ORDINANZA (Atto di promovimento) 19 aprile 2000

Ordinanza  emessa  il  19  aprile  2000 dal tribunale regionale delle
acque pubbliche di Firenze nel procedimento civile vertente tra Nardi
Claudio ed altra e regione Toscana ed altri

Giurisdizioni  speciali - Tribunali regionali delle acque pubbliche -
Composizione   -  Giudici  aggregati  designati  dal  Presidente  del
Consiglio  superiore  dei  lavori pubblici tra i funzionari del Genio
civile  -  Incidenza  sui  principi di imparzialita' e buon andamento
della  P.A. (estensibili all'amministrazione della giustizia) nonche'
di  indipendenza  dei  giudici  speciali, non garantita da componenti
nominati  da  autorita'  amministrativa e per di piu' suscettibili di
riconferma  in  carica  dopo  la scadenza - Riferimento alle sentenze
della  Corte  costituzionale nn. 76/1961, 108/1962, 33/1968, 49/1968,
53/1970 e 25/1976.
- R.d. 11 dicembre 1933, n. 1775, art. 138.
- Costituzione, artt. 97, primo comma, e 108, capoverso.
(GU n.51 del 13-12-2000 )
            IL TRIBUNALE REGIONALE DELLE ACQUE PUBBLICHE

    Pronuncia la seguente ordinanza nella causa, iscritta al n. 22/98
  del ruolo generale, promossa da:

        1) Nardi Claudio e da
        2)  Altra  Riva S.r.l., in persona del legale rappresentante,
  arch. Claudio Nardi, con sede in Firenze;

elettivamente   domiciliati   presso   la   persona   e   lo   studio
  dell'avv. Iacopo  Sforzellini,  via  Venezia,  8  - Firenze, che li
  rappresenta  e  difende  per  procura  estesa  a  margine dell'atto
  introtuttivo del giudizio, attori;

    Contro:
        1)   Regione   della   Toscana,  ufficio  del  genio  civile,
  elettivamente   domiciliata   presso  l'Avvocatura  regionale,  via
  Cavour, 18 - Firenze, rappresentata e difesa, per procura estesa in
  calce  alla  copia  notificata  del ricorso, dell'avv. G. Vincelli,
  dell'Avvocatura regionale di Firenze;
        2)  Ministero  dei  lavori  pubblici,  col patrocinio ex lege
  dell'Avvocatura  dello  Stato  nel  distretto di Firenze, via degli
  Arazzieri, n. 4;
        3)  Provveditorato  alle  opere pubbliche per la Toscana, col
  patrocinio  ex  lege  dell'Avvocatura  dello Stato nel distretto di
  Firenze, via degli Arazzieri, n. 4, convenuti,

