N. 58 RICORSO PER CONFLITTO DI ATTRIBUZIONE 6 dicembre 2000
Ricorso per conflitto di attribuzione depositato in cancelleria il 6 dicembre 2000 (del tribunale penale di Roma) Parlamento - Immunita' parlamentari - Dichiarazioni in conferenza stampa del sen. Roberto Centaro, ritenute diffamatorie dal querelante, dott. Giancarlo Caselli - Deliberazione di insindacabilita' adottata dal Senato della Repubblica nella seduta del 27 gennaio 2000 - Conflitto di attribuzione fra poteri dello Stato sollevato dal Giudice per le indagini preliminari del tribunale di Roma - Denunciata mancanza del nesso funzionale tra dichiarazioni ed attivita' parlamentare - Conflitto dichiarato ammissibile, in fase di delibazione preliminare, con ord. n. 493/2000. - Deliberazione del Senato della Repubblica 27 gennaio 2000. - Costituzione, art. 68, primo comma.(GU n.53 del 27-12-2000 )
Il g.i.p. Andrea Vardaro, letti gli atti del procedimento penale R.G. notizie di reato n. 11798/98R (n. 1787/99 g.i.p.) contro Centaro Roberto, nato a Siracusa il 21 novembre 1953, elett. te dom. to in Siracusa, v.le Tunisi n. 29, presso lo studio dell'Avv. Ettore Randazzo ed altri, parte civile: Caselli Giancarlo, nato ad Alessandria il 9 maggio 1939, elett. te dom. to in Roma, v.le Mazzini n. 11, presso lo studio dell'avv. Paola Parise. O s s e r v a Con querela del 17 luglio 1998 il dott. Caselli, all'epoca procuratore presso il tribunale di Palermo, ha esposto che nel corso di una conferenza stampa tenutasi in Roma il 9 luglio 1998, il sen. Roberto Centaro, l'on. Filippo Mancuso, l'on. Tiziana Maiolo e l'on. Gianfranco Miccicche' avevano pronunciato nei suoi confronti "varie frasi - costellate di falsita' - pesantemente diffamatorie" diffuse a mezzo di lanci dalle agenzie Ansa, Agi, Adnkronos. A seguito della querela il p.m. presso il tribunale di Roma ha richiesto il rinvio a giudizio dei parlamentari Centaro, Maiolo e Mancuso per distinti reati di diffamazione a mezzo stampa aggravata: in particolare il rinvio a giudizio del sen. Centaro e' stato chiesto per il "delitto p. e p. dagli artt. 595 primo e terzo comma, c.p. e 13, legge 8 febbraio 1948, n. 47, per avere, nel corso della conferenza tenutasi a Roma il 9 luglio 1998 a seguito della mancata partecipazione di Forza Italia al convegno sul riciclaggio organizzato in Palermo dalla Commissione parlamentare antimafia, rilasciato dichiarazioni che venivano diffuse a mezzo di lanci dall'agenzia Adnkronos, Agi e Ansa del seguente tenore "sull'intollerabile metodo di indagine con cui la procura siciliana e di Milano operano nei confronti di Silvio Berlusconi con una strategia di delegittimazione e di epurazione politica attraverso lo strumento giudiziario ... e le indagini di Palermo proprio sul riciclaggio che si fondano su dichiarazioni de relato dimostrano un settarismo di stampo ideologico" (Adnkronos) con le quali offendeva la reputazione di Giancarlo Caselli, procuratore della Repubblica di Palermo". Il Senato della Repubblica, con votazione in data 27 gennaio 2000 ha approvato la proposta della giunta per le elezioni e le immunita' parlamentari di dichiarare che "il fatto oggetto del procedimento concerne opinioni espresse da un membro del Parlamento nell'esercizio delle sue funzioni e ricade nell'ipotesi di cui all'art. 68, primo comma, della Costituzione". La giunta ha motivato la proposta di insindacabilita' delle opinioni espresse dal Sen. Centaro rilevando che il convegno di Palermo era stato indetto dalla Commissione antimafia e quindi costituiva un'attivita' inerente i compiti della Commissione stessa, per cui la partecipazione al medesimo "concretava innegabilmente un'attivita' parlamentare, e reciprocamente la non partecipazione dell'intero gruppo (di Forza Italia) esprimeva a sua volta un comportamento rilevante sul piano parlamentare", che il sen. Centaro aveva inviato al presidente della Commissione antimafia una lettera con cui spiegava le motivazioni della decisione di non prendere parte al convegno in qualita' di responsabile del gruppo di Forza Italia in seno alla commissione; che la comunicazione della decisione integrava "un atto di conseguente rilievo istituzionale compiuto dal soggetto qualificato a realizzarlo", che "il rendere noto, in una conferenza stampa immediatamente successiva, sia la decisione sia le motivazioni che la sorreggono, integra quella divulgazione dell'attivita' parlamentare che, pur non potendo costituire funzione parlamentare in senso tecnico, e' a questa legata dal nesso funzionale", che, infine, le