N. 562 ORDINANZA 13 - 20 dicembre 2000
Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale. Reati militari - Reati di lesione personale e di minaccia, in danno di altro militare - Richiesta di procedimento del comandante del corpo, quale condizione di procedibilita' (art. 260 cod. pen. mil. pace) - Esclusione della punibilita' a querela della persona offesa - Ritenuto contrasto con il principio di conformazione dell'ordinamento delle Forze armate allo spirito e ai valori democratici dello Stato, con il diritto di agire in giudizio del danneggiato e lamentata disparita' di trattamento rispetto alla disciplina dettata per gli omologhi reati di diritto comune - Manifesta infondatezza della questione. - Cod. proc. mil. pace, artt. 223, primo e secondo comma, e 229 (in relazione all'art. 260). - Costituzione, artt. 3, 24 e 52, terzo comma.(GU n.53 del 27-12-2000 )
LA CORTE COSTITUZIONALE composta dai signori: Presidente: Fernando SANTOSUOSSO; Giudici: Massimo VARI, Cesare RUPERTO, Riccardo CHIEPPA, Gustavo ZAGREBELSKY, Valerio ONIDA, Carlo MEZZANOTTE, Fernanda CONTRI, Guido NEPPI MODONA, Piero Alberto CAPOTOSTI, Annibale MARINI, Franco BILE, Giovanni Maria FLICK;
ha pronunciato la seguente Ordinanza nel giudizio di legittimita' costituzionale degli artt. 223, primo e secondo comma, e 229 del codice penale militare di pace, in relazione all'art. 260 stesso codice, promosso con ordinanza emessa il 1o marzo 2000 dal giudice per le indagini preliminari del tribunale militare di Torino nel procedimento penale a carico di G. G.R., iscritta al n. 203 del registro ordinanze 2000 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 20, prima serie speciale, dell'anno 2000. Udito nella camera di consiglio del 26 ottobre 2000 il giudice relatore Giovanni Maria Flick. Ritenuto che, con ordinanza emessa il 1o marzo 2000, il giudice per le indagini preliminari del tribunale militare di Torino ha sollevato, in riferimento agli artt. 3, 24 e 52, terzo comma, della Costituzione, questione di legittimita' costituzionale degli artt. 223, primo e secondo comma, e 229 del codice penale militare di pace, in relazione all'art. 260 dello stesso codice, nella parte in cui non prevedono, rispettivamente, che i reati di lesione personale e di minaccia commessi da un militare in danno di altro militare non siano punibili, oltre che a richiesta del comandante del corpo o di altro ente superiore, anche a querela della persona offesa; che il rimettente premette, in punto di fatto, di essere stato investito della decisione, nell'ambito di un procedimento per i reati di lesione personale (art. 223, primo e secondo comma, del codice penale militare di pace) e minaccia (art. 229 del medesimo codice), in esito a richiesta di archiviazione avanzata dal pubblico ministero, pur sussistendo la querela proposta dalla persona offesa, in ragione della sola mancanza di richiesta di procedimento del comandante del corpo, prescritta, quale condizione di procedibilita', dall'art. 260 del codice penale militare di pace; che le norme richiamate, ad avviso del rimettente, violerebbero l'art. 52, terzo comma, della Costituzione atteso che - subordinando alla richiesta del comandante del corpo, quale condizione di procedibilita' prevista dall'art. 260, secondo comma, del codice penale militare, l'esercizio dell'azione penale per i reati di specie - verrebbe a privilegiarsi una valutazione ispirata ad una logica "istituzionalistica" di prevalenza dei valori dell'ordinamento militare, e segnatamente dell' "immagine del reparto", sui diritti della persona (tutelati dalle norme incriminatici della lesione personale e della minaccia), pur militare che sia, con conseguente discrepanza rispetto al principio di "permeabilizzazione" dell'ordinamento delle Forze Armate allo spirito ed ai valori democratici dello Stato; che, inoltre, le predette norme si porrebbero in contrasto con il principio proclamato nell'art. 24 della Costituzione in quanto, non riconoscendo valore esaustivo di condizione di procedibilita' alla querela proposta dalla persona offesa, verrebbe illegittimamente compresso il diritto del danneggiato ad agire in giudizio a tutela delle proprie ragioni ed, in particolare, impedito a quest'ultimo di esercitare il proprio diritto al risarcimento del danno nell'ambito del processo penale mediante la costituzione di parte civile, divenuta possibile anche in sede militare a seguito della declaratoria di illegittimita' costituzionale dell'art. 270, primo comma, del codice penale militare di pace, con sentenza di questa Corte n. 60 del 1996; dunque, l'estrinsecazione di facolta' e diritti volti alla tutela della personalita' umana verrebbe impedita o comunque subordinata ad un fatto accidentale, quale la scelta del comandante del corpo, depositario dell'unica condizione di procedibilita', di mantenere "segretato" l'illecito nell'ambito della caserma; che, infine, le norme oggetto della denunzia violerebbero l'art. 3 della Costituzione, per una irragionevole disparita' di trattamento esistente rispetto alla persona offesa per gli omologhi