    Causa  avente  ad oggetto: autorizzazione alla perforazione di un
  pozzo.
                 Cenni allo svolgimento del processo
    Con l'atto introduttivo del giudizio gli attori esponevano che il
  Ministero  dei lavori pubblici, provveditorato alle opere pubbliche
  per  la  Toscana, aveva (con provvedimento del 31 agosto 1998) loro
  negato   l'autorizzazione   alla   perforazione   di  un  pozzo  in
  prossimita'  dell'Arno  sulla  base  dell'infondata motivazione che
  tale   "perforazione,   prevista  sull'arginatura  classificata  in
  seconda  categoria  e  quindi in zona di divieto assoluto - avrebbe
  costituito  - un pericolo per la sicurezza della difesa idraulica";
  essi  lamentavano,  inoltre,  che, con provvedimento dell'8 ottobre
  1998, anche l'ufficio del genio civile della Regione Toscana avesse
  rigettato  l'analoga  istanza  ad  esso proposta in riferimento "al
  parere  negativo espresso con nota del 31 agosto 1998 dal Ministero
  dei  lavori  pubblici,  provveditorato  alle opere pubbliche per la
  Toscana".
    Premesso  che,  non  essendovi,  in  loco,  alcuna "arginatura di
  seconda  categoria"  e  dovendo,  quindi, essere rispettata, per la
  perforazione  del pozzo in parola, solo la distanza minima di dieci
  metri  dal ciglio di sponda, non vi era alcun motivo, di fatto o di
  diritto, che potesse giustificare i provvedimenti amministrativi de
  quibus, gli attori concludevano di conseguenza.
    Costituitesi    in    giudizio   le   amministrazioni   convenute
  contrastavano  la  domanda in fatto e in diritto e ne chiedevano il
  rigetto.
    Disposta   ed   eseguita   ctu,   precisate,  hinc  et  inde,  le
  conclusioni,  concessi  i  termini  di  cui all'art. 190 c.p.c., la
  causa veniva esaminata dal collegio, per la decisione, nella camera
  di consiglio del 19 aprile 2000.
     Sulla rilevanza della questione che si intende prospettare
    Prima  di  procedere  all'esame  del merito della controversia il
  collegio   intende   verificare   la   correttezza   della  propria
  costituzione.
    Essa e', infatti, certamente, presupposto del legittimo esercizio
  del  potere  giurisdizionale  conferito  dalla  legge,  non potendo
  dubitarsi  che  la  valenza del dovere di ciascuno di rispettare le
  norme dell'ordinamento sia, in linea di principio, assoluta; mentre
  trovasi  invece  su  di  un  diverso  e distinto piano giuridico la
  scelta,  che  il  legislatore  puo'  fare,  di  sottrarre  ex post,
  all'ambito  di  ogni  possibile  quaerela  nullitatis  delle parti,
  determinate anomalie, anche relative alla costituzione del giudice,
  vericatesi nel processo.
    In sostanza, dunque, il collegio intende procedere all'emanazione
  della  pronuncia  di  merito  che  qui  e' richiesta solo dopo aver
  accertato di essere, a questo fine, regolarmente costituito.
    Va  subito  osservato,  in proposito, che non e' per nulla dubbio
  che  la  costituzione  del  collegio  sia avvenuta in conformita' a
  quanto  disposto  dall'art. 138 del regio decreto 11 dicembre 1933,
  n. 1775  (del seguente tenore: "Presso ciascuna delle sottoindicate
  sedi  di Corte di appello e' istituito un tribunale regionale delle
  acque  pubbliche:  1) Torino:  per le circoscrizioni delle Corti di
  appello  di Torino e Genova; 2) Milano: per le circoscrizioni delle
  Corti   di  appello  di  Milano  e  Brescia;  3)  Venezia:  per  le
  circoscrizioni  delle  Corti  di  appello  di  Venezia  e  Trieste;
  4) Firenze: per le circoscrizioni delle Corti di appello di Bologna
  e Firenze; 5) Roma: per le circoscrizioni delle Corti di appello di
  Roma,  L'Aquila  ed  Ancona; 6) Napoli: per le circoscrizioni delle
  Corti  di  appello  di Napoli, Bari e Catanzaro; 7) Palermo: per le
  circoscrizioni  delle  Corti  di  appello  di  Palermo,  Catania  e
  Messina;  8) Cagliari: per la circoscrizione della Corte di appello
  di  Cagliari. Il tribunale e' costituito da una sezione della Corte
  di appello designata dal primo presidente alla quale sono aggregati
  tre  funzionari  del  genio  civile  designati  dal  presidente del
  Consiglio  superiore dei lavori pubblici e nominati con decreto del
  Presidente    della    Repubblica,   su   proposta   del   Ministro
  Guardasigilli.  Essi  durano in carica cinque anni e possono essere
  riconfermati  ...  (i  puntini  tengono  luogo  del  quarto  comma,
  relativo   alle   indennita'   spettanti  ai  componenti,  abrogato
  dall'art.  1 della legge 18 gennaio 1949, n. 18). I tribunali delle
  acque  pubbliche  decidono  con  intervento di tre votanti, uno dei
  quali  deve essere funzionario del genio civile"); oggetto di esame
  deve  essere,  invece, a parere del tribunale, la conformita' della
  disposizione   di   cui   trattasi,  nella  parte  in  cui  prevede
  l'integrazione  del  collegio  col  componente  laico,  al disposto
  dell'art.  108  c.p.v.  della  Costituzione, per il quale "la legge
  assicura  l'indipendenza  dei giudici delle giurisdizioni speciali,
  del  pubblico  ministero  presso  di  esse,  e  degli "estranei che
  partecipano  all'amministrazione  della giustizia" (e' pacifico, in
  giurisprudenza  e in dottrina che i tribunali regionali delle acque
  pubbliche  siano sezioni specializzate delle Corti d'appello presso
  le   quali   siedono   ed  e',  altresi',  pacifico  che  la  norma
  costituzionale  ora  ricordata  si  riferisca  anche,  proprio,  ai
  componenti  laici  delle  sezioni specializzate i quali, in armonia
  con  la  ulteriore  previsione  costituzionale  di cui all'art. 102
  c.p.v.,     sono,     appunto,     "estranei     che    partecipano
  all'amministrazione  della  giustizia"); il tribunale ritiene, poi,
  che  la valutazione della disciplina legislativa che viene in campo
  debba, inoltre, essere condotta alla stregua del disposto dell'art.
  97,  primo comma, della Costituzione, nella parte in cui esso esige
  che  le  "disposizioni  di  legge  - assicurino - il buon andamento
  dell'amministrazione"   (ed   e'   pacifico,  nella  giurisprudenza
  costituzionale,  che  tale  norma  riguardi anche l'amministrazione
  della giustizia).
    La  questione  che  il  tribunale  intende  sottoporre alla Corte
  costituzionale   e',   in   sintesi,   quella   della  legittimita'
  costituzionale  dell'art.  138  del regio decreto 11 dicembre 1933,
  n. 1775,  in  riferimento  agli  artt.  108 cpv. e 97, primo comma,
  della  Costituzione,  limitatamente  alla  seguente,  ultima parte:
  "alla   quale  sono  aggregati  tre  funzionari  del  genio  civile
  designati   dal  presidente  del  Consiglio  superiore  dei  lavori
  pubblici e nominati con decreto del Presidente della Repubblica, su
  proposta  del  Ministro Guardasigilli. Essi durano in carica cinque
  anni  e  possono  essere  riconfermati  ... I tribunali delle acque
  pubbliche  decidono  con  intervento  di tre votanti, uno dei quali
  deve  essere  funzionario  del genio civile"); poiche', se la Corte
  accogliesse  la  questione  nei  termini  qui  prospettati, sarebbe
  escluso il potere del collegio di decidere la presente controversia
  non  puo'  dubitarsi della rilevanza della questione sopra indicata
  nel presente procedimento.
Sulla  non  manifesta  infondatezza  della  questione  che si intende
                             prospettare
    1. - Nell'affrontare il tema proposto e' d'uopo prendere le mosse
  dai  precedenti  specifici  del  tribunale  superiore  delle  acque
  pubbliche  e  della  SC  che (quest'ultima a piu' riprese e anche a
  sezioni   unite)  hanno  affermato  la  manifesta  infondatezza  di
  questioni  analoghe,  riferite  piu'  che altro alla corrispondente
  norma  di  cui  all'art. 139  del  regio  decreto 11 dicembre 1993,
  n. 1775,  relativa  alla composizione del tribunale superiore delle
  acque pubbliche.
    Puo'  rammentarsi,  in  particolare, che la SC, con la pronunzia,
  resa  a  sezioni unite, n. 5327 del 17 novembre 1978 (in Rass. Avv.
  Stato,  1980, I, 847), ha affermato, richiamando, sul punto, propri
  precedenti  relativi  al  caso  della partecipazione dei funzionari
  dell'ufficio  tecnico  erariale  alle commissioni tributarie (ma la
  richiamata  Cass.  SU  10  giugno  1968,  n. 1769, e', per il vero,
  specificamente  relativa  alla composizione del tribunale superiore
  delle acque pubbliche):

        "a)  che  i  tecnici  sono  chiamati  a  portare negli organi
  giudicanti   un   contributo   di   conoscenza  ed  esperienza  che
  difficilmente  potrebbe essere dato da estranei all'amministrazione
  da cui provengono;
        b)  che,  allorquando  partecipano  all'attivita'  di  organi
  giudicanti, i tecnici sono liberi da vincoli, d'ordine gerarchico e
  simili,  che  possano  far  pensare  a  una  limitazione della loro
  autonomia  di  decisione (sent. 10 giugno 1968, n. 1769); e' stato,
  altresi',  precisato  (sent.  22 dicembre 1964, n. 2950) che sia il
  procedimento  di  nomina dei tecnici (art. 139 del t.u. sulle acque
  pubbliche)  sia  la  durata  della carica sia la predisposizione di
  strumenti processuali a tutela dell'imparzialita' dei giudici (come
  l'istituto  della  ricusazione)  costituiscono  elementi  idonei  a
  garantire  l'indipendenza  dei tecnici rispetto all'amministrazione
  da cui provengono".