dichiarazioni rese dal sen. Centaro, sia pure connotare da "asprezza di toni e perentorieta' di conclusioni, non travalicano i limiti ricostruiti dall'elaborazione giurisprudenzale per il concetto di opinione". Nel corso dell'udienza preliminare il pubblico ministero ha sollecitato questo giudice a sollevare il conflitto di attribuzioni innanzi alla Corte costituzionale, mentre il difensore del sen. Centaro ha chiesto una pronuncia di non luogo a procedere. Cio' premesso si osserva che il giudice ordinario, in presenza della dichiarazione di insindacabilita' delle opinioni espresse da un parlamentare, "deve prendere atto della valutazione espressa dal Parlamento adeguandovisi e quindi dichiarando la non punibilita' del fatto perche' commesso nell'esercizio delle funzioni parlamentari, ovvero sollevare conflitto di attribuzioni innanzi alla Corte costituzionale, ove ritenga contestabili le concrete modalita' di esercizio del potere del Parlamento" per vizi in procedendo, per omessa o erronea valutazione dei presupposti richiesti, o per l'arbitrarieta' o non plausibilita' della valutazione del nesso funzionale tra le espressioni ritenute diffamatorie e le prerogative parlamentari (cfr. Cass. Sez. V 12 febbraio 1999, Della Valle-Corte cost. n. 443/1993; Cass. sez. V 8 luglio 1999, Sgarbi). Questo giudice ritiene che, nel caso in esame, il Senato abbia erroneamente valutato la sussistenza dei presupposti necessari per poter considerare le dichiarazioni rese dal sen. Centaro insindacabili ai sensi dell'art. 68, primo comma, della Costituzione. La connessione tra le opinioni espresse dal parlamentare e l'esercizio delle relative funzioni costituisce "l'indefettibile presupposto di legittimita' della deliberazione parlamentare di insindacabilita'" (sentenza n. 329/1999 della Corte costituzionale). La Corte di Cassazione ha rilevato che gli atti c.d. di funzione - quegli atti, cioe', che, compiuti da parlamentari in relazione a tale specifica qualita', si rendono insindacabili anche da parte dell'autorita' giudiziaria perche' espressione della loro indipendenza ed autonomia - sono soltanto quelli relativi all'esercizio delle funzioni proprie di membro del Parlamento, vale a dire gli atti tipici del mandato parlamentare (presentazione di disegni di legge, interpellanze ed interrogazioni, relazioni, dichiarazioni), compiuti nei vari organi parlamentari o paraparlamentari, con l'esclusione di quelle attivita' che, pur latamente connesse con l'esercizio di tali funzioni, ne sono tuttavia estranee, quale l'attivita' politica extraparlamentare esplicata all'interno dei partiti. (Cass. sez. V, 16 dicembre 1997, Sgarbi). Secondo la piu' recente giurisprudenza costituzionale costituiscono opinioni espresse nell'esercizio della funzione parlamentare quelle "manifestate nel corso dei lavori della Camera e dei suoi vari organi, in occasione dello svolgimento di una qualsiasi fra le funzioni svolte dalla Camera medesima, ovvero manifestate in atti, anche individuali, costituenti estrinsecazione delle facolta' proprie del parlamentare quale membro dell'assemblea. Invece l'attivita' politica svolta dal parlamentare al di fuori di questo ambito non puo' dirsi di per se' esplicazione della funzione parlamentare nel senso preciso cui si riferisce l'art. 68, primo comma, della Costituzione. Nel normale svolgimento della vita democratica e del dibattito politico, le opinioni che il parlamentare esprima fuori dai compiti e dalle attivita' propri delle assemblee rappresentano piuttosto esercizio della liberta' di espressione comune a tutti i consociati: ad esse non puo' estendersi, senza snaturarla, una immunita' che la Costituzione ha voluto, in deroga al generale principio di legalita' e di giustiziabilita' dei diritti, riservare alle opinioni espresse nell'esercizio delle funzioni" (sentenza n. 10/2000 della Corte costituzionale). "Si debbono pertanto ritenere, in linea di principio, sindacabili tutte quelle dichiarazioni che fuoriescono dal campo applicativo del "diritto parlamentare e che non siano specificamente collegabili con specifiche forme di esercizio di funzioni parlamentari, anche se siano caratterizzate da un asserito "contesto politico o ritenute, per il contenuto delle espressioni o per il destinatario o la sede in cui sono state rese, manifestazioni di sindacato ispettivo. Questa forma di controllo politico rimessa al singolo parlamentare puo' infatti aver rilievo ... soltanto se si esplica come funzione parlamentare, attraverso atti e procedure specificamente