reati di diritto comune, la quale puo' determinare, senza rimessione ad altri, l'esercizio dell'azione penale per le stesse fattispecie di reati contro la persona a tutela di beni quali l'incolumita' individuale e la liberta' morale. Considerato che la Corte e' chiamata a statuire in merito alla compatibilita' con gli artt. 3, 24, 52, terzo comma, della Costituzione degli artt. 223, primo e secondo comma e 229 del codice penale militare di pace, in combinato disposto con l'art. 260 del medesimo codice, nella parte in cui non prevedono che i reati di lesione personale militare e di minaccia militare commessi in danno di altro militare siano puniti anche a querela della persona offesa e non subordinati esclusivamente, quanto alla loro perseguibilita', alla richiesta del comandante del corpo; che questa Corte ha, ripetutamente e da tempo, evidenziato come i reati militari siano connotati, quale loro peculiare ed intrinseca caratteristica, da "un'offesa alla disciplina e al servizio, una lesione quindi di un interesse eminentemente pubblico che non tollera subordinazione all'interesse privato, caratteristico della querela", principio in virtu' del quale appare pienamente ragionevole l'attribuzione al comandante del corpo dell'istituto della richiesta, tramite il quale e' possibile attuare "una facolta' di scelta tra l'adozione di provvedimenti di natura disciplinare ed il ricorso all'ordinaria azione penale considerando che vi sono casi in cui, per la scarsa gravita' del reato, l'esercizio incondizionato dell'azione penale puo' causare un pregiudizio proporzionalmente maggiore di quello prodotto dal reato stesso" (cfr. sentenze nn. 449 del 1991 e 42 del 1975, nonche' ordinanza n. 229 del 1988); che, peraltro, tali concetti sono stati anche di recente ribaditi da questa Corte (ord. n. 410 del 2000) in fattispecie ampiamente assimilabile alla presente, rispetto alla quale puo' evidenziarsi ulteriormente come nessuna delle censure addotte integri, in realta', disarmonia con i principi costituzionali della cui violazione si sospetta; che, invero, non si palesa compromissione alcuna del principio informatore dell'ordinamento delle Forze Armate che, secondo quanto espresso nell'art. 52, terzo comma, della Costituzione, e' lo spirito democratico della Repubblica: cio' in quanto il meccanismo normativo attuato dalle norme oggetto di denunzia si configura quale strumento idoneo e ragionevole, attraverso la valutazione insita nel potere di richiesta del comandante del corpo, ad adeguare al caso concreto la reazione dell'ordinamento militare (cfr. sentenze nn. 436 del 1995 e 449 del 1991, nonche' ordinanze nn. 410 del 2000, 396 del 1996 e 467 del 1995); che anche con riferimento alla presunta lesione del diritto di difesa dedotta, pure nella presente questione, sotto il profilo della preclusione alla persona offesa della costituzione di parte civile nel procedimento relativo al reato militare in ragione delle determinazioni del comandante del corpo, questa Corte ha gia' piu' volte evidenziato come tale lesione non sussista per l'esistenza di validi e praticabili percorsi giudiziari alternativi nella piena disponibilita' del danneggiato: costui, invero, puo' proporre, immediatamente e senza ostacolo alcuno, azione risarcitoria dinanzi al giudice civile, cosi' evidenziandosi come l'esercizio dell'azione civile per il risarcimento del danno nel processo penale non rappresenti in realta' l'unico strumento di tutela giudiziaria a disposizione del soggetto danneggiato dal reato (cfr. sentenze nn. 396 del 1996, 94 del 1996, 532 del 1995 e 185 del 1994, nonche' ordinanze nn. 410 del 2000 e 224 del 1997); che, da ultimo, non sussiste lesione del principio di eguaglianza di cui all'art. 3 della Costituzione, atteso che l'ineluttabile peculiarita' che caratterizza la posizione del cittadino inserito nell'ordinamento militare - tale proprio perche' caratterizzato da specifiche regole, della cui cogenza non puo' dubitarsi - rende fondata ragione della diversita' di trattamento pure rilevata dal giudice a quo rispetto alla generalita' dei cittadini, nella specifica angolazione di potenziali persone offese di reati comuni omologhi a quelli di connotazione militare (cfr. ord. nn. 224 del 1997, 336 del 1996, 82 del 1994 e 397 del 1997). Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, e 9, secondo comma, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.
Per questi motivi LA CORTE COSTITUZIONALE Dichiara la manifesta infondatezza della questione di legittimita' costituzionale degli artt. 223, primo e secondo comma, e 229 del codice penale militare di pace, in relazione all'art. 260 del medesimo codice, sollevata, in riferimento agli artt. 3, 24 e 52, terzo comma, della Costituzione, dal giudice per le indagini preliminari del tribunale militare di Torino con l'ordinanza in epigrafe. Cosi' deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 13 dicembre 2000. Il Presidente: Santosuosso Il redattore: Flick Il cancelliere: Fruscella Depositata in cancelleria il 20 dicembre 2000. Il cancelliere: Fruscella 00C1442