    A  sua  volta  il  tribunale  superiore  delle acque pubbliche ha
  affermato (pronunzia del 5 ottobre 1983, n. 26, in Cons. Stato, II,
  1264), richiamando, come proprio precedente, la sentenza 8 novembre
  1975,  n. 22  (in  Cons.  Stato,  1976,  II,  1263),  la  manifesta
  infondatezza  della  questione  di costituzionalita' dell'art. 138,
  secondo,  terzo  e  quinto  comma,  e  139, secondo, terzo e quinto
  comma,  t.u.  11  dicembre  1933,  n. 1775,  con  riferimento  agli
  artt. 101 e 108 della Costituzione.
    Il  tribunale  superiore  delle  acque  pubbliche giungeva a tale
  conclusione  pur  dopo avere espressamente preso atto che "la Corte
  costituzionale,  con  la  sentenza  n. 25  del  1976,  ripetendo un
  concetto  gia'  esposto  nella  sentenza  n. 49  del 1968 - aveva -
  rilevato,  con  riguardo  ai  membri  del  Consiglio  di  giustizia
  amministrativa  della  Regione  siciliana  designati  dalla  giunta
  regionale,  che  la  loro indipendenza era "sicuramente compromessa
  per   effetto  della  disposizione  che  prevede,  al  termine  del
  quadriennio,  la  possibilita' di riconferma nell'incarico, secondo
  il discrezionale apprezzamento del Governo regionale".
    Il  tribunale  superiore  delle  acque  pubbliche argomentava, in
  proposito,  che  la  Corte  costituzionale  aveva "corroborato tale
  avviso  osservando  che  trattasi  "di  membri  ... la cui nomina o
  conferma  (ancorche'  con  decreto presidenziale) avviene, come per
  gli  altri  componenti  dell'organo, su proposta del Presidente del
  Consiglio, previa deliberazione del Consiglio dei ministri, sentito
  il  presidente  della  regione:  talche',  proprio in rapporto alla
  prospettiva  d'una  eventuale  conferma,  l'indipendenza  di questi
  giudici   non  puo'  ritenersi  assicurata  dalla  legge,  sia  nei
  confronti   del   Governo  centrale  sia,  soprattutto,  di  quello
  regionale  ":  questa conclusione, sosteneva il tribunale superiore
  delle acque pubbliche, "certamente non vale per i membri non togati
  dei  tribunali  delle  acque,  in quanto, come si pose in luce gia'
  nella  citata  sentenza  delle  sezioni  unite del 1964, l'art. 10,
  primo  comma,  n. 2,  della legge 24 marzo 1958, n. 195, demanda al
  Consiglio  superiore  della  magistratura  anche  la delibera sulla
  nomina  e  sulla revoca degli organi giurisdizionali specializzati;
  la  posizione  di  assoluta  indipendenza del Consiglio rispetto al
  potere  esecutivo  rende, infatti; inconfigurabile l'ipotesi di una
  condizionante  ingerenza delle amministrazioni statali nella nomina
  e  nella  riconferma  dei  giudici  della  magistratura delle acque
  pubbliche".

    3.  -  Gli  argomenti  supra  ricordati, della SC e del tribunale
  superiore  delle acque pubbliche, paiono al tribunale insufficienti
  a contrastare la tesi della possibile illegittimita' costituzionale
  della  disciplina  che  viene in campo, soprattutto alla luce della
  giurisprudenza  costituzionale  relativa al valore e al significato
  dell'art. 108 della Costituzione.
    E'  opportuno,  a  tal  proposito, riportare testualmente, qui di
  seguito,   le   piu'   interessanti   affermazioni   che  la  Corte
  costituzionale  ha  avuto, via via, occasione di fare nella materia
  in esame.
    Nella  sentenza  21 dicembre 1961, n. 76 (oggetto della quale era
  la  questione di legittimita' costituzionle dell'art. 7 della legge
  4 agosto 1948, n. 1094 - istitutiva delle sezioni specializzate per
  la  soluzione  delle  controversie relative a proroga dei contratti
  agrari  parziari  -  limitatamente  ai  "precisi termini" in cui la
  questione  stessa  era  stata  proposta dall'ordinanza di rinvio e,
  pertanto, in relazione esclusiva alla prevalenza, ivi disposta, del
  numero  degli  estranei rispetto a quello dei magistrati componenti
  il  collegio  e all'ipotesi che tale prevalenza potesse alterare il
  carattere  di  sezione  specializzata  attribuito  a  tale  organo,
  facendola cosi' rientrare tra le giurisdizioni speciali, oggetto di
  esplicito  divieto  da  parte dell'art. 102 della Costituzione), si
  legge fra l'altro:
        "L'art.  102, secondo comma, della Costituzione, ... consente
  quelle  sole  sezioni specializzate che siano istituite "presso gli
  organi  giudiziari  ordinari:  termine  questo  con  il quale si e'
  voluto  significare  l'esistenza  di  un  nesso  organico,  di  una
  compenetrazione istituzionale tra le une e gli altri.

    Se  la  sezione  specializzata  deve  essere considerata, come si
  desume   dall'art.   102,   non   gia'  un  tertium  genus  fra  la
  giurisdizione  speciale  e  quella ordinaria, bensi' una species di
  quest'ultima,  bisogna  fare  riferimento ai caratteri funzionali e
  strutturali che appaiono meglio indicati ad accostarla ad essa.
    Dal  punto  di  vista  della struttura ... le sezioni non possono
  essere sottratte alla sorveglianza dei capi degli uffici giudiziari
  ai  quali  sono  collegate.  Quanto  alla  loro  composizione  deve
  considerarsi  elemento  distintivo  la  presenza  nel  collegio  di
  magistrati  ordinari.  Se  anche  e'  vero  che  tale presenza puo'
  riscontrarsi  pure in giurisdizioni speciali (come avviene, per es.
  nel tribunale superiore delle acque pubbliche allorche' decide come
  unica  istanza), essa, tuttavia, rimane quale circostanza del tutto
  accidentale,  mentre  nelle  sezioni  specializzate  non  puo'  mai
  mancare.  Inoltre,  l'autonomia  che  caratterizza la giurisdizione
  ordinaria   nei  confronti  di  poteri  diversi  dall'ordine  della
  magistratura  deve  trovare  espressione,  per  quanto  riguarda  i
  cittadini  idonei,  nel farne dipendere la preposizione alla carica
  da  un  atto  proveniente da organi della medesima (secondo dispone
  l'art.   10,  n. 1,  della  legge  sul  Consiglio  superiore  della
  magistratura,  che  l'affida,  per  delega  da  parte del Consiglio
  stesso, ai presidenti delle Corti di appello).
    (Omissis).
    La  finalita'  che ... giustifica la "partecipazione di cittadini
  alle  sezioni specializzate non e' quella di farvi risonare la voce
  di  una  generica  "coscienza  sociale bensi' l'altra, di acquisire
  l'apporto  di  conoscenze  tecniche  o di particolari esperienze di
  vita,   quando   cio'   sia  riconosciuto  utile  ad  una  migliore
  applicazione   della  legge  ai  rapporti  concreti.  Che  siffatta
  partecipazione sia stata prevista come meramente eventuale (sicche'
  puo'  anche  mancare  senza  che  ne  riesca  alterato il carattere
  proprio  della  sezione  in  parola)  e  che  in  ogni caso essa e'
  meramente   integrativa  e  complementare  rispetto  a  quella  dei
  magistrati  si  puo'  argomentare  dalla  congiunzione  "anche  che
  precede il riferimento alla medesima".
    Nella  sentenza  11  dicembre 1962, n. 108 (con la quale la Corte
  costituzionale dichiaro' la illegittimita' costituzionale dell'art.
  5  della  legge 18 agosto 1948, n. 1140, e dellart. 1 della legge 3
  giugno  1950, n. 392, sostitutivo del testo dell'art. 2 della legge
  25 giugno 1949, n. 353, in relazione agli artt. 102, secondo comma,
  e 108, secondo comma, della Costituzione), si legge ancora:

        "La  Corte, nella ... sua precedente sentenza n. 76 del 1961,
  ebbe  a  ritenere  che  le sezioni specializzate, per corrispondere
  all'intento che mosse il Costituente nel consentirne l'istituzione,
  debbono essere configurate non gia' come un istituto intermedio fra
  le  soppresse  giurisdizioni speciali e la giurisdizione ordinaria,
  bensi'  quale  sottospecie  di  quest'ultima,  con  la  conseguente
  esigenza  di  strutturarle  adottando le modalita' meglio idonee ad
  accostarle,  per  quanto  possibile,  ad essa. Una conferma di tale
  esigenza  puo'  dedursi  anche  dalla  legge  n. 195  del  1958 che
  attribuisce, come si e' visto, il potere di nominare e revocare gli
  esperti  proprio  all'organo  istituito  per  garantire l'esercizio
  indipendente della funzione giurisdizionale ordinaria.
    Non  si vuole, cosi' dicendo, affermare che per gli estranei alla
  magistratura  siano  da  richiedere  requisiti  analoghi  a  quelli
  prescritti per gli appartenenti a quest'ultima, riuscendo, se cosi'
  fosse,  frustrata  la  stessa ratio che ebbe ad ispirare l'istituto
  delle  sezioni specializzate, consistente nell'assicurare ad esse -
  data  la  specialita' della materia affidata alla loro competenza -
  il  contributo  che  si  pensa  possa  provenire da coloro che, pur
  mancando  di  cognizioni  giuridiche, siano tuttavia in possesso di
  nozioni, attitudini, esperienze concrete, idonee a meglio adeguare,
  nell'esercizio  dell'attivita'  decisoria, l'esatta interpretazione
  del  precetto normativa con le reali situazioni e rapporti ai quali
  essa ha riguardo.

    Ed  in  questo  senso deve interpretarsi l'eliminazione dal testo
  della  Costituzione  dell'inciso "secondo le norme dell'ordinamento
  giudiziario   che   era   contenuto   nel   progetto   a  proposito
  dell'organizzazione  delle sezioni specializzate. Si vuole, invece,
  mettere  in  rilievo  l'esigenza  che,  nell'istituire  le  sezioni
  specializzate,  la  legge  non  possa  dispensarsi da una precisa e
  puntuale   determinazione  tanto  dei  requisiti  dai  quali  possa
  presumersi  il  possesso da parte dei cittadini estranei all'ordine
  giudiziario  di quella idoneita' richiesta dall'art. 102 (idoneita'
  da  intendere  nel  senso prima indicato, e quindi variabile con il
  variare  della  materia oggetto della competenza di ciascun tipo di
  sezione),  quanto  di  un  minimo  almeno  di garanzie necessarie a
  conferire  agli esperti medesimi quella posizione super partes, che
  e'    attributo    connaturale    all'esercizio    della   funzione
  giurisdizionale   e   che   si  concreta,  appunto,  nel  requisito
  dell'indipendenza, richiesto testualmente, proprio pel personale di
  cui si parla, dall'art. 108.
    Ora, le norme impugnate si astengono da ogni anche approssimativa
  e  sommaria specificazione nel senso indicato. Cio' appare evidente
  nei  riguardi  del requisito dell'idoneita'. A differenza di quanto
  avviene  per  altri  organi  che  possono  assimilarsi alle sezioni
  specializzate  (tribunali  per i minorenni, tribunali regionali per
  le  acque pubbliche, Corti di assise), per i quali tale requisito o
  e'  oggetto  di  apposite  disposizioni legislative, oppure risulta
  esplicitamente presupposto in quanto inerente all'ufficio ricoperto
  (come  avviene  per  gli ingegneri del genio civile designati a far
  parte del tribunale regionale delle acque), nulla e' disposto dalle
  leggi  in esame in ordine alla capacita' dei membri estranei, tanto
  se  questa  sia  da  intendere  in senso generico, quanto nel senso
  specifico del possesso di determinate attitudini tecniche.
    (Omissis).
    Anche  per  quanto attiene all'indipendenza non e' dato rinvenire
  alcuna  predisposizione  che valga a farla ritenere assicurata. Non
  puo'    accedersi    all'opinione    adombrata    nelle   deduzioni
  dell'Avvocatura  che  interpretano  il  precetto costituzionale nel
  senso    dell'affidamento    al    legislatore    di    un'assoluta
  discrezionalita'  nella  disciplina  delle  sezioni  e vedono nella
  "riserva  di  legge  di  cui  all'art.  108 la sola garanzia voluta
  stabilire.  Non  si  scorge,  infatti,  il  fondamento su cui possa
  poggiare  la  differenza  di  trattamento che si vorrebbe porre fra
  questa  e le altre "riserve stabilite dalla Costituzione, le quali,
  anche  se,  come  l'attuale,  non siano "rinforzate , sono ritenute
  suscettibili  di  dar  vita al sindacato rivolto ad accertare se vi
  sia  una  qualche, anche minima, corrispondenza fra la legge emessa
  nella materia riservata e l'interesse che la Costituzione ha inteso
  tutelare sancendo la riserva.
    Non   e'  contestabile  che  il  requisito  dell'indipendenza  e'
  difficilmente  configurabile  in  termini  precisi,  perche' la sua
  regolamentazione  propone  problemi  diversi  secondo la diversita'
  delle  strutture  statali  e  le  epoche  storiche,  e non consente
  uniformita',   dovendo   adeguarsi   alla   varieta'  dei  tipi  di
  giurisdizione.  Cosi', se puo' ammettersi che, fra gli scopi cui si
  vuole  soddisfino  le sezioni specializzate, sia compreso quello di
  far   risuonare  nel  seno  del  collegio  giudicante  la  voce  di
  determinate  esigenze sociali, appare giustificato, nei casi in cui
  da  esse  siano  state espresse apposite organizzazioni, consentire
  che  da  queste ultime provengano i membri estranei. Ma quando cio'
  accada  non puo' prescindersi dal richiedere che costoro, una volta
  assunti  alla  carica,  pur  se chiamati a riflettere gli interessi
  generali del settore rappresentato, siano tuttavia sottratti ad una
  situazione  di  passiva  obbedienza  di  fronte all'associazione di
  provenienza, cosi' da consentire loro di procedere all'applicazione
  della  legge  sulla  base  di  una  obbiettiva considerazione degli
  elementi emergenti dalla causa.
    In  modo  piu' particolare poi non puo' prescindersi dall'esigere
  che,   nell'ordinamento   delle  sezioni  specializzate,  sia  resa
  possibile  la  costante  osservanza,  anche nei riguardi dei membri
  estranei, del principio generale della precostituzione del giudice,
  nonche'  l'applicazione  di  quegli  istituti  (come per es. quelli
  dell'astensione  e  della  ricusazione)  necessari ad assicurare la
  loro  estraneita'  all'interesse  delle  parti  fra  cui  verte  la
  controversia.
    Ora  ritiene  la Corte che per quanto riguarda le sezioni agrarie
  facciano  difetto le condizioni rilevate. Infatti, da una parte, la
  nomina  degli  esperti,  se  pure  affidata  ai capi delle Corti di
  appello, rimane vincolata alla scelta di uno dei due nomi designati
  dalle  associazioni,  e  dall'altra  fa difetto ogni determinazione
  della  durata  in  carica dei medesimi, il che accresce di fatto il
  potere   delle  associazioni  di  richiedere  in  ogni  momento  la
  sostituzione  dei membri in carica con altri (deficienze queste che
  appaiono  tanto  piu'  gravi quando si tenga presente la prevalenza
  numerica  nelle sezioni di primo grado dei membri predetti rispetto
  ai giudici togati).
    (Omissis).
    Pertanto, il contrasto della vigente organizzazione delle sezioni
  agrarie   specializzate   con   esigenze   fondamentali   di   ogni
  giurisdizione non puo' non farla considerare incostituzionale".