previsti dai regolamenti parlamentari" (sentenza n. 11/2000 della Corte costituzionale). Con riferimento alla divulgazione delle opinioni manifestate dai parlamentari la Corte costituzionale ha precisato che "... la semplice comunanza di argomento fra la dichiarazione resa ai mezzi di comunicazione o in dibattiti pubblici e le opinioni espresse in sede parlamentare non basta ad estendere alla prima l'insindacabilita' che copre le seconde .... Deve esservi, dunque, un preciso nesso funzionale fra la dichiarazione e l'attivita' parlamentare: nesso che puo' legittimamente essere affermato dalle Camere anche quando le dichiarazioni siano sostanzialmente riproduttive dell'opinione sostenuta in sede parlamentare. La prerogativa costituzionale rileva, infatti, non soltanto per l'occasione specifica in cui l'opinione e' espressa in ambito parlamentare, ma riguarda il contenuto storico di essa, pure quando ne sia realizzata la diffusione pubblica. Perche' la pubblicita' accompagna l'attivita' parlamentare, necessariamente, assicurando il ruolo fondamentale delle Camere nella libera dialettica politica. L'insindacabilita' si estende, quindi, a tutte le altre sedi, e occasioni, in cui l'opinione sia riprodotta nel suo contenuto sostanziale" (sentenza n. 56/2000 della Corte costituzionale). Deve ritenersi, dunque, che costituiscono opinioni espresse nell'esercizio della funzione parlamentare quelle manifestate durante il compimento di atti tipici della funzione, nonche' quelle che, pur non essendo state manifestate in sede parlamentare, riproducano il contenuto sostanziale delle prime. A parere di questo giudice, contrariamente, a quanto ritenuto dalla giunta, la missiva inviata dal sen. Centaro al presidente della Commissione antimafia per comunicare la decisione di Forza Italia di non prendere parte al convegno di Palermo non puo' ritenersi atto tipico di funzione parlamentare, ne' presupposto o conseguenziale ad un atto tipico. Si tratta infatti di atto non previsto dai regolamenti parlamentari, che fuoriesce dal campo applicativo del diritto parlamentare per assumere una connotazione ed un contenuto squisitamente politico. Il ruolo di capogruppo di Forza Italia all'interno della commissione rivestito dal senatore non implica che l'atto di esternazione della decisione adottata dai componenti dello stesso partito sia annoverabile tra gli atti funzionali e come tale scriminato. La stessa giunta del resto lo definisce "atto di conseguente rilievo istituzionale" e non atto funzionale. La riproduzione del contenuto della comunicazione dell'on. Centaro al presidente della Commissione antimafia nella successiva conferenza stampa, conseguentemente, non costituisce divulgazione di opinione espressa in sede parlamentare, e non gode quindi della relativa immunita'. Seppure si individua nelle dichiarazioni ritenute diffamatorie un intento divulgativo di una scelta o di un'attivita' precedente, quella attivita' presupposta, - consistita nell'esprimere le ragioni della mancata partecipazione degli esponenti di Forza Italia ad un convegno al quale avrebbe presenziato il dott. Caselli - esula dall'esercizio di funzioni parlamentari. Ritiene, in conclusione, questo giudice, che il Senato abbia erroneamente valutato i presupposti richiesti per la adozione della delibera di insindacabilita' delle dichiarazioni rese dal sen. Centaro, interferendo illegittimamente nella sfera di attribuzioni riservata all'autorita' giudiziaria.
P. Q. M. Visti gli artt. 68, primo comma, della Costituzione, 23 u.c., 37 e 38 legge 11 marzo 1953, n. 87 e 26 del. C.C. 16 marzo 1956; Solleva conflitto di attribuzione nei confronti del Senato della Repubblica, richiedendo che la Corte costituzionale: dichiari che non spetta al Senato della Repubblica dichiarare che i fatti per i quali e' in corso procedimento penale a carico del senatore Roberto Centaro, davanti a questo giudice, concernono opinioni espresse dal senatore Centaro nell'esercizio delle sue funzioni, ai sensi dell'art. 68, primo comma, della Costituzione e, conseguentemente, annulli la delibera adottata dal Senato della Repubblica nella seduta del 27 gennaio 2000; Ordina la trasmissione degli atti alla Corte costituzionale per la risoluzione del conflitto; Dispone che il presente ricorso, a cura della Cancelleria, sia notificato al Presidente del Consiglio dei ministri e comunicato ai Presidenti della Camera dei deputati e del Senato della Repubblica. Roma, addi' 2 giugno 2000. Il giudice per le indagini preliminari: dott. Andrea Vardaro 00C1414