    Nella  sentenza 9 aprile 1968, n. 33 (con la quale fu statuita la
  illegittimita'  costituzionale  di  alcune  delle  disposizioni del
  d.l.c.p.s. 15 novembre 1946, n. 367, ratificato con legge 17 aprile
  1956,    n. 561,    concernente    l'istituzione    della    giunta
  giurisdizionale amministrativa della Valle d'Aosta), si legge poi:

        "La  prima e fondamentale censura che investe la composizione
  in  sede  giurisdizionale  della  giunta  della  Valle  d'Aosta  e'
  fondata.  Evidente  e'  l'analogia  tra la questione ora in esame e
  quelle proposte in ordine alla composizione in sede giurisdizionale
  dei   consigli   di   prefettura   e   delle   giunte   provinciali
  amministrative,  decise rispettivamente con sentenze n. 55 del 1966
  e n. 30 del 1967.
    Anche  nei  riguardi  dei  componenti  della  giunta  della Valle
  indicati  nei  nn.  2  e  3  dell'impugnato art. 1 sono ravvisabili
  motivi  validi  per  escludere  che  l'organo  giurisdizionale  cui
  appartengono (non diversamente da quanto la Corte ebbe ad affermare
  nelle  richiamate  sentenze) possa essere considerato indipendente.
  Trattasi  infatti  di  funzionari:  consigliere di prefettura - ora
  direttore   di  sezione  -  designato  dal  prefetto  di  Torino  e
  intendente  di finanza di Aosta, la cui nomina, sebbene avvenga per
  la   durata  di  un  biennio  (con  decreto  del  Presidente  della
  Repubblica,  ai  sensi  dell'ultimo  comma  dell'art.  1 modificato
  dall'art.  3  della  legge  1o  marzo 1949, n. 76) resta pur sempre
  basata  sul  presupposto  di  un  titolo particolare, quale appunto
  l'appartenenza   del   primo   alla   prefettura  di  Torino  e  la
  destinazione  del secondo alla direzione dell'intendenza di finanza
  di Aosta.
    Il  potere  esecutivo,  rispetto  al  quale  detti  funzionari si
  trovano  in  posizione  di  dipendenza  gerarchica,  ha  quindi  la
  possibilita',  assolutamente  discrezionale di far venire meno tale
  presupposto  disponendo  il  trasferimento  in  altra sede di detti
  funzionari con conseguente loro decadenza dalla nomina a componenti
  della  giunta  anche  prima  della scadenza del termine fissato nel
  decreto  presidenziale.  La  rinnovazione,  sia  pure parziale, del
  consesso  giurisdizionale,  dipenderebbe  in  definitiva dal potere
  spettante  all'amministrazione  centrale in ordine alla carriera ed
  ai  trasferimenti dei funzionari in questione. Vero e' che essi - a
  differenza   di   quanto   osservato   per  le  giunte  provinciali
  amministrative  -  non  rappresentano la maggioranza dei componenti
  dell'organo   giurisdizionale   in   esame.  Ma,  a  parte  che  ne
  costituiscono  i  due quinti, sta di fatto che la partecipazione ad
  un organo giurisdizionale di un solo componente non indipendente e'
  sufficiente a minare l'imparzialita' dell'organo".
    Nella  sentenza  9  maggio  1968,  n. 49  (con  cui fu dichiarata
  l'illegittimita'  costituzionale  della  legge  23  dicembre  1966,
  n. 1147,   recante   modificazioni   alle   norme  sul  contenzioso
  elettorale  amministrativo,  e inoltre, ai sensi dell'art. 27 della
  legge  11  marzo 1953, n. 87, l'illegittimita' costituzionale delle
  disposizioni   sulla  procedura  davanti  alla  giunta  provinciale
  amministrativa in sede giurisdizionale, contenute nel titolo II del
  r.d. 26 giugno 1924, n. 1058, recante l'approvazione del t.u. delle
  leggi    sulle    giunte   provinciali   amministrative   in   sede
  giurisdizionale, la Corte costituzionale ebbe modo di affermare fra
  l'altro:

        "Fondato e' ... il terzo motivo che, richiamandosi agli artt.
  101   e   108,  nega  alla  composizione  del  collegio  giudicante
  l'idoneita'   ad   assicurare   la   indipendenza   dei  giudici  e
  l'imparzialita' del giudizio.
    Infatti   due  dei  cinque  componenti  sono  funzionari  statali
  (prefetti  o vice prefetti) e vengono scelti e nominati su proposta
  del  Presidente  del Consiglio con decreto del Capo dello Stato. La
  nomina governativa di per se' non sarebbe ragione di illegittimita'
  costituzionale  (sentenza  n. 1  del  1967) se i funzionari, appena
  nominati,  acquistassero  indipendenza  rispetto  al Governo e alla
  pubblica  amministrazione.  Essi,  invece,  sebbene collocati fuori
  ruolo,  continuano ad appartenerle, beneficiano dei miglioramenti o
  avanzamenti  di  carriera,  ritornano  nei  ruoli  allo scadere del
  quinquennio  o,  eventualmente,  col proprio consenso, anche prima:
  situazione   di   dipendenza  del  Governo  che  innegabilmente  e'
  accentuata  dal  possibile  o sperato rinnovo della nomina. Solo la
  definitiva  rottura  del  rapporto di servizio e l'assunzione dello
  status   professionale   di   giudici   renderebbe  indipendenti  i
  funzionari  nominati  dal Governo. Percio' la norma impugnata viola
  l'art.  108,  secondo  comma,  della  Costituzione.  Gli  altri tre
  componenti   sono  designati,  con  votazione  a  maggioranza,  dal
  consiglio  regionale  o  dall'assemblea dei consiglieri provinciali
  della  regione.  Questo  tipo  di  scelta  di  per  se' non sarebbe
  illegittimo  (come s'e' visto che non sarebbe illegittima la nomina
  governativa),  anche  perche'  il legislatore, non consentendo piu'
  d'una  designazione  per  votante, si e' preoccupato di evitare che
  delle  designazioni  disponessero  le sole maggioranze. Preclusioni
  costituzionali  all'uno  o all'altro modo di scelta non sussistono,
  una volta stabilito che si tratta di giurisdizioni speciali, mentre
  il  concorso  e'  prescritto  per i soli giudici ordinari (art. 106
  della  Costituzione), e tenuto conto del fatto che i giudici scelti
  secondo  la legge denunciata non coprono tutta l'area del collegio.
  Ne'  si puo' dimenticare che, per una parte, i giudici della stessa
  Corte  costituzionale  e  del Consiglio di giustizia amministrativa
  per  la Regione siciliana sono eletti e, rispettivamente, designati
  da organi politici, la garanzia essendo data, nell'uno e nell'altro
  caso,  non  dalla  fonte  della  scelta,  ma  dall'indipendenza del
  collegio  e  del  giudice. Senonche' l'indipendenza degli "estranei
  designati  dai  consigli  provinciali  non  e' del tutto assicurata
  dall'art.  2  della  legge  1966  n. 1147: e cio', non perche' essi
  siano  in  certo  senso  giudici  "in  causa  propria (infatti sono
  persone  estranee  ai  consigli che li hanno designati e portano la
  volonta' di tutta la popolazione regionale); ma perche', al cessare
  del  quinquennio,  la  designazione  puo' essere rinnovata: la sola
  prospettiva  del  reincarico  basta  a  escludere l'indipendenza di
  costoro dai consigli provinciali o regionali.
    Come dire che la legge, pur volendoli normalmente inamovibili, e'
  in contrasto con gli artt. 108 e 101 della Costituzione".

    Nella  sentenza  25  marzo  1970,  n. 53  (con  la quale la Corte
  costituzionale  dichiaro'  non fondata la questione di legittimita'
  costituzionale  concernente  gli  artt.  3, quarto comma, e 4 della
  legge  2  marzo  1963,  n. 320,  sulla  composizione  delle sezioni
  specializzate  agrarie,  sollevata  in  riferimento agli artt. 104,
  105, 108 della Costituzione), e' stato ancora, affermato:

        "Le  ordinanze  imputano  agli  articoli  che  si  sono prima
  ricordati  della  legge  2  marzo 1963, n. 320, la violazione degli
  artt.  104,  105 e 108 della Costituzione, nella considerazione che
  le  modalita'  dai  medesimi  fissate per la nomina degli esperti i
  quali  entrano  a  comporre  le  sezioni  specializzate agrarie non
  garantiscono   ne'  l'indipendenza  ne'  l'imparzialita'  dei  loro
  giudizi.  Deve anzitutto essere osservato come del tutto estraneo e
  inconferente  alla  questione sollevata sia il richiamo fatto dalle
  ordinanze  stesse agli artt. 104 e 105 della Costituzione, dato che
  questi hanno riguardo esclusivamente ai componenti la magistratura,
  intesa  questa  nel nucleo ben delimitato risultante solo da quella
  parte  degli  appartenenti  all'ordine  giudiziario  costituita dai
  giudici   ordinari,  rispetto  ai  quali  solamente  sono  previste
  particolari   forme   di   garanzie,   come  quella  che  affida  i
  provvedimenti  di  stato  ad  essi relativi ad uno speciale organo,
  qual  e' il Consiglio superiore della magistratura. E poiche' nella
  specie   e'  in  contestazione  il  rispetto  delle  condizioni  di
  indipendenza  di  "estranei  partecipanti all'amministrazione della
  giustizia  ,  alle  quali  si riferisce l'art. 108, l'indagine deve
  essere  compiuta  (contrariamente  a quanto ritiene l'ordinanza del
  tribunale  di  Roma, secondo cui sarebbe da riservare all'esclusiva
  competenza    del    Consiglio    superiore    della   magistratura
  l'accertamento  dei  requisiti  oltre  che  la nomina degli esperti
  medesimi) alla stregua solo di quest'ultima disposizione.
    Da  essa  risulta  che  il  costituente si e' limitato a disporre
  solamente   un   rinvio   alla   legge,   sicche'  il  giudizio  di
  costituzionalita'  deve  essere  circoscritto  ad  accertare  se la
  disciplina  stabilita  da  quella  denunciata  prescriva  almeno un
  minimo  di  requisiti  che rendano ragionevole la presunzione della
  loro corrispondenza all'imperativo della Costituzione.
    Cio'  non  diversamente  da quanto prescritto per i componenti le
  giurisdizioni  speciali:  dal  che  si desume la infondatezza della
  tesi   secondo  cui  sussisterebbe  l'obbligo  pel  legislatore  di
  differenziare  le  garanzie in parola secondo che si riferiscano ai
  componenti  dell'una o dell'altra delle due categorie di organi ora
  menzionati.
    Nella specie le garanzie predisposte con la legge denunciata sono
  da ritenere sufficienti.
    (Omissis).
    Accertato  ...  che agli ispettorati compartimentali e' demandata
  una funzione esclusivamente preparatoria e non gia' decisionale per
  quanto attiene alla preposizione degli esperti, diviene irrilevante
  indagare   se   le   sezioni   siano,   come  si  assume,  chiamate
  effettivamente  a  giudicare  su atti predisposti dagli ispettorati
  medesimi.
    Pertanto  deve ritenersi che la legge denunciata abbia pienamente
  soddisfatto  quelle  esigenze di assicurare tanto l'idoneita' degli
  esperti  alle  funzioni loro attribuite quanto la loro indipendenza
  dalle  parti  e  dalla pubblica amministrazione, secondo quanto era
  stato  richiesto  con  le precedenti pronunce di questa Corte n. 76
  del 1961 e 108 del 1962, anche per quanto riguarda quel particolare
  aspetto   dell'imparzialita',   che   trova   soddisfazione   nella
  possibilita'   del   ricorso,   nei  congrui  casi,  agli  istituti
  dell'astensione e della ricusazione".
    Infine,  nella  sentenza  15 gennaio 1976, n. 25 (con la quale e'
  stata,  fra  l'altro,  dichiarata  l'illegittimita'  costituzionale
  dell'art.  3, secondo comma, del decreto legislativo 6 maggio 1948,
  n. 654,  nella  parte  in  cui  esso  disponeva  che  i  membri del
  Consiglio  di  giustizia  amministrativa della Regione siciliana in
  sede  giurisdizionale,  designati dalla giunta regionale, potessero
  essere riconfermati la Corte costituzionale ha affermato:

        "L'indipendenza   dei   membri  del  Consiglio  di  giustizia
  amministrativa  della  Regione  siciliana  designati  dalla  giunta
  regionale e' sicuramente compromessa per effetto della disposizione
  che  prevede,  al  termine  del  quadriennio,  la  possibilita'  di
  riconferma  nell'incarico,  secondo  il discrezionale apprezzamento
  del Governo regionale.
    Questa  Corte  ha  gia' avuto occasione di affermare, a proposito
  dei  componenti  della  giunta  provinciale amministrativa estranei
  all'amministrazione,  che "la sola prospettiva del reincarico basta
  a  escludere  l'indipendenza  di costoro dai consigli provinciali o
  regionali  (sentenza  n. 49  del  1968);  e  cio' appare ancor piu'
  evidente  nel caso di specie, trattandosi di membri designati dalla
  giunta regionale, e la cui nomina o conferma (ancorche' con decreto
  presidenziale)  avviene, come per gli altri componenti dell'organo,
  su  proposta del Presidente del Consiglio, previa deliberazione del
  Consiglio  dei  ministri,  sentito  il  presidente  della  regione:
  talche',  proprio  in  rapporto  alla  prospettiva  d'una eventuale
  conferma,  l'indipendenza  di  questi  giudici  non  puo' ritenersi
  assicurata  dalla legge, sia nei confronti del Governo centrale sia
  soprattutto  di quello regionale con aperta violazione dei precetti
  contenuti  negli  artt.  100,  101  e 108 della Costituzione. E non
  occorre  avvertire che, di fronte ai principi della indipendenza ed
  imparzialita'  dei  giudici,  ordinari,  amministrativi o speciali,
  cede  il  principio generale della ammissibilita' agli incarichi ed
  uffici  pubblici,  che  comporta di regola anche la possibilita' di
  riconferma  o  rielezione:  possibilita' che deve essere fermamente
  esclusa  per i membri laici del C.G.A. quale organo di tutela della
  giustizia nell'amministrazione, a cui l'art. 23 dello Statuto della
  Regione  siciliana  attribuisce  le  stesse funzioni spettanti alle
  sezioni giurisdizionali del Consiglio di Stato".

    4.  - Si considerino, ora, le seguenti caratteristiche dei membri
  laici dei tribunali regionali delle acque pubbliche:
        a)  essi,  una  volta  nominati, non solo rimangono nei ruoli
  degli  uffici  statali  di  cui  fanno  parte  (ora: provveditorati
  regionali  alle  opere pubbliche), ma continuano a prestare in essi
  servizio con vincolo gerarchico nei confronti dei loro superiori;
        b)  la  loro  scelta,  pur se la nomina deve intendersi, ora,
  riservata  al  C.s.m.  per effetto dell'entrata in vigore dell'art.
  10,  primo  comma,  n. 2, della legge 24 marzo 1958, n. 195 (in tal
  senso  v.  la  gia'  citata pronunzia del tribunale superiore delle
  acque  pubbliche 5 ottobre 1983, n. 26, che richiama, in proposito,
  la  sentenza  delle  sezioni  unite 22 dicembre 1964, n. 2950, pure
  citata),  e',  comunque, ristretta all'esiguo ambito dei funzionari
  idonei che prestino servizio nella sede del tribunale;
        c)  l'art.  139  del r.d. 11 dicembre 1933, n. 1775, consente
  espressamente    che    essi   siano   riconfermati   nell'incarico
  giurisdizionale;
        d)  non puo' dubitarsi, in conformita' a quanto osservato, in
  proposito,  dalla  dottrina,  del  potere  dell'amministrazione  di
  appartenenza  di  far cessare in ogni momento dalle loro funzioni i
  membri laici del tribunale regionale delle acque pubbliche in forza
  di provvedimenti discrezionali di trasferimento ad altra sede;
        e)  essi  sono,  per  usare  l'efficace espressione contenuta
  nella   sentenza   costituzionale   9  maggio  1968,  n. 49  (supra
  ricordata)  "giudici in causa propria" in quanto l'oggetto del loro
  giudizio  puo'  ricomprendere  (ed anzi, in relazione all'ambito di
  competenza  stabilito  dall'art.  140  del  r.d.  11 dicembre 1933,
  n. 1775,  e'  normale che cio' avvenga; cio' avviene, comunque, nel
  presente  caso)  la  questione  della legittimita' di provvedimento
  dell'ufficio  alla  cui  appartenenza  consegue, ope legis, la loro
  designazione all'incarico giurisdizionale.

    5.   -   Poiche'   l'indipendenza  che  la  Costituzione  intende
  assicurare  -  sia pure in forme e modi diversi - a tutti i giudici
  (compresi  quelli speciali e aggregati) non puo', evidentemente (in
  relazione  al  concetto  di  indipendenza  del  giudice  che  si e'
  affermato    nella    storia   e   nella   dottrina   del   diritto
  costituzionale), essere ridotto al mero dato normativo dell'assenza
  di  ogni  vincolo  gerarchico  che  abbia  come  oggetto  giuridico
  l'esercizio   dell'attivita'   giurisdizionale   (che'   altrimenti
  dovrebbe  dirsi  indipendente  anche  quel  giudice che, in un dato
  ordinamento,  possa  - sia pure in via di mero fatto - fondatamente
  temere  il  proprio,  indesiderato  trasferimento ovvero persino il
  proprio  licenziamento quale reazione a una sua sgradita pronunzia)
  ma  si  estende  a  quelle  misure  istituzionali  che,  in un dato
  contesto storico, siano, ragionevolmente, da reputarsi necessarie e
  sufficienti  a  proteggere,  per  quanto  e'  possibile, il giudice
  stesso  da  indebite  pressioni  (anche  di  puro  fatto)  idonee a
  perturbare  la  retta  formazione  del  suo  giudizio,  non  appare
  manifestamente  infondata  la  tesi  che  la disciplina legislativa
  dettata  pei  membri  aggregati dei tribunali regionali delle acque
  pubbliche non sia conforme, per i motivi sopra passati in rassegna,
  all'esigenza  costituzionale  di  indipendenza richiamata (sia pure
  implicitamente)  dall'art.  108 cpv. della Costituzione, cosi' come
  interpretata dalla giurisprudenza costituzionale.

    6.  -  Il  tribunale  non  vuole,  in  tal modo, affermare che il
  rischio  di indebite pressioni sia, in concreto, per i membri laici
  dei   tribunali   regionali  delle  acque  pubbliche,  nell'attuale
  momento,  di  notevole  rilievo  statistico  e  tuttavia  anche  la
  semplice  -  pur  se,  in  ipotesi,  remota - possibilita' che tali
  pressioni  si  verifichino  perche'  non  impedite  da una migliore
  disciplina  costitutiva  dei  tribunali  e' idonea a legittimare il
  sospetto   dell'illegittimita'   costituzionale   della  disciplina
  stessa.
    7.  -  Inoltre  va  aggiunto  che,  a  parere  del  collegio,  la
  perdurante  appartenenza dei membri laici dei tribunali delle acque
  pubbliche  all'apparato  amministrativo  preposto  al governo delle
  stesse  acque  pubbliche  e  alla tutela degli interessi pubblici a
  tale  materia  riconnessi mina l'indipendenza del giudice non tanto
  perche' il componente aggregato possa avere personalmente avuto una
  veste  ufficiale,  quale amministratore, nella questione che a lui,
  giudice,  viene  sottoposta  (ad  evitare questo rischio dovrebbero
  bastare le norme processuali sull'astensione e la ricusazione) ne',
  solo,  perche' possano temersi quelle indebite pressioni alle quali
  sopra  s'e'  fatto cenno quanto perche', in molte delle vicende che
  concretamente,  vengono  all'esame del tribunale, il semplice fatto
  dell'appartenenza stessa e', in realta', di per se', obiettivamente
  idoneo  a  creare  disagio  al  membro  aggregato: dovendo, questi,
  infatti,  prendere  spesso  posizione  (come,  del resto, anche nel
  presente  caso  accade)  riguardo  alla soluzione ritenuta giusta e
  opportuna  dal suo ufficio, costringerlo, in certo modo, a prendere
  partito nei confronti del corpo amministrativo di cui egli e' parte
  attiva,  a votare, per cosi' dire, a favore o contro di esso appare
  elemento  sufficiente  a  perturbare (non importa in qual senso) la
  necessaria serenita' del suo giudizio.
    Ne'  si  dica  che  la  situazione e' simile a quella nella quale
  viene  a  trovarsi  qualunque  giudice  quando  debba  decidere  se
  revocare  o  meno,  per  esempio, un provvedimento, denunciato come
  erroneo,  emesso  dall'amico  o  dal  maestro: occorre dire che, in
  verita',  situazioni  del genere non sono da alcuno sentite come un
  attentato  alla serenita' del giudizio e cio' perche' l'istituzione
  giudiziaria  non ha altro, intrinseco legame che quello consistente
  nell'essere   unitariamente   volta   alla   funzione  giudiziaria:
  esercitando,    per    il    resto,   ogni   giudice   appartenente
  all'istituzione,   un  solitario  potere  neutro,  a  null'altro  -
  istituzionalmente  -  diretto  che  all'affermazione della volonta'
  della legge.
    Non e' cosi' per l'apparato di cui fanno parte i membri laici dei
  tribunali  delle  acque  trattandosi,  in  tal  caso,  di  un corpo
  amministrativo  che  e',  di  fatto  e  per  dovere  istituzionale,
  portatore  - sia pure, come e' logico, nel rispetto della legalita'
  -   di   specifici,  concreti  interessi  (di  natura,  ovviamente,
  pubblica).
    Questi  stessi  interessi concreti debbono pero' essere valutati,
  nell'ambito  del  processo  e  del  giudizio  (teso  alla semplice,
  neutrale  attuazione  della  norma),  come interessi "di parte", di
  guisa  che  il  repentino  cambio  di prospettiva richiesto, per lo
  stesso  oggetto,  al  funzionario  divenuto  -  provvisoriamente  -
  giudice  non  pare  idoneo  viatico  alla serenita' - e dunque alla
  corretta  formazione  -  del giudizio stesso e cio' senza dovere in
  alcun  modo ipotizzare ne' alcuna mala fede del funzionario-giudice
  ne'  alcuna  forma positiva di pressione da parte dei suoi colleghi
  funzionari.

    8.  -  Quand'anche  non  si  reputassero obiettivamente fondati i
  rilievi   che   si   sono   fin  qui  esposti  circa  la  possibile
  illegittimita'  costituzionale  della  disciplina  in  discorso per
  violazione  dell'art.  108  cpv.  della Costituzione rimarrebbe pur
  sempre  da considerare, a parere del collegio, un ulteriore profilo
  di  possibile  illegittimita'  costituzionale  della  normativa  in
  questione.

    9.  -  Va  ricordato,  a  questo riguardo, che l'indipendenza dei
  giudici  rappresenta  un  valore  talmente  importante che, come e'
  stato,  assai  autorevolmente,  detto  e ribadito, occorre che, non
  solo essa esista nella sostanza, ma pure che il popolo sia convinto
  della  sua esistenza (da qui la ricorrente - e giusta - esortazione
  ai  giudici  ad  essere indipendenti ed anche ad apparire tali): si
  tratta,  in  sostanza, di far si' che il popolo possa avere fiducia
  nelle  proprie  istituzioni  consistendo proprio in tale fiducia la
  base civile e politica dell'ordinamento costituzionale democratico.
    Da  questo  punto  di  vista - e considerando che nel concetto di
  buon  andamento  dell'amministrazione,  di  cui  all'art. 97, primo
  comma,  della  Costituzione,  sembra doversi ricomprendere anche la
  cura  dell'efficacia  che direttamente deriva, all'azione pubblica,
  dalla  fiducia  che in essa i cittadini di fatto ripongono - appare
  sospetta  di  violazione  della  norma  costituzionale  predetta la
  disposizione legislativa che, istituendo come giudici coloro stessi
  che, per analoghi oggetti, sono, normalmente, parti, diminuisce, in
  tal  modo,  agli occhi del popolo, la credibilita' dell'istituzione
  stessa.

    10.  -  Poiche'  la  questione  della legittimita' costituzionale
  dell'art.   138  del  regio  decreto  11  dicembre  1933,  n. 1775,
  limitatamente   alla  seguente,  ultima  parte:  "alla  quale  sono
  aggregati  tre funzionari del genio civile designati dal presidente
  del  Consiglio superiore dei lavori pubblici e nominati con decreto
  del   Presidente   della   Repubblica,  su  proposta  del  Ministro
  Guardasigilli.  Essi  durano in carica cinque anni e possono essere
  riconfermati  ...  I  tribunali  delle acque pubbliche decidono con
  intervento  di  tre  votanti, uno dei quali deve essere funzionario
  del genio civile", non appare, in riferimento agli artt. 108 cpv. e
  97,  primo comma, della Costituzione, manifestamente infondata; non
  potendo,  il  presente  giudizio, essere definito indipendentemente
  dalla  risoluzione  di tale questione, esso, ex art. 23 della legge
  11  marzo  1953,  n. 87,  va  sospeso mentre, ai sensi della stessa
  norma,  va  disposta l'immediata trasmissione degli atti alla Corte
  costituzionale  e  va  ordinato  che,  a cura della cancelleria, la
  presente  ordinanza  sia  notificata  alle  parti  in  causa  e  al
  Presidente   del   Consiglio  dei  ministri  e  sia  comunicata  ai
  Presidenti delle due Camere del Parlamento.
                              P. Q. M.
    Ritenuta non manifestamente infondata e rilevante la questione di
  legittimita' costituzionale sopra illustrata;
    Visto l'art. 23 della legge 11 marzo 1953, n. 87;
    Sospende il presente giudizio;
    Ordina   l'immediata   trasmissione   degli   atti   alla   Corte
  costituzionale;
    Ordina  che  la  presente  ordinanza sia notificata alle parti in
  causa  e  al Presidente del Consiglio dei ministri e sia comunicata
  ai Presidenti delle due Camere del Parlamento .
    Cosi'  deciso in Firenze, nella camera di consiglio del 19 aprile
  2000.
                      Il Presidente: Massetani
